A cura della Dott.ssa Paola Popolla,
della Dott.ssa Maria Fabiana Briganti e della Dott.ssa
Rossella Greco
La fenomenologia degli abusi
nell’infanzia interessa un ampio raggio di eventi
classificabili in diverso modo: maltrattamento fisico,
abuso psicologico, abuso sessuale, patologia delle cure.
Tale distinzione ha un valore nosografico, ma spesso
nella pratica clinica non si riscontra una chiara linea
di confine. Particolare interesse, a tal proposito, è
rivolto alla patologia delle cure, nella quale rientrano
tre diverse forme:
- Incuria, quando le cure fisiche
sono insufficienti rispetto alla fase evolutiva del
bambino e ai suoi bisogni (sia materiali che affettivi e
psicologici). Si manifesta quando i caregiver che si
occupano del bambino non gli forniscono le cure adeguate
di cui lui necessita: nutrizione, vestiario, cure
mediche, protezione dai pericoli, attenzione ai bisogni
emotivi ed affettivi, ecc. Le conseguenze sul bambino di
tale forma di maltrattamento possono essere: ritardo
psicomotorio e nello sviluppo del linguaggio,
iperattività e pseudo-insufficienza mentale.
- Discuria, quando le cure fisiche
sono fornite in modo distorto rispetto all'età e alle
problematiche del bambino, creando una discrepanza tra
la qualità e il tipo di cure e la realtà del bambino. I
genitori richiedono al bambino dei compiti che non
rientrano nella propria fase di sviluppo e quindi o sono
precoci o si riferiscono a fasi precedenti. Questo può
anche sfociare in una forma di iperprotettività,
soprattutto da parte della madre, per poter soddisfare
il desiderio di mantenere una fusionalità con il proprio
figlio. Le conseguenze della discuria possono essere:
acquisizione precoce o tardiva nello sviluppo
psicomotorio, nel linguaggio, comportamento adultomorfo
o immaturo, disturbi nell'acquisizione dell'autonomia.
- Ipercura, quando le cure sono
fornite in modo eccessivo e quindi vi è una sorta di
medicalizzazione. In questa categoria rientrano alcune
forme cliniche:
1) Abuso chimico (chemical abuse),
caratterizzato da una "...anomala ed aberrante
somministrazione di sostanze farmacologiche e chimiche
al bambino...".
2) Medical shopping per procura, in
cui i genitori, ansiosi ed eccessivamente preoccupati
per la salute del proprio figlio, si rivolgono a
numerosi medici per avere delle rassicurazioni.
3) Sindrome di Munchausen per
procura (MsbP), ove un genitore, quasi sempre la madre,
produce deliberatamente oppure simula dei sintomi sia
fisici che psichici inducendo un'apparente malattia nel
figlio. I danni riportati dai bambini vittime di tale
sindrome sono molteplici, sia fisici che psicologici
(danni ad organi interni, incubi notturni, difficoltà
nell'apprendimento, assenza di relazioni sociali,
sindrome ipercinetica, perdita della capacità di
riconoscere le sensazioni interne del proprio corpo).
Oggi, la MsbP assume grande
importanza in ambito della pediatria, della
psicopatologia e della giurisprudenza, sia per le
difficoltà di riconoscimento che per le gravissime
conseguenze che ha sul bambino che ne è vittima. Tale
sindrome, seppure individuata ormai da una trentina di
anni, sembra essere ancora poco conosciuta. Essa
rappresenta una variante della Sindrome di Munchausen
che trae origine, nella sua definizione, da un
personaggio realmente vissuto in Germania nel XIX
secolo: il barone di Munchausen, famoso per i suoi
racconti di storie inverosimili; da queste invenzioni
prende riferimento la sindrome, caratterizzata,
nell'adulto che la presenta, da un'esagerazione o
invenzione dei sintomi, che richiedono un continuo
consulto medico. Le persone con sindrome di Munchausen
arrivano a sottoporsi ad accertamenti ed esami clinici
anche molto invasivi, e persino ad interventi
chirurgici. Il DSM-IV-TR la riconosce nella categoria
"Disturbi Fittizi con Segni e Sintomi fisici
predominanti".
La sindrome di Munchausen per
procura, invece, può considerarsi un vero e proprio
comportamento delittuoso, generalmente commesso dalla
madre nei confronti del figlio. Il termine è stato
introdotto dal pediatra inglese Roy Meadow, nel 1977, in
seguito all’osservazione di una serie di casi in cui le
madri riportavano dei sintomi inesistenti nei figli,
attuando interventi e cure inadeguate, fino ad arrivare
a causarne la morte. Ecco perché tale sindrome
rappresenta una grave forma di abuso perpetrata ai danni
di un bambino da parte del caregiver che si spinge sino
a simulare ("forma passiva") o procurare ("forma
attiva") sintomi o vere e proprie malattie per potersi
occupare in maniera ossessiva del figlio, sottoponendolo
ad accertamenti, interventi anche molto invasivi, per
poter spiegare patologie che sono incongruenti sia con
il quadro clinico atteso che con gli esiti degli esami
oggettivi. Circa il 10% delle vittime arriva alla morte
(Michieletto, 2002).
Riconoscere e diagnosticare la MsbP
è alquanto complesso sia per la varietà degli indici con
cui si può manifestare, sia per la problematicità
nell’accettare che la madre possa mettere in pericolo la
vita del proprio figlio e nell’identificare tale
tendenza in canoni sociali e psicologici. Inoltre, la
diagnosi di MsbP è una diagnosi pediatrica di difficile
individuazione, poichè viene "....inficiata dall'inganno
messo in atto dal caregiver nei confronti dei sanitari
che tendono in buona fede a colludere con esso..."; è
complessa anche perchè spesso i sintomi presentati dalle
vittime non sono ascrivibili a nessuna malattia
conosciuta, per cui i sanitari sono indotti ad
approfondire il caso con ulteriori esami ed
accertamenti; non ultimo, è difficile poter sospettare
che una madre possa spingersi fino a tanto, poichè essa
appare sempre molto premurosa nei confronti del
figlio-vittima, e costantemente presente nel prendersene
cura.
Nonostante questa complessità, la
sindrome viene riconosciuta nella quarta edizione del
manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali,
includendola tra i “Disturbi Fittizi con segni e sintomi
fisici predominanti” ove la caratteristica principale è
la produzione o simulazione intenzionale di segni o
sintomi fisici o psichici in un'altra persona che è
affidata alle cure del soggetto. Ecco perché un elemento
fondamentale per la diagnosi, pur necessitando di
criteri di esclusione o inclusione obiettivi, resta
l'osservazione del caregiver che accudisce il bambino. A
tal proposito comune è l’idea secondo la quale la madre
che induce la MsbP possa presentare un disturbo
psichiatrico ascrivibile al quadro depressivo; oppure
una patologia ipocondriaca molto grave che porta alla
proiezione sul figlio della parte deteriorata del
proprio sé; o ancora una personalità isterica o
borderline, con un atteggiamento estremamente distaccato
nei confronti del partner padre del minore. In effetti,
“talvolta il comportamento della madre evidenzia un
attacco al marito che è un
padre emotivamente distante o
fisicamente assente; la crisi matrimoniale dà alla madre
la giustificazione di vendicarsi dell’uomo che ha
accanto e con il quale ha avuto un figlio proprio
attaccando il bambino” (Michieletti, 2002). È
importante, dunque, poter osservare il fenomeno
all’interno della dinamica della coppia e interrogarsi
sul ruolo del padre, che normalmente in questi casi ha
un ruolo passivo.
Karlin (1995) distingue tre
tipologie di madri che inducono la MsbP:
help seekers: donne che, attraverso
la preoccupazione per la salute del figlio esprimono
ansia e depressione e, soprattutto la loro incapacità di
prendersi cura del minore. A tale condizione, spesso
sono associati conflitti coniugali, gravidanze inattese
e madri sole;
active inducers: donne che inducono
nei figli malattie con metodi drammatici; sono in genere
ansiose e depresse e utilizzano modalità difensive quali
la negazione, la dissociazione degli affetti e la
proiezione paranoidea; tendono a controllare i medici
che si occupano del figlio e desiderano apparire come
madri perfette nei confronti del bambino;
doctors addicts: donne ossessionate
dal bisogno di ottenere cure mediche per malattie
inesistenti del proprio figlio; non accettano che non
esiste una malattia, sono sospettose e diffidenti.
Per poter individuare la presenza
della MsbP possono essere considerati essenzialmente
quattro criteri:
1) la malattia del bambino è
causata da un genitore o da qualcuno che è in loco
parentis;
2) il bambino viene sottoposto a
visite mediche prolungate e a trattamenti complessi;
3) colui che danneggia il bambino
nega di conoscere la causa della malattia;
4) i sintomi acuti e i segni della
malattia cessano quando il bambino viene allontanato da
chi la causa (Michieletto, 2002).
Merzagora Betsos (2003) propone
ulteriori indicatori utili a rivelare la presenza di un
abuso da simulazione o perpetrazione di sintomi:
- relativi all'osservazione medica:
presenza di segni o sintomi bizzarri che non
corrispondono ad alcuna malattia conosciuta o che
risultano incongrui rispetto a patologie note, i
trattamenti non hanno efficacia, i segni e i sintomi
compaiono solo quando il bambino è da solo con i
genitori, nella famiglia vi sono precedenti di malattie
insolite o di morti strane;
- relativi all'osservazione del
perpetratore: il genitore esibisce delle conoscenze di
medicina, ha un comportamento eccessivamente controllato
rispetto alla gravità del quadro del figlio, stabilisce
relazioni cordiali e strette col personale medico, non
lascia mai da solo il bambino durante la degenza in
ospedale.
Proprio per la complessità delle
manifestazioni e la difficoltà nel suo riconoscimento è
estremamente importante potersi approcciare alla MsbP
attingendo al contributo di diverse discipline, nel
contesto medico, psicologico e legale. Inquadrare la
MsbP, infatti, è composito non solo da un punto di vista
clinico, ma anche legale: il riconoscimento della
sindrome avviene quando si verifica un comportamento di
tipo criminale e il comportamento criminale si può
interpretare solo sulla base della sindrome. Alcuni
autori hanno avanzato la proposta di considerare i casi
di false accuse di abuso sessuale sul minore come forme
di MsbP: Rend (cit. in Gulotta & Liberatore, 2008, 183),
ad esempio, ritiene che la MsbP moderna “dovrebbe
comprendere le false accuse di abuso sessuale che hanno
luogo quando i genitori lottano per la custodia del
figlio”. In tali situazioni, infatti, è possibile che il
genitore arrivi a pensare il peggio nei confronti
dell’ex-partner, anche che possa abusare del figlio e
quindi, nell’estremo tentativo di proteggerlo e
ottenerne la custodia, può spingersi fino a costruire e
inventare sintomi di un abuso (Gulotta & Liberatore,
2008, 184).
Attingendo al contributo della
psicologia giuridica, è importante riconoscere che, come
in ogni forma di maltrattamento minorile, anche nella
MsbP bisogna identificare e proteggere le vittime, e per
fare questo è molto importante un’efficace intervento
legale, che si integri a quello medico-psicologico
(Lasher & Sheridan, 2004, 253). La MsbP può essere
inserita nella fattispecie di cui all'art.572 del cp che
disciplina i reati di maltrattamento in famiglia, e
viene considerata una forma di abuso vero e proprio nei
confronti delle piccole vittime.
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