D.Lgs. n. 5/2006
A cura del 15° Master Diritto e
Impresa ROMA - Business School 24ORE - (LEX24) 02
novembre 2011
Porject work Master Diritto e
Impresa di ROMA: articolo redatto dai partecipanti alla
15° Edizione (Roma, maggio-dicembre2011)
Gianluca Bellino, Salvatore
Licastro, Vincenzo Napolitano, Gianpiero Onorato,
Giuseppe Russo, Emanuele Saccone
Coordinamento a cura dell'Avv. Lia
Campione - Studio Legale Clifford Chance
Introduzione. La liquidazione
dell’attivo è la fase della procedura concorsuale
diretta a convertire i beni del soggetto fallito in
denaro, ai fini del soddisfacimento delle pretese dei
creditori. La “ Riforma organica della legge
fallimentare” del 2006 è stata voluta dal Legislatore al
fine di semplificare e di dare maggiore efficienza alla
procedura di liquidazione, rielaborando l’intera
disciplina. Il fulcro della riforma del d. lgs. 5/2006,
successivamente modificato con decreto correttivo (D.
Lgs. 169/2007), consiste nel fatto che l’attività di
liquidazione dovrà avvenire all’interno di un programma
di liquidazione, predisposto dal curatore ed approvato
dal Comitato dei Creditori; ne deriverebbe, rispetto
alla previgente disciplina, una sempre più accentuata
privatizzazione della gestione della crisi d’impresa, un
generale depotenziamento del ruolo del giudice delegato
ed un simmetrico incremento dei poteri degli altri
organi della procedura con una conseguente attenuazione
dei vincoli e dei controlli demandati all’autorità
giudiziaria sempre più destinataria della sola
risoluzione dei conflitti piuttosto che come soggetto
deputato all’effettiva gestione della procedura. Il
Legislatore della riforma ha inteso agire, infatti, su
due leve distinte: una maggiore responsabilizzazione del
curatore, cui saranno demandati compiti diversi e ben
più ampi e penetranti rispetto alla normativa vigente,
ed un maggior coinvolgimento del comitato dei creditori
nelle operazioni di liquidazione.
Il programma di liquidazione. Il
programma di liquidazione può dirsi la vera novità della
fase di liquidazione effettuata in ambito concorsuale.
Entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario il
Curatore deve infatti predisporre quello che è stato
definito il “manifesto” della propria attività
liquidatoria da sottoporre, previa autorizzazione del
Comitato dei Creditori, all’approvazione del Giudice
Delegato. Il programma di liquidazione, pur se destinato
ad alleggerire il compito squisitamente “burocratico”
del Curatore, pone indubbiamente una serie di
problematiche di non agevole soluzione. Innanzitutto è
facile rilevare come il termine concesso di 60 giorni
dalla redazione dell’inventario appaia probabilmente un
termine eccessivamente ridotto per consentire
l’analitica predisposizione del progetto. Si osserva, al
riguardo, come tale termine non abbia carattere
perentorio, non essendo prevista, a pena di nullità,
alcuna sanzione per il suo mancato rispetto fatta salva,
ovviamente, la possibilità di procedere alla revoca del
Curatore in caso di ingiustificata e reiterata inerzia.
Sembra in ogni caso applicabile l’art. 154 c.p.c.
secondo cui il Giudice, prima della scadenza, possa
prorogare anche di ufficio il termine che non sia
stabilito a pena di decadenza, come nel caso di specie,
per un periodo non superiore al termine originario,
proroga rinnovabile ulteriormente “per motivi
particolarmente gravi e con provvedimento motivato. Pur
prevedendo il deposito del programma al Comitato dei
Creditori per l’approvazione, tuttavia, il dettato
normativo tace sul termine entro il quale tale organo
sia tenuto ad esprimersi. Si è quindi ritenuto
applicabile analogicamente l’art. 41 comma 3 Legge
Fallimentare che fissa il termine di giorni 15 da quando
la richiesta di concessione del parere sia pervenuta al
Presidente del Comitato dei Creditori.
Pacifica deve ritenersi altresì la
possibilità per il Comitato dei Creditori di richiedere
integrazioni e chiarimenti al curatore; parimenti deve
ritenersi che, in caso di parere negativo, il Curatore
non possa procedere alla trasmissione del programma al
Giudice Delegato ma debba provvedere ad una sua
eventuale modificazione e/o riformulazione.
Il contenuto del programma di
liquidazione: criteri analitici in ragione delle scelte
liquidatorie e delle azioni recuperatorie, revocatorie e
risarcitorie. Con riferimento al contenuto del programma
di liquidazione, l’art. 104 ter Legge Fallimentare
richiede l’indicazione delle modalità e dei termini di
realizzazione dell’attivo con particolare riferimento ad
alcune categorie di beni e/o di azioni potenzialmente
produttive di effetti patrimoniali. Pur non avendo il
Legislatore precisato il grado di analiticità e di
approfondimento dell’informazione richiesta, appare
evidente come il programma non possa limitarsi ad una
mera compilazione e ricognizione dell’elenco dei beni e
delle azioni esercitate o esercitabili, pena l’evidente
impossibilità per il Giudice Delegato e per il Comitato
dei Creditori di esprimere i necessari pareri. Il
Curatore sarà pertanto tenuto non solo ad indicare la
tempistica e le modalità di cessione dei singoli beni
mobili ed immobili ma anche a giustificare le
motivazioni che sottendono alle scelte liquidatorie.
Alla stessa stregua dovrà indicare l’opportunità e la
fondatezza delle azioni recuperatorie, revocatorie o
risarcitorie da intraprendere, la possibilità di
procedere alla loro eventuale cessione, la sussistenza
di proposte di concordato solo ove già formalizzatesi
nonché ragioni economico/finanziarie del pur possibile
esercizio provvisorio e di affitto di azienda.
L’analiticità di tale prospettazione deve ritenersi
indifferibile in quanto indissolubilmente connessa al
principio secondo cui l’approvazione del programma
sostituisce le singole autorizzazioni eventualmente
necessarie ai fini della presente legge. E’ inoltre
importante che tale programma sia il più possibile
analitico anche in ragione del fatto che spetta ai
creditori insinuati il potere, seppure residuale, di
procedere ad esecuzioni individuali. Il Curatore
pertanto potrà, previa autorizzazione del Comitato dei
Creditori, rinunciare alla liquidazione di uno o più
beni qualora l’attività di liquidazione dovesse non
ritenersi conveniente; tali beni, una volta tornati
nella disponibilità del debitore, potrebbero divenire
oggetto di azioni esecutive da parte dei singoli
creditori.
Il nuovo ruolo del curatore, dei
comitati dei creditori e del giudice delegato. Con la
riforma della disciplina delle procedure concorsuali, il
Legislatore ha chiaramente inteso “deformalizzare” e
“degiurisdizionalizzare” la procedura concorsuale,
incrementando in maniera significativa il ruolo ed i
poteri del Curatore e del Comitato dei Creditori, e
ridimensionando quelli del Giudice Delegato.
Quest'ultimo, infatti, perde la direzione della
procedura ed esercita solamente una funzione di
vigilanza e controllo sull'attività del curatore che, al
contrario, risulta fortemente potenziata. In tal senso,
l'art. 31 comma 1 Legge Fallimentare dispone che “il
curatore ha l'amministrazione del patrimonio
fallimentare e compie tutte le operazioni della
procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del
comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad
esso attribuite”. Di supporto alla nuova formulazione
normativa è stata la ricostruzione operata dalla
dottrina ed avallata dalla giurisprudenza in merito alla
figura ed alla funzione del curatore stesso. Difatti si
è sostenuto che “al curatore fallimentare è riconosciuta
una funzione pubblica, che gli viene peraltro attribuita
dall’art. 30 Legge Fallimentare ove si stabilisce che il
curatore è pubblico ufficiale” (Corte di Cassazione
Sezione 1 Civile Sentenza del 2 settembre 1998, n.
8704). Secondo questa opinione il curatore è ausiliario
di giustizia destinato ad operare a fianco e soggetto
alla vigilanza del Giudice Delegato nell’interesse della
giustizia stessa, trovandosi, in questo ruolo ed in
forza dei poteri che la legge gli riconosce, anche a
sostituire il debitore fallito nella titolarità dei
rapporti e, contemporaneamente, a tutelare gli interessi
dei creditori. Altra modifica fondamentale concerne le
caratteristiche delle procedure concorsuali, non più
funzionali a scopi liquidatori-sanzionatori ma,
piuttosto, destinate ad un risultato di conservazione
dei mezzi organizzativi dell’impresa, assicurando la
sopravvivenza, ove possibile, della stessa. Tali
modifiche hanno sicuramente procurato alla collettività,
ed in primo luogo agli stessi creditori, una più
consistente garanzia patrimoniale attraverso il
risanamento e il trasferimento ai terzi delle strutture
aziendali.
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L’esercizio provvisorio
dell'impresa e l'affitto d'azienda.
La finalità principale del
fallimento e del concordato preventivo con cessione dei
beni è la liquidazione del patrimonio del debitore
assoggettato a procedura; appare evidente, in virtù
degli artt. 104 e 104 bis Legge Fallimentare, come
l’esercizio provvisorio dell’impresa e l’affitto
d’azienda siano strumentali a questo scopo primario
senza, necessariamente, dover ricorrere allo
smembramento dei loro singoli elementi. Tali norme,
infatti, hanno la funzione di favorire la conservazione
dell’attività di impresa e quella di assicurare maggiori
chance di vendita dell’azienda. Nel prosieguo, pertanto,
ci si soffermerà sull’analisi di un caso pratico
inerente alle questioni sopra riportate.
Un caso pratico di liquidazione. La
società Alfa s.r.l. con sede legale in xx, dichiarata
fallita il giorno xx con sentenza numero xx, resa dal
Tribunale di xx (Sezione Fallimentare), aveva per
oggetto sociale la attività di progettazione,
fabbricazione e distribuzione di componenti per
autoveicoli in spugna ed in plastica. Il Tribunale, in
assenza di potenziali acquirenti dell’intero complesso
aziendale, disponeva l’esercizio provvisorio
dell’impresa ed, in particolare, del ramo d’azienda
relativo alla produzione dei componenti in spugna in
quanto il portafoglio ordini, a quella data, risultava
alquanto corposo; garantiva, in tal modo, la
distribuzione delle rimanenze in magazzino e manteneva
quei clienti storici ed affidabili nei pagamenti che,
altrimenti, avrebbero ricercato tali beni presso altre
società concorrenti. Inoltre l’esercizio provvisorio
consentiva all’ impresa di continuare la produzione
evitando fermi dei macchinari e garantendo il
mantenimento dei livelli occupazionali. Sul punto una
recente sentenza del Tribunale di Chieti ha statuito
che: “Se è vero che la liquidazione concorsuale deve
porsi l'obiettivo di massimizzare l'interesse dei
creditori attraverso il conseguimento della maggior
somma possibile da destinare al loro soddisfacimento,
ciò non esclude che la gestione complessiva della
procedura possa essere finalizzata al conseguimento
anche di ulteriori interessi di carattere generale, dei
lavoratori alla conservazione della struttura produttiva
e dei livelli occupazionali, soprattutto ove tali
interessi siano stati posti a fondamento della scelta di
autorizzare l'esercizio provvisorio dell’ impresa”
(Tribunale Chieti 10 agosto 2010).
Quanto all’altro ramo d’azienda,
relativo alla produzione di componenti in plastica, al
fine di mantenere l’efficienza dell’azienda e per non
disperdere il patrimonio di conoscenze e di capacità
lavorative, il Tribunale ai sensi dell’art. 104 bis
Legge Fallimentare aveva autorizzato, su parere
favorevole del Comitato dei creditori, l’affitto
d’azienda, autorizzando pure la cessione a consumo delle
rimanenze all’affittuario ad un prezzo pari al 60% del
costo storico in previsione di una futura cessione; la
gara per l’affitto, debitamente pubblicizzata, aveva
visto la partecipazione di due imprenditori che già
prima della sentenza dichiarativa del fallimento avevano
manifestato interesse, con trattative non andate a buon
fine. All’esito era risultato quale miglior offerente,
sia per le condizioni economiche che per l’offerta
occupazionale, la ditta BETA. Il curatore, pertanto,
previa stipula di un contratto di otto mesi,
eventualmente rinnovabile per ulteriori mesi quattro,
procedeva, alla cessione dell’azienda in tempi
rapidissimi al fine di non disperdere il patrimonio
organizzativo e i dipendenti specializzati. Veniva
riconosciuto, inoltre, il diritto di prelazione ex art.
