Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

I CRITERI DI FORMULAZIONE DELLA C.D. PROPOSTA ‹‹AGGIUDICATIVA›› DEL MEDIATORE-

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

 

Ernesto Capobianco-Diritto e processo.it

 

Ordinario di Istituzioni di diritto privato nell’Università del Salento

 

 

 

(Estratto da Diritto e Processo formazione n.4/2011)

 

 

 

 

 

Sommario: 1. Il superamento dell’idea della priorità della giurisidizione e i meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie. 2. I vantaggi della mediazione. 3. La c.d. mediazione ‹‹aggiudicativa›› o ‹‹valutativa›› e il preteso differente ruolo del mediatore nella mediazione ‹‹facilitativa››. 4. Rilievi critici e conseguenze in ordine alla determinazione dei criteri per la formulazione della proposta.

 

 

 

 

 

1. – È un segno della stagione relativamente recente quello del progressivo superamento dell’idea della priorità della giurisdizione ([1]). E non s’intende certo con questa affermazione avallare l’opinione di chi, come le cronache di questi giorni evidenziano, punta a delegittimare il ruolo del potere giudiziario, quanto segnalare come invece, nell’ottica di un complessivo rafforzamento del sistema ‹‹giustizia›› nella sua globalità ([2]), rivelino la loro utilità meccanismi alternativi che, pur non impegnando i giudici, consentano di dare una risposta all’esigenza, per i cittadini, le imprese e le pubbliche amministrazioni, di veder risolte le controversie che li riguardino. In questa direzione si collocano gli ormai numerosi meccanismi di soluzione conciliativa delle controversie previsti nel nostro ordinamento che, sulla scia di un trend internazionale e comunitario ormai cospicuo, mostrano una decisa linea di tendenza orientata a decisamente favorirli ([3]).

 

Per un osservatore delle ‹‹novità›› in ambito civilistico è infatti facile la constatazione, suscettibile del beneficio dell’approssimazione, che negli ultimi tempi non vi è legge nuova che non sia stata accompagnata da norme che puntino a sottrarre al giudice, almeno in prima battuta e sebbene con differenti e variegati meccanismi, caratterizzati da diversa incisività, la cognizione della controversia. Gli ambiti sono i più vari. Tra questi possono essere ricordati, i settori dei servizi di pubblica utilità, delle telecomunicazioni, della subfornitura, del turismo, del diritto d’autore, dei rapporti bancari, dei servizi d’investimento, dell’affiliazione commerciale, del patto di famiglia, dei rapporti di lavoro (sui quali, come è noto, si è di recente registrato un ripensamento legislativo in ordine all’obbligatorietà) e dei rapporti di consumo.

 

Nella stessa direzione si colloca oggi l’intervento normativo generale in materia di ‹‹mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali›› (d.lg. 4 marzo 2010, n. 28) che, sebbene oggetto di aspre critiche e severe valutazioni, probabilmente non avrebbe dovuto ritenersi, per chi avesse più oculatamente prestato attenzione all’evoluzione normativa in atto, un provvedimento ‹‹sorpresa››.

 

Si conferma così l’orientamento legislativo che punta a preferire la soluzione concordata dalle parti a soluzioni eteronome imposte da un terzo, giudice o arbitro che sia ([4]). Prevale quindi l’idea del ricorso al diritto ‹‹mite›› e ciò anche a fronte della constatazione della possibilità che l’applicazione della legge, cui il giudice è soggetto ai sensi dell’art. 101 cost., possa in concreto in taluni casi tradursi in una sostanziale ingiustizia ([5]). Nella quale confluisce certamente anche il caso della eccessiva durata dei processi che rappresenta ormai una costante del nostro sistema.

 

 

 

2. – Il carattere mite dell’intervento, nel suo tratto comune che si evince sia dal testo della direttiva comunitaria 2008/52/CE del 21 maggio 2008, sia dalla legge delega 18 giugno 2009, n. 69 (art. 60), sia dall’art. lett. a), d.lg. n. 28 del 2010, individua finalisticamente la mediazione come un procedimento comunque denominato, finalizzato ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia.

