Gianfrancesco Vecchio - Avvocato
cassazionista in Roma
Nel concitato momento storico
vissuto nel nostro paese la questione dell’accesso alla
giustizia torna ad essere trattata dal legislatore anche
nel c.d. maxiemendamento alla legge di stabilità appena
approvato.
Più precisamente, è l’art. 28
(Modifiche in materia di spese di giustizia), a
contenere l’ulteriore incremento in pochi mesi dei costi
per poter accedere a quello che, pure, dovrebbe essere
uno dei servizi fondamentali di un paese civile (si
pensi al D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito di lì a
poco con la L. 15 luglio 2011, n. 111).
Gli aumenti del contributo
unificato non appaiono affatto simbolici: essi risultano
infatti pari alla metà per la promozione di giudizi di
appello e pari al doppio per i processi dinanzi alla
Corte di cassazione.
Inoltre, si arriva anche ad
introdurre “il pagamento di un autonomo contributo
unificato determinato in base al valore della domanda
proposta”, posto a carico di ciascuna delle parti che si
costituisca dopo la prima, nei casi di:
1) modifica della domanda,
2) proposizione di domanda
riconvenzionale,
3) formulazione della chiamata in
causa.
E lo stesso è disposto anche per
quanto riguarda gli interventori autonomi.
A parziale giustificazione di
questo nuovo approccio “monetario” alla tematica può,
forse, considerarsi l’espressa previsione di una
destinazione specifica di queste somme al funzionamento
degli uffici giudiziari – con esclusione delle spese di
personale – attraverso una contabilizzazione separata
garantita, almeno sulla carta, dal Ministero
dell’Economia.
In assoluto, però, questa tendenza
a rendere sempre più economicamente costoso il ricorso
alla giustizia ordinaria, non può non leggersi che in
parallelo con l’altrettanto forte spinta normativa a
promuovere la mediazione civile e commerciale come
obbligatorio strumento di risoluzione delle controversie
Questa lettura, a sua volta,
determina delle perplessità sempre più nette circa il
permanere del rispetto dell’indubbio rango
costituzionale della garanzia del diritto di azione
giudiziaria.
Diventa anzi innegabile che,
l’ormai continuo reiterarsi di misure che aggravano le
spese di giustizia, mette sempre più a rischio
l’effettività del citato precetto.
Insomma, invece di migliorare il
servizio giustizia, con provvedimenti magari più logici
e comprensibili, ma che non si provano nemmeno ad
attuare – come, ad es., l’eliminazione dell’appello al
di sotto di un dato valore della causa – ci si dirige
sempre più apertamente verso una giustizia censuaria per
pochi ed una giustizia privatizzata per la maggioranza.
Situazione che non si può giudicare
degna di una nazione che, come l’Italia, ha contribuito
in maniera determinante a sviluppare nel mondo la
cultura dei diritti civili.
Meno chiaro è il senso
dell’intervento, contenuto nel co. 12 dell’art. 10 della
Legge di stabilità, laddove si eliminano alcune parti
del decreto sviluppo di agosto (D.L. 13 agosto 2011, n.
138, convertito con L. 14 settembre 2011, n. 148).
Quello che appare è che le tariffe
non sono più criterio di riferimento per la
determinazione dei compensi.
Il che, mantenendo ferma la
generale previsione sulla derogabilità delle tariffe,
sembra mirare a valorizzare il principio consensuale
nella determinazione delle stesse.
Tuttavia, occorre segnalare che le
tariffe restano richiamate dalle successive disposizioni
della lett. d), co. 5, dell’art. 3 del decreto legge 13
agosto 2011 n. 138, convertito con modificazioni, dalla
legge 14 settembre 2011 n. 148, nonché dalla bozza di
modifica alla disciplina del contratto di prestazione
d’opera professionale, nei casi di liquidazione
giudiziale, quando il committente è un ente pubblico
ovvero quando la prestazione professionale è resa
nell’interesse dei terzi. |