di Lorenzo Saltari
La “manovra finanziaria d’estate”
reca una misura che rende gli incarichi dirigenziali e
prefettizi revocabili ad libitum. Essa non solo
contrasta con gli orientamenti della Corte
costituzionale in materia, ma contraddice le esigenze di
contenimento dei costi e, in generale, il disegno
riformatore della p.a. che punta alla valorizzazione del
merito e della professionalità.
È successo ancora. Gli incarichi
dirigenziali nelle amministrazioni centrali tornano alla
precarietà. Nonostante i numerosi interventi della
Consulta volti ad alleggerire il “giogo” della politica
sul vertice professionale dell’amministrazione, essa è
tornata a colpire, quasi di nascosto. Lo ha fatto col
disegno di legge di conversione della manovra
finanziaria di questa estate (d.l. n. 138/2011, conv. in
l. n. 148/2011), dove all’art. 1, comma 9, si legge:
«per assicurare la massima funzionalità e flessibilità,
in relazione a motivate esigenze organizzative, le
pubbliche amministrazioni [centrali] possono disporre
nei confronti del personale appartenente alla carriera
prefettizia ovvero alla qualifica dirigenziale il
passaggio ad altro incarico prima della data di scadenza
dell’incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal
contratto» (art. 1, c. 9).
Com’è facile capire, è conferito al
vertice politico dell’amministrazione un potere di
revoca ad libitum degli incarichi dirigenziali. Ai
revocati è riconosciuta la conservazione del
«trattamento economico in godimento» e le risorse
necessarie saranno prese dal fondo per la retribuzione
di posizione e di risultato (o da altri fondi analoghi).
Ciò crea un nuovo scambio tra il potere, insito
nell’instabilità della posizione funzionale dei
dirigenti, e la sicurezza di ricevere gli emolumenti
sino al termine dell’incarico originariamente previsto1.
Una norma come questa, che potrebbe far crescere i costi
per le retribuzioni, inserita in un provvedimento
imposto dalle necessità di contenimento della spesa
pubblica per fronteggiare la crisi del nostro debito
sovrano, dà la misura del carattere estemporaneo della
decisione. Decisione che, mutatis mutandis, rimette
indietro di dieci anni l’orologio dell’amministrazione
statale, quando un’ennesima correzione alla riforma
avviata nel Novantatré eliminò la durata minima degli
incarichi dirigenziali (poi reintrodotta per evitare una
declaratoria d’incostituzionalità).
Le implicazioni di questa nuova
alterazione del regime sono di due ordini. L’una è
giuridica, l’altra politica e psicologico-motivazionale.
La norma presenta seri dubbi di
legittimità costituzionale. Collide, infatti,
apertamente con le più recenti sentenze della Corte in
materia. Un suo annullamento o una manipolazione
profonda, idonea ad attenuarne il contrasto con l’ordine
costituzionale, è assai probabile. Questo, però, non
porta a conclusioni consolatorie. Un vulnus si è creato.
Il tenore della disposizione, vago e ampio, e il luogo
in cui è stata presa, il primo “zibaldone legislativo”
utile, non possono non rappresentare un segnale forte e
chiaro per i dirigenti. La vostra carriera (che si
costruisce attraverso gli incarichi) è priva di solide
garanzie. Ciò anche se si conseguono gli obiettivi
mostrandosi capaci e meritevoli. A pagare è solo la
logica del political patronage. Il resto (la misurazione
della performance, il merito, la trasparenza) può essere
accantonato alla prima occasione senza troppi scrupoli.
La Corte costituzionale, dal 2006
sempre con maggiore decisione, si è orientata contro la
fidelizzazione della dirigenza alla politica2. Essa
implica un assetto deteriore perché impedisce che il
vertice proprio dell’amministrazione sia selezionato
principalmente per la sua oggettiva professionalità.
Mentre è appunto la complessità della macchina
amministrativa a richiedere solide competenze in chi la
guida. Inoltre, la fidelizzazione alla politica alimenta
lo strabismo dell’amministrazione per cui essa, anziché
dedicare tutte le sue (ingenti) energie a fornire
servizi utili alla collettività, finisce col divenire
strumento per la creazione di consenso clientelare
oppure rimane ai margini della società più dinamica3.
