Francesco Machina Grifeo (
Il ministero del Lavoro, con la
circolare 28/2011, detta le regole sulle novità
processuali nei giudizi di opposizione ad ordinanza
ingiunzione per le violazioni della disciplina sul
lavoro di competenza delle Direzioni territoriali del
lavoro. Dopo l’approvazione del Dlgs 150/2011, entrato
in vigore il 6 ottobre scorso, infatti, tali
controversie sono state ricondotte nell’alveo del rito
del lavoro, riscrivendo la disciplina prevista dalla
legge 689/1981.
L’accavallarsi delle norme
Per questo tipo di procedimenti, la
riforma del processo civile, ad opera della legge
69/2009, aveva comportato l’introduzione di tutti gli
istituti processuali compatibili con il rito speciale
previsto dalla legge 689/1981, per cui, a seconda del
momento di incardinamento della controversia, vigono
riti diversi. Per i giudizi antecedenti il 4 luglio 2009
si fa riferimento agli articoli 22 e 23 della legge
689/1981, integrato dalle norme del codice di procedura
ante riforma. Per le liti incardinate tra il 4 luglio
2009 e il 5 ottobre 2011, invece, si dovrà tenere conto
anche delle novità della riforma del 2009. E infine per
le controversie a partire dal 6 ottobre 2011, la norma
di riferimento è l’articolo 6 del Dlgs 150/2011,
integrato dalle norme sul rito del lavoro.
Giudizio limitato alla domanda
Nei procedimenti di opposizione ad
ordinanza ingiunzione il giudizio è circoscritto a
quanto dedotto nel ricorso introduttivo, infatti, da un
parte l’opponente non può proporre nuove domande o
eccezioni, dall’altra il giudice deve decidere in base
ai soli motivi presentati. Secondo la circolare, che
riporta l’orientamento giurisprudenziale prevalente,
appaiono rilevabili di ufficio solo i casi di
inesistenza o di nullità assoluta, ma non per esempio la
determinazione di importi sanzionatori non adeguati
rispetto alle violazioni commesse, ragion per cui è
indispensabile una precisa e motivata richiesta di
rideterminazione del quantum nel ricorso introduttivo.
I termini
Restano poi uguali i termini per
proporre ricorso (30 giorni dalla notifica, 60 per i
residenti all’estero), ma la presentazione potrà
avvenire anche a mezzo posta. Mentre si riducono i tempi
per la prima udienza che dovrà avvenire entro 30 giorni
e non più 90.
Sospensione dell’efficacia
esecutiva
La sospensione dell’efficacia del
provvedimento può essere concessa dal giudice - con
ordinanza non impugnabile – nei soli casi in cui la
sospensione sia stata espressamente richiesta
dall’opponente sentite le parti, e, comunque, unicamente
quando ricorrano “gravi e circostanziate ragioni”, di
cui, fra l’altro, il giudice dovrà dare conto nella
motivazione del provvedimento. La sospensione inaudita
altera parte, invece, è ammessa unicamente “a
condizione, a pena di inefficacia del provvedimento
stesso, che la sospensione sia confermata con ordinanza
entro la prima udienza”.
Costituzione in giudizio
Per la costituzione in giudizio
l’amministrazione non deve avvalersi necessariamente
dell’Avvocatura dello Stato potendo stare in giudizio
personalmente e avvalendosi di un funzionario delegato
per iscritto dall’organo dotato della rappresentanza
esterna dell’ente. Per il resto la Pa dovrà seguire le
regole del codice di procedura civile e dunque formare
un proprio “fascicolo”, non essendo sufficiente il
semplice invio della documentazione relativa al
procedimento amministrativo.
Poteri istruttori
Riguardo i poteri istruttori, il
giudice può disporre anche d’ufficio, in qualsiasi
momento, l’ammissione dei mezzi di prova, nel rispetto
delle previsioni del codice civile, e dunque ordinare la
comparizione anche delle persone incapaci di
testimoniare a norma dell’articolo 246 del Cpc – e cioè
le persone aventi un interesse nella causa – per
interrogarle liberamente, in tal modo secondo il
ministero dovrebbe essere risolta “una volta per tutte
anche l’annosa querelle sulla capacità di testimoniare
dei lavoratori”.
Transazione e appellabilità
Non è possibile per
l’amministrazione transigere sulle somme derivanti da
sanzioni amministrative in quanto tali somme sono
crediti dello Stato e dunque sottratti alla
disponibilità delle parti.
In ultimo, la sentenza che
definisce, in rito o nel merito, il giudizio di
opposizione è soggetta ai normali mezzi di impugnazione.
Testo circolare
Oggetto: D.Lgs. n. 150 del 1°
settembre 2011 recante "Disposizioni complementari al
codice di procedura civile in materia di riduzione e
semplificazione dei procedimenti civili di cognizione,
ai sensi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n.
69".
Premessa
Il D.Lgs. n. 150/2011, emanato
in attuazione della delega conferita al Governo per la
riduzione e semplificazione dei procedimenti civili
dall'art. 54 della L. n. 69/2009, ed entrato in vigore
il 6 ottobre u.s. realizza, conformemente ai criteri di
delega dettati dal Legislatore, la riduzione e
semplificazione dei procedimenti civili di cognizione
che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria
e che sono regolati dalla legislazione speciale,
riconducendoli ai tre modelli previsti dal codice di
procedura civile, individuati, rispettivamente, nel rito
ordinario di cognizione, nel rito che disciplina le
controversie in materia di rapporti di lavoro e nel rito
sommario di cognizione.
I criteri posti dalla legge
delega sono stati attuati mantenendo sia i preesistenti
criteri di competenza, sia quelli relativi alla
composizione dell'organo giudicante, operando una
riconduzione di ciascun procedimento civile ad uno dei
modelli di rito contemplati dal codice di procedura
civile.
La predetta assimilazione è
avvenuta privilegiando il rito del lavoro per i
procedimenti in cui erano prevalenti i caratteri della
concentrazione delle attività processuali, ovvero nei
quali erano riconosciuti ampi poteri di istruzione
d'ufficio.
Nella elaborazione del testo
normativo sono state apportate poi le modifiche
conseguenti alle pronunzie della Corte costituzionale
intervenute sulle leggi speciali oggetto di intervento e
si è tenuto conto delle abrogazioni implicite, nonché
dei criteri interpretativi dei singoli procedimenti
adottati alla giurisprudenza, sia costituzionale che
ordinaria.
Per quanto attiene ai giudizi di
opposizione ad ordinanza ingiunzione il D.Lgs. n.
150/2011 riconduce tali controversie al rito del lavoro
e riscrive le norme speciali del processo contenute in
precedenza negli abrogati articoli 22 e 23 della L. n.
689/81. Naturalmente tali novità riguardano anche le
opposizioni ad ordinanza ingiunzione relative a
violazioni della disciplina in materia di lavoro di
competenza degli uffici Affari Legali delle Direzioni
territoriali del lavoro.
Per tali procedimenti, in
realtà, già la riforma del processo civile operata con
la Legge n. 69 del 2009 aveva apportato rilevanti novità
con l'introduzione automatica di tutti quegli istituti
processuali compatibili con il rito speciale previsto
dalla L. n. 689/1981, comportando con ciò l'attuale
concomitante possibilità di applicazione di riti diversi
in ragione del momento di incardinamento della
controversia.
Al momento attuale, difatti, è
possibile distinguere tre diversi regimi processuali
applicabili a questo tipo di procedimenti di
opposizione.
Il primo per i giudizi
incardinati prima del 4 luglio 2009 consiste in quello
delineato dagli artt. 22 e 23 della L. n. 689/1981
integrato dalle norme del rito ordinario di cui al
codice di procedura civile antecedente alla riforma del
2009.
Il secondo, per i giudici
incardinati nel periodo ricompreso tra il 4 luglio 2009
ed il 5 ottobre 2011, ricalca sempre il modello
designato dagli artt. 22 e 23 della L. n. 689/1981 -
integrato dalle norme del rito ordinario di cui al
codice di procedura civile, questa volta come riformato
dalla L. n. 69/2009.
Il terzo per i giudizi
incardinati dal 6 ottobre 2011, e strutturato sulla base
dell'art. 6 del D.Lgs. 150/2011, integrato dalle norme
che disciplinano il processo del lavoro.
La nuova disciplina processuale
dei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione
Ad una prima analisi del nuovo
dettato normativo e del regime processuale che ne deriva
si può constatare come il Legislatore abbia voluto
sintetizzare, pur con una diversa articolazione, in un
articolo unico (art. 6) la precedente disciplina dettata
dagli artt. 22 e 23 della L. n. 689/1981, ed abbia
inteso recepire e codificare, come prima ricordato,
alcuni principi sanciti dalla giurisprudenza
costituzionale e di legittimità.
In quest'ottica appare utile
ricordare come il procedimento di opposizione ad
ordinanza ingiunzione rientri a pieno titolo in quella
particolare categoria di procedimenti nei quali il
giudizio è circoscritto a quanto dedotto nel ricorso
introduttivo, poiché da una parte l'opponente non può
proporre domande, eccezioni o questioni diverse da
quelle concernenti la legittimità dell'atto
amministrativa impugnato (Cass. 2 settembre 2008, n.
22035) e dall'altra parte il giudice, eccettuate le
ipotesi di inesistenza dell'atto, decide sulla base dei
motivi di opposizione.
Secondo l'orientamento
giurisprudenziale prevalente, infatti, il procedimento
di opposizione ad ordinanza ingiuntone ricalca nelle sue
linee generali il modello del giudizio civile ordinario
essendo informato, alla stregua di quest'ultimo, ai
principi della domanda, che resta delimitata sulla base
dei motivi di opposizione, della corrispondenza tra
chiesto e pronunciato, e della imponibilità per il
giudice adito di rilevare ragioni di invalidità del
provvedimelo opposto o del procedimento sanzionarono
diverse da quelle dedotte nell'atto introduttivo del
giudizio.
Sulla scorta di tale
orientamento appaiono rilevabili d'ufficio solo i casi
di inesistenza o di nullità assoluta dell'atto ma non
anche, ad esempio, le ipotesi di determinazione di
importi sanzionatori non adeguati alle violazioni
commesse per cui è indispensabile una precisa e motivata
richiesta di rideterminazione del quantum contenuta nel
ricorso introduttivo, pena il vizio di ultrapetizione.
Per quanto riguarda poi la fase
propriamente introduttiva del giudizio giova osservare
come nulla sia state modificato in ordine alla
competenza del giudice dell'opposizione sia per materia
(Tribunale ai sensi dell'art. 6, comma 4, del D.Lgs.
citato) che per territorio (luogo in cui è stata
commessa la violazione ai sensi dell'art. 6, comma 2).
In ordine ad eventuali eccezioni di incompetenza è utile
ricordare come le stesse vadano proposte, a pena di
decadenza, nella comparsa di risposta (quella per
territorio accompagnata anche obbligatoriamente
dall'indicazione del giudice ritenuto competente), salva
la possibilità del giudice di rilevarla d'ufficio non
oltre l'udienza di discussione prevista dall'art. 420
c.p.c.
In ordine ai termini di
proposizione del ricorso nulla è cambiato avendo l'art.
6, comma 6, riproposto per intero quanto già previsto
dall'art. 22 della L. n. 689/1981. Unica novità, per la
verità riproduttiva di quanto già sancito dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 98 del 2004, è la
possibilità di presentare il ricorso anche a mezzo
posta.
