di Michele Grillo, Francesco Silva
Se la sfida raccolta da Mario Monti
accettando l’incarico di governo riscuoterà pieno
successo politico – se cioè il governo potrà operare con
la prospettiva di durare fino a fine legislatura – ci
saranno le condizioni per una strategia di politica
economica che faccia stabilmente leva su un rinnovato
“contratto sociale”.
Sarà allora soprattutto importante
recuperare quella dimensione assicurativa che è andata
sempre più affievolendosi negli ultimi decenni,
individuando il nucleo del nuovo patto in due elementi:
da un lato, lo spostamento di parte del peso fiscale dal
reddito al patrimonio; dall’altro, un rapido
aggiustamento del sistema previdenziale al mutamento
delle condizioni demografiche. Due corollari dovrebbero
inoltre corredarlo: una priorità dell’impegno
amministrativo per ridurre l’evasione e una riforma del
mercato del lavoro che superi l’attuale assetto duale,
dando a tutti garanzie adeguate e uguali. Ma è sulla
combinazione dei primi due elementi che intendiamo ora
concentrarci.
Presi singolarmente e a confronto
con l’urgenza del momento, interventi sull’imposizione
patrimoniale e sulle pensioni sono, per un verso, tra
quelli meglio in grado di recuperare rapidamente risorse
significative. Per altro verso, anche con i vincoli
dell’urgenza, non sono di facile attuazione, perché
coinvolgono vaste constituency che proprio su questi
aspetti sono state esplicitamente protette da più parti
politiche. Il documento proposto a settembre da
Confindustria e altre parti sociali, che pure trovava il
suo nucleo sostanziale in questa linea di intervento,
avvertiva al contempo il bisogno di mascherarla, proprio
per la sua difficoltà politica, entro una più vasta
combinazione di proposte di contorno. La loro
combinazione è allora innanzi tutto necessaria per fare
emergere esplicitamente il carattere di nuovo patto
sociale e per mandare un segnale necessario, a sua
volta, per una nuova politica in grado di ottenere, in
un arco temporale non breve, rinnovato credito,
finanziario e politico, nel panorama internazionale.
Ma non si tratta soltanto di
recuperare una logica in cui si chiede a ciascuno di
“fare la propria parte” in un momento difficile. In una
prospettiva di più lungo periodo è in gioco una
questione più profonda che coinvolge la dimensione
“assicurativa” del contratto sociale, che negli ultimi
decenni è andata rarefacendosi. Ciò è accaduto mentre la
globalizzazione - con le sue sfide a ripensare, anche
drasticamente, la collocazione delle diverse economie
nella divisione internazionale del lavoro - ha
accresciuto i rischi connessi all’attività economica. Li
ha accresciuti sia per i sistemi economici sia,
all’interno di questi, per i singoli individui. Non è
però possibile sfuggire al fatto che la “sicurezza” è
sempre stata, nella storia, il principale bene che i
cittadini chiedono allo Stato. La politica avrebbe
dovuto rispondere adeguando le diverse istituzioni di
assicurazione sociale al modificato contesto e
rafforzandole.
In molti sistemi occidentali, e in
Italia in particolare, questa risposta è decisamente
mancata (mentre, forse, è stato proprio questo uno dei
punti di forza dell’economia e della società tedesca,
con l’unificazione e dopo l’unificazione). Negli ultimi
decenni è prevalso un progetto di politica economica e
sociale che si è indirizzato prevalentemente alla
sostituzione di assicurazione pubblica con assicurazione
privata, affidando quest’ultima agli sviluppi del
sistema finanziario e, più in generale, alle prospettive
di una più sostenuta crescita economica. Ma le promesse
non sono state mantenute e la domanda di sicurezza è
rimasta senza risposta.
Il punto è che, se mancano adeguate
istituzioni assicurative, la domanda insoddisfatta di
“sicurezza” si trasforma – come sempre più si è
trasformata in Italia - in domanda di “protezione”; e il
dibattito politico, invece di avere come oggetto il
disegno di meccanismi efficienti di coesione sociale,
insiste sempre più sul confronto (e nei fatti sullo
scontro) redistributivo. Il nostro convincimento è che
un nuovo “contratto sociale” che faccia leva sulla
combinazione, stabile e di lungo periodo, di un parziale
spostamento del peso fiscale dal reddito alla ricchezza
con un deciso aggiustamento del sistema previdenziale
alle mutate condizioni demografiche possa creare le basi
per ridisegnare in Italia più robuste istituzioni
assicurative.
