di
Marco Filippeschi
(Sindaco di Pisa, Presidente del
Consiglio delle Autonomie Locali della
Toscana, Presidente nazionale di
Legautonomie)
e
Germano Scarafiocca
(Avvocato in Pisa)
25 maggio 2011
SOMMARIO: 1. Il quadro
costituzionale e l’origine dell’istituto – 2.
L’esperienza dei nuovi
statuti. Un punto ed alcune
considerazioni provvisorie – 3. Per il rafforzamento
dell’identità
dei CAL. Alcune prospettive.
1. Il quadro costituzionale e
l’origine dell’istituto.
Siamo ormai prossimi al compimento
del termine di dieci anni di vigenza della legge
costituzionale n. 3/2001,
contenente la riforma del Titolo V, Parte II, della
Costituzione ed
entrata in vigore, in seguito a
referendum confermativo, l’8 novembre 2001.
Nel nuovo assetto costituzionale
del “sistema regionale delle autonomie locali” si
inserisce il
Consiglio delle Autonomie Locali,
quale organo costituzionalmente necessario1, la cui
disciplina è rimessa all’autonomia
statutaria delle Regioni: “In ogni Regione, lo statuto
1 La definizione di “organo
costituzionalmente necessario”, già adottata dai
commentatori, è stata fatta propria
dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 370 del 14 novembre 2006.
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disciplina il Consiglio delle
autonomie locali, quale organo di consultazione fra la
Regione e
gli enti locali” (art. 123, comma
4, Cost.).2
La nozione di “sistema regionale
delle autonomie locali” sta ad indicare una
articolazione dei
rapporti tra regioni ed enti locali
già presente nella legislazione ordinaria, ancor prima
della
riforma costituzionale.
L’espressione era ed è tuttora contenuta nella rubrica
dell’art. 4 del
d.lgs. 267/00 (T.U.E.L.).
Quest’ultimo aveva fortemente attenuato, innanzitutto,
la portata del
modello centralistico di cui
all’art. 128 Cost. - per il quale l’ordinamento e la
determinazione
delle funzioni degli enti locali
erano riservati alla legge dello stato - prevedendo un
ampio
margine di intervento per il
legislatore regionale se non in materia di ordinamento,
sempre
riservato alla legge dello stato,
certamente in tema di distribuzione delle funzioni in
favore
degli enti locali.3
Il Testo Unico riprendeva delle
previsioni già contenute nella legge 142/904 e
soprattutto
recepiva le innovazioni apportate
dalla più radicale riforma amministrativa che potesse
darsi a
costituzione invariata, ovvero
(ossia) dalla prima legge Bassanini (l. 15 marzo 1997,
n. 59).
Era infatti previsto, con
l’espresso richiamo all’art. 4 della legge 59/97, che
tutte le funzioni
amministrative, con la sola
eccezione di quelle “che richiedono l’unitario esercizio
a livello
2 La natura sintetica di queste
note ci induce ad omettere la citazione dei contributi
scientifici che si sono avuti
sull’argomento. Segnaliamo soltanto
di seguito, senza alcuna pretesa di completezza, alcuni
riferimenti
bibliografici. L. BRUNORI, Il
Consiglio delle Autonomie Locali, in M. CARLI, G.
CARPANI, A. SINISCALCHI (a
cura di), I nuovi statuti delle
Regioni ordinarie, problemi e prospettive, Bologna,
2006, 249 e ss.; M. CARLI, Il
Consiglio delle Autonomie locali,
in astrid on line, 2005; M. COSULICH, La rappresentanza
degli enti locali.
Conferenza o Consiglio?, in Le
Istituzioni del Federalismo, 2001, 216 ss.; ID., Il
Consiglio delle Autonomie
come strumento di raccordo fra
Regione ed enti locali: un possibile modello?” in
www.amministrazioneincammino.it,
2009; A. CHELLINI, Il Consiglio delle autonomie locali
nel dibattito
nazionale e nell’esperienza della
Regione Toscana, in Le Regioni, 2001, 587 ss.; T.
GROPPI, Un nuovo organo
regionale costituzionalmente
necessario, il Consiglio delle Autonomie Locali, in Le
Istituzioni del Federalismo,
2001, 1067; G. GERVASIO, Il
Consiglio delle Autonomie locali nella programmazione
regionale; in Le Istituzioni
del Federalismo, 2004, 606 ss.; C.
MARZUOLI, Attuazione del Titolo V e Consiglio delle
Autonomie Locali, in Il
nuovo Codice delle Autonomie Locali
(esperienze a confronto), Atti del Convegno di Carrara
del 15 novembre
2007, nonché tutti i contributi di
tale Convegno, rinvenibili sul sito del Consiglio delle
Autonomie della
Toscana, www.consiglioautonomie.it;
F. MERLONI, I rapporti tra Regione ed enti locali nuovo
Statuto della
Regione Emilia Romagna, in Le
Istituzioni del Federalismo, 2005, 95 ss.; G.U.
RESCIGNO, Consiglio delle
Autonomie Locali e Costituzione, in
Pol. Dir., 2003, 231 ss.
3 Richiamati gli artt. 117 e 118
Cost., nel testo previgente alla legge costituzionale n.
3/01, l’art.4, comma 1, del
d.lgs. 267/00, stabilisce che le
regioni, “ferme restando le funzioni che attengono ad
esigenze di carattere
unitario nei rispettivi territori,
organizzano l’esercizio delle funzioni amministrative a
livello locale attraverso i
comuni e le provincie”.
4 Si tratta, in particolare, delle
previsioni dell’art. 3 della l. 142/90, sul quale ebbe
modo di pronunciarsi la Corte
Costituzionale con una fondamentale
sentenza in cui si legge che “la legge n. 142 del 1990,
nel disciplinare
l'ordinamento delle autonomie
locali in una prospettiva di maggiore aderenza all'art.
5 della Costituzione ed
attuativa della IX disposizione
transitoria e finale di questa, tende ad un tempo a
dotare gli enti territoriali
infraregionali di più ampia
autonomia e ad assicurare un più organico raccordo
funzionale tra essi e le regioni,
nelle quali individua il centro
propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle
autonomie locali. Rimane
in tal modo superato il disegno
delle leggi comunali e provinciali come concepite
anteriormente all'ordinamento
regionale, succedutesi nel tempo e
rimaste fino ad ora pressoché immutate nel loro impianto
organico” (Corte
Cost., 15 luglio 1991, n. 343).
www.federalismi.it 3
regionale” fossero conferite agli
enti locali.5 Entrava per la prima volta a far parte
dell’ordinamento il principio di
sussidiarietà, insieme a quelli, che ne costituiscono il
corollario, di differenziazione,
adeguatezza, autonomia organizzativa e regolamentare
degli
enti locali e leale collaborazione
tra i diversi soggetti coinvolti. Principi questi che
verranno
poi definitivamente consacrati con
la riforma del Titolo V della Costituzione e che
costituiranno il terreno di
esercizio di quel difficile compito di risoluzione dei
conflitti di
competenza cui è stata
ripetutamente chiamata in questo decennio la Corte
Costituzionale.
La legge di riforma costituzionale
completa questo disegno attraverso due disposizioni
fondamentali: l’art. 114, che fonda
quella che viene ormai comunemente riconosciuta come la
“pari dignità istituzionale” di
Comuni, Provincie, Città Metropolitane, Regioni e Stato,
e l’art.
118, con il quale viene
costituzionalizzato il principio di sussidiarietà.
Quest’ultima disposizione, come è
noto, ha spezzato il parallelismo tra funzione
legislativa e
funzioni amministrative. Non si è
quindi più riprodotto il meccanismo per cui, essendo la
Regione titolare di competenze
legislative, ad essa spettava la titolarità della
maggior parte
delle funzioni amministrative. Si è
imposta viceversa una distribuzione di tali funzioni dal
basso verso l’alto, individuando
nel Comune il loro principale titolare, salvo che non
debbano
essere attribuite agli altri enti
al fine di assicurarne l’esercizio unitario.
Tale nuovo assetto costituzionale
ha reso ancor più indispensabile la previsione di forme
di
coordinamento tra Regione ed enti
locali. La Regione, sulla base del nuovo criterio di
ripartizione delle competenze
legislative con lo Stato di cui all’art. 117 Cost., è
chiamata a
legiferare su di una pluralità di
materie la cui titolarità delle funzioni amministrative
è
dell’ente locale (?). Essa inoltre,
sempre sulla base dell’art. 117 Cost. ed in seguito
all’abrogazione dell’art. 128
Cost., è chiamata altresì a legiferare sulla
distribuzione di tali
competenze amministrative, là dove,
secondo i criteri di cui all’art. 118, occorre che
queste
siano ripartite tra i vari livelli
istituzionali.6
5 Art. 4, comma 3, d.lgs. 267/00:
“La generalità dei compiti e delle funzioni
amministrative è attribuita ai
comuni, alle province e alle
comunità montane, in base ai principi di cui
all'articolo 4, comma 3, della legge del
15 marzo 1997, n. 59, secondo le
loro dimensioni territoriali, associative ed
organizzative, con esclusione delle
sole funzioni che richiedono
l'unitario esercizio a livello regionale.”
6 E’ stato detto che, “il nuovo
disegno costituzionale prevede […] due competenze
generali: una delle Regioni,
di carattere legislativo e una dei
Comuni, sul versante amministrativo. Ma poiché le
funzioni amministrative
hanno bisogno del supporto
legislativo (si veda, da ultimo, la sentenza della Corte
n. 303/2004), se la Regione
legifera senza raccordarsi con chi,
alle sue regole, dovrà poi dare attuazione, è da mettere
in conto una sicura e
diffusa inattuazione delle leggi e
dei piani regionali […]”, M. CARLI, Il Consiglio delle
Autonomie locali, op.
cit. Ancora: “La devoluzione delle
competenze amministrative verso il basso, con
l’attribuzione, in ambito
regionale, agli enti locali di
tutte le funzioni amministrative che non richiedono
l’esercizio unitario da parte
della Regione, va di pari passo con
l’esigenza di un continuativo raccordo tra questa e gli
enti locali che tali
competenze vengono a gestire”, T.
GROPPI, op. cit., 1067.
www.federalismi.it 4
Tale esigenza di coordinamento era
stata avvertita dal legislatore ancora una volta sin da
prima della riforma costituzionale,
sì che la necessità di individuare strumenti di raccordo
e
concertazione tra Regioni ed enti
locali era già prevista dal d.lgs. 112/98,7 così come
dallo
stesso Testo Unico Enti Locali.8
Sulla base di tali indicazioni si è dato vita a vari
organismi
generalmente improntati sul modello
delle Conferenze permanenti Regione – autonomie
locali, variamente disciplinate a
livello regionale e ciò ancorché qualche Regione avesse
già
da quel momento, prima quindi della
modifica del Titolo V della Costituzione, introdotto i
Consigli delle Autonomie Locali.9
La costituzionalizzazione di tali
organi segna uno stacco netto rispetto alla pur
importante
esperienza precedente.
L’inserimento nel testo della Costituzione costituisce
di per sé stesso
un elemento di forte distinzione e
pone immediatamente il problema della costruzione di una
“identità” dell’istituto. Un
compito non agevole che non è stato certo facilitato
dalla natura
assai scarna della norma
costituzionale.
2. L’esperienza dei nuovi statuti.
Un punto ed alcune considerazioni provvisorie.
Si è aperto, subito dopo la
riforma, un dibattito dottrinale in cui sono state
affrontate una serie
di problematiche che ora si
rinvengono presso che integralmente riprodotte
all’interno degli
statuti delle Regioni a statuto
ordinario10 e delle leggi regionali che disciplinano i
CAL.
7 Art. 3, comma 5, d.lgs. 112/98:
“Le regioni, nell'ambito della propria autonomia
legislativa, prevedono
strumenti e procedure di raccordo e
concertazione, anche permanenti, che diano luogo a forme
di cooperazione
strutturali e funzionali, al fine
di consentire la collaborazione e l'azione coordinata
fra regioni ed enti locali
nell'ambito delle rispettive
competenze.”
8 Art. 4, commi 4 e 5 d.lgs.
267/00: “La legge regionale indica i principi della
cooperazione dei comuni e delle
province tra loro e con la regione,
al fine di realizzare un efficiente sistema delle
autonomie locali al servizio
dello sviluppo economico, sociale e
civile./ Le regioni, nell'ambito della propria autonomia
legislativa,
prevedono strumenti e procedure di
raccordo e concertazione, anche permanenti, che diano
luogo a forme di
cooperazione strutturali e
funzionali, al fine di consentire la collaborazione e
l'azione coordinata fra regioni ed
enti locali nell'ambito delle
rispettive competenze.” V. anche, precedentemente,
l’art. 3, comma 3, della l.
142/90.
9 E’ il caso della Toscana, la cui
legge 21 marzo 200, n. 36, istitutiva del CAL, tuttora
vigente, è anteriore alla
legge costituzionale n. 3/01.
10 La Corte Costituzionale ha
chiarito che “l’art. 123, ultimo comma, Cost. è […] una
disposizione che, per il
suo contenuto precettivo, si può
applicare soltanto nei confronti delle Regioni a statuto
ordinario, attesa la non
comparabilità tra le forme di
potestà statutaria delle autonomie regionali ordinarie e
speciali” (Corte Cost. n.
370/06, cit. Da qui la conseguenza
della natura non obbligatoria dei CAL per le Regioni a
Statuto speciali e la
loro facoltà di introdurli anche
per mezzo della legge ordinaria, come poi è per lo più
accaduto, e non
necessariamente per mezzo dello
statuto. La Corte si è pronunciata in tal caso sulla
legittimità della legge
istitutiva del CAL approvata dalla
Provincia Autonoma di Trento. Precedentemente la
questione di legittimità
costituzionale era stato sollevata
anche nei confronti della legge istitutiva del CAL della
Regione Sardegna, ma il
giudizio si era concluso con una
dichiarazione di inammissibilità (Corte Cost., 28 aprile
2006, n. 175). La
querelle in ordine alla fonte
competente a disciplinare i CAL nelle Regioni a Statuto
speciale non si è tuttavia
risolta ed ha avuto un seguito con
la sentenza n. 238/07, che ha dichiarato inammissibile
il ricorso proposto
www.federalismi.it 5
Sebbene questi siano stati
introdotti e disciplinati dalla maggior parte delle
Regioni11, non è
questa la sede per un bilancio, il
quale presuppone un’attività di studio e ricognizione
preliminari di ben altro impegno.
E’ tuttavia possibile fare un punto
molto provvisorio al fine di iniziare a comprendere ciò
che
accomuna e ciò che distingue la
pluralità delle esperienze regionali, verificando la
possibilità
di un loro coordinamento.
Quest’ultima potrà essere poi l’occasione per un reale
approfondimento e per una effettiva
e puntuale disamina del lavoro svolto in questi anni a
livello regionale.
