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Afferma la Corte che: (...) la
disciplina speciale della riscossione coattiva delle
imposte non pagate risponde all’esigenza della pronta
realizzazione del credito fiscale a garanzia del
regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato
ed è, per tale ragione, improntata a criteri di
semplicità e speditezza della procedura (sentenze n. 351
del 1998, n. 415 del 1996, n. 444 del 1995 e n. 358 del
1994; ordinanze n. 158 del 2008, n. 217 del 2002 e n.
455 del 2000). Coerentemente con tale finalità di
tempestiva riscossione dei crediti tributari, il
legislatore, nel caso in cui sia risultato impossibile
vendere l’immobile esecutato nel corso di tre incanti –
conclusisi con esito negativo nonostante gli elevati
ribassi di legge (art. 81, commi 1 e 2, del d.P.R. n.
602 del 1973: un terzo rispetto al prezzo base del primo
incanto; un terzo rispetto al prezzo base del secondo
incanto) –, ha previsto, con l’art. 85 del d.P.R. n. 602
del 1973, che il bene sia assegnato allo Stato. Questa
soluzione – piú di altre astrattamente ipotizzabili,
quali lo svolgimento di ulteriori incanti o
l’amministrazione giudiziaria del bene (nella
prospettiva di una futura vendita o di una assegnazione
a condizioni piú favorevoli) – risponde alla ratio di
accelerare il procedimento di riscossione coattiva,
assicurando che l’espropriazione possa ugualmente avere
termine in modo rapido con la realizzazione di un
ricavo, anche nel caso di incollocabilità dell’immobile
sul mercato. La norma censurata, prevedendo che
l’immobile sia assegnato allo Stato per il prezzo
costituito dalla somma per la quale si procede, soddisfa
certamente tale esigenza di speditezza, ma pone una
disciplina palesemente irragionevole. L’irragionevolezza
discende dal fatto che la norma, nello stabilire il
prezzo del trasferimento immobiliare, fissa un ammontare
che prescinde da qualsiasi collegamento con il valore
del bene e che può essere anche irrisorio; e ciò
nonostante che il trasferimento immobiliare abbia la
finalità di trasformare il bene in denaro per il
soddisfacimento dei creditori e non certo di infliggere
una sanzione atipica al debitore inadempiente.
L’ammontare del credito tributario per cui si procede –
sia esso superiore o inferiore al prezzo base del terzo
incanto – dipende, in effetti, da circostanze
contingenti e meramente casuali, non correlate al valore
dell’immobile, e non può essere assunto, pertanto, quale
criterio di determinazione del prezzo da corrispondere
in sede di espropriazione forzata. La volontà del
legislatore di svincolare tale prezzo dall’effettivo
valore dell’immobile è, del resto, dimostrata anche
dall’esiguità della soglia minima prevista dal vigente
art. 76, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973 per
consentire all’agente della riscossione di procedere
all’espropriazione immobiliare (ottomila euro, innalzata
a ventimila euro, «qualora la pretesa iscritta a ruolo
sia contestata in giudizio ovvero sia ancora
contestabile in tale sede ed il debitore sia
proprietario dell’unità immobiliare dallo stesso adibita
a propria abitazione principale»). Né la facoltà,
attribuita al debitore o ad un terzo dall’art. 61 del
d.P.R. n. 602 del 1973, di estinguere il procedimento di
espropriazione pagando il debito vale ad escludere
l’indicata irragionevolezza della norma denunciata.
L’esercizio di tale facoltà presuppone, infatti, una
capacità economica del debitore che può anche non
sussistere. 4.3. – Per quanto sopra osservato, al fine
di porre rimedio all’irragionevolezza della disposizione
censurata, è necessario eliminare la possibilità che
l’immobile esecutato sia assegnato allo Stato al prezzo
corrispondente alla somma per la quale si procede.
