(Marco Rossetti)
Prime osservazioni sullo schema di
decreto di attuazione dell’art. 139 cod. ass., in tema
di liquidazione di danno biologico con esiti
macropermanenti.
Sommario:
1. Lo schema di decreto
2. I problemi posti dall’art.
138 cod. ass.
3. I profili problematici dello
schema di decreto
3.1. Sotto il profilo medico
legale
3.2. Sotto il profilo
tecnico-giuridico
4. Questioni di diritto
intertemporale
1. Lo schema di decreto
Il 3 agosto 2011 il Consiglio dei
ministri ha approvato lo schema di decreto ed i relativi
allegati, destinati a diventare il d.P.R. di attuazione
dell’art. 138 cod. ass..
Si tratta di un provvedimento
normativo di stupefacente trascuratezza, pressappochismo
e infingardaggine, tali da sconcertare anche il più
benevolo degli interpreti.
Nei §§ seguenti proverò a spiegare
il perché: prima tuttavia, è doveroso ricordare che
nemmeno la norma delegante (l’art. 138 cod. ass.)
costituiva un modello di perfezione, ed era quindi in
qualche modo fisiologico che i difetti della madre si
trasferissero al figlio.
Vediamo, dunque, quali fossero tali
difetti.
2. I problemi posti dall’art. 138
cod. ass.
Come noto, l’art. 138 cod. ass.
disciplina i criteri di liquidazione del danno biologico
derivante da sinistri stradali causati da veicoli
soggetti all’obbligo di assicurazione, quando abbiano
causato postumi permanenti superiori al 10%, ed ha
demandato a tal fine al governo la “predisposizione di
una specifica tabella unica su tutto il territorio della
Repubblica (...) del valore pecuniario da attribuire ad
ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei
coefficienti di variazione corrispondenti all'età del
soggetto leso”.
L’art. 138, comma 2, lettera (a),
cod. ass. soggiunge che la tabella dei valori di punto
deve fondarsi “sul sistema a punto variabile in funzione
dell’età e del grado di invalidità”.
Dunque il riferimento contenuto
nell’art. 138, comma 1, cod. ass. alla tabella
“comprensiva” dei coefficienti di variazione deve essere
inteso nel senso che il governo dovrà stabilire sia il
valore monetario del singolo punto di invalidità, sia il
demoltiplicatore in base al quale ridurre il
risarcimento in funzione dell’età. Analogamente, del
resto, a quanto l’art. 139, comma 6, cod. ass. per i
danni derivanti da lesioni micropermanenti.
L’art. 138, comma 2, lettera (c),
cod. ass., precisa tuttavia che “il valore economico del
punto è funzione crescente della percentuale di
invalidità e l’incidenza della menomazione sugli aspetti
dinamico-relazionali della vita del danneggiato cresce
in modo più che proporzionale rispetto all’aumento
percentuale assegnato ai postumi”. E’ prevedibile che
questa previsione susciterà non poche discussioni.
La norma è scindibile in due
proposizioni: la prima parte stabilisce come deve
variare il valore del punto, e cioè deve crescere al
crescere del grado di invalidità permanente. La seconda
parte stabilisce invece quanto debba crescere il valore
del punto, e cioè in misura più che proporzionale
rispetto al grado di invalidità permanente. Se il
soggetto delle due disposizioni fosse il medesimo, la
norma non farebbe che ricalcare i criteri già adottati e
largamente invalsi nel diritto vivente.
Ma così non è, perché mentre la
prima parte della norma stabilisce che è “il valore
economico del punto” a dover crescere con l’aumentare
dell’invalidità, la seconda parte afferma che è solo
“l’incidenza della menomazione sugli aspetti
dinamico-relazionali” a dovere aumentare in misura più
che proporzionale.
Questa infelice formulazione della
norma pone all’interprete tre gravi problemi.
Il primo problema è che la norma in
esame sembra riproporre la distinzione, un tempo
prospettata in dottrina, ma oggi definitivamente
abbandonata, della distinzione tra danno biologico
“statico” (inteso quale lesione dell’integrità
psicofisica in se e per sé considerata, a prescindere
dalle conseguenze che essa ha prodotto sulla vita della
vittima), e danno biologico “dinamico” (inteso quale
differenza peggiorativa tra le abitudini di vita della
vittima prima e dopo il sinistro. Questa distinzione è
stata da tempo superata dalla S.C., la quale non
concepisce la risarcibilità di un danno alla salute che
non abbia incidenza effettiva e concreta nella vita
della vittima.
