di Brunella Biancaniello
Davvero interessanti i principi che
emergono dalla pronuncia della Corte di Giustizia
europea che nega la possibilità ad una legge nazionale
di prevedere una proroga con effetto retroattivo dei
termini per il rimborso delle eccedenze dell'IVA - se
ciò restringe il diritto del contribuente alla
corresponsione degli interessi. Come prima conseguenza
di tale asserzione si ha che il rimborso dell'IVA può
essere assolto compensando i debiti erariali del
contribuente, sempre che non vi sia pregiudizio del
diritto di contestazione dei debiti. Non è ammesso,
invece, secondo gli eurogiudici, il differimento della
decorrenza della maturazione degli interessi spettanti
al creditore.
Non è ammissibile la retroattività
di una norma che limita il diritto del contribuente alla
corresponsione degli interessi di mora sul proprio
credito di imposta. Una siffatta normativa viene a
violare l’art. 183 della direttiva IVA (direttiva n.
2006/112/CE) e s.m. e la tutela del legittimo
affidamento. Lo hanno affermato i giudici della Terza
Sezione della Corte UE, con la recente sentenza nella
causa C-107/10, avente ad oggetto la domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale
Amministrativo di Sofia (Bulgaria).
Fatto
La domanda di pronuncia
pregiudiziale rivolta alla Corte UE dal Tribunale
bulgaro verte sull’interpretazione dell’art. 18, n. 4,
della direttiva n.77/388/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri
relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema
comune di IVA (c.d. “sesta direttiva”), nonché dell’art.
183, comma 1, della direttiva del n. 2006/112/CE
(direttiva IVA).
Tale domanda è stata proposta
nell’ambito di una controversia tra la Enel Maritsa
Iztok 3 AD ed il direttore dell’ufficio «Ricorsi e
gestione dell’esecuzione» presso l’amministrazione
centrale dell’Agenzia nazionale di riscossione delle
entrate, in merito all’individuazione del dies a quo di
decorrenza degli interessi di mora dovuti su un importo
afferente l’IVA.
L’11 ottobre 2007 l’Enel presentava
una dichiarazione fiscale da cui risultava un credito di
imposta nei confronti dell’amministrazione finanziaria
bulgara.
Il credito derivava dal fatto che
l’importo delle detrazioni superava quello dell’IVA
dovuta per il periodo di imposizione considerato e la
società non era riuscita ad operare le detrazioni nei
periodi impositivi successivi.
Il termine, previsto dalla
normativa bulgara, per procedere a tale rimborso (45
giorni) sarebbe scaduto il 26 novembre 2007 con
l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di
corrispondere gli interessi di mora da tale data ma, in
data 8 novembre 2007, veniva notificata all’Enel una
disposizione di verifica fiscale, a seguito della quale
veniva emanato un avviso di rettifica, che nulla diceva
in ordine alla corresponsione degli interessi di mora.
Avverso l’avviso di rettifica
l’Enel proponeva ricorso, in via amministrativa prima e
in via giurisdizionale poi dinanzi al Tribunale
amministrativo di Sofia chiedendo, in particolare, la
corresponsione degli interessi di mora relativi
all’importo del credito di imposta IVA a decorrere dal
27 novembre 2007 sino alla data del saldo effettivo
dell’intera somma.
Il giudice ha deciso di sospendere
il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
1.se l’art. 183 della direttiva
IVA, nel combinato disposto con il principio di tutela
del legittimo affidamento, debba essere interpretato nel
senso che osti ad una normativa nazionale che preveda,
con effetto retroattivo, la proroga dei termini per il
rimborso di eccedenza dell’IVA;
2.se lo stesso art. 183 osta con la
normativa nazionale che prevede un termine di 45 giorni
ai fini del rimborso delle eccedenze dell’IVA, scaduti i
quali iniziano a maturare gli interessi di mora
sull’importo da rimborsare, prevedendo peraltro che tale
termine venga prorogato, in caso di avvio di un
procedimento di verifica fiscale;
3.se l’art. 183 della direttiva IVA
osti a che il rimborso dell’eccedenza dell’IVA venga
effettuato mediante compensazione.