L’unica via percorribile a tal fine da questa Corte,
senza superare i limiti della propria giurisdizione, è
quella – indicata dai giudici a quibus e ricavabile dal
complessivo assetto normativo disegnato dal legislatore
– di far venir meno il cosiddetto “criterio del minor
prezzo” e di estendere a tutte le ipotesi di
assegnazione dell’immobile allo Stato (nel caso di
deserzione del terzo incanto) l’applicazione dell’altro
parametro di determinazione del prezzo di assegnazione
previsto dallo stesso art. 85, comma 1, del d.P.R. n.
602 del 1973, cioè quello del prezzo base del terzo
incanto. Tale prezzo, infatti, ove si tenga conto anche
dell’esito negativo dei tre esperimenti d’asta, si pone
in rapporto non irragionevole con il valore
dell’immobile; e ciò ancorché sia notevolmente inferiore
a quello del primo incanto (due ribassi di un terzo
ciascuno rispetto alla precedente base d’asta) e muova
da una base d’asta originaria di valore assai contenuto
(in quanto determinata, come visto, con riferimento al
triplo della valutazione catastale aggiornata con i
coefficienti di legge). Del resto, è lo stesso
legislatore che ha individuato nel prezzo base del terzo
incanto il prezzo di assegnazione dell’immobile (art.
85, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973), sia pure
limitatamente all’ipotesi in cui il credito tributario
sia superiore alla base d’asta del terzo incanto. Né può
obiettarsi – come, invece, fa l’Avvocatura generale
dello Stato, richiamando un passaggio della motivazione
dell’ordinanza di questa Corte n. 383 del 1988 − che
«l’accoglimento della questione di costituzionalità nei
termini prospettati dal giudice a quo comporterebbe […]
per lo Stato l’acquisto (coattivo) di un immobile al
prezzo base del terzo incanto concluso con esito
negativo e, quindi, ad un valore risultato non
appetibile sul mercato, ossia un esito che non potrebbe
reputarsi congruo e ragionevole». L’obiezione sarebbe
pertinente ove fosse riferita al previgente istituto
della devoluzione di diritto dell’immobile allo Stato
(art. 87 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo anteriore
alla sua sostituzione ad opera dell’art. 16 del d.lgs.
n. 46 del 1999), ma non si attaglia al vigente istituto
dell’assegnazione allo Stato del bene previsto dalla
disposizione censurata. Nell’ipotesi di devoluzione di
diritto, l’automatica acquisizione dell’immobile al
patrimonio statale (per effetto della mancata
autorizzazione del terzo incanto o del suo esito
negativo) operava a prescindere da una manifestazione di
volontà dell’acquirente e non consentiva di evitare
l’effetto traslativo. Ciò non avviene, invece, con
riferimento all’istituto dell’assegnazione dell’immobile
regolato dal vigente art. 85 del d.P.R. n. 602 del 1973.
L’attuale disciplina consente, infatti, allo Stato –
come visto – di valutare la convenienza
dell’acquisizione dell’immobile al prezzo base del terzo
incanto e, nel caso di esito negativo di tale
valutazione, di provocare l’estinzione del processo
esecutivo non versando il prezzo di assegnazione nel
termine stabilito (a meno che l’agente della
riscossione, nei trenta giorni successivi alla scadenza
del termine per il versamento del prezzo, non dichiari,
su indicazione dell’ufficio che ha formato il ruolo, di
voler procedere a un ulteriore incanto per un prezzo
base inferiore di un terzo rispetto a quello dell’ultimo
incanto: art. 85, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973).
Deve quindi negarsi che, per effetto dell’accoglimento
della questione di legittimità sollevata, l’acquisto
dell’immobile per il prezzo pari alla base d’asta del
terzo incanto sia imposto allo Stato. L’accoglimento
della questione di legittimità nei termini indicati non
esclude, come è ovvio, che il legislatore possa,
nell’esercizio della sua discrezionalità, stabilire
parametri di determinazione del prezzo di assegnazione
dell’immobile allo Stato diversi rispetto al prezzo base
del terzo incanto, purché essi siano in ragionevole
rapporto con il valore del bene pignorato. |