Magistrato del Lavoro (Corte di
Cassazione) in Brasile (a Rio di Janeiro) e Coordinatore
della Scuola Nazionale dalla Magistratura Brasiliana
Etimologicamente, agnostico viene
dall’inglese agnostic, che proviene dall’aggettivo greco
ágnostos, che significa ignorante, inconoscibile e
deriva dal verbo agnoein, nel senso di non sapere,
ignorare. La parola agnostic è stata coniata da Thomas
Huxley nei Collete Essays. Huxley era un biologo inglese
che è vissuto dal 1825 al 1895.
Chiaro, fino a questo punto, che
agnostico è colui che non conosce, che non sa certe
cose(i misteri di Dio; dell’Universo; della Vita, per
esempio). Non è un eretico, un settario, uno
scomunicato. Per principio, io sono agnostico e laico.
Spiego subito perché mi dichiaro agnostico e laico prima
che qualche tizio inizi un movimento per bruciarmi in un
falò in piazza pubblica, come se fossimo nei tempi della
Santa Inquisizione o nel Medioevo, o dia inizio nel
Parlamento a una Commissione Parlamentare di
Inquisizione(CPI) che, come tutti i noi sappiamo, finirá
sempre in nulla, con l’aggravante che in questo caso io
saró la legna di questa pira democratica e quasi sempre
inutile perché preparato nel pieno della notte e anche
con l’ovvia intenzione di proteggere l’accusato perché
gli accusatori sono così colpevoli quanto quelli che
desiderano bruciare.
Nelle campagne, noi conosciamo
questo atteggiamento come bue di piranha. Piranha è un
pesce carnivoro che infesta alcuni fiumi brasiliani. Bue
di piranha è quel quadrupede rachitico, striminzito,
così malato e denutrito che purtroppo non potrà arrivare
alla fine del viaggio. Quando una mandria di buoi deve
attraversare un fiume che non si sa se è infestato di
piranha, i vaccari spingono il povero cristo per
attraversare davanti agli altri. Se arriva sull’altro
margine illeso, allora tutta la mandria può attraversare
senza paura di correre pericolo. Se il povero cristo è
stato divorato dai piranha, allora la cosa migliore da
fare è andare avanti e scegliere un altro braccio del
fiume. Così è quasi sempre la CPI: i parlamentari
scelgono il tizio già tutto infangato di accuse e
trovano per lui un qualsiasi articolo del Regolamento
Interno che esige una CPI, e punto e basta! Andiamo ad
una pizzeria per festeggiare ancora una volta questa
importante dimostrazione di democrazia e di civiltà. La
mandria può attraversare il Lago Paranoá e saziarsi col
denaro pubblico...
Laico è colui che non appartiene al
clero, e neanche ad un ordine religioso. È un secolare,
opposto all’influenza o al controllo di qualsiasi chiesa
e del clero nella vita intellettuale e morale delle
istituzioni e degli affari pubblici. In una parola:
colui che è indipendente in relazione al clero ed alla
chiesa e, in senso ampio, è libero da qualunque
influenza religiosa, qualsiasi sia il suo orientamento.
Sebbene non succeda molto spesso,
di quando in quando mi incontro in questioni sui diritto
di lavoro quando alcune persone fisiche legate alle loro
entità morali per mezzo di vincoli di fede vogliono
trasformare relazioni sacre in vincoli di lavoro e
richiedere somme considerevoli ingiustamente dalle
chiese a cui hanno appartenuto, e dalle quali si sono
allontanate per motivi di fede o a causa di questioni
interne, quasi sempre di foro intimo.
Per il diritto, le chiese sono
persone giuridiche di diritto privato. Viste in se
stesse, sono comunità morali senza finalità lucrativa,
tracciate sulle norme di condotta religiosa di origine
divina che suppongono regolare la relazione tra gli
uomini e Dio. La natura giuridica delle attività
religiose è di diritto ecclesiastico. Il vincolo che
unisce un ministro di Dio e la sua congregazione è di
ordine morale e spirituale. Se l’attività svolta dal
religioso è stata essenzialmente spirituale, fatta
dentro o fuori della congregazione, ma sempre impregnata
dello spirito di fede, il regolamento di questo lavoro
sarà fatto dal diritto canonico, e non dal diritto del
lavoro, perché questa attività decorre dallo spirito
religioso o di voto e non da subordinazione giuridica.
Questo vincolo è orientato all’assistenza spirituale e
morale per la divulgazione della fede. Non può essere
stimato pecuniariamente, anche se il religioso riceve
somme relative ai mesi delle attività. Tali valori sono
destinati alla sua assistenza e sussistenza e, anche,
per liberarlo dalle preoccupazioni materiali perché si
possa dedicare più liberamente alla sua professione di
fede. Queste somme non hanno la natura retributiva dello
stipendio, in senso stretto.
Il lavoratore laico che non ha
vincolo morale con la sua congregazione — come per
esempio il sagrestano, il custode, il carpentiere, gli
ausiliari di pulizia, i musici, i decoratori, i
campanari ecc — e che non presta servizio in carattere
devotionis causa può firmare contratto di lavoro con la
chiesa se soddisfate le presunzioni degli art.2º e 3º
della CLT. Sacerdoti, suore, diaconi e ministri di Dio
che, oltre alle loro funzioni evangeliche, prestano
servizio in condizioni speciali come insegnanti,
infermieri, istruttori di attività fisiche, di
culinaria, di rilegatura e di illustrazione, tecnici di
computer, revisori e redattori, tra le altre, possono
avere i loro vincoli di lavoro riconosciuti se
dimostrano che queste attività non hanno nessuna
relazione con la vita monastica o religiosa.
Configura evidente rottura della
fiducia legittima contro la chiesa — venire contra
factum proprium — l’azione in cui il religioso,
dimenticandosi dei voti di fede, chiede il
riconoscimento giuridico del vincolo di lavoro. Dal
momento che professa il suo voto, il religioso sa che si
lega alla sua comunità morale attraverso un vincolo di
fede, e non di lavoro. La chiesa, quando lo accetta tra
i suoi, non si comporta a modo di fare sorgere nella
mente di questo membro l’impressione che è considerato
come dipendente, anche se tra le sue funzioni
correlative assieme alle attività di fede sono incluse
la divulgazione ed il commercio di abbonamenti a
riviste, pubblicità e vendita di porta in porta di
riviste e di altri prodotti religiosi.
In parole povere, questi
professatori di fede vogliono, in verità, che il giudice
del lavoro dichiari in giudizio che hanno firmato un
“contratto di lavoro con Dio”. Come Dio — almeno nelle
udienze che io ho presieduto — non era presente (dico
meglio: era presente perché è onnipresente, ma non si è
manifestato perché io dovessi decidere in altra
maniera), ed io non ho potuto raccogliere da Lui
l’indispensabile testimonianza personale, ho visto nella
lite qualcosa di “giuridicamente impossibile”. Proprio
per questo, in riguardo al merito, ho giudicato la
richiesta improcedibile.
Non so se ho giudicato in maniera
corretta o sbagliata. Non sono stato ancora chiamato a
spiegare nè davanti ai miei superiori e neanche davanti
al Nazareno. E, per essere onesto, ho più paura dei miei
superiori.
Con Gesù credo che la mia
contabilità sia leggermente a mio favore...
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