Staiano Rocchina
Massima
Il dirigente bancario, che è stato
demansionato, ha diritto al risarcimento del danno
morale anche in assenza di danno biologico.
1. Premessa
In caso di accertato
demansionamento professionale del lavoratore in
violazione dell'art. 2103 c.c., il giudice del merito,
con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione
se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del
relativo danno in base agli elementi di fatto relativi
alla durata della qualificazione e ad altre circostanze
del caso concreto, potendo procedere ad una autonoma
valutazione equitativa del danno, rispetto alla quale
non ostano né l'eventuale insuccesso di una c.t.u.
disposta alfine di quantificarlo in concreto alla luce
di criteri "latu sensu" aggettivi, né l'eventuale
inidoneità e/o erroneità dei parametri risarcitori
indicati dal danneggiato, dovendosi, per converso,
ritenere contraria a diritto un'eventuale decisione di
non "liquet", fondata, appunto, sull'asserita
inadeguatezza dei criteri indicati dall'attore o sulla
pretesa impossibilità di individuarne alcuno,
risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto,
invece, già definitivamente acclarato in termini di
esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto
e di conseguente legittimità di una richiesta
risarcitoria relativa ad una certa res lesiva.
Nel caso di specie, la Suprema
Corte ha ritenuto che il bancario demansionato ottenesse
il risarcimento del danno morale (1) e non del danno
biologico (2).
2. Dequalificazione e danno non
patrimoniale
Nella disciplina del rapporto di
lavoro, ove numerose disposizioni assicurano una tutela
rafforzata alla persona del lavoratore con il
riconoscimento di diritti oggetto di tutela
costituzionale (artt. 32 e 37 Cost.), il danno non
patrimoniale è configurabile ogni qualvolta la condotta
illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo
grave, i diritti della persona del lavoratore,
concretizzando un "vulnus" ad interessi oggetto di
copertura costituzionale; questi ultimi, non essendo
regolati "ex ante" da norme di legge, per essere
suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere
individuati, caso per caso, dal giudice del merito, il
quale, senza duplicare il risarcimento (con
l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici),
dovrà discriminare i meri pregiudizi - concretizzatisi
in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi
consistenza e gravità, come tali non risarcibili - dai
danni che vanno risarciti, mediante una valutazione
supportata da una motivazione congrua, coerente sul
piano logico e rispettosa dei principi giuridici
applicabili alla materia, sottratta, come tale, anche
quanto alla quantificazione del danno, a qualsiasi
censura in sede di legittimità.
Nell’ipotesi di controversia in
tema di demansionamento, accertato il nesso causale tra
la condotta illecita datoriale e lo stato depressivo del
lavoratore, la giurisprudenza maggioritaria (3) ha
riconosciuto il danno biologico e il danno morale
nell'ambito del danno non patrimoniale, applicando
correttamente - al di là delle singole espressioni
utilizzate - il sistema bipolare introdotto nel sistema
ordinamentale in materia risarcitoria e, quindi,
fondando la liquidazione dei danni di cui erano
risultati provati l'esistenza e il collegamento causale
con l'illegittima condotta datoriale.
Sul punto, va rilevato che il danno
non patrimoniale (4) include tanto il danno biologico
che il danno morale e il danno esistenziale. Mentre il
danno morale ha natura emotiva e interiore, ed il danno
biologico è subordinato alla esistenza di una lesione
dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il
danno esistenziale deve essere inteso come ogni
pregiudizio, oggettivamente accertabile, provocato sul
fare aredittuale del soggetto, che alteri le sue
abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo
a scelte di vita diverse quanto alla espressione e
realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.