Decisione
Come si è già accennato, la Corte
UE ha risolto la prima questione rispondendo no alla
proroga retroattiva dei termini per il rimborso di
eccedenza dell’IVA, ritenendo che una siffatta normativa
nazionale contrasti con le citate disposizioni
comunitarie nella misura in cui privi il soggetto
interessato del diritto di pretendere la corresponsione
di interessi di mora sul proprio credito di imposta.
Ulteriormente, la Corte UE ha
risolto la seconda questione dichiarando che l’art. 183
della direttiva IVA, alla luce del principio di
neutralità fiscale, osta ad una normativa nazionale,
secondo cui i normali termini di rimborso dell’eccedenza
dell’IVA, alla scadenza dei quali sono dovuti interessi
di mora sulla somma da rimborsare, sono prorogati in
caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale,
ove tale proroga produca l’effetto che gli interessi
medesimi siano dovuti unicamente a decorrere dalla data
di conclusione di detto procedimento, laddove tale
eccedenza abbia già costituito oggetto di riporto nei
tre periodi di imposizione successivi a quello in cui
l’eccedenza è sorta.
Per contro, il fatto che tale
termine sia di regola fissato in 45 giorni non risulta
in contrasto con l’art. 183 della direttiva IVA.
La terza questione (in realtà, si
trattava di due questioni che sono state esaminate
congiuntamente) è quella relativa alla compensazione. I
giudici della Terza sezione hanno innanzitutto rilevato
che la compensazione conduce alla liquidazione totale o
parziale delle due obbligazioni reciproche, consentendo
così allo Stato membro di assolvere il proprio obbligo
di rimborso.
Per quanto attiene alle modalità di
rimborso dell’eccedenza dell’IVA – osserva la Corte –
gli Stati membri dispongono di una certa libertà,
sempreché il rimborso venga effettuato entro termini
ragionevoli mediante versamento in contanti o sotto
forma equivalente e senza che il soggetto passivo debba
incorrere in alcun rischio finanziario.
Tale principio è stato confermato
da una costante giurisprudenza comunitaria, laddove è
stato precisato che pur riconoscendo libertà di manovra
agli Stati nello stabilire le modalità di rimborso
dell’eccedenza di IVA, “dette modalità non devono ledere
il principio della neutralità fiscale, gravando il
soggetto passivo, in tutto o in parte, del peso di tale
imposta.
Modalità del genere devono
segnatamente consentire al soggetto passivo di
recuperare, in condizioni adeguate, la totalità del
credito risultante da detta eccedenza di IVA, il che
implica che il rimborso sia effettuato, entro un termine
ragionevole, mediante pagamento in denaro liquido o con
modalità equivalenti, e che, in ogni caso, il sistema di
rimborso adottato non deve far correre alcun rischio
finanziario al soggetto passivo” (v. sentenze 25 ottobre
2001, causa C-78/00, Commissione/Italia, punti 32-34, e
10 luglio 2008, causa C-25/07, Sosnowska, punto 17).
Alla luce di tali principi, la
Corte ha ritenuto che non vi sia alcuna ragione che
osti, in linea generale, a che il rimborso
dell’eccedenza dell’IVA venga effettuato tramite
compensazione, ove tale strumento conduce alla
liquidazione immediata del credito del soggetto passivo
senza che quest’ultimo risulti esposto a rischi
finanziari.
Tale ragionamento vale anche nel
caso in cui il credito dello Stato membro interessato
venga contestato dal soggetto passivo, sempreché, come
sottolineato dalla Commissione europea, il soggetto
passivo non venga privato degli strumenti di ricorso
giurisdizionale effettivi per far valere le proprie tesi
nei confronti dei crediti utilizzati dallo Stato ai fini
della compensazione.
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