Avv. Paolo Gatto
Nell'ultimo decennio la figura del
condominio è stata completamente ridisegnata dalle
pronunce della Cassazione tanto che il progetto della
nuova legge legge se, da un lato, durante il suo lungo
percorso, ha cercato di acquisire spunti da alcuni dei
nuovi indirizzi giurisprudenziali, dall'altro non è
riuscito a cogliere quegli interventi che hanno inciso
sullo stesso fondamento giuridico del condominio
(soprattutto in relazione ai millesimi ed alle
obbligazioni) e che hanno determinato un sostanziale
anacronismo della stessa futura legge in relazione alla
figura di condominio delineata oggi dalla
giurisprudenza.
Un'ultima fattispecie rilevante
riguarda la Sentenza n. 8092 del 08/04/2011, che ricalca
il filone relativo alla differenziazione tra gli
istituti della comunione e del condominio che sta alla
base delle decisioni in materia di super-condominio e di
quelle sul condominio minimo sfociate nella SS. UU.
Sent. n. 1046 del 31/01/2006.
Secondo l'indirizzo, ormai
uniforme, della Cassazione, la differenza sostanziale
tra comunione e condominio è da rinvenirsi nel legame
funzionale e di materia che lega le parti comuni alle
proprietà esclusive e che determina, nel condominio,
l'illiceità della divisione a differenza di quanto
avviene nella comunione ove vige, al contrario,
l'obbligo di divisione atteso che la comunione si
atteggia quale regime transitorio, ove ogni partecipante
può chiederne, in ogni momento, lo scioglimento.
In particolare, la Cassazione ha
evidenziato, soprattutto al riguardo delle ipotesi di
super-condominio, come la normativa condominiale si
applichi alle situazioni strutturali di accessorietà (ad
esempio strade, impianti fognari, impianti termici,
comuni a diversi stabili) e non si applichi ai beni
suscettibili di godimento soggettivo diretto svincolato
da ogni apparenza di destinazione collegata alle unità
immobiliari (quali piscine, campi da tennis) ove si fa
riferimento alle regole relative alla comunione
semplice.
Nel caso esaminato dalla sentenza
n. 8092 del 08/04/2011, a seguito di modifica
dell'immobile del portiere ad autorimessa, da parte di
un'assemblea, un condomino se ne era aggiudicato
l'acquisto ma, successivamente, una parte di condomini
aveva rifiutato il trasferimento della propria quota. I
Giudici di merito, nella specie, avevano escluso che il
condomino potesse, validamente, richiedere il
trasferimento di singole quote di alcuni degli altri
condomini, essendo necessario il trasferimento
dell'intero bene a seguito di unanime decisione di tutti
i comproprietari.
La S.C. ha cassato, invece, la
decisione sul presupposto che, una volta cessato il
collegamento funzionale tra unità immobiliari ed
immobile condominiale (già portineria) trasformato in
autorimessa, verrebbe meno la condominialità e,
pertanto, l'indivisibilità del bene, vertendosi in
materia di comunione e, di conseguenza, di piena
commerciabilità anche di singole quote. La sentenza.,
peraltro, non tratta la questione relativa alla
circostanza se sia possibile, attraverso una delibera
assembleare, modificare radicalmente la destinazione di
una parte comune tanto da incidere sulla sua natura
condominiale (fattispecie, invece, riconosciuta dal
disegno di legge oggi alla Camera) ma la trattazione non
è avvenuta in ragione del carattere del giudizio di
Cassazione, che può intervenire solo su capi dibattuti
in sede di merito ed espressamente impugnati in sede di
legittimità.
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