Il secondo problema è che la
lettera (c) del comma 2 dell’art. 138 si pone in
contrasto con la definizione di “danno biologico”
contenuta nella lettera (a). In quest’ultima, infatti,
l’incidenza sui cc.dd. “aspetti dinamico-relazionali”
della persona lesa costituisce un elemento indefettibile
della fattispecie “danno biologico”: ove mancasse,
quest’ultimo non sarebbe configurabile. Nella lettera
(c), invece, si afferma che la suddetta incidenza
costituisce solo un fattore di variazione del valore del
punto, come se in astratto potesse ammettersi un danno
biologico che non incida sugli aspetti
“dinamico-relazionali".
Il terzo problema posto dalla
disposizione in esame è di natura tecnica. Per
realizzare concretamente la tabella delle invalidità
secondo le indicazioni dell’art. 138 cod. ass.,
occorrerebbe frazionare il valore del singolo punto di
invalidità un due componenti (una relativa alla lesione
in sé, l’altra agli aspetti dinamico-relazionali di
essa). Ammesso che ciò fosse possibile da un punto di
vista concettuale, occorrerebbe poi prevedere due
diverse funzioni di variazione di tali valori: il primo
non si saprebbe in che misura dovrebbe variare col
variare dell’invalidità (e quindi in teoria potrebbe
anche restare invariato); il secondo invece dovrebbe
aumentare in misura più che proporzionale. Così, per
fare un esempio, ad applicare ad litteram il precetto
normativo, si dovrebbe:
(a) stabilire - poniamo - che il
valore del punto di invalidità per una menomazione
dell’1% in un soggetto di 1 anno sia 100, e che di
questi 100 solo 40 ristorino la lesione in sé, mentre i
restanti 60 ristorino le conseguenze
“dinamico-relazionali” di essa;
(b) stabilire non solo “come”, ma
anche “se” debba crescere la prima frazione del valore
di punto;
(c) far crescere in misura più che
proporzionale la seconda frazione del valore di punto.
Il governo potrebbe dunque
adottare, sulla base della legge delega, le soluzioni
più diverse: far crescere la frazione statica meno di
quella dinamica, farla crescere in modo identico, farla
restare invariata. Gli esiti concreti sul piano del
quantum potrebbero essere diversissimi, con scarti anche
del 25% tra l’una e l’altra ipotesi, come risulta dalla
simulazione che segue.
Grado di invalidità permanente
1%
2%
5%
Fraz. Statica
Fraz. Dinamica
Totale
Fraz. Statica
Fraz. Dinamica
Totale
Fraz. Statica
Fraz. Dinamica
Totale
Ipotesi 1
Frazione statica e dinamica
crescono in modo identico
40
60
100
90
130
220
385
485
870
Ipotesi 2
La frazione statica resta
invariata, la dinamica cresce
40
60
100
80
130
210
200
485
685
Ipotesi 3
La frazione statica cresce meno che
la frazione dinamica
40
60
100
85
130
215
220
485
705
La evidente assurdità di una simile
conclusione induce forzare per via interpretativa il
testo normativo, e ritenere che l’art. 138, comma 2,
lettera (c), cod. ass. vada inteso nel senso che il
valore del punto di invalidità non debba e non possa
essere scisso in due “frazioni”, ma debba crescere in
modo uniforme col variare del grado di invalidità.
Alla lettera (d) del citato art.
138, la legge stabilisce poi che “il valore economico
del punto è funzione decrescente dell’età del soggetto,
sulla base delle tavole di mortalità elaborate
dall’ISTAT, al tasso di rivalutazione pari all’interesse
legale”: e qui le mie gote non si soffondono di rossore
nell’affermare che l’ignoto concierge governativo che ha
vergato tali righe evidentemente non sapeva nemmeno di
cosa stesse parlando.
Iniziamo col rilevare che la
previsione è inutile, dal momento che già il comma 1
dello stesso articolo prevedeva che il valore del punto
dovesse variare in funzione dell’età della vittima. Non
è poi chiaro cosa c’entrino le statistiche mortuarie col
valore del punto di invalidità. Ricordiamolo brevemente:
il coefficiente demoltiplicatore consiste in un numero
decimale per ogni anno di età della vittima al momento
del sinistro. Così, se il coefficiente è 0,5 per anno,
il coefficiente di abbattimento sarà pari al 20% per un
quarantenne, quale che sia la durata della vita media.
