ovvero dell’inveramento e diretta
applicazione nell’ambito amministrativistico dell’art.
27 Cost. sulla personalità della responsabilità -
(Giudice di Pace di Portogruaro, 10.12.2010, sentenza n.
867/10, Giudice dott. F. G. Barbarossa).
“Nei giudizi disciplinati dalla
legge 689/81 il giudice ordinario risulta esser
investito di amplissimi poteri, sconosciuti agli altri
giudici ordinari, in relazione agli atti amministrativi:
è suo potere sia la disapplicazione del provvedimento a
seguito di violazione della norma sia il poterne
sindacare sotto ogni profilo la legittimità , con il
solo limite invalicabile della valutazione concernente
il merito amministrativo ovverosia la discrezionalità
dell’azione della pubblica autorità”. In quest’ottica,
“la sospensione cautelare della patente di guida deve
esser vista come misura preventiva ed antecedente
l’accertamento dei fatti; in virtù della natura
cautelare dell’atto, e quindi del fatto che lo stesso
non ha né deve avere in alcun modo natura afflittiva
preventiva, essendo quest’ultimo aspetto confinato
all’esame del giudice penale, risulta basilare
verificare la sussistenza di fondati elementi di una
evidente responsabilità del cittadino nel violare la
legge.” Questo il principio affermato, in via di sintesi
e di rielaborazione della giurisprudenza formatasi in
materia, dal Giudice di Portogruaro dott. F. Barbarossa
nella sentenza n. 867/10 depositata il 10.12.2010,
decidendo in relazione a un ricorso proposto da un
automobilista che aveva dedotto in giudizio la
illegittimità di un’ordinanza adottata dall’Ufficio
Territoriale del Governo di Venezia di sospensione della
patente per presunta guida in stato di ebbrezza in
conseguenza dell’assunzione di sostanza alcolica.Secondo
il Giudice di Pace di Portogruaro, in subiecta materia
si “impone quindi un severo controllo del Giudicante
volto ad appurare la concreta ed oggettiva sussistenza
delle condizioni richieste dalla legge (Cass., 23
ottobre 2003, n. 15906), pena la possibilità di punire
due volte la persona per medesimo fatto, anche se le
sanzioni siano formalmente e nominativamente distinte e
differenti”. L’assunto prospettato dal Giudice di Pace
—in termini di configurazione di una sostanziale natura
punitiva della misura amministrativa della sospensione
della partente di guida quale sanzione amministrativa
accessoria di sanzioni penali ex art. 223 C.d.S.—
rappresenta la prima pronuncia italiana che risulti
pubblicata nella quale si legge un esplicito riferimento
di conformità alla sentenza della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, Sez. V, 14.01.2010, n. 2376 secondo
cui “Il principio del “ne bis in idem”, in virtù del
quale nessuno può esser punito due volte per gli stessi
fatti, trova applicazione anche al cumulo di sanzioni
penali e amministrative, qualora queste ultime, a
dispetto della loro qualificazione formale, siano
sostanzialmente identificabili, in ragione della natura
della violazione e della gravità degli effetti, come
sanzioni penali”. Il richiamo al precedente comunitario
si pone, nello sviluppo motivazionale della sentenza
867/2010 in termini di condizione inferente la necessità
“di prestare l’acribia del caso a fini zetetici onde non
incappare nella eventualità di sanzionare due volte il
Cittadino per medesimo fatto”.
Nella sentenza, il Giudice di Pace
di Portogruaro ha compiuto un’approfondita analisi della
L. 24.11.1981 n. 689, che, “essendo legge di modifica al
sistema penale, indica in modo positivo i principi di
pretta derivazione penalistica a cui fa riferimento”.
Muovendo dall’esame dell’art. 1, enunciante il principio
di legalità, secondo cui «Nessuno può essere
assoggettato a sanzione amministrativa se non in forza
di una legge che sia entrata in vigore prima della
commissione della violazione. Le leggi che prevedono
sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e
per i tempi in esse considerati», il Giudice considera
la norma in termini di “estrinsecazione positiva in
campo prettamente applicativo-giuridico del principio
sancito dagli articolo 23 e 25 della Costituzione”. Il
quadro costituzionale di riferimento viene completato
con il richiamo all’art. 3 Cost., “ulteriore cardine,
caposaldo e principio fondamentale dell’intero impianto
normativo positivo” della L. 24.11.1981 n. 689. Nella
prospettiva enunciata dal Giudice di Pace, il disposto
seocndo cui «Nelle violazioni cui è applicabile una
sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della
propria azione od omissione, cosciente e volontaria ,
sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione
è commessa per errore sul fatto, l’agente non è
responsabile quando l’errore non è determinato da sua
colpa» rappresenta “l’ingresso, nell’ambito del tessuto
normativo della legge 689/81, dei principi fondamentali
del diritto penale italiano a cui questo giudicante deve
conformarsi al fine di evitare palesi errori: in primis
la personalità della responsabilità in ambito
penalistico che così viene insufflata nell’ambito
amministrativistico: ovverosia l’inveramento e diretta
applicazione dell’articolo 27 della Costituzione”.