Poiché si tratta di un vero danno, e di un vero
risarcimento, e non di una sanzione civile, istituto che
non ha cittadinanza nel nostro ordinamento, tale danno
non può prescindere da una specifica allegazione, nel
ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle
caratteristiche del pregiudizio medesimo, e va
dimostrato con tutti i mezzi consentiti
dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la
prova per presunzioni (5). Trattasi di un tipo di danno
di natura strettamente personale, che come tale non può
essere ridotto, neppure indirettamente, ad una frazione
del danno biologico, ma deve essere valutato
equitativamente in riferimento al singolo caso concreto
(caratteristiche, durata, gravità conoscibilità
all'interno e all'esterno ecc…).
Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente
formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e
Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre
2010
Avvocato, Componente, dal 1 °
novembre 2009 ad oggi, della Commissione Informale per
l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile
e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del
Dipartimento della Gioventù.
_________
(1) Il danno morale ha natura
emotiva e interiore.
(2) Il danno biologico è
subordinato alla esistenza di una lesione dell'integrità
psico-fisica medicalmente accertabile.
(3) Fra le tante Cass. civ., Sez.
lavoro, 12/05/2009, n. 10864.
(4) Il danno non patrimoniale è
risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e
cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente
orientata dell'art. 2059 cod. civ.: (a) quando il fatto
illecito sia astrattamente configurabile come reato; in
tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del
danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di
qualsiasi interesse della persona tutelato
dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza
costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie
in cui la legge espressamente consente il ristoro del
danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi
di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei
dati personali o di violazione delle norme che vietano
la discriminazione razziale); in tal caso la vittima
avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale
scaturente dalla lesione dei soli interessi della
persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso
la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali,
rispettivamente, quello alla riservatezza od a non
subire discriminazioni); (c) quando il fatto illecito
abbia violato in modo grave diritti inviolabili della
persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in
tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del
danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali
interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi,
non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno
essere selezionati caso per caso dal giudice (Cass.
civ., Sez. Unite, 11/11/2008, n. 26972).
(5) Cass. civ., Sez. Unite,
24/03/2006, n. 6572.
Bancario –
Demansionamento/dequalificazione professionale – Danno
morale (Cass. n. 20966/2011)
Corte di Cassazione Sezione civile,
lavoro n. 20966/2011 del 12/10/2011
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Ritenuto in fatto
R.S., dipendente della Banca (…),
con ricorso risalente al luglio 2001 ha convenuto in
giudizio il proprio datore di lavoro chiedendo la
declaratoria di nullità dell’ordine di servizio del 7
agosto 1998, con il quale era stata disposta la non
utilizzazione delle sue prestazioni lavorative, e la
reintegra nelle mansioni di preposto alla filiale di
Campobasso dell’Istituto di credito nonché la condanna
di quest’ultimo al risarcimento del danno. La convenuta
si costituiva per resistere.
Espletata istruttoria per testi e
disposta c.t.u., il Tribunale condannava la Banca al
risarcimento del danno, liquidato in complessivi Euro
195.000, dei quali Euro 145.000 per il danno da
illegittima privazione delle mansioni ed Euro 50.000 per
danno morale.
La Corte d’Appello di Campobasso,
in parziale accoglimento dell’appello della Banca,
riduceva ad Euro 50.000 il danno da sottrazione delle
mansioni, confermando nel resto la sentenza impugnata.
La Corte territoriale ha rigettato anzitutto la censura
concernente l’accertamento circa la totale privazione
delle mansioni. Ha osservato in proposito che il S. ,
già preposto alla filiale di (…) dell’istituto, era
stato trasferito alla sede di (…), ma il provvedimento
era stato annullato, e che dopo l’annullamento
l’istituto non aveva reintegrato il S. nella
posizione lavorativa ricoperta e ne
aveva rifiutato le prestazioni lavorative, circostanza
sulla quale il S. aveva fondato la domanda di
risarcimento. Quindi le deduzioni dell’istituto sulla
possibilità per il S. di svolgere analoghe mansioni
lavorative in altra struttura della banca, con
possibilità di contatti con colleghi e clienti, e
sull’assenza di ostilità nei suoi confronti, non avevano
rilievo perché non escludevano la mancata accettazione
delle prestazioni lavorative offerte dal dipendente. La
Corte di merito ha poi rigettato la censura concernente
il collegamento causale fra privazione delle mansioni e
danno, premettendo che lo svolgimento dell’attività
lavorativa ha una valenza non solo economica ma anche di
esplicazione della personalità e di qualificazione
professionale, ed osservando che la sottrazione completa
delle mansioni, peraltro nella specie professionalmente
elevate, e l’allontanamento dal luogo di lavoro per un
periodo non breve, dall’agosto 1998 fino al gennaio
2002, data del pensionamento, inducevano fondatamente a
ritenere sussistenti i danni alla professionalità ed
alla vita di relazione (ovvero danno morale) con
l’ulteriore riscontro, per quest’ultimo tipo di danno,
dei problemi di salute sotto il profilo psicofisico,
accertati in corso di giudizio.
La Corte d’appello ha quindi
esaminato la censura riguardante la quantificazione del
risarcimento del danno alla professionalità, ed ha
osservato in proposito che il S., nato nel …, nel
momento in cui era stato privato delle mansioni, era
ormai negli ultimi anni dell’ordinario periodo
lavorativo ed aveva quindi già acquisito buona parte
delle sue capacità professionali. Né in senso contrario
poteva valere la circostanza che la vicenda si fosse
svolta a cavallo del periodo di introduzione dell’Euro,
giacché in ambito bancario ciò non aveva determinato la
necessità di particolare addestramento professionale,
tanto che in istruttoria era stato riferito di un corso
di aggiornamento assai breve.
In base a tali osservazioni la
Corte ha quindi valutato che il risarcimento del danno
alla professionalità potesse essere liquidato in un
terzo circa della retribuzione percepita al S. e perciò
nella somma di Euro 50.000.
Infine, la Corte di merito ha preso
in esame la censura relativa al riconoscimento in favore
del S. del danno morale, ad avviso dell’appellante non
dovuto in assenza di riconoscimento del danno biologico.
Secondo la Corte nel caso di specie
era configurabile il danno morale ovvero esistenziale,
in conseguenza del totale demansionamento del S. e del
suo allontanamento definitivo dalla filiale bancaria da
lui diretto, peraltro in una città di non grandi
dimensioni,
per lungo tempo ed anche con
riflessi negativi sulla integrità psico-fisica, essendo
rimasto accertato un evento di malattia prodotto dalla
consapevole condotta datoriale.
(…), già Banca (…, chiede la
cassazione di questa sentenza con ricorso per quattro
motivi, notificato il 21 settembre 2007, R.S. nella
stessa data ha a sua volta notificato ricorso per la
cassazione della stessa sentenza articolato su tre
motivi, a (…) già banca (…).
A tale ricorso resiste l’intimata
(…) con controricorso contenente a sua volta ricorso
incidentale con motivi analoghi a quelli del ricorso
proposto in via autonoma.
Il S. ha inoltre resistito con
controricorso, spedito per la notifica a mezzo posta il
10 ottobre 2007 al ricorso di Intesa San Paolo. Tale
controricorso contiene ricorso incidentale per tre
motivi, del tutto analoghi a quelli del ricorso proposto
in via autonoma ed è stato iscritto sub RG 24920/2007.
A tale ricorso incidentale (…), già
Banca (…) resiste con controricorso.
R..S. ha depositato anche memoria.
Considerato in diritto
Preliminarmente tutti i ricorsi,
proposti contro la stessa sentenza, devono essere
riuniti (articolo 335 c.p.c.).
Vanno esaminati anzitutto i ricorsi
proposti in via principale da (…), già (…) e dal S. Con
il primo motivo del ricorso (…) si addebita alla
sentenza impugnata di avere in violazione e con falsa
applicazione dell’articolo 112 c.p.c. accordato il
risarcimento del danno morale non tenendo conto che il
S. aveva, secondo una sua precisa scelta difensiva,
ancorato il danno morale ad una determinata percentuale
del danno biologico, sicché l’assenza di quest’ultimo
statuita definitivamente nella sentenza di primo grado,
sul punto passata in giudicato, comportava
necessariamente il rigetto della domanda di danno
morale. In ogni caso per tale titolo il S. aveva
richiesto una somma pari ad Euro 24.310, mentre la Corte
d’Appello aveva liquidato la somma Euro 50.000, così
incorrendo in ultra petizione.
Il motivo, contrariamente a quanto
sostenuto dal controricorrente, è ammissibile. È
corretto identificare nell’art. 112 c.p.c. la norma
parametro di un vizio consistente nell’attribuzione di
un risarcimento (quello del danno morale) che si assume
non chiesto. Non si pone un problema di indicazione del
fatto controverso, poiché non è denunziato vizio di
motivazione. Il quesito lascia comprendere chiaramente
il problema posto alla Corte. La dedotta non completezza
del quadro delle censure sulle quali la Corte è chiamata
a decidere è affermazione del tutto generica e comunque
infondata perché il motivo
consente la relativa decisione. Il
motivo è tuttavia infondato.
Come risulta dallo stesso ricorso
la domanda del S. comprendeva senz’altro il risarcimento
del danno morale, ai fini della cui quantificazione
veniva indicata una determinata percentuale del danno
biologico, il che non vuol dire affatto, in assenza di
ulteriori elementi, che mediante tale indicazione il S.
avesse condizionato la propria richiesta risarcitoria
sul punto al previo riconoscimento dell’esistenza del
danno biologico e men che meno che a fronte di una
domanda così formulata il giudice del merito dovesse
ritenersi esonerato dal dovere di decidere sulla domanda
specifica volta al riconoscimento del danno morale
provvedendo poi alla relativa quantificazione, ai fini
della quale le indicazioni del S. costituivano, proprio
per il particolare aggancio all’entità di un danno
(quello biologico) poi non riconosciuto, indicazioni non
vincolanti anche in ordine al quantum.
Con il secondo motivo del ricorso
(…) si addebita alla sentenza impugnata di avere, in
violazione e con falsa applicazione degli articoli 2103,
2727, 2728 e 2729 c.c. considerato l’esistenza di un
danno professionale e morale in re ipsa, desumendolo
automaticamente dall’asserita totale inattività del S.
Con il terzo motivo del ricorso (…)
si addebita alla sentenza impugnata di avere, in
violazione e con falsa applicazione degli articoli 1218,
1223, 1225, 1226 e 1227 c.c. liquidato il danno alla
professionalità nella misura pari al 35% della
retribuzione mensile del S. per ogni mese di
dequalificazione, in violazione del principio di
proporzionalità fra inadempimento contrattuale e
risarcimento.
Con il quarto motivo del ricorso
(…) si addebita alla sentenza impugnata di avere in
violazione con falsa applicazione degli articoli 1218,
1223, 1225, 1226 e 2227 c.c. liquidato il risarcimento
del danno morale nella misura di Euro 50.000 in
violazione del principio di proporzionalità fra
inadempimento contrattuale e risarcimento del danno.
I tre motivi fra loro connessi
possono esser esaminati congiuntamente.
Contrariamente a quanto sostenuto
dal contro ricorrente con argomenti sostanzialmente
analoghi a quelli già esaminati a proposito del primo
motivo ed ai quali pertanto deve rispondersi rinviando a
quanto già detto al riguardo i tre motivi sono
ammissibili.
Essi sono tuttavia infondati.
Deve infatti osservarsi che il
giudice del merito ha dato una adeguata motivazione sul
danno professionale da demansionamento. Egualmente
ravvisabile nella sentenza è la motivazione sul danno
non patrimoniale. Le imprecise qualificazioni date alla
fattispecie nella sentenza impugnata (peraltro in un
periodo di giurisprudenza
assai poco chiara a sua volta sul
c.d. danno esistenziale) non devono oscurare il fatto
che gli elementi di valutazione del danno sono stati
tutti adeguatamente presi in considerazione.
Così stando le cose, la Corte
ritiene che mediante le censure svolte nei tre motivi,
sotto veste di vizi di violazione di legge, venga
chiesta in sostanza una diretta rivalutazione della
misura del risarcimento impossibile in questa sede.
Con il primo motivo del ricorso S.
si addebita alla sentenza impugnata di avere, in
violazione e con falsa applicazione del combinato
disposto degli articoli 2 Cost., 2103 e 1223 codice
civile, seppure nell’ambito di una liquidazione
equitativa del danno, ritenuto di ridurre ad Euro 50.000
la somma dovuta a titolo di risarcimento per la
privazione delle mansioni, giustificando tale riduzione
con l’età del dipendente e l’acquisizione della capacità
professionale, ossia con criteri riduttivi e non idonei,
non essendo stato considerato che la professionalità è
un valore non solo acquisito ma da conservare ed
affinare nel futuro sviluppo lavorativo e che la totale
privazione di mansioni aveva comportato proprio il venir
meno della capacità professionale acquisita.
Con il secondo motivo del ricorso
S. si addebita alla sentenza impugnata di avere in
violazione e falsa applicazione del combinato disposto
degli articoli 1226 codice civile e 113 codice di
procedura civile, omesso di indicare i criteri della
determinazione equitativa del danno, e di specificare
valutare globalmente tutti fattori volti a determinare
tale liquidazione.
Con il terzo motivo del ricorso S.
si addebita alla sentenza impugnata di avere con
motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria,
trascurato i dati di fatto acquisiti al processo come
fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati.
Il ricorso, contrariamente a quanto
sostenuto dalla parte intimata, è ammissibile. Esso è
stato notificato alla società incorporata presso il
difensore della stessa. Vale quindi il principio secondo
cui in tema di impugnazioni civili, nel caso di società
che, nelle more del giudizio di cassazione (nella
specie, anteriormente alla notificazione del ricorso per
cassazione), si sia estinta per incorporazione,
l’impugnazione è validamente notificata al procuratore
costituito della società incorporata, qualora, in
applicazione analogica dell’art. 300 cod. proc. civ.,
l’impugnante non abbia avuto notizia dell’evento
modificatore della capacità della persona giuridica,
mediante notificazione di esso, senza che, in contrario,
possa invocarsi la presunzione di conoscenza parte dei
terzi dei fatti di cui la legge prescrive riscrizione,
ai sensi dell’art. 2913 cod. civ., non operando tale
previsione nel campo del processo. Ne consegue che il
giudizio prosegue fra le parti originarie, senza che la
società incorporante sia legittimata a rinnovare il
ricorso. (Cass. 6948/2007; 15234/2007, v. anche Sez. un.
19509/2010).
In tre motivi possono essere
esaminati congiuntamente.
Essi sono ammissibili perché i
quesiti conclusivi riflettono l’impostazione dei motivi
e, in tale prospettiva, non possono considerarsi
generici.
Essi sono tuttavia infondati perché
non diversamente da quanto si è osservato con riguardo
al ricorso principale si tratta di censure
sostanzialmente di merito, qui inammissibili.
In conclusione, i due ricorsi ora
esaminati devono esser rigettati.
Il successivo ricorso incidentale
S. sub rg 24920/2007 va dichiarato inammissibile per
intervenuta consumazione del potere di impugnazione con
il ricorso precedentemente notificato dallo stesso S.
Altrettanto deve statuirsi, per la stessa ragione, del
ricorso incidentale notificato il 31 ottobre 2007 dalla
(…), una volta ritenuta validamente notificata a
quest’ultima l’impugnazione.
La reciproca soccombenza giustifica
la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, dichiara
inammissibile i ricorsi sub RG 24920/2007 e 27314/2007;
rigetta gli altri; compensa le spese del giudizio.
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