Che le speranze di vita della vittima fossero di 100
oppure di 1 anno, l’entità del coefficiente di
abbattimento non cambia.
Dunque l’unico senso che potrebbe
avere la previsione normativa è che non già il criterio
di variazione del valore di punto, ma la misura di esso
debba essere desunta dalle statistiche mortuarie: così,
ad es., il governo potrebbe stabilire che il valore del
punto di invalidità debba ridursi in misura dello 0,2,
piuttosto che dello 0,5, per ogni anno di età della
vittima. Ma se così è, la previsione è come se non ci
fosse, giacché non pone nessun serio vincolo al
legislatore delegato. Dire che il coefficiente di
variazione deve variare “sulla base” delle tavole di
mortalità equivale a dire che esso deve variare tout
court, giacché non si stabilisce la misura minima e
massima di tale variazione, la quale costituiva l’unico
vero dato rilevante che si sarebbe dovuto imporre per
legge. Così, ad es., per un novantacinquenne potrebbe
essere previsto un abbattimento del 95% del
risarcimento, oppure del 20 o del 5%, e ciascuna di tali
previsioni sarebbe astrattamente conforme al dettato di
cui all’art. 138 lettera (d) cod. ass..
Non meno sorprendente è la
previsione secondo cui il valore economico del punto è
“funzione decrescente dell’età della vittima (...) al
tasso di rivalutazione pari all’interesse legale”.
Iniziamo col rilevare che un
coefficiente non si rivaluta né può essere soggetto a
rivalutazione, né tampoco si può rivalutare una funzione
matematica. Ma a parte ciò, si ha la netta impressione
che qui il legislatore abbia confuso il c.d.
coefficiente di riduzione con i coefficienti per la
costituzione delle rendite immediate. Ricordiamo
brevemente concetti che dovrebbero essere noti a chi
pretende di legiferare in materia.
Il coefficiente di riduzione del
valore di punto in funzione dell’età è un mero
moltiplicatore: cioè un valore che restituisce l’importo
del risarcimento rapportato alla speranza di vita futura
della vittima. Esso non restituisce un valore futuro che
occorre attualizzare; il valore monetario del punto di
invalidità è già espresso in moneta attuale, e tale
valore non viene certo determinato attraverso operazioni
statistico-attuariali.
La necessità di stabilire un saggio
di interesse potrebbe in teoria sussistere solo per la
costruzione di una tabella di “coefficienti per la
costituzione di rendite vitalizie”, cioè di valori i
quali restituiscono il valore attuale di una rendita di
n euro pagabile per tutta la vita del beneficiario.
Ma, come già detto, la
determinazione del valore del punto di invalidità non è
una operazione di capitalizzazione, e comunque men che
meno costituisce una capitalizzazione la riduzione del
risarcimento in funzione dell’età. Sicché, concludendo:
la determinazione del
demoltiplicatore del valore di punto in funzione
dell’età non è un’operazione di capitalizzazione, né di
attualizzazione;
la determinazione del
demoltiplicatore del valore di punto in funzione
dell’età non richiede nessuna opera di rivalutazione;
di conseguenza, essa non
richiede la fissazione di alcun saggio di interesse.
Ove si condividano le premesse e le
conclusioni che precedono, non appare azzardato
concludere che l’art. 138, comma 2, lettera (d) cod.
ass. costituisce poco più che parole in libertà.
In ogni caso, ammesso che menti
illuminate riescano ad intravedere un senso nella
disposizione in esame, resta ancora da considerare che:
(a) il saggio legale varia con
cadenza quasi annuale, e non è dato comprendere perché
mai l’entità del risarcimento debba variare in funzione
del momento in cui si è verificato il sinistro, a parità
di lesioni e di età della vittima;
(b) non è dato comprendere
perché mai l’agganciamento del demoltiplicatore alle
tavole di mortalità non debba valere per le lesioni
micropermanenti.
3. I profili problematici dello
schema di decreto.
E’ agevole prevedere che
l’eventuale approvazione definitiva dello schema di
decreto attuativo dell’art. 139 cod. ass. solleverà
molti più problemi di quanti non ne abbia risolti.
Ciò sia sotto il profilo medico
legale, sia sotto il profilo della quantificazione del
risarcimento.