“Oltre ai fondanti principi costituzionali in ambito di
responsabilità penale —si legge nella sentenza in
commento— l’art. 3 L. 689/1981 introietta e fa propri i
principi previsti dagli articoli 42, 43 e 47 del codice
penale”, con l’effetto di poter considerare la L.
689/1981 “complementare a tutto l’impianto penalistico
positivo italiano, con il fine precipuo di addivenire ad
una ridefinizione della sanzione che deve esser irrogata
in sostituzione della pena prevista e disciplinata dal
codice penale. A tal fine l’impianto positivo della
citata legge prevede una snella procedura racchiusa
negli articoli 22, 22-bis e 23, che forniscono al
magistrato ampi poteri in merito alla disciplina del
procedimento”.
In termini applicativi dei principi
affermati in via di premessa normativa e
giurisprudenziale, con riferimento al proposto ricorso
il Giudice veneziano ha valorizzato la propria
competenza a decidere nel merito “in quanto chiamato a
vagliare la legittimità della sanzione amministrativa,
potendo conoscere dell’eventuale inesistenza dei fatti
contestati per poter valutare la sussistenza dei
presupposti di legittimità dell’azione amministrativa”.
“Il provvedimento provvisorio di sospensione cautelare
della patente —si legge nella sentenza—, in quanto atto
preventivo ed antecedente ad una giudizio penale che
disponga la applicazione della sanzione accessoria della
sospensione della patente da parte del giudice penale,
oltre ad esser in sé allelomorfo del provvedimento
penalistico, ha una sua autonomia sul piano della
finalità poiché suo obbiettivo non deve esser la
sanzione per la violazione di una norma, bensì
l’adozione di misura volta ad evitare la possibile
reiterazione della condotta con conseguente pericolo ad
essa connesso. Di conseguenza, la valutazione della
esistenza dei presupposti per l’adozione della
sospensione cautelare deve esser operata in modo
autonomo e distinto rispetto alla valutazione
penalistica, soggiacendo all’indagine e vaglio tipico
del campo amministrativistico”. “L’impianto normativo
oggi vigente —prosegue il Giudice della Città del
Lemene— vede la funzione cautelare di sospensione del
titolo abilitante alla guida come prima misura
afflittiva a cui è sottoposto il Cittadino. Tale gravoso
ed impegnativo compito, la valutazione della legittimità
del provvedimento di sospensione, impelle questo
Giudicante a esaminare con debito scrupolo le risultanze
tutte al fine di evitare grossolani e palesi errori”. In
termini di ricostruzione dell’evoluzione normativa che
ha caratterizzato la materia, “in precedenza il Giudice
di Pace risultava esser competente sia per
l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza
sia per l’accertamento della legittimità della
sospensione cautelare della patente. La riforma del
codice della strada conferì, dopo una serie di riforme
legislative, non senza un’onerosa problematica euristica
e per la competenza a giudicare e per il rito da seguire
e per la sanzione da applicare, competenza al Tribunale
in relazione all’accertamento dei fatti in ambito
penalistico con conseguente irrogazione, in caso di
colpevolezza, della sanzione accessoria della
sospensione della patente, lasciando invece competente
il Giudice di Pace in relazione all’accertamento della
legittimità della azione amministrativa in ambito di
sospensione cautelare del titolo di abilitazione ala
guida. Suddette agemine normative —osserva il Giudice
portogruarese— comportarono una discrasia notevole nella
scansione temporale dei due procedimenti, quello penale,
di competenza del Tribunale, e quello
amministrativistico, di competenza del Giudice di Pace.
Tale divario si è assai ampliato alla luce della
recentissima riforma del codice della strada che, nella
nuova formulazione dell’articolo 204 bis del codice
della strada, impone tassativamente al Giudice di Pace
di fissare, entro venti giorni dal deposito del ricorso,
la data di fissazione di udienza di comparizione in caso
di richiesta di sospensione del provvedimento impugnato.
E’ quindi pacifico —conclude il Giudice di Pace— che, in
un lasso di tempo brevissimo, il primo Giudicante in
relazione alla complessa fattispecie risulta esser il
Giudice di Pace il quale, di solito, viene così
investito in prima battuta di gran parte delle
problematiche afferenti il caso”.
In relazione al caso sottoposto
all’esame del Giudice, “il vaglio a cui fu sottoposta la
ordinanza prefettizia oggetto del presente procedimento
appalesò uno iato esiziale rilevato dalla difesa
dell’odierno ricorrente”. Atto prodromico dell’atto
amministrativo di sospensione cautelare della patente
risulta essere la comunicazione n°2079/211 del 31/V/2010
della Polizia Stradale di Palmanova, sulla base della
quale il ricorrente sarebbe risultato in evidente stato
di ebbrezza alcolica, come accertato da misurazioni
strumentali «per aver il suddetto, il giorno 29/V/2010,
in località Portogruaro VE, guidato in evidente stato di
ebbrezza alcolica, come da certificazione delle
misurazioni strumentali/referto medico agli atti, da cui
è risultato un tasso superiore a 1,5 g/l»(così l’
ordinanza prefettizia impugnata). Il Giudice osserva che
l’ordinanza prefettizia “pone come elemento fondante la
esistenza di risultati di misurazioni strumentali,
oggettivi, non indicando la presenza di altri sintomi
quali quelli legati all’analisi comportamentale ed
organolettica del ricorrente, e ritenendo così esaustivo
e sufficiente il dato degli esami effettuati”. Ora, “in
base all’articolo 379 del regolamento di attuazione del
codice della strada, le misurazioni effettuate sull’aria
alveolare devono esser almeno due ad intervallo di
cinque minuti minimo l’una dall’altra. Nel caso di
specie, l’istruzione probatoria potè appurare che è
assente la seconda prova positiva, prevista dal
regolamento di attuazione del codice della strada”.
Infatti, “sorvolando sul fatto —sottolinea il Giudice
veneziano— che non fu correttamente indicato in quella
che pare esser una formula standard se si tratti di
accertamento con etilometro ovvero di visita medica, si
osserva come i dati riportati si riferiscano a due esami
con alcoltest di cui uno effettuato con volume
insufficiente di aria , come provato dallo scontrino
dell’esame n° 320 effettuato alle ore 03:17, presenti in
atti. Il dato dell’esame n°320 viene riportato in modo
anodino nell’ordinanza prefettizia, tralasciando di
valutare il fatto che la stessa macchina riporta il dato
di “ volume insufficiente”. Come riportato dal
ricorrente nel ricorso, al punto 1.12 del ricorso, la
assenza di suddetto secondo scontrino inficia tutto
l’accertamento, in quanto non vi è prova documentale del
fatto che il ricorrente fu sottoposto a corretto esame
con alcoltest, e neppure attraverso il più completo ed
accurato esame presso nosocomio abilitato”. Per
l’effetto, l’ordinanza prefettizia “indica come dato
acclarato e certo lo stato di ebbrezza solo sulla base
dei risultati dell’’alcoltest, risultati non corretti in
quanto non sussumibili all’interno della corretta
procedura indicata dal regolamento di attuazione del
codice della strada. L’analisi dei presupposti, che
dovevano esser cardine del procedimento amministrativo
de quo, non fa emergere la sussistenza degli stessi,
dati indispensabili per l’emanazione della ordinanza
oggetto dell’odierna impugnazione. Alla luce della
svolta istruttoria e della documentazione presente in
atti, la motivazione adottata dall’ufficio territoriale
del governo di Venezia per la sospensione della patente
non fornisce alcun dato od elemento di fatto che
giustifichi tale sospensione per esigenze cautelari. Si
osserva infatti che, al momento dell’adozione del
provvedimento, come sopra illustrato, non sussistevano i
dati per procedere alla sospensione della patente, in
quanto l’accertamento risulta esser viziato da
illegittimità per violazione di legge, nello specifico
violazione dell’articolo 379 del regolamento di
attuazione del codice della strada. Tale illegittimità
dell’atto prodromico travolge i successivi atti ad esso
seguenti ed ontologicamente legati, come nel caso della
ordinanza impugnata dall’odierno ricorrente”.
La conclusione cui perviene il
Giudice investito del gravame è di ritenere “anche e
solo per questo motivo la illegittimità dell’ordinanza
dell’ufficio territoriale del governo di Venezia di
sospensione cautelare del titolo di abilitazione alla
guida dell’odierno ricorrente. Di conseguenza, risulta
provato anche il secondo motivo di doglianza lamentato
dall’odierno ricorrente, l’eccesso di potere, anche
questo motivo di per sé solo sufficiente a sancire la
illegittimità della ordinanza, in quanto si operò una
erronea valutazione dei fatti. Ulteriore motivo dedotto
dal ricorrente, di per sé solo sufficiente ad annullare
il provvedimento, risulta esser il difetto e
l’insufficienza di motivazione dell’atto impugnato. Si
osserva, infatti, che la stringata motivazione della
ordinanza prefettizia non indica i presupposti di fatto
previsti dall’articolo 3 della legge 241/90. Tale
erronea motivazione deve esser valutata lacunosa, ai
fini del presente procedimento, e comporta la violazione
di legge, nello specifico violazione dell’articolo 3
della legge 241/90: si osserva, infatti, che unico
presupposto di fatto nella motivazione dell’atto è il
presunto accertamento effettuato o con macchinari o da
visita medica”.
In ultima analisi, “in assenza di
altri presupposti di fatto, quale potevano esser gli
effetti sintomatici della presunta assunzione di alcol,
l’unico dato oggettivo è quello del dato dello scontrino
n° 320, dato che non risulta esser attendibile e che
annulla tutto il procedimento”. Conseguentemente, per i
motivi esposti “ognuno in sé sufficiente”, “non
sussistendo i presupposti per una sanzione cautelare”,
in accoglimento del ricorso proposto dall’automobilista
il Giudice di Pace di Portogruaro ha annullato
l’ordinanza prefettizia impugnata. |