In merito alla perentorietà del
termine di presentazione del ricorso è opportuno
segnalare che l'art. 6, comma 10, prescrive al giudice
di dichiarare l'inammissibilità del ricorso tardivo con
sentenza e non più con ordinanza, con le relative
conseguenze in ordine alla soggezione di detta sentenza
ai normali mezzi di impugnazione.
Rimangono pressoché inalterate,
rispetto alla disciplina previdente, anche le fasi
processuali descritte ai commi 8 e 9 dell'art. 6 con
l'unica importante annotazione relativa alla mancata
riproposizione del comma 1 dell'art. 21 della L. n.
689/1981 che prevedeva che tra il giorno della
notificazione e l'udienza di comparizione dovessero
obbligatoriamente intercorrere i termini sanciti
dall'art. 163 bis del codice di procedura civile (90
giorni). Corollario del mancato recepimento di questa
norma è l'applicazione di quanto previsto all'art. 415,
comma 5, c.p.c., per cui tra la data di notificazione al
convenuto e quella dell'udienza di discussione deve
intercorrere un termine non inferiore a 30 giorni, con
conseguente necessità per l'Amministrazione di dover
provvedere con maggiore speditezza alla predisposizione
delle proprie difese.
Sospensione dell'efficacia
esecutiva del provvedimento impugnato
Tra le novità del decreto
legislativo in oggetto vi è sicuramente l'introduzione,
attraverso la formulazione del nuovo art. 5, di una
uniforme disciplina del procedimento di inibitoria.
La norma citata prevede che la
sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento
opposto posse essere concessa dal giudice - con
ordinanza non impugnabile - nei soli casi in cui la
sospensione sia stata espressamente richiesta
dall'opponente e sentite le parti e solo quando
ricorrano "gravi e circostanziate ragioni" di cui il
giudice deve dare esplicitamente conto nella motivazione
del provvedimento di sospensione.
Al fine di dare piena attuazione
al principio del contraddittorio l'ordinanza che
sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento opposto
non potrà normalmente essere emessa prima dell'udienza
fissata per la comparizione delle parti. Tuttavia, ove
il tempo occorrente per instaurare il contraddittorio
tra le parti mettesse a rischio di grave e irreparabile
danno le ragioni dell'opponente il giudice potrà
disporre la sospensione inaudita altera parte, con
decreto pronunciato fuori udienza, a condizione, a pena
di inefficacia del provvedimento stesso, che la
sospensione sia confermata con ordinanza entro la prima
udienza successiva.
Le fasi del giudizio
Alla mancata comparizione del
ricorrente alla prima udienza il comma 10, lett. b)
dell'art. 6 citato ricollega la stessa possibilità per
il giudice, prevista dal vecchio art. 23, comma 5, L. n.
689/1981, di pronunciare ordinanza di convalida del
provvedimento opposto, salve le ipotesi, già oggetto di
declaratoria di incostituzionalità, in cui
l'illegittimità dell'atto risulti dalla documentazione
allegata dall'opponente ovvero in cui l'autorità che ha
emesso il provvedimento abbia omesso di depositare la
documentazione richiesta dal comma 8 dell'art. 6.
Costituzione in giudizio
dell'Amministrazione
Un approfondimento a parte
meritano le regole inerenti le modalità di costituzione
in giudizio dell'Amministrazione resistente.
Innanzitutto occorre precisare
che in tema di sanzioni amministrative, l'art. 6, comma
9, del D.Lgs. 150/2011 consente all'autorità che ha
emesso l'ordinanza ingiunzione di stare in giudizio
personalmente e di avvalersi anche di un funzionario
appositamente delegato, confermando la deroga alle
regole dettate dal R.D. n. 1611/1933 in tema di
rappresentanza, patrocinio e assistenza in giudizio
delle Amministrazioni dello Stato; spettante in via
ordinaria alla Avvocatura dello Stato; per cui si
ritiene che in detti procedimene in primo grado, non sia
necessario avvalersi dette difesa tecnica normalmente
riservai alla citata Avvocatura.