3.1. Sotto il profilo medico legale
Lo schema di decreto, come
accennato, reca in allegato due tabelle: una contenente
lo sviluppo del valore monetario del punto d’invalidità
(Allegato III), l’altra il valore percentuale associato
a ciascun tipo di invalidità (Allegato II).
Quest’ultima tabella presenta sotto
il profilo medico legale almeno tre mende:
(a) è incompleta;
(b) è generica;
(c) non è del tutto coerente
con la legge delega.
La tabella di cui si discorre è
innanzitutto incompleta, sotto due aspetti: l’esiguità
delle voci previste e l’assenza totale di indicazioni su
questioni rilevantissime nella valutazione medico legale
del danno biologico, quali la determinazione del grado
di invalidità permanente a fronte di preesistenze o di
lesioni plurime monocrone.
La tabella prevede infatti solo 156
“voci” corrispondenti ad altrettante invalidità
permanenti: troppo poche, ove si ponga mente
all’infinito numero di patologie che possono lasciare
postumi superiori al 10%. Si consideri, a mo’ d’esempio,
che la tabella contenente le voci di invalidità
utilizzata dall’Inail per l’indennizzo del danno
biologico derivante da infortuni sul lavoro (d.m. 12
luglio 2000) prevede ben 387 voci di invalidità, e che
uno dei più recenti ed autorevoli baréme medico legali
italiani ne prevede oltre 400[1].
Non meno biasimevole è la
superficialità con la quale la nota introduttiva alla
tabella (Allegato I al decreto) liquida la complessa
questione delle lesioni plurime e delle preesistenze: vi
si legge infatti che “nel caso in cui gli esiti
permanenti di un'unica lesione possono [sic] essere
rappresentati da più voci tabellate o in caso di danno
permanente da lesioni plurime monocrone (...), non si
dovrà procedere alla valutazione con il criterio della
semplice sommatoria delle percentuali previste per le
varie strutture del distretto colpito o per il singolo
organo od apparato, bensì alla valutazione complessiva
che avrà come riferimento l'inquadramento tabellare dei
singoli danni e la globale incidenza sulla integrità
psico-fisica della persona. Nella valutazione
medico-legale di lesioni plurime monocrone si terrà
conto, di volta in volta, della maggiore o minore
incidenza di danni fra loro concorrenti”.
A parte l’uso disinvolto del
congiuntivo, il testo che precede lascia di fatto al
medico legale una sconfinata libertà di valutare le
lesioni monocrone e le preesistenze. Detto, infatti, che
le singole invalidità tra loro non si sommano, resta
irrisolto il problema di come le si debba computare.
Sia il ristretto numero di voci,
sia il sostanziale silenzio sui criteri di valutazione
delle lesioni plurime avranno come effetto di aumentare
la discrezionalità del medico legale chiamato alla
valutazione del danno e, specularmente, di ridurre la
prevedibilità delle decisioni e quindi di aumentare il
contenzioso.
Oltre che incompleta, la tabella
allo schema di decreto attuativo dell’art. 138 cod. ass.
è poi generica. Per alcune voci infatti si prevede un
raggio amplissimo tra l’invalidità minima e la massima:
così, ad esempio, per la sindrome prefrontale organica
di tipo medio-grave la tabella prevede una invalidità
compresa tra il 21 ed il 50%. Ciò vuol dire che se il
danno è stato patito da un giovane di vent’anni, il
risarcimento potrà oscillare tra 44.090,96 e 203.276,51
euro!
Nella nota illustrativa allegata
sub I allo schema di decreto questi enormi divari
(quello di cui si è dato conto non è affatto isolato)
col fatto che molte patologie possono assumere forme
assai diverse tra loro, variabili da persona a persona,
e che solo una “forchetta” assai ampia poteva
giustificare una adeguata valutazione personalizzata
dell’invalidità permanente.
Una simile giustificazione tuttavia
lascia alquanto stupefatti: sia perché la
personalizzazione del risarcimento è opera del giudice e
non del medico legale, e riguarda il quantum del
risarcimento e non il grado di invalidità permanente;
sia - soprattutto - perché nulla avrebbe impedito, anche
per le patologie caratterizzate da un maggior grado di
soggettività, di descrivere in tabella i vari comizi
sintomatici che le accompagnano più di frequente, e
dividere così una voce in tante sottovoci a ciascuna
delle quali assegnare un grado preciso di invalidità
permanente, ovvero un range di valori ristretto.