 

Tra i vantaggi che un siffatto sistema di risoluzione della controversie presenta, rispetto ad altri, è ormai consueto segnalare la sua attitudine ad una possibile maggiore ampiezza di contenuti rispetto alle soluzioni eteronome. Quest’ultime sono infatti presidiate dal vincolo della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, mentre le prime, in considerazione della circostanza che la risoluzione consensuale della controversia proviene da soggetti muniti del potere di disporre delle proprie situazioni sostanziali, consentono che in sede conciliativa costoro possano disporre non solo di quelle situazioni, ma anche di altre situazioni sostanziali, estranee alla controversia, magari neanche lontanamente immaginate all’inizio della contesa ([6]). La mediazione appare quindi come strumento preferibile in virtù della sua ‹‹maggiore duttilità rispetto ai reali interessi delle parti›› e della sua conseguente ‹‹maggiore accettabilità sociale›› ([7]).

 

In questa prospettiva il ruolo del mediatore appare significativo. La sua professionalità risiederà nella capacità di acquisire, in ispecie nelle sessioni separate, quelle informazioni che, opportunamente utilizzate gli consentiranno una efficace messa a fuoco, in prospettiva dinamica, degli interessi attuali delle parti, talvolta differenti da quelli propri del momento in cui la lite è insorta, normalmente cristallizzati, invece, nella visione statica del processo tradizionalmente inteso ([8]). Il contenuto dell’atto risolutivo della controversia potrà, in tal caso e a differenza di quanto accade quando esso sia di natura eteronoma, essere caratterizzato da una certa atipicità potendo investire diritti diversi da quello in contestazione ([9]). E il mediatore potrà quindi essere artefice di soluzioni nuove e creative, che stanno ad attestare la ‹‹superiorità›› della risoluzione autonoma rispetto a quella eteronoma ([10]).

 

 

 

3. – Le affermazioni in discorso solitamente ‹‹reggono›› nella prospettiva della mediazione c.d. facilitativa, quella cioè corrispondente a quanto disposto alla prima parte dell’ art. 1, lett. a), d.lg. n. 28 del 2010, che riguarda la mediazione ‹‹finalizzata ad assistere due o più soggetti … nella ricerca di un accordo per la composizione di una controversia››. È dubbio se valgano per la mediazione solitamente definita ‹‹aggiudicativa›› o ‹‹valutativa››, prevista nell’inciso finale della stessa disposizione, che invece si risolve ‹‹nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa››.

 

Va, al riguardo, subito osservato che l’ultimo inciso della proposizione, più che guardare, in prospettiva finalistica alla formulazione della proposta, come il cattivo tenore letterale della norma sembrerebbe suggerire, guarda alla proposta come mero strumento per la realizzazione di un obiettivo. Si vuol dire che la formulazione della proposta non è attività fine a sé stessa ma è ‹‹parte›› (eventuale) dello ‹‹svolgimento della mediazione›› a seguito della quale si realizza il risultato della composizione della controversia (conciliazione) [art. 1, lett. c), d.lg. cit.]. L’adesione alla proposta del mediatore è, quindi, anch’essa configurata come elemento di un ‹‹accordo›› conciliativo (art. 11, comma 3, d.lg. cit.).

 

Facilitativa o aggiudicativa che sia, la mediazione, in prospettiva, guarda al momento conclusivo dell’accordo conciliativo; ad essa è estranea qualsiasi tentazione dell’eteronomia. L’accordo eventualmente concluso su proposta aggiudicativa del mediatore resta quindi atto di autonomia alla stessa stregua di un qualsiasi contratto predisposto da un terzo e sottoscritto dalle parti o il cui oggetto viene determinato per intervento di un arbitratore (art. 1349 c.c.).

 

Come è noto la disciplina generale sulla mediazione consente al mediatore di formulare una proposta in caso di mancato raggiungimento dell’accordo amichevole. Lo obbliga, invece, nel caso di richiesta congiunta delle parti (art. 11, comma 1. d.l.g. cit.) ([11]). È possibile, inoltre, che la proposta del mediatore possa essere anche ‹‹contumaciale›› ([12]). Il d.lg n. 28 non lo esclude ([13]) e l’art. 7, comma 2, lett. b) del regolamento attuativo approvato con d.m. 18 ottobre 2010, n. 180, facoltizza gli organismi di mediazione a prevedere che la proposta possa essere formulata dal mediatore ‹‹anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione››.