Per questo, la Consulta prima ha limitato il patronage
all’alta dirigenza, escludendolo per gli incarichi “non
apicali”. E più di recente è pervenuta a una nuova più
nitida distinzione. Ha sceverato le figure di supporto
agli organi di governo da quelle solamente
professionali, incaricate di compiti di gestione (cioè
dei compiti propri della dirigenza). Solo per le prime
sarebbe plausibile lo spoil system ossia quel meccanismo
che lega la sorte del dirigente a colui (un politico)
che gli ha conferito l’incarico (sent. n. 34/2010).
Il processo incidentale di
costituzionalità però non può sanare completamente la
lacerazione prodotta dalla misura in esame. Dalla
maggioranza proviene un altro indiretto, ma forte, segno
di sfiducia nella riforma dell’amministrazione disegnata
dal suo Ministro competente. In precedenza si era
svuotato il fondo per premiare i dirigenti meritevoli
per via dei tagli imposti dal Tesoro. Adesso, si torna a
sottoporre l’incarico a una valutazione totalmente
discrezionale che può ignorare meriti, rendimento,
capacità di dialogo con la società, ecc. Se alla
“rivoluzione Brunetta” sembra non credano le forze
politiche che l’avevano appoggiata, perché mai
dovrebbero farlo i dirigenti e i funzionari pubblici che
da subito si erano mostrati scettici per le molte
incognite che la corredavano?
Si potrebbe obiettare che la norma
che induce la precarizzazione non è stata adottata con
l’intenzione di generalizzarne l’uso. “Voci di dentro”,
infatti, spiegano che sia stata pensata per risolvere un
paio di situazioni concrete in cui l’incarico di un
prefetto e di un dirigente andava revocato prima del
termine, senza tanti vincoli procedimentali (l’obbligo
di provvedimento espresso e motivato, le garanzie del
giusto procedimento, ecc.). Anziché attenuare le ragioni
della critica, una simile replica conduce a un giudizio
ancor più severo. Primo, il potere legislativo non
andrebbe svilito asservendolo alla soluzione di problemi
di caratura amministrativa (comportando peraltro
l’affievolimento delle prerogative difensive dei
destinatari della legge-provvedimento). Secondo, anche
chi sia alle prime armi nello studio del diritto sa che,
una volta emanata, la norma si scinde dalla volontà di
chi l’ha proposta per entrare nel sistema
dell’ordinamento giuridico di cui diviene parte
integrante. Terzo, se anche il potere di revoca ad
libitum non venisse in concreto esercitato diffusamente,
esso comunque va a regolare l’interazione tra politica e
dirigenza. Anche se questa è un’arma potenziale,
rafforza il potere di ricatto della politica e la
corrispondente propensione alla fedeltà dei dirigenti
dello Stato.
La principale vittima della
“manovra d’estate” è l’iniziativa del Ministro Brunetta
di rilancio del principio del merito e della misurazione
della performance nelle pubbliche amministrazioni.
Sorprende allora il basso profilo assunto dal capo di
Palazzo Vidoni, in altre occasioni molto attivo nel
dibattito pubblico. Si può ammettere (forse con troppa
generosità) che un controllo a monte sul processo
legislativo fosse difficile. Tuttavia, una volta che la
questione è esplosa – della norma si discute da tempo
tra gli addetti ai lavori – non si comprendono le
ragioni del silenzio. La precarizzazione degli incarichi
dirigenziali indotta da questa misura ha un impatto
sull’intera politica riformatrice dell’amministrazione.
Sottovalutarne la portata equivarrebbe a un’implicita
ammissione dell’impossibilità a portare avanti
l’ambizioso (e costoso) disegno riformatore per
debolezza politica.
1. Che lo scambio tra potere e
sicurezza non sia nuovo lo si capisce leggendo S.
Cassese-A. Mari, L’oscuro ruolo dell’alta dirigenza
italiana, in «Politica del diritto», 2001, p. 10 ss.
2. Per una disamina della
giurisprudenza costituzionale, S. Battini-B. Cimino, La
dirigenza pubblica italiana fra privatizzazione e
politicizzazione, in «Rivista trimestrale di diritto
pubblico», 2007, p. 1001 ss.
3. Si riprendono le linee tracciate
da S. Cassese, L’ideale di una buona amministrazione. Il
principio del merito e la stabilità degli impiegati,
Napoli, Editoriale scientifica, 2007. |