La produzione alimentare è
rappresentata dall’influenza reciproca di quattro
attività, ovvero l’attività primaria, come l’agricoltura
e l’allevamento, da cui prendono origine le materie
prime; l’attività industriale la quale assiste la
produzione della materia prima; l’attività rappresentata
dai processi di trasformazione e trattamento e, infine,
quella della distribuzione ed erogazione[1].
Il rischio per la salute dei
consumatori deriva dall’ “adulterazione”, che si
sostanzia nella modifica della composizione analitica
del prodotto, quale il c.d. annacquamento, dalla
“sofisticazione”, cioè l’aggiunta di sostanze estranee
all’alimento, come ad esempio l’aggiunta di metanolo nel
vino, nonché dalla “contraffazione” che si concreta
nella sostituzione di una sostanza alimentare con
un’altra, con conseguente inganno del consumatore.
Altri rischi per la salute derivano
dall’utilizzo di materie o additivi di tipo scadente,
oppure dalla mancata osservanza delle norme
igienico-sanitarie che regolano i processi produttivi.
Nell’ordinamento giuridico italiano
esiste una serie di norme, di rango nazionale e
comunitario, le quali sono poste a tutela degli
interessi collettivi in materia di salubrità alimentare,
assicurando i consumatori contro frodi e pericoli e,
quindi, ponendo l’attenzione sulla produzione e gli
scambi delle sostanze alimentari, sulla genuinità dei
prodotti alimentari e sulla trasparenza della loro
composizione.
Si ricorda, infatti, la Legge n.
283 del 30 aprile 1962[2], in tema di produzione e
vendita degli alimenti in generale, il cui articolo 5,
in tema di divieti statuisce che:
“È vietato impiegare nella
preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere
per vendere o somministrare come mercede ai propri
dipendenti, o comunque distribuire per il consumo
sostanze alimentari:
a) private anche in parte dei
propri elementi nutritivi o mescolate a sostanze di
qualità inferiore o comunque trattate in modo da
variarne la composizione naturale, salvo quanto disposto
da leggi e regolamenti speciali;
b) in cattivo stato di
conservazione;
c) con cariche microbiche
superiori ai limiti che saranno stabiliti dal
regolamento di esecuzione o da ordinanze ministeriali;
d) insudiciate, invase da
parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive,
ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a
mascherare un preesistente stato di alterazione;
[e) adulterate, contraffatte o
non rispondenti per natura, sostanza o qualità alla
denominazione con cui sono designate o sono richieste];
[f) colorate artificialmente
quando la colorazione artificiale non sia autorizzata o,
nel caso che sia autorizzata, senza l’osservanza delle
norme prescritte e senza l’indicazione a caratteri
chiari e ben leggibili, della colorazione stessa][3];
Questa indicazione, se non
espressamente prescritta da norme speciali, potrà essere
omessa quando la colorazione è effettuata mediante
caramello, infuso di truciolo di quercia, enocianina od
altri colori naturali consentiti:
g) con aggiunta di additivi
chimici di qualsiasi natura non autorizzati con decreto
del Ministro per la sanità o, nel caso che siano stati
autorizzati, senza l’osservanza delle norme prescritte
per il loro impiego. I decreti di autorizzazione sono
soggetti a revisioni annuali;
h) che contengano residui di
prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle
piante e a difesa delle sostanze alimentari
immagazzinate, tossici per l’uomo. Il Ministro per la
sanità, con propria ordinanza, stabilisce per ciascun
prodotto, autorizzato all’impiego per tali scopi, i
limiti di tolleranza e l’intervallo per tali scopi, i
limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve
intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta e,
per le sostanze alimentari immagazzinate tra l’ultimo
trattamento e l’immissione al consumo”.
Si ricorda, inoltre, il Regolamento
comunitario n. 178 del 2002, in vigore dal 1° gennaio
2005, che disciplina la c.d. “rintracciabilità”, e più
precisamente la possibilità di ricostruire l’iter di un
prodotto alimentare dalla produzione alla
commercializzazione nella finalità di arrestare la
catena di produzione e distribuzione qualora si riveli
dannoso ovvero rischioso per la salute[4].
Un cenno merita il D.Lgs. del 6
novembre 2007, n. 193 [5], che attua la Direttiva
2004/41/CE, relativa ai controlli in materia di
sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti
comunitari nel medesimo settore.
Al di là della disciplina speciale
di iniziativa interna, ovvero adottata in attuazione di
direttive comunitarie, le fondamentali norme sui
prodotti alimentari sono contenute entro il corpo del
codice penale.
Tra gli articoli del codice penale,
si segnalano le fattispecie di inadempimento e di frode,
come quello dei contratti di pubbliche forniture, di cui
agli artt. 355 e 356 c.p., e quelle di comune pericolo
mediante frode, quali epidemia, avvelenamento,
adulterazione e contraffazione con conseguente
commercio.
Ad esempio, l’art. 444 c.p. punisce
molteplici condotte aventi a oggetto le sostanze
alimentari nocive, tutelando il bene giuridico della
salute pubblica.
Detto reato appartiene ai reati
c.d. a pericolo concreto, per la cui sussistenza occorre
che l’alimento manifesti concreta idoneità a porre in
pericolo la salute dei fruitori.
I delitti contro l’industria e il
commercio, disciplinati agli artt. 515-518 c.p.,
disciplinano frodi plurioffensive, distinguendo i
concetti di “fresco” e “surgelato” o “congelato” o
ancora “a lunga conservazione”, e ancora oltre, in
concorso di reati con fattispecie specifiche, destinate
a disciplinare l’etichettatura, la presentazione e la
produzione degli alimenti.
Il delitto di vendita di sostanze
alimentari non genuine enuclea un concetto giuridico il
quale si contrappone a quello di adulterazione o
contraffazione.
Il delitto di vendita di prodotti
industriali con segni mendaci, non è soltanto
applicabile in tema alimentare, bensì spesso risulta
richiamato in fattispecie di frodi, o tentate frodi, le
quali hanno per oggetto bevande ovvero alimenti[6].
Le norme che disciplinano i
controlli e le analisi sui prodotti alimentari risultano
connesse alle disposizioni di carattere sostanziale
presenti sul corpo del codice penale, nonché nella
disciplina speciale.
In particolare si segnala l’ormai
abrogato D.Lgs. n. 155 del 1997[7] il quale, attuando
due direttive comunitarie, ha disciplinato prescrizioni
igieniche per qualunque settore alimentare e per
qualsiasi prodotto, introducendo per tutte le imprese
alimentari le procedure di autocontrollo secondo il
metodo HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point),
nonché ha affidato agli organi istituzionali il compito
di vigilare che le aziende introducano sul mercato
prodotti sicuri per la salute degli utenti.
Siffatto sistema ha istituito anche
delle figure, tra le quali il responsabile del piano di
autocontrollo, il quale è stato identificato nel
titolare dell’industria, ovvero in un delegato preposto,
a cui è stato conferito il compito di assicurare che
l’operazione sia posta in essere in ossequio alle norme
di prassi igienica.
Inoltre, deve tenere a disposizione
dell’autorità competente informazioni e documentazione
sul funzionamento della procedura, ritirare dal
commercio gli articoli rischiosi per la salute dei
consumatori e di ciò informare l’autorità sanitaria,
adoperarsi affinché siano rispettate le prescrizioni in
tema di locali, strumenti, spostamenti e soggetti a
contatto con gli alimenti.
La normativa ha designato anche
organi deputati al controllo, quali il Ministero della
Salute, le Regioni e Province autonome, le ASL e i NAS,
per assicurare la conformità dei prodotti alle norme,
difendere gli interessi dei consumatori e garantire gli
scambi commerciali.
I dirigenti medici dei dipartimenti
di prevenzione delle ASL sono stati incaricati di
svolgere ispezioni a verifica della documentazione,
delle procedure di sanificazione, delle modalità di
smaltimento dei rifiuti, della idoneità dei locali e
delle strutture in conformità all’autorizzazione
concessa, dell’approvvigionamento d’acqua, del personale
e dei mezzi di trasporto.
In seguito è stata emanata la Legge
n. 526 del 1999 la quale ha disciplinato i controlli di
laboratorio.
(Altalex, maggio 2011. Articolo di
Laura Biarella, estratto dal capitolo I dell'eBook Le
frodi alimentari)
__________________
[1] Si veda A. Sorgato, “La tutela
della salute nella normativa su alimenti e bevande”, in
Ventiquattrore Avvocato, 4 settembre 2006, n. 9, 84,
nonché V. Pacileo, “Il diritto degli alimenti, profili
civili, penali e amministrativi”, Padova, 2003.
[2] Legge del 30 aprile 1962, n.
283, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 giugno
1962, n. 139, recante “Modifica degli artt. 242, 243,
247, 250 e 262 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie
approvato con R.D. 27 Luglio 1934, N. 1265, Disciplina
igienica della produzione e della vendita delle sostanze
alimentari e delle bevande”.
[3] La lettera e) è stata soppressa
dall’art. 3, L. 26 febbraio 1963, n. 441, la lettera f)
è stata soppressa dall’art. 57, L. 19 febbraio 1992, n.
142 a decorrere dal 1 luglio 1992.
[4] Un cenno merita anche la
normativa in tema di denominazione origine provenienza
(DOP), alla c.d. indicazione geografica protetta (IGP)
alla c.d. specialità tradizionale garantita (STG, che
garantisce che un prodotto sia fabbricato con criteri
comuni costanti: per esempio, la mozzarella, in cui non
va inclusa quella di bufala campana, che ha meritato il
marchio DOP). Il D.Lgs. 19 novembre 2004 ha esteso il
DOP al prodotto finito in cui sia stato impiegato un
alimento già beneficiato dal marchio (es.: tortellini al
prosciutto di Parma). Il sistema sanzionatorio è
piuttosto variegato e vi si contempla la chiusura
definitiva dello stabilimento o dell’esercizio, la
revoca della licenza, l’interdizione dalla professione 6
fino alla pubblicazione della sentenza.
[5] Si segnale l’articolo 2
“Autorità competenti”, il quale statuisce che “Ai fini
dell’applicazione dei Regolamenti (CE) 852/2004,
853/2004, 854/2004 e 882/2004, e successive
modificazioni, per le materie disciplinate dalla
normativa abrogata di cui all’art. 3, le Autorità
competenti sono il Ministero della salute, le regioni,
le province autonome di Trento e di Bolzano e le Aziende
unità sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive
competenze. Per le forniture destinate ai contingenti
delle Forze armate impiegati nelle missioni
internazionali, l’Autorita’ competente e’ il Ministero
della difesa, che si avvale delle strutture
tecnico-sanitarie istituite presso gli organi di
vigilanza militare, al cui personale, nello svolgimento
della specifica attività, sono conferite le relative
attribuzioni e le qualifiche di cui all’articolo 3 della
legge 20 aprile 1962, n. 283”. Siffatto comma, prima
modificato dall’art. 9, D.L. 25 settembre 2009, n. 135,
con decorrenza dal 26 settembre 2009, è stato, da
ultimo, così modificato dall’art. 5, D.L. 6 luglio 2010,
n. 102, con decorrenza dal 7 luglio 2010.
[6] D. Bellantoni, “Trattato di
diritto penale degli alimenti”, Padova, 1993.
[7] Decreto legislativo del 26
maggio 1997, n. 155, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 13 giugno 1997, n. 136 S.O. n. 118, recante
“Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE
concernenti l’igiene dei prodotti alimentari”, abrogato
dall’art. 3 del D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193. Tutte le
disposizioni di cui alle direttive recepite col D.Lgs.
n. 193 del 2007 sono da riferirsi a quelle
corrispondenti di cui ai Regolamenti comunitari n.
853/2004 e 854/2004, e al D.Lgs. 27 maggio 2005, n. 117,
in virtù dell’art. 5, D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193. |