 

In caso di mancata accettazione, di rifiuto, o di semplice silenzio sulla proposta, il mediatore forma processo verbale con l’indicazione della proposta (art. 11, commi 3 e 4, d.lg. n. 28 del 2010). Intrapreso quindi il giudizio, la proposta del mediatore sarà in questo caso prodotta dalla parte interessata o acquisita dal giudice per il tramite del responsabile dell’organismo (art. 8, comma 3, d.m. 180 del 2010). Quando il provvedimento che definisce il giudizio ‹‹corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto›› (art. 13, comma 1, d.lg. n. 28 del 2010).

 

Emerge, dal contesto di queste disposizioni relative alla proposta aggiudicativa e ai suoi effetti sul processo, una volontà del legislatore di inserimento di elementi ‹‹in una certa misura di costrizione nella disciplina di uno strumento di libertà›› ([14]) al deliberato scopo, come si legge nella relazione illustrativa al decreto legislativo, di porre la parte contraria alla proposta al rischio di subire le severe conseguenze negative di cui all’art. 13, realizzandosi, con una strumentazione così congegnata, l’auspicio deflattivo della mediazione ([15]).

 

Nella prospettiva di dare massima rilevanza a detto scopo da taluno si prospetta un possibile differente modo di atteggiarsi della proposta del mediatore. Si osserva che, mentre nel caso della mediazione facilitativa sarebbe irrilevante la fondatezza delle pretese – sicché il mediatore non avrebbe vincoli di sorta nella formulazione della stessa dovendo puntare semplicemente ad assecondare il migliore assetto di interessi delle parti, al di là delle pretese formalizzate – , nel caso di mediazione aggiudicativa al mediatore sia imposto di valutare la fondatezza delle rispettive pretese per prendere posizione sulle stesse secondo regole di diritto a norma dell’art. 113 c.p.c., con la ulteriore conseguenza che la proposta dovrà vertere sul solo rapporto dedotto in contestazione escludendo che essa possa incidere su piani alieni rispetto a questo ([16]). Il mediatore rivestirebbe così il ruolo di ausiliare, sebbene in senso atecnico, dell’amministrazione della giustizia, essendo ‹‹obbligato›› a rendere quella proposta che, ai sensi dell’art. 13, potrà avere pesanti conseguenze in punto di spese nell’eventuale futuro giudizio ([17]). Obbligo che quindi non sarebbe correttamente adempiuto ove non si potesse effettuare una comparazione per ‹‹statuizioni›› omogenee (la proposta del mediatore e il provvedimento che definisce il giudizio) ([18]).

 

Non mancano poi opinioni che, sempre nella prospettiva dell’obbligo del mediatore di prendere posizione sulla fondatezza delle ragioni giuridiche delle parti, non escludono che nella formulazione della proposta si possa utilizzare il criterio dell’equità ([19]), o posizioni più blande che sembrano ritenere preferibile, o quantomeno più adatta alla mediazione aggiudicativa, una proposta che tenda ad ottenere l’effettiva applicazione della norma applicabile al caso concreto ([20]).

 

Ulteriori opzioni interpretative, pur consapevoli del particolare e differente ruolo del mediatore nel momento valutativo, appaiono, di contro, meno interessate alla corrispondenza tra la formulazione della proposta del mediatore e l’ipotetica decisione ([21]) dovendosi porre, diversamente, un serio problema di qualità e giustizia dell’aggiudicazione ([22]).

 

 

 

4. – La prospettiva che interpreta la disposizione dell’art. 11 del d.lg. n. 28 del 2010 relativo alla proposta del mediatore in stretta connessione con il disposto del successivo art. 13 sulle spese non appare convincente.