In ordine alle modalità di
conferimento della delega nel giudizio di opposizione
all'ingiunzione, per la costituzione in giudizio
dell'Amministrazione, va ricordato come la Cassazione
abbia chiarito che "la delega al funzionario incaricato
della difesa, senza il patrocinio di un difensore, deve
essere conferita per iscritto, anche se non è necessaria
la produzione agli atti del processo, in quanto non è
equiparabile alla procura di cui all'art. 83 c.p.c.,
essendo sufficiente la sua sottoscrizione nella comparsa
di risposta e la sua dichiarazione di stare in giudizio
in tale qualità" (Cass., sez. I, n. 9710 del 17 luglio
2001), stabilendo altresì la necessità che "ai fini
della regolarità di tale delega la stessa provenga
dall'organo dotato della rappresentanza esterna
dell'ente" (Cass., sez. I, n. 7249 del 2 luglio 1991.
Relativamente alle modalità di
costituzione in giudizio e opportuno rammentare che la
Suprema Corte ha allarmato che il semplice invio della
documentazione relativa al procedimento amministrativo
che ha dato origine alla ordinanza ingiunzione "non
integra una rituale costituzione in giudizio da parte
dell'Amministrazione opposta, essendo tenuta la parte
che intenda costituirsi in giudizio ad osservare le
relative modalità attraverso la formazione del proprio
fascicolo" (Cass., sez. I, n. 12617 del 26 maggio 2006).
Appare, pertanto, opportuno ribadire che, anche sotto la
vigenza delle nuova disciplina dettata dal D.Lgs.
150/2011, nel costituirsi in giudizio gli uffici seguano
la normativa generale del codice di procedura civile.
Decadenze
Particolare attenzione, in
ragione del passaggio dal rito ordinario a quello del
lavoro, va posta al nuovo regime delle decadenze in
ordine alle allegazioni documentali ed all'indicazione
dei mezzi di prova.
In particolare mentre per
l'opponente il termine ultimo per le richieste
probatorie e per il deposito dei documenti coincide ora
con il ricorso introduttivo così come previsto dall'art.
414, commi 4 e 5, del c.p.c., per l'Amministrazione
convenuta operano le preclusioni previste dall'art. 416
c.p.c., in base al quale è nella memoria difensiva (da
depositare almeno 10 giorni prima dell'udienza) che, a
pena di decadenza, devono essere proposte le eccezioni
processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, le
proprie difese in fatto ed in diritto, nonché devono
essere indicati i mezzi di prova ed i documenti da
depositare.
La fase istruttoria e decisoria
Anche in ordine ai poteri
istruttori del giudice c'è da evidenziare una differenza
seppur non sostanziale con la disciplina preesistente.
L'art. 23, comma 6, della L. n. 689/198l è stato
abrogato e le norme di riferimento diventano l'art. 2
del D.Lgs. n. 150/2011 e l'art. 421 del c.p.c., in base
ai quali il giudice può disporre anche d'ufficio, in
qualsiasi momento, l'ammissione dei mezzi di prova, nel
rispetto dei limiti stabiliti dal codice civile (art. 2,
comma 4, del citato decreto). Ed in relazione alla
facoltà, concessa al giudice dall'ultimo comma dell'art.
421 citato, di ordinare la comparizione anche di quelle
persone che siano incapaci di testimoniare a norma
dell'art. 246, per interrogarle liberamente sui fatti di
causa, può affermarsi che in tal modo sarà risolta una
volte per tutte anche l'annosa querelle sulla capacità a
testimoniare dei lavoratori.
In ordine a tali poteri
"officiosi" del giudice non va comunque dimenticato come
essi nel processo di opposizione in argomento, in modo
del tutto analogo a quello che avviene negli altri
processi, costituiscano un'eccezione rispetto alla
regola rappresentata dalla necessità della indicazione
di parte. In tale contesto e opportuno anche chiarire
che, nel caso in cui l'Amministrazione convenuta, pur
avendo indicato i testi nella memoria difensiva, ometta
senza giustificato motivo di chiamarli, sarà dichiarata
dal giudice decaduta dalla prova.
D'altronde, va senza dubbio
rilevato come nel rito del lavoro, ora anche per i
ricorsi in opposizione a ordinanza-ingiunzione, sia di
norma necessario indicare i testi e predisporre i
relativi capitoli di prova testimoniale, specificamente
indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in
ordine alle circostanze di fatto allegate nella memoria
di costituzione.
Ulteriori differenze tra vecchio
e nuovo rito attengono alla fase conclusiva del giudizio
di opposizione per cui, non essendo riproposta la
disciplina di cui all'art. 23, comma 7, della L. n.
689/1981 valgono le regole dettate dall'art. 429 c.p.c.
unitamente a quelle stabilite dai commi 11 e 12 del
nuovo art. 6 del decreto legislativo in parola.
Da ultimo sembra utile ricordare
che, conformemente con quanto già chiarito nella nota di
questa Direzione generale prot. n. 14550 del 6 ottobre
2009, in ordine alla transigibilità di somme derivanti
da sanzioni amministrative, con parere reso in data 18
maggio 2009 l'Avvocatura Generale dello Stato ha escluso
che in materia di crediti derivanti da sanzioni
amministrative possa procedersi ad atti transattivi, non
potendo la sanzione amministrativa come tale, nel suo
complesso, formare oggetto di tali accordi in quanto
integrante un credito dello Stato, per sua natura
sottratto alla disponibilità delle parti giusto disposto
dell'art. 1966 c.c..
In tal senso l'Avvocatura ha
precisato che "data la natura di pena della sanzione
amministrativa, il conseguente diritto alla esazione del
dovuto, correlativo come detto alla pubblica potestà
sanzionatoria, appare quindi indisponibile anche nel
quantum", con la sola eccezione dell'eventuale parziale
o totale dichiarazione di inesigibilità del credito.
Tale interpretazione, oltre che
ribadire l'impossibilità per l'Amministrazione di
compiere atti di rinuncia al credito derivante dal
corretto esercizio della potestà sanzionatoria, tiene
conto anche del fatto che una diversa interpretazione
metterebbe in seria crisi lo strumento conciliativo
previsto dall'art. 16 della L. n. 680/1981.
Alla luce di quanto appena
riferito si invitano, pertanto, gli Uffici in indirizzo
a non sottoscrivere alcun ano transattivi avente ad
oggetto crediti di natura sanzionatoria.
I mezzi di impugnazione
In ultimo vale la pena osservare
come, benché nella nuova disciplina manchi una norma
specifica sull'appello, la sentenza che definisce - in
rito o nel merito il giudizio di opposizione ad
ordinanza ingiunzione sarà assoggettata ai normali mezzi
di impugnazione delle sentenze. Ciò è intuibile anche da
quanto previsto al citato comma 10 dell'art. 6, in cui
viene dettata la regola della dichiarazione di
inammissibilità con sentenza anziché con ordinanza per i
ricorsi presentati tardivamente proprio per
omogeneizzare i vari casi di pronunce in modo de
renderli tutti soggetti agli ordinari mezzi di
impugnazione previsti dal codice di procedura civile.
A tal proposito è opportuno
evidenziare, in ordine il regime delle domande e delle
eccezioni in appello, nonché dei mezzi di prova, come,
con il passaggio dal rito ordinario a quello di lavoro,
sia ora applicabile la disciplina stabilita dall'art.
433 c.p.c., secondo la quale non sono ammissibili nuove
domande od eccezioni così come l'indicazione di nuovi
mezzi di prova, salvo che il collegio, anche d'ufficio,
li ritenga indispensabili ai fini della decisione della
causa.
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