Per contro, prevedere una tabella
medico legale nella quale si dica che la patologia “x”
può comportare una invalidità dal 20 al 50% è operazione
che non serve a nessuno:
non serve al medico legale,
perché non gli dà alcun valido strumento di valutazione;
non serve al giudice, che
dinanzi ad una discrezionalità così ampia non potrà
seriamente controllare l’operato dell’ausiliario;
non serve nemmeno alle parti,
le quali non potranno formulare ex ante alcuna
ragionevole previsione sulla misura del risarcimento.
Infine, la tabella di cui si
discorre appare non del tutto coerente con la legge
delega, sotto due aspetti.
Il primo è rappresentato da quanto
si dice nel § “criteri applicativi” della note
illustrative Allegate sub I al decreto in parola. Ivi si
legge che quando il danno biologico incide su
particolari aspetti della vita di relazione della
vittima, la relativa incidenza va formulata “con equo e
motivato apprezzamento da parte del medico valutatore”.
Trattasi anche in questo caso di una previsione che
sembra non tenere conto del fatto che la
personalizzazione del risarcimento è ufficio eminente
del giudice, non del medico legale, e che spetta al
primo e non al secondo stabilire se ed in che misura il
risarcimento standard debba essere aumentato, e sempre
iuxta alligata et probata.
Il secondo è rappresentato da
quanto si dice nel § “Revisione della tabella”, l’ultimo
della nota illustrativa Allegata sub I al decreto in
parola. Ivi si legge che “saranno disposte revisioni
periodiche della tabella anche sulla base di ulteriori
acquisizioni scientifiche e della dottrina”. Ora, la
possibilità per il governo di modificare un regolamento
amministrativo delegato esige anch’essa una delega:
delega della quale non v’è traccia nell’art. 138 cod.
ass.. Il comma 4 di tale norma prevede infatti
l’aggiornamento della sola “tabella unica nazionale”
(cioè dell’importo del risarcimento) secondo l’indice
ISTAT del costo della vita, ma non prevede alcuna delega
per l’aggiornamento anche della tabella delle
invalidità.
3.2. Sotto il profilo
tecnico-giuridico
Anche sul piano strettamente
tecnico-giuridico lo schema di decreto attuativo
presenta, a parer mio, tre grosse mende.
La prima è che la funzione
algebrica di crescita del valore monetario del punto
d’invalidità era stata ricavata, così come indicato
nella relazione introduttiva, per estrapolazione dal
valore di punto stabilito dalla legge per la
liquidazione delle micropermanenti, e ciò al fine di
“evitare che, al passaggio fra gradi di invalidità dal
9% al 10% si concentri una eccessiva differenza
economica” (Allegato III alla bozza di d.p.r., p. 1).
Tale opinione tuttavia appare in
contrasto con le acquisizioni di autorevoli esponenti
del mondo scientifico, sino ad oggi mai seriamente
smentite da alcuno, concordi nel ritenere che il valore
del punto d’invalidità, per i casi di c.d.
“micropermanenti”, debba crescere secondo una funzione
diversa e più progressiva rispetto a quella prevista per
le macropermanenti, in ossequio alle indicazioni
provenienti dalla giurisprudenza[2].
La seconda menda della bozza di
tabella è che essa prevede un duplice abbattimento del
valore del punto in funzione dell’età: il primo in
ragione dello 0,5% per ogni anno di età della vittima
successivo al 10° (analogamente a quanto previsto
dall’art. 139 cod. ass. per l’ipotesi di
micropermanenti); il secondo, diverso per maschi e
femmine, in funzione della speranza media di vita futura
della vittima, desunta dalle tavole di mortalità
elaborate dall’Istat.
Le due previsioni di cui si è
appena detto (funzione di crescita identica per micro e
macropermanenti; e soprattutto il doppio abbattimento in
funzione dell’età, che non pare affatto consentito
dall’art. 138 cod. ass.) hanno fatto sì che il risultato
finale è stato una tabella notevolmente riduttiva
rispetto ai valori applicati in precedenza dalla maggior
parte degli uffici giudiziari, come risulta dalla
tabella che segue, fondata sui criteri adottati dai
tribunali di Roma e Milano, soprattutto per i danni di
maggiore gravità.