104bis Legge Fallimentare al fine di incoraggiare
potenziali affittuari: questi, difatti, si mostravano
generalmente poco propensi all’assunzione dei rischi
collegati all’affitto dell’azienda vista l’inevitabile
limitazione temporale del contratto. La disciplina
prevedeva poi che, esaurito il procedimento di
determinazione del prezzo di vendita dell’azienda
attraverso il ricorso ai meccanismi prescelti dal
curatore nel rispetto dei principi fissati dall’art. 107
Legge Fallimentare, il curatore lo comunicasse entro i
successivi 10 gg. all’affittuario, il quale entro i
successivi 5 gg. aveva la possibilità di esercitare il
diritto di prelazione. Non può non rilevarsi che
l’inserimento nel contratto di affitto del diritto di
prelazione in favore dell’affittuario, da un lato,
favorisce l’effettuazione da parte di quest'ultimo di
investimenti o, comunque, di attività finalizzate al
mantenimento e/o all’incremento dell’azienda in vista di
un successivo acquisto, dall’altro, però, rischia di
ridurre il possibile interesse all’acquisto dell’azienda
da parte di altri imprenditori. A differenza della
disciplina prevista per l’esercizio provvisorio
d’azienda, in caso di affitto tutti i rischi e gli
obblighi derivanti dalla gestione dell’azienda vengono
assunti dall’imprenditore-affittuario e la procedura
rimane del tutto indenne da qualsivoglia responsabilità.
La scelta del contraente affittuario deve, infatti,
tenere conto, oltre che dell’ammontare del canone
offerto, delle garanzie prestate e dell’attendibilità
del piano di prosecuzione delle attività
imprenditoriali, avuto riguardo alla conservazione dei
livelli occupazionali (in questo senso sarà possibile,
ad esempio, accettare un canone inferiore a fronte di
maggiori garanzie di mantenimento dei livelli
occupazionali e di prosecuzione delle attività
imprenditoriali). Per evitare che una gestione
fraudolenta o irresponsabile da parte dell’affittuario
possa arrecare pregiudizio all’azienda, in termini di
perdita di avviamento o di deterioramento della
struttura o della funzionalità, è altresì necessario che
il contratto di affitto preveda una serie di “misure di
sicurezza”, oltre che per la scelta dell’affittuario,
anche attraverso la previsione di un contenuto
contrattuale minimo obbligatorio. In tal senso il 3°
comma dell’art.104 bis Legge Fallimentare impone che il
contratto di affitto preveda il diritto del curatore di
procedere all’ispezione della azienda, la prestazione di
idonee garanzie per tutte le obbligazioni
dell’affittuario derivanti dal contratto e dalla legge,
il diritto di recesso del curatore da esercitare,
sentito il Comitato dei Creditori, con la corresponsione
all’affittuario di un giusto indennizzo (da determinare
tenendo conto dei guadagni che l’affittuario si
riprometteva di conseguire) da corrispondere ai sensi
dell’art.111 Legge Fallimentare. In definitiva l’ art.
104 bis Legge Fallimentare ha la funzione di favorire la
conservazione dell’attività d’impresa e quella di
assicurare maggiori chances di vendita dell’azienda. Il
programma di liquidazione non ravvisava la possibilità
di proporre un concordato fallimentare e prevedeva, in
caso di insuccesso del percorso sopra descritto, l’
autorizzazione immediata all’alienazione dei singoli
cespiti immobili e mobili del ramo in esercizio e del
ramo in affitto con aste senza incanto adeguatamente
pubblicizzate a mezzo stampa quotidiana e siti internet
in ambito regionale. Quanto ai crediti da recuperare con
contenzioso, il Curatore aveva nominato l’avv. --- con
il compito di esaminare la documentazione probatoria al
fine di formulare un parere sull’opportunità di
procedere o meno. Compito della curatela era anche di
porre in essere una attività di ricognizione della
capienza patrimoniale dei debitori, in sintonia al
parere legale sopra detto. Quanto, infine, alle
revocatorie, il curatore aveva previsto, in seguito a
parere legale favorevole, le possibilità di procedere
nei confronti di due istituti bancari con i quali la
società fallita intratteneva rapporti e che, a suo
avviso, avevano tratto un beneficio concreto. La
Curatela riteneva che vi fossero elementi sufficienti a
dimostrare la scientia decontionis e, pertanto, chiedeva
l’autorizzazione a procedere all’azione revocatoria nei
confronti dei due istituti bancari.
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