 

È pur vero che la necessità di un allineamento della proposta con una ipotetica soluzione giudiziale della vertenza è necessaria ad assicurare il funzionamento del meccanismo complessivo escogitato dal legislatore nella prospettiva dell’obiettivo deflattivo del processo, sì che il meccanismo è destinato a ‹‹saltare›› qualora il mediatore si lanci in proposte non raffrontabili con il provvedimento che definisce il giudizio. Ma è anche vero che non pare questo l’obiettivo prioritario del legislatore. Una lettura che guardi alle ragioni profonde degli interventi normativi in materia di mediazione e quindi anche alla sua genesi comunitaria, sembra conduca nella direzione obbligata, attestata espressamente dall’art. 1, lett. a), d.lg. n. 28 del 2010 e peraltro recepita anche nell’intitolazione della legge, della finalizzazione della mediazione alla ‹‹conciliazione››. In questo senso va letto, come innanzi precisato, anche il secondo inciso della citata lett. a), relativo alla formulazione della proposta per la risoluzione della controversia. Occorre cioè una maggiore consapevolezza del fatto che la mediazione andrebbe riguardata come qualcosa di avulso dal processo ([23]) e non come una fase di questo e che quindi essa può e deve perseguire sue proprie finalità. La qualcosa porta a privilegiare opzioni per soluzioni dettate da constatazioni di intuitiva evidenza.

 

Si faccia l’esempio del mediatore, il quale non sia riuscito a conciliare le parti nella fase facilitativa e ritenga plausibile che, in extremis, una certa soluzione ‹‹atipica›› possa essere condivisa dalle parti, mentre sappia per certo che una soluzione ‹‹aggiudicativa››, secondo diritto, non riscontrerà l’adesione (di una) delle parti. In tale condizione, potrà proporre la prima o sarà obbligato a formulare la seconda per perseguire l’obiettivo della conformità della proposta all’ipotetico provvedimento del giudice? La scelta è non priva di rilevanti conseguenze. Nel primo caso la controversia potrebbe risolversi, e subito; nel secondo ci penserà il processo e non presto. Va quindi privilegiato l’obiettivo del possibile raggiungimento dell’accordo o quello, chimerico, di verificare se risulta ‹‹azzeccato›› il pronostico per comminare una improbabile sanzione al vincitore? Sulla preferibilità della prima soluzione, che mira al risultato prioritario della conciliazione, non pare lecito dubitare ([24]). Anche perché l’eventualità di una effettiva o quantomeno di una parziale coincidenza della proposta con il provvedimento è meramente eventuale e il più delle volte poco probabile ([25]).

 

Altri argomenti militano nel senso della autonomia del mediatore da vincoli che possano stringerlo a contenere la sua proposta nei limiti dello stretto diritto e all’ambito delle sole situazioni giuridiche dedotte nella controversia.

 

Il termine ‹‹proposta aggiudicativa››, volutamente in questo scritto trattenuto sempre tra virgolette, è termine fuorviante che guarda appunto a una ipotesi di mediatore ‹‹giudice››, o ausiliario di questo ([26]). Il mediatore non pare possa considerarsi tale, nella stessa misura in cui non lo è, ad esempio l’arbitro per biancosegno, che pure ‹‹decide››, con un lodo irrituale, mediante un regolamento da scrivere su fogli preventivamente sottoscritti in bianco, che ha efficacia di contratto ([27]). E qui, si noti, la decisione dell’arbitro è pure più ‹‹pesante›› di quella del mediatore che rimane una mera proposta. Si vuol dire che la proposta del mediatore è una proposta che resta - pur se procedimentalizzata nell’ambito di un programma legislativo di risoluzione di controversie - confinata nell’ambito degli atti di autonomia privata. Essa è destinata a sfociare in un accordo [artt. 1, lett. a) e c), e 11 d.lg. cit.], e su di essa si può registrare l’accettazione o il rifiuto delle parti (art. 11, commi 2 e 3, d.lg. cit.). Né può considerarsi un’ anomalia il fatto che la proposta provenga da un terzo e non dalle parti, trattandosi, questa, di una tecnica di predisposizione e di formazione del contratto del tutto in linea col sistema ([28]). Se quindi la proposta si colloca nell’ambito degli atti di autonomia, dovrà partecipare dei caratteri strutturali e funzionali di questi.

 

Ne è prova la specifica previsione che la proposta del mediatore e l’accordo non possano porsi in contrasto con le norme imperative e l’ordine pubblico [art. 14, comma 2, lett. c); art. 12, comma 1, d.lg. cit.], previsione questa che da un lato sarebbe inutile se il mediatore dovesse applicare il diritto, dall’altro si colloca in assonanza coi requisiti della causa del contratto (art. 1343 c.c.) ([29]); e che dimostra, peraltro, che l’unico esplicito richiamo a norme da non disattendere da parte del mediatore si limita a questo; mentre laddove il legislatore avesse voluto vincolare il mediatore ad altre norme (ad es. all’art.113 c.p.c.), avrebbe dovuto dirlo espressamente, come ad esempio ha fatto anche per l’arbitrato (art. 822 c.p.c.).

 

Peraltro configurare per il mediatore un obbligo di ‹‹aggiudicare›› secondo diritto, significherebbe giungere alla paradossale conclusione di spingere quest’obbligo all’interno dei doveri di corretto svolgimento dell’incarico (art. 3, comma 2, d.lg. n. 28 del 2010), con conseguenti problemi di eventuale responsabilità dell’organismo (e del mediatore) che non abbia tenuto, quale prestatore d’opera, la necessaria e professionale diligenza nell’applicare le norme di diritto nell’ipotesi che il pronostico formulato risulti sconfessato dal provvedimento del giudice ([30]).

 

Non solo, ma il mediatore non è necessariamente un giurista potendo rivestire la qualità di mediatore il soggetto in possesso di una qualsiasi laurea triennale, o l’iscritto in qualsiasi ordine o collegio professionale [art. 4, comma 3, lett. a), d.m. n. 180 del 2010]; sicché pare del tutto assurdo pretendere che chi abbia poca dimestichezza con codici e leggi possa poi (proporre di) aggiudicare la controversia, vestendo impropriamente i panni del giudice, senza peraltro da un lato ‹‹beneficiare›› delle corrette garanzie del contraddittorio e della rigorosa acquisizione della prova, dall’altro della riepilogazione, soprattutto in diritto, delle conclusive difese delle parti che solo nel processo può essere assicurata. In nessun punto, del resto, la legge sembra chieda al mediatore di (per quanto detto sommariamente) aggiudicare, ma semmai solo di risolvere, nell’unico modo che può, e cioè provocando l’accordo, la controversia. E l’accordo lo si riempie con clausole e non con norme e, di regola, neppure con l’equità.

 

Spetta al mediatore quindi, indipendentemente dalla sede in cui opera, se cioè in quella facilitativa, o in quella propositiva, prestarsi perché le parti possano raggiungere una soddisfacente sistemazione dei loro interessi, senza porsi la prospettiva (o senza indulgere nella tentazione) di distribuire ragioni e torti. Per altro verso, deve emergere la piena consapevolezza che solo un approccio con le dovute cautele al caso concreto potrà suggerire la soluzione più idonea da sottoporre alle parti. Giocheranno in tal caso una serie di variabili delle quale non potrà certo non tenersi conto nell’orientare il compito del mediatore. Da un lato il tipo di controversia in esame e le sue peculiarità, dall’altro la circostanza che la proposta sia sollecitata dalla richiesta congiunta delle parti o determinata dalla libera scelta del mediatore o in qualche modo condizionata dalle scelte regolamentari dell’organismo. Particolarmente delicata sarà, ad esempio, la formulazione della proposta da parte del mediatore in assenza della richiesta congiunta o, in ipotesi di mediazione ‹‹contumaciale›› nella quale ultima, prudenza vorrebbe, indipendentemente dalla sussistenza del giustificato motivo di assenza dal procedimento, che il mediatore si astenesse dalla proposta in difetto della percezione di un qualsivoglia elemento che possa consentire di poggiare la stessa su solide basi. Diversamente la stessa potrebbe apparire una forzatura estrema se non una vera e propria aberrazione ([31]).

 

Il compito è delicato e l’attenzione al caso concreto e agli interessi in gioco dovranno guidarne lo svolgimento secondo i criteri dell’adeguatezza e della ragionevolezza.

 

 

 

([1]) Nel senso che la priorità della giurisdizione ‹‹costituisce un antico retaggio, che oggi mal si concilia con una realtà che si fonda essenzialmente sul principio di sussidiarietà, in base al quale l’intervento autoritativo giurisdizionale – che resta pur sempre possibile e costituzionalmente dovuto – deve essere considerato come l’ultima delle chance a disposizione, alla quale si deve ricorrere quando le altre non riescono allo scopo›› F.P. Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, p. 1201.

 

([2]) Si sottolinea, correttamente, che i mezzi alternativi di risoluzione delle controversie sono essenziali anche quando la giurisidizione statale offra un servizio di buon livello: R. Caponi, La conciliazione stragiudiziale come metodo di ADR (‹‹Alternative Dispute Resolution››), in Foro it., 2003, V, c. 172; G. Canale, Il decreto legislativo in materia di mediazione, in Riv. dir. proc., 2010, p. 617.

 

([3]) Per una utile ricognizione dei riferimenti normativi internazionali, comunitari e nazionali cfr. M. Julini, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Forlì, 2010, p. 1 ss.

 

([4]) Non mancano opzioni favorevoli, nella prospettiva di maggiore efficienza del sistema giustizia, a forme di arbitrato obbligatorio: P. Perlingieri, Arbitrato e costituzione, Napoli, 2002, p. 39, il quale, in posizione critica rispetto alle pronunce della Corte Costituzionale sull’illegittimità dell’arbitrato obbligatorio (Corte cost., 21 aprile 2000, n. 115, in Riv. arb., 2000, p. 275 ss.; Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 221, in Giur. Cost., 2005, p. 1923), ritiene che la formula non sia incompatibile con la disciplina costituzionale potendo anche l’arbitrato strutturarsi in maniera tale da assicurare la realizzazione dei valori di fondo sui quali è costruito il patto costituzionale e cioè il rispetto della persona e i diritti alla giustizia e al giusto processo.

 

([5]) A. Proto Pisani, Appunti su mediazione e conciliazione, in Foro it., 2010, V, 142. Sul diritto mite G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Torino 1992.

 

([6]) Ad es. U. Carnevali, La nuova mediazione civile, in Contratti, 2010, 437. Detta possibilità è anche caratteristica della transazione: in tal senso, Cass., 9 luglio 2003, n. 10794, in Dir. fam., 2004, p. 81.

 

([7]) In questo senso, espressamente, la relazione illustrativa al d.lg. n. 28 del 2010, sub art. 1.

 

([8]) C. Vaccà, in C. Vaccà e M. Martello, La mediazione delle controversie, Milanofiori Assago, 2010, p. 110.

 

([9]) F.P. Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, cit., p. 1201.

 

([10]) F.P. Luiso, op. loc. cit.

 

([11]) Non manca chi ritiene che il mediatore, motivando, possa astenersi dalla formulazione della proposta anche in caso di richiesta congiunta delle parti quando non emergano informazioni rilevanti: in questo senso A. Santi, in C. Covata, M. Di Rocco, C. Marucci, G. Minelli, A. Santi e P. Tarricone, La mediazione per la composizione delle controversie civili e commerciali, a cura di M. Bove, Padova, 2011, p. 280.

 

([12]) Fortemente critico in ordine a tale possibilità M. Fabiani, Profili critici del rapporto fra mediazione e processo, in Società, 2010, p. 1147, nota 30, il quale osserva : ‹‹quando si tratta di giudicare si può fare a meno della parte che non ha voluto difendersi, ma quando si tratta di mediare non vedo come questa attività si possa svolgere con una sola parte››.

 

([13]) V. l’art. 11, comma 4.

 

([14]) M. Bove, in C. Covata, M. Di Rocco, C. Marucci, G. Minelli, A. Santi e P. Tarricone, La mediazione, cit., p. 21.

 

([15]) Relazione illustrativa, sub art. 11. Sul carattere ‹‹severo›› delle conseguenze, v. la medesima Relazione, sub art. 13. Nel senso che l’art. 13 sia ‹‹rivelatore della linea guida che regge tutto il collegamento mediazione-processo in caso di insuccesso della prima›› v. L. Zanuttigh, Mediazione e processo civile, in Contratti, 2011, p. 205.

 

([16]) F. Delfini, La mediazione per la conciliazione delle controversie civili e il ruolo dell’avvocatura, in Riv. dir. priv., 2010, 131 ss. Nel senso che nella sua formula ‹‹aggiudicativa›› la mediazione implichi  l’affidamento al terzo di un ‹‹di un `giudizio' […] sulle ragioni delle parti››, V. Cuffaro, Spontaneità della conciliazione e obbligatorietà della mediazione, in Corr. mer., 2011, p. 5.

 

([17]) F. Delfini, op. loc. cit. Nel senso che il mediatore in tal caso debba formulare una proposta di decisione della controversia G. Monteleone, La mediazione forzata, in www.judicium.it. Secondo L. Boggio, in P.A. Amerio, E.M. Appiano, L. Boggio, D. Comba, G. Saffirio, La mediazione nelle liti civili e commerciali. Metodo e regole, Milano, 2011, p. 281, un obbligo in tal senso potrebbe configurarsi solo quando il mediatore sia tenuto a fare la proposta perché richiesto dalle parti o dal regolamento dell’organismo e non abbia potuto acquisire elementi idonei che gli suggeriscano l’utilizzo di criteri diversi, né alcunché sia specificato nel regolamento o stabilito dalle parti.

 

([18]) F. Delfini, op. loc. cit.

 

([19]) M.M. Andreoni, sub art. 11, in A. Castagnola e F. Delfini, La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Padova, 2010, p. 177.

 

([20]) L. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. dir. proc., 2010, p. 579.

 

([21]) Ad es. C. Vaccà, in C. Vaccà e M. Martello, La mediazione delle controversie, cit., 110; M. Fabiani, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, cit. 1148.

 

([22]) F. Cuomo Ulloa, Lo schema di decreto legislativo in materia di mediazione e conciliazione, in Contratti, 2010, p. 212.

 

([23]) Prezioso in tal senso il suggerimento di M. Fabiani, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, cit., 1143.

 

([24]) Sulla essenziale rilevanza della qualità della proposta, nella prospettiva della sua idoneità a riavviare il dialogo interrottosi tra le parti, ad onta delle tendenza a ridurla ad una ‹‹mini sentenza››, C. Vaccà, in C. Vaccà e M. Martello, La mediazione delle controversie, cit., p. 111.

 

([25]) La constatazione è abbastanza diffusa. Ad es. U. Carnevali, La nuova mediazione civile, cit., p. 437.

 

([26]) F. Delfini, La mediazione, cit., p. 131.

 

([27]) Cass., 6 febbraio 1987, n. 1209, in Arch. civ., 1987, p. 489.

 

([28]) Sul punto sia consentito il rinvio a E. Capobianco, Il contratto. Dal testo alla regola, Milano, 2006, p. 56 ss.

 

([29]) Il riferimento frettoloso del legislatore alle norme imperative e all’ordine pubblico trascura invece quello al buon costume e alla meritevolezza di cui all’art 1322, comma 2, c.c. che ad ogni buon conto debbono ritenersi implicitamente inclusi nel richiamo, salvo a voler – diversamente opinando – consentire che con la mediazione si possano realizzare accordi che per diversa via sarebbero vietati.

 

([30]) Sicché l’esercente attività di mediazione professionale dovrebbe considerarsi, nella prospettiva qui criticata, alla stregua di un professionista incaricato della formulazione di un parere pro veritate, col conseguente rigore che in tal caso la giurisprudenza ricollega all’eventuale inadempienza, giungendo a configurare una obbligazione pressoché di risultato: così Cass., 14 novembre 2002, n. 16023, in Danno resp., 2003, p. 256, con nota di A. Fabrizio-Salvatore, L’avvocato e la responsabilità da parere.

 

([31]) In questi termini A. Santi, in C. Covata, M. Di Rocco, C. Marucci, G. Minelli, A. Santi e P. Tarricone, La mediazione, cit., p. 282.

 

 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici