Ai sensi dell'art. 2233 c.c., la
determinazione del compenso per le prestazioni
professionali va effettuata, in assenza di disciplina
convenzionale, alla stregua delle norme di natura
regolamentare trasfuse nella tariffa approvata nelle
forme di legge o, alternativamente, degli usi
eventualmente vigenti in materia, mentre solo
subordinatamente alla accertata impossibilità di
applicazione di tali criteri può venire in rilievo la
valutazione equitativa del giudice svincolata dal
rispetto dei limiti tariffari
Peraltro, la situazione di
impossibilità di reperimento della fonte regolatrice
della determinazione del compenso non può ritenersi
integrata per il solo dato di fatto della omessa
allegazione, da parte del professionista, del parere del
competente organo professionale, ove il giudice, a sua
volta, abbia omesso di provvedere alla acquisizione
dello stesso, in conformità del citato art. 2233 c.c..
In tale ipotesi è, peraltro,
illegittima la determinazione del compenso effettuata
con valutazione equitativa del giudice in deroga ai
minimi tariffari, in quanto operata al di fuori delle
condizioni cui la predetta norma codicistica subordina
l’esercizio di tale potere da parte del giudice, senza
che assuma rilievo, al riguardo, la problematica
relativa alla lamentata incompatibilità del carattere
inderogabile dei minimi tariffari, previsto dalla
normativa vigente, con i principi dell’ordinamento
comunitario in materia di libera concorrenza
Cassazione, sez. VI, 21 ottobre
2011, n. 21934
(Pres. Plenteda – Rel. Zanichelli)
Svolgimento del processo
L'Avv. (...) ricorre per cassazione
nei confronti del decreto in epigrafe della Corte
d'appello che ha rigettato l'appello dallo stesso
proposto avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa
che ha accolto solo parzialmente la sua opposizione al
decreto di esecutività dello stato passivo del
fallimento intimato con il quale era stato drasticamente
ridotto il credito professionale insinuato.
Resiste l'intimata curatela con
controricorso.
La causa è stata assegnata alla
camera di consiglio in esito al deposito della relazione
redatta dal Consigliere Dott. V. Z. con la quale sono
stati ravvisati i presupposti di cui all'art. 375
c.p.c..
La curatela intimata ha presentato
memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si
addebita difetto di motivazione all'impugnata decisione
che non avrebbe chiarito le ragioni per cui ha ritenuto
non provata l'anteriorità alla dichiarazione dì
fallimento e quindi l'opponibilità alla curatela della
sottoscrizione per accettazione apposta dal legale
rappresentante dell'impresa poi fallita ai preavvisi di
fattura portanti gli importi insinuati.
Il motivo è manifestamente
infondato. Premesso che il ricorrente ha affidato la
prova dell'anteriorità della sottoscrizione alla
circostanza che era stata riconosciuta l'anteriorità
dell'effettuazione delle prestazioni professionali e
quindi alla presunzione secondo cui anche i preavvisi di
fattura e le sottoscrizioni sulle stesse apposte
dovevano necessariamente essere anteriori al fallimento
non appare certo insufficiente la motivazione che nega
tale collegamento logico evidenziando come la prima
circostanza possa ben essere riconosciuta come accertata
ma che non provi necessariamente che la sottoscrizione e
quindi la vincolante accettazione dell'importo richiesto
sia anteriore al fallimento, implicando tale
affermazione un giudizio, peraltro pienamente
condivisibile, di assenza di un qualunque necessario
collegamento temporale tra i due eventi.