Non si tratta di negare la
ricchezza insita in tale forma di pluralismo, né
ovviamente di
sindacare l’indiscutibile autonomia
statutaria delle Regioni. Al momento della entrata in
vigore della riforma
costituzionale, l’auspicio di molti era, al contrario,
proprio quello che
fossero gli statuti e la
legislazione regionale a dare corpo ad un istituto di
cui la Costituzione
si limitava ad indicare la
necessità dell’esistenza, le funzioni essenziali e
costituzionalmente
necessarie di “organo di
consultazione tra la Regione e gli enti locali” e
probabilmente, con
l’utilizzo del termine “Consiglio”,
un sintetico abbozzo di struttura.12
Già sin dai primi commenti,
tuttavia, non sono mancati quanti sottolineavano13 la
necessità di
individuare un nucleo fondante di
disposizioni che caratterizzassero struttura e funzioni
essenziali dell’organo e che
avrebbero dovuto essere inserite negli statuti, con
particolare
riguardo a quelle concernenti:
- la sua composizione e quindi la
sua rappresentatività degli enti locali;
- i suoi poteri;
- la sua indipendenza, la quale
deve essere assicurata in concreto attraverso una
effettiva
autonomia amministrativa e
contabile ed una dotazione minima di risorse per
assicurarne il
funzionamento;
- gli effetti giuridici derivanti
dall’esercizio delle funzioni.
La ricerca, quindi, di un nucleo
identitario di un organo così importante non
contraddiceva e
non contraddice il pluralismo che è
insito nella struttura federalista dei pubblici poteri,
così
avverso la legge della Regione
Friuli Venezia Giulia e, da ultimo, con la decisione
della Corte n. 89/2011, resa a
proposito di una legge statutaria
della Provincia autonoma di Bolzano, annotata da N.
VIZIOLI, Lo strano caso
del Consiglio dei Comuni della
Provincia di Bolzano, in Forum dei Quaderni
Costituzionali, 10 maggio 2011.
11 Per le regioni a statuto
ordinario ciò ha coinciso con la stagione di riscrittura
degli statuti, in seguito alla
modifica dell’art. 123 Cost.
apportata con la riforma del Titolo V. Per un primo
esame di tali problematiche, v.
M. CARLI, G. CARPANI, A.
SINISCALCHI (a cura di), I nuovi statuti delle Regioni
ordinarie, cit.
12 Alcuni commentatori (T. GROPPI,
op. cit., 1071) ritenevano, fondatamente, che, con
l’utilizzo di tale termine
il legislatore costituzionale si
fosse voluto richiamare ad alcune delle esperienze già
esistenti, quale quella
toscana, avendo comunque in mente
un organo rappresentativo degli enti locali, di tipo
“consiliare”, distinto
dalle molteplici forme di
Conferenze Regione - autonomie locali che pure erano
ampiamente diffuse.
13 G.U. RESCIGNO, op. cit.
www.federalismi.it 6
come delineata dal Titolo V della
Costituzione. Al contrario, irrobustire l’identità
dell’istituto
equivale ad incrementarne forza e
visibilità e ad attribuire pertanto maggiori poteri
effettivi
agli enti locali di cui i CAL sono
innanzitutto organi “rappresentativi”.14 Un organo più
forte
consente, per altri versi, una
migliore esplicazione della stessa autonomia, la quale
non risiede
solo nella varietà delle forme e
delle scelte istituzionali, ma anche nella capacità di
farsi
effettivamente portatori degli
interessi rappresentati.
Sotto questo profilo un punto di
partenza sufficientemente acquisito consiste nella
distinzione
che occorre fare tra i CAL e la
molteplicità di Conferenze Regioni – enti locali, tavoli
di
concertazioni ed esperienze simili
tuttora diffuse e presenti a livello regionale.
Si tratta di due modelli di
cooperazione tra enti pubblici relativamente distinti. I
CAL sono
organi di interlocuzione
istituzionale chiamati a dare innanzitutto pareri
obbligatori e ad
esercitare un’altra serie di
funzioni che, sulla base degli statuti e delle leggi
regionali, possono
ormai dirsi almeno in parte
“tipizzate”. Essi sono organi indipendenti e, come si è
già detto,
rappresentativi degli enti locali.
Le Conferenze operano viceversa secondo i moduli, di per
sé
non meno importanti, ma distinti,
della concertazione, ed è proprio in ragione di tale
modo di
operare che queste, a differenza
dei primi, vