Avv. Paolo Nesta


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Magistrato del Lavoro (Corte di Cassazione) in Brasile (a Rio di Janeiro) e Coordinatore della Scuola Nazionale dalla Magistratura Brasiliana

 

 

 

 

 

Etimologicamente, agnostico viene dall’inglese agnostic, che proviene dall’aggettivo greco ágnostos, che significa ignorante, inconoscibile e deriva dal verbo agnoein, nel senso di non sapere, ignorare. La parola agnostic è stata coniata da Thomas Huxley nei Collete Essays. Huxley era un biologo inglese che è vissuto dal 1825 al 1895.

 

Chiaro, fino a questo punto, che agnostico è colui che non conosce, che non sa certe cose(i misteri di Dio; dell’Universo; della Vita, per esempio). Non è un eretico, un settario, uno scomunicato. Per principio, io sono agnostico e laico. Spiego subito perché mi dichiaro agnostico e laico prima che qualche tizio inizi un movimento per bruciarmi in un falò in piazza pubblica, come se fossimo nei tempi della Santa Inquisizione o nel Medioevo, o dia inizio nel Parlamento a una Commissione Parlamentare di Inquisizione(CPI) che, come tutti i noi sappiamo, finirá sempre in nulla, con l’aggravante che in questo caso io saró la legna di questa pira democratica e quasi sempre inutile perché preparato nel pieno della notte e anche con l’ovvia intenzione di proteggere l’accusato perché gli accusatori sono così colpevoli quanto quelli che desiderano bruciare.

 

Nelle campagne, noi conosciamo questo atteggiamento come bue di piranha. Piranha è un pesce carnivoro che infesta alcuni fiumi brasiliani. Bue di piranha è quel quadrupede rachitico, striminzito, così malato e denutrito che purtroppo non potrà arrivare alla fine del viaggio. Quando una mandria di buoi deve attraversare un fiume che non si sa se è infestato di piranha, i vaccari spingono il povero cristo per attraversare davanti agli altri. Se arriva sull’altro margine illeso, allora tutta la mandria può attraversare senza paura di correre pericolo. Se il povero cristo è stato divorato dai piranha, allora la cosa migliore da fare è andare avanti e scegliere un altro braccio del fiume. Così è quasi sempre la CPI: i parlamentari scelgono il tizio già tutto infangato di accuse e trovano per lui un qualsiasi articolo del Regolamento Interno che esige una CPI, e punto e basta! Andiamo ad una pizzeria per festeggiare ancora una volta questa importante dimostrazione di democrazia e di civiltà. La mandria può attraversare il Lago Paranoá e saziarsi col denaro pubblico...

 

Laico è colui che non appartiene al clero, e neanche ad un ordine religioso. È un secolare, opposto all’influenza o al controllo di qualsiasi chiesa e del clero nella vita intellettuale e morale delle istituzioni e degli affari pubblici. In una parola: colui che è indipendente in relazione al clero ed alla chiesa e, in senso ampio, è libero da qualunque influenza religiosa, qualsiasi sia il suo orientamento.

 

Sebbene non succeda molto spesso, di quando in quando mi incontro in questioni sui diritto di lavoro quando alcune persone fisiche legate alle loro entità morali per mezzo di vincoli di fede vogliono trasformare relazioni sacre in vincoli di lavoro e richiedere somme considerevoli ingiustamente dalle chiese a cui hanno appartenuto, e dalle quali si sono allontanate per motivi di fede o a causa di questioni interne, quasi sempre di foro intimo.

 

Per il diritto, le chiese sono persone giuridiche di diritto privato. Viste in se stesse, sono comunità morali senza finalità lucrativa, tracciate sulle norme di condotta religiosa di origine divina che suppongono regolare la relazione tra gli uomini e Dio. La natura giuridica delle attività religiose è di diritto ecclesiastico. Il vincolo che unisce un ministro di Dio e la sua congregazione è di ordine morale e spirituale. Se l’attività svolta dal religioso è stata essenzialmente spirituale, fatta dentro o fuori della congregazione, ma sempre impregnata dello spirito di fede, il regolamento di questo lavoro sarà fatto dal diritto canonico, e non dal diritto del lavoro, perché questa attività decorre dallo spirito religioso o di voto e non da subordinazione giuridica. Questo vincolo è orientato all’assistenza spirituale e morale per la divulgazione della fede. Non può essere stimato pecuniariamente, anche se il religioso riceve somme relative ai mesi delle attività. Tali valori sono destinati alla sua assistenza e sussistenza e, anche, per liberarlo dalle preoccupazioni materiali perché si possa dedicare più liberamente alla sua professione di fede. Queste somme non hanno la natura retributiva dello stipendio, in senso stretto.

 

Il lavoratore laico che non ha vincolo morale con la sua congregazione — come per esempio il sagrestano, il custode, il carpentiere, gli ausiliari di pulizia, i musici, i decoratori, i campanari ecc — e che non presta servizio in carattere devotionis causa può firmare contratto di lavoro con la chiesa se soddisfate le presunzioni degli art.2º e 3º della CLT. Sacerdoti, suore, diaconi e ministri di Dio che, oltre alle loro funzioni evangeliche, prestano servizio in condizioni speciali come insegnanti, infermieri, istruttori di attività fisiche, di culinaria, di rilegatura e di illustrazione, tecnici di computer, revisori e redattori, tra le altre, possono avere i loro vincoli di lavoro riconosciuti se dimostrano che queste attività non hanno nessuna relazione con la vita monastica o religiosa.

 

Configura evidente rottura della fiducia legittima contro la chiesa — venire contra factum proprium — l’azione in cui il religioso, dimenticandosi dei voti di fede, chiede il riconoscimento giuridico del vincolo di lavoro. Dal momento che professa il suo voto, il religioso sa che si lega alla sua comunità morale attraverso un vincolo di fede, e non di lavoro. La chiesa, quando lo accetta tra i suoi, non si comporta a modo di fare sorgere nella mente di questo membro l’impressione che è considerato come dipendente, anche se tra le sue funzioni correlative assieme alle attività di fede sono incluse la divulgazione ed il commercio di abbonamenti a riviste, pubblicità e vendita di porta in porta di riviste e di altri prodotti religiosi.

 

In parole povere, questi professatori di fede vogliono, in verità, che il giudice del lavoro dichiari in giudizio che hanno firmato un “contratto di lavoro con Dio”. Come Dio — almeno nelle udienze che io ho presieduto — non era presente (dico meglio: era presente perché è onnipresente, ma non si è manifestato perché io dovessi decidere in altra maniera), ed io non ho potuto raccogliere da Lui l’indispensabile testimonianza personale, ho visto nella lite qualcosa di “giuridicamente impossibile”. Proprio per questo, in riguardo al merito, ho giudicato la richiesta improcedibile.

 

Non so se ho giudicato in maniera corretta o sbagliata. Non sono stato ancora chiamato a spiegare nè davanti ai miei superiori e neanche davanti al Nazareno. E, per essere onesto, ho più paura dei miei superiori.

 

Con Gesù credo che la mia contabilità sia leggermente a mio favore...

 

 

 

 

 

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