Confronto schema di decreto -
tabelle dei Tribunali
Grado di i.p./età
Roma
Milano
schema di decreto
10% a 20 anni
18.398,46
23.511,00
14.760,01
40% a 20 anni
195.169,14
265.902,00
131.827,52
60% a 20 anni
477.799,65
539.081,00
272.562,30
10% a 40 anni
16.461,78
15.146,80
13.111,05
40% a 40 anni
174.625,02
20.913,00
117.095,27
60% a 40 anni
427.504,95
479.514,00
242.102,39
La terza pecca del d.P.R. 3.8.2011
è un vero e proprio errore, e per di più assai grave.
Risulta dalla nota introduttiva
alla tabella del valore del punto, all. sub III al
decreto in questione, che il valore base del punto di
invalidità posto a fondamento della tabella è pari ad
euro 674,78.
Tale valore è sensibilmente
inferiore a quello del punto-base per la liquidazione
delle invalidità fino al 9%, attualmente pari ad euro
759,04 in virtù del d.m. 17 giugno 2011.
La spiegazione di questa antinomia
è dovuta al fatto che il Governo, nell’approvare il
testo del decreto concernente il risarcimento dei danni
dal 10 al 100%, non ha fatto altro che riesumare la
bozza predisposta dal ministero della salute sin dal
2006, senza mutarne nemmeno una virgola, nonostante il
valore monetario del punto di invalidità per le
micropermanenti dal 2006 sia stato annualmente
aggiornato. Al momento della redazione del presente
scritto, come accennato, il testo del decreto di cui si
discorre non è stato ancora pubblicato in Gazzetta
Ufficiale, ed è pertanto auspicabile che prima di allora
il governo si avveda dell’autentico infortuni0o in cui è
incorso e provveda al “riallineamento” delle due
tabelle, quella per le micro- e quella per le
macroinvalidità.
Ove ciò non dovesse accadere, il
nuovo decreto sui risarcimenti per le macroinvalidità
nascerebbe già viziato da un ulteriore vizio: la
violazione dell’art. 138, comma 4, cod. ass., il quale
imponeva al legislatore delegato di provvedere
all’aggiornamento periodico del valore del punto
d’invalidità. Ovviamente, poiché il decreto in questione
costituisce un atto normativo di secondo grado, tale
vizio non obbligherà il giudice a sollevare un incidente
di legittimità costituzionale per violazione dell’art.
77 cost., ma lo legittimerà a provvedere alla sua
disapplicazione, ai sensi dell’art. 4 della L. 22 marzo
1865, n. 2248.
4. Questioni di diritto
intertemporale
Potrebbe dubitarsi se il decreto
attuativo dell’art. 138 cod. ass., una volta entrato in
vigore, sia applicabile solo ai sinistri avvenuti dopo
tale momento.
La questione è di agevole
soluzione: è infatti risalente e pacifico il principio
secondo cui il risarcimento deve avvenire con le regole
vigenti al momento della aestimatio, a nulla rilevando
l’epoca del danno. Tale principio è stato con
riferimento alle più diverse fattispecie: ha ritenuto ad
esempio, Cass., sez. un., 9 maggio 2001, imp. Caridi, in
Dir. e giustizia, 2001, fasc. 25, 33, che nella
liquidazione della riparazione per ingiusta detenzione
debba trovare applicazione il “massimale” vigente
all’epoca della liquidazione, anche quando la custodia
cautelare sia stata sofferta in epoca antecedente
all’entrata in vigore di esso; oppure Cass., 20 agosto
1991, n. 8965, in Foro it. Rep. 1991, Danni civili, n.
141, secondo cui nella liquidazione del danno
patrimoniale futuro da riduzione della capacità di
guadagno occorre possa a base del calcolo il reddito
della vittima al momento della liquidazione, e non
quello (minore) percepito al momento del sinistro.
(Altalex, 7 novembre 2011. Articolo
di Marco Rossetti)
________________
[1] Ronchi, Mastroroberto e
Genovese, Guida alla valutazione medico legale
dell’invalidità permanente, Milano, 2009, 139 e ss..
[2] Comandé, Dalla ricerca alla
prassi operativa nella liquidazione del danno alla
salute, in Danno e resp., 1997, 9; Turchetti, Gli
sviluppi dello studio sulla determinazione del valore
monetario base del punto di invalidità, in Bargagna e
Busnelli (a cura di), Rapporto sullo stato della
giurisprudenza in tema di danno alla salute, Padova,
1997, 171 e ss., ma specialmente 180-181. |