Una volta accertata la congruità
della motivazione circa l'insussistenza del valore
presuntivo dell'anteriorità della prestazione
professionale ai fini della prova dell'anteriorità ai
fallimento anche della sottoscrizione per accettazione
della quantificazione dei compenso risulta inammissibile
il secondo motivo con il quale si deduce violazione
dell’art. 2704 c.c. dal momento che “l’apprezzamento del
giudice di merito circa il ricorso alla presunzione
quale mezzo di prova e la valutazione della ricorrenza
dei requisiti di gravità, precisione e concordanza
richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di
fatto come fonti di presunzione, sono incensurabili in
sede di legittimità, posto che l’unico sindacato in
proposito riservato al giudice di cassazione è quello
sulla coerenza della motivazione (Cassazione Civile,
sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518; negli stessi
termini: sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2441 e dell'sez.
IlI, 10 maggio 2005, n. 9757)Manifestamente fondato è
invece il terzo motivo laddove censura l’impugnata
decisione nella parte in cui ha ritenuto di non potersi
discostare dalla liquidazione in base ai minimi
tariffari come operata dal tribunale in difetto della
produzione del parere dei competente Ordine
professionale dal momento che l'art. 2233 c.c. dispone
che il compenso è determinato dal giudice sentito il
parere dell’associazione professionale cui il
professionista appartiene “… se non può essere
determinato secondo le tariffe” e tale espressione deve
essere intesa non già come riferita all’ipotesi in cui
le tariffe professionali non prevedono un compenso in
misura fissa ma solo nel minimo e nel massimo, ma al
diverso caso che la prestazione professionale, per la
sua particolarità, non trovi una sicura collocazione tra
le attività previste nella tariffa, così che
l’intervento dell’Ordine professionale posa portare al
giudice le più opportune indicazioni per l’esercizio in
concreto del potere di determinazione del corrispettivo
(in tale senso, quanto alla finalità del parere:
Cassazione civile, sez. II, 22 gennaio 2000, n. 694)E'
il caso di rilevare, comunque, che la Corte, dopo aver
ribadito che “Ai sensi dell'art. 2233 c.c., la
determinazione del compenso per le prestazioni
professionali va effettuata, in assenza di disciplina
convenzionale, alla stregua delle norme di natura
regolamentare trasfuse nella tariffa approvata nelle
forme di legge o, alternativamente, degli usi
eventualmente vigenti in materia, mentre solo
subordinatamente alla accertata impossibilità di
applicazione di tali criteri può venire in rilievo la
valutazione equitativa del giudice svincolata dal
rispetto dei limiti tariffari” ha tuttavia precisato che
“peraltro, la situazione di impossibilità di reperimento
della fonte regolatrice della determinazione del
compenso non può ritenersi integrata per il solo dato di
fatto della omessa allegazione, da parte del
professionista, del parere del competente organo
professionale, ove il giudice, a sua volta, abbia omesso
di provvedere alla acquisizione dello stesso , in
conformità del citato art. 2233 c.c., In tale ipotesi è,
peraltro, illegittima la determinazione del compenso
effettuata con valutazione equitativa del giudice in
deroga ai minimi tariffari, in quanto operata al di
fuori delle condizioni cui la predetta norma codicistica
subordina l’esercizio di tale potere da parte del
giudice, senza che assuma rilievo, al riguardo, la
problematica relativa alla lamentata incompatibilità del
carattere inderogabile dei minimi tariffari, previsto
dalla normativa vigente, con i principi dell’ordinamento
comunitario in materia di libera concorrenza” (sez. I,
Sentenza n. 1094 del 01/02/2000).
Da ciò consegue l'ulteriore errore
in cui è caduto il giudice dei merito nell'omettere di
valutare la concreta rilevanza dell'attività prestata
per la sola considerazione della mancata produzione da
parte dell'appellante dei parere ritenuto necessario,
senza provvedere all'acquisizione d'ufficio.
La fondatezza dei terzo motivo
comporta l’assorbimento del quarto.
L'impugnata sentenza deve dunque
essere cassata e la causa rinviata per ulteriore esame e
per la statuizione sulle spese anche di questa fase alla
stessa Corte d'appello in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di
ricorso, rigetta il primo, dichiara inammissibile il
secondo e assorbito il quarto, cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la
causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di
Catania, in diversa composizione. |