Visconti Gianfranco
Il nuovo art. 55-bis del Codice
Deontologico Forense, introdotto il 15 Luglio 2011 ed
illustrato dalla Circolare n° 24 del 2011 del Consiglio
Nazionale Forense, disciplina i requisiti di
imparzialità, cioè di mancanza di conflitti di
interesse, degli avvocati che siano anche mediatori
prevedendo che questi non possono svolgere la funzione
di mediatore se hanno assistito una delle parti del
procedimento di mediazione nei due anni precedenti alla
presentazione dell’istanza introduttiva di questo e se
hanno in corso rapporti professionali con una di esse.
Invece, l’avvocato che ha svolto il ruolo di mediatore
non potrà assumere la difesa di una delle parti nei due
anni successivi alla conclusione della mediazione e dopo
potrà farlo solo se l’oggetto della causa sarà diverso
da quello della mediazione. Questi divieti si estendono
agli avvocati soci o associati dell’avvocato - mediatore
o che esercitino la professione negli stessi locali
dello studio dove esercita il primo.
Un avvocato non può assumere
l’incarico di mediatore se ricorre una delle ipotesi
previste dal 1° comma dell’art. 815 del Codice di
Procedure Civile, vale a dire: se non ha le qualifiche
espressamente convenute tra le parti, se egli stesso o
una società o un altro ente di cui lui è amministratore
ha interesse nella controversia, se egli stesso o il
coniuge o un suo parente entro il quarto grado è
convivente o commensale abituale di una delle parti, di
un rappresentante legale o di un difensore di esse o se
egli stesso o il coniuge ha una causa pendente o grave
inimicizia con uno di questi soggetti, se è legato ad
una delle parti o ad una società da questa controllata
da un rapporto di lavoro subordinato od autonomo di
qualsiasi tipo o da altri rapporti di natura
patrimoniale o associativa che ne compromettono
l’indipendenza, se è tutore o curatore di una delle
parti, se ha prestato assistenza o consulenza ad una
delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha
deposto come testimone.
Inoltre, lo studio di un avvocato
non può ospitare la sede di un organismo di mediazione e
viceversa.
La violazione delle regole fissate
dall’art. 55-bis rappresenta un illecito disciplinare
perseguito nei modi e con le sanzioni previste dal
Codice Deontologico Forense.
Sempre per l’art. 55-bis,
l’avvocato non può assumere la funzione di mediatore se
non possiede una “adeguata competenza”, che sta ad
indicare non solo la conoscenza del ramo del diritto in
cui rientra la controversia, ma anche, come ha detto il
TAR del Lazio nella sua Ordinanza n° 3202 del 2011, “la
sua capacità di evitare che le parti subiscano
pregiudizi irreversibili derivanti dalla non coincidenza
degli elementi da loro offerti in valutazione (nel
procedimento di mediazione) per accettare o rifiutare
l’accordo di conciliazione con gli elementi che poi
possono emergere nel giudizio successivo”, vale a dire
la sua competenza giuridico - processuale. Francamente,
ci sembra che tale competenza si possa dare per scontata
in un avvocato che esercita o ha esercitato la
professione.
Inoltre, questa competenza
giuridico - processuale (che ricordiamo, è richiesta da
una norma deontologica1 che vale solo per gli avvocati
che sono anche mediatori) non può essere richiesta ai
mediatori che non sono avvocati e ciò sembrerebbe
segnalare una disparità di trattamento fra le parti (più
garantite) di un procedimento di mediazione in cui il
mediatore designato è un avvocato e quelle (meno
garantite) di un procedimento svolto da un mediatore che
non abbia questo titolo professionale. In realtà il
problema, secondo noi, non sussiste, in primo luogo
perché il procedimento di mediazione non è un processo,
poi perché la parte ha sempre la facoltà di farsi
assistere da un avvocato colmando, così, questa presunta
lacuna, e soprattutto perché, se la mediazione non ha
successo e le parti instaurano un processo civile
ordinario, ciò che è emerso nel procedimento di
mediazione non deve influenzare il giudizio successivo,
come previsto dagli artt. 10, 1° e 2° comma, e 11, 4°
comma, del Decreto Legislativo n° 28 del 2010.
Infine, riteniamo che questa norma
deontologica possa creare dei problemi in riferimento
all’obbligo che sia l’organismo che il mediatore da esso
designato hanno di prestare la mediazione obbligatoria
nelle materie elencate nel 1° comma dell’art. 5 del Dlgs
28/2010 che è previsto dal comma 9° dell’art. 16 del
D.M. 180/2010, di attuazione del Decreto Legislativo. In
tal caso, l’avvocato – mediatore non adeguatamente
competente nella materia giuridica a cui appartiene la
controversia viene a trovarsi nell’alternativa se
rispettare la prescrizione del Codice Deontologico
oppure l’obbligo di prestare la mediazione fissato dalla
norma regolamentare citata che non può che prevalere
sulla prima. Del resto, i modi per colmare le lacune
della competenza del mediatore sono altri: la nomina di
un mediatore ausiliario o quella di un esperto (commi 1°
e 4° dell’art. 8 del Dlgs 28/2010).
Riportiamo in nota l’art. 55-bis
del Codice Deontologico Forense.2
1 O, meglio, dall’interpretazione
che il TAR del Lazio ha dato di essa.
2 Art. 55-bis (Mediazione)
L’avvocato che svolga la funzione
di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla
normativa in materia e le previsioni del regolamento
dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette
previsioni non contrastino con quelle del presente
codice.
I. L’avvocato non deve assumere la
funzione di mediatore in difetto di
adeguata competenza.
II. Non può assumere la funzione di
mediatore l’avvocato:
a) che abbia in corso o abbia avuto
negli ultimi due anni rapporti professionali con una
delle parti;
b) quando una delle parti sia
assistita o sia stata assistita negli ultimi due anni da
professionista di lui socio o con lui associato ovvero
che eserciti negli stessi locali.
In ogni caso costituisce condizione
ostativa all’assunzione dell’incarico di mediatore la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 815,
primo comma, del codice di procedura civile.
III. L’avvocato che ha svolto
l’incarico di mediatore non può intrattenere rapporti
professionali con una delle parti:
a) se non siano decorsi almeno due
anni dalla definizione del procedimento;
b) se l’oggetto dell’attività non
sia diverso da quello del procedimento stesso.
Il divieto si estende ai
professionisti soci, associati ovvero che esercitino
negli stessi locali.
IV. È fatto divieto all’avvocato di
consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a
qualsiasi titolo, presso il suo studio o che
quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione |