Al momento i giudici nazionali non
solo censurano le condotte ma cercano, soprattutto, di
delineare una concreta prevenzione
Una madre, parte resistente in
giudizio, tiene ferma la richiesta dell’affidamento
esclusivo della prole, senza fornire validi elementi e
fondata motivazione a sostegno della sua domanda, così
fortemente limitando il diritto del padre ad allevare la
figlia e abusando, inoltre, dello strumento processuale.
La donna, nei fatti, impegna tempi e risorse eccessive
rispetto al materiale probatorio raccolto ed inserito
all’interno della propria domanda-pretesa processuale.
L’art. 155 bis c.c. disciplina
l’affidamento esclusivo disponendo che: se la domanda
risulta essere manifestamente infondata, il giudice può
considerare il comportamento del genitore istante ai
fini della determinazione dei provvedimenti da adottare
nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione
dell’art. 96 c.p.c..
L’art. 96.3 c.p.c., rubricato
‘’responsabilità aggravata’’, prevede che: ‘’in ogni
caso, quando pronuncia sulle spese, il giudice, anche ex
officio, può altresì condannare la parte soccombente al
pagamento, a favore della controparte, di una somma
equitativamente determinata’’.
Ebbene, in tale combinato
normativo, si parla di lite temeraria, quale ipotesi
speciale di responsabilità extracontrattuale, ex art.
2043 c.c..
Parte della giurisprudenza,
partendo da tale presupposto normativo, ragiona sul
punto e giunge ad accostare direttamente tale figura
alla lesione proveniente dalla durata irragionevole del
processo, liquidando il danno in via equitativa e senza
la necessità di una compiuta prova, ritenendo il
pregiudizio ‘’conseguenza normale’’ della violazione del
diritto alla ragionevole durata.
Le Sezioni Unite, nella sentenza n.
26972 del 2008, parlano esplicitamente di danno non
suscettibile di valutazione economica affermando che
‘’il giudice può reperire, ex art. 96 c.p.c., la
violazione di un diritto costituzionalmente protetto ad
un processo giusto e celere’’.
Si individua, in tal modo, una mera
sanzione di ordine pubblico ogniqualvolta la parte
distoglie il processo dal suo naturale scopo (ex art. 24
Cost.). La sanzione di ordine pubblico, intesa, più
propriamente, come danno punitivo, costituisce
un’evidente misura di prevenzione per scoraggiare
l’abuso del processo, soprattutto in alcuni ambiti
valoriali (come l’ambito-familiare, ove si intendono
‘’tutelare le relazioni affettive’’, per l’appunto).
In tal senso, si è espressa anche
la Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha più
volte ribadito la pregnanza del diritto alle relazioni
affettive intrafamiliari, ex art. 8 CEDU, specificando
che lo Stato deve non solo giustificare compiutamente la
ragione del suo eventuale intervento limitativo
(mediante provvedimenti ad hoc), ma anche porre in
essere misure positive atte a conservarlo e/o
riattivarlo.
Ed ancora, in ambito europeo, il
Reg. n. 864/2007 (cd. Roma II) sulla legge applicabile
alle obbligazioni extracontrattuali, non esclude i danni
punitivi in sé, ma solo quelli di natura eccessiva.
Tale excursus
normativo-giurisprudenziale trova ulteriore conferma con
il decreto 4 marzo 2011, emesso dal Tribunale dei
Minorenni di Milano. In tale provvedimento, il Tribunale
rileva una madre resistente che pone in atto
comportamenti di uso ‘’pretestuoso’’ e ‘’disfunzionale’’
del processo in danno delle parti in causa (e di ogni
cittadino che abbia chiesto la tutela delle proprie
posizioni giuridiche all’Autorità Giudiziaria). In tale
circostanza, viene, inoltre, rilevata una condotta
contraria ai doveri di lealtà e probità (che le parti e
i loro difensori devono tenere in giudizio) espressi
dall’art. 88 c.p.c., con la condanna della resistente al
rimborso delle spese della lite e ad un ulteriore somma,
ex art. 96.3 c.p.c.. Insomma, dal caso esaminato si
evince come lo strumento offerto dall’art. 96.3 c.c.
risulta essere, nella prassi, adatto a sanzionare
comportamenti di uso ‘’pretestuoso’’ e ‘’disfunzionale’’
del processo. Inoltre, sia a livello nazionale che a
livello europeo, in tema di danni punitivi, si intravede
meno scetticismo. La Corte di giustizia UE continua a
manifestarsi prudente, rinviando alle norme dei singoli
ordinamenti degli Stati membri.
Ad ogni modo, quel che conta è che
al momento i giudici nazionali non solo censurano le
condotte ma cercano, soprattutto, di delineare una
concreta prevenzione.
Ci si domanda: il risarcimento dei
danni, inserito nella neo veste di danno punitivo,
andrà, realmente, a svolgere una funzione pedagogica nei
confronti dei genitori? La condanna rappresenterà un
valido deterrente? Si otterrà una concreta tutela delle
relazioni affettive tra genitori e figli mediante lo
strumento processuale?
Pubblicato da Tiziano Solignani |