In questa prospettiva, innanzi
tutto, accompagnare l’imposizione sul reddito con
un’imposizione patrimoniale, non è una sollecitazione
estemporanea a donare “oro alla Patria”. Né deve essere
visto – seguendo taluni condizionamenti ideologici degli
ultimi decenni – come un intervento che svilisce il
successo “figlio” del merito, disincentivando i soggetti
dall’assumere il rischio economico del mercato. Deve
essere invece visto come elemento di un patto sociale
assicurativo. Come il segno che la società riconosce che
il successo è sì figlio del merito, ma è anche figlio di
un’alea positiva della quale il singolo non ha merito e
che è invece per lui una fonte di responsabilità
sociale. Questo argomento deve essere recuperato con
forza nel disegno politico, attraverso la proposta di
una imposta patrimoniale ordinaria, ad aliquota
contenuta, e deve essergli attribuita una valenza
strutturale, non di eccezionalità.
Dall’altra parte, anche il sistema
pensionistico deve essere pensato in modo coerente con
una logica di assicurazione. Occorre evitare che si
evolva in modo che la pensione assuma sempre più la
natura di un piano di accumulo individuale di risparmio.
Ciò implica che, anche quando organizzato su base
contributiva, il suo nucleo essenziale deve avere una
intrinseca dimensione assicurativa garantendo, a
chiunque svolga la propria parte nella divisione sociale
del lavoro, il diritto a una esistenza dignitosa quando
le forze saranno venute meno. Ma per rafforzarne la
dimensione assicurativa occorre rimuoverne gli aspetti
di conflitto distributivo, e prendere sul serio
l’evoluzione dell’alea demografica, tenendo conto del
fatto che, con l’aumento dell’aspettativa di vita, è
aumentato anche il numero di anni vissuti in piena
salute fisica. Ciò impone di realizzare al più presto
(non con scadenze lontane uno o due decenni)
l’adeguamento della vita lavorativa e dell’età di
pensionamento.
Questo disegno richiede però,
ancora, tre specificazioni.
In primo luogo, l’adeguamento
dell’età di pensionamento deve coinvolgere tutti, anche
nel caso, auspicabile, di una rapida convergenza al
regime contributivo. Il sistema deve infatti assicurare
a chiunque una pensione dignitosa, indipendentemente da
una non regolarità (a lui non imputabile) della vita
lavorativa. In questa prospettiva, i contributi di
ciascuno devono "assicurare" la pensione di tutti. Ciò
introduce un trade-off tra età di pensionamento e
altezza dei contributi e, nella prospettiva del sistema
economico, suggerisce l’opportunità di "minimizzare"
questi ultimi rispetto all’alea che si intende coprire
(la perdita di capacità produttiva con il progredire
dell’età). In questo quadro nessuno dovrebbe potersi
ritirare dal “contratto assicurativo” con l'argomento
individuale di "avere versato sufficienti contributi".
In secondo luogo, in una
prospettiva di efficienza e di crescita, la combinazione
“contributi versati” ed età di pensionamento deve essere
disegnata come stimolo di offerta per il sistema
economico nel suo complesso. In quest’ottica, riteniamo
sia un errore (se non tutt’al più nell’urgenza del
momento) finalizzare – come la stessa lettera di Trichet
e Draghi suggeriva – il ridisegno del sistema
pensionistico al riequilibrio dei conti pubblici: la
finalità primaria deve essere quella di ridurre
strutturalmente il costo sociale della previdenza
(l’incidenza dei contributi sul cuneo) e, per tale via,
le condizioni di competitività del sistema economico
italiano.
In terzo luogo, l’innalzamento
dell'età di pensionamento impone di avviare fin da
subito – come sta avvenendo in altri Paesi europei che
hanno parallelamente avviato tale politica – una
riflessione pubblica su come favorire la più ampia
flessibilità dei lavoratori anziani, valorizzandone le
capacità e le competenze specifiche in modo da
consentire una efficiente organizzazione del lavoro in
una società che fa i conti con una modificata
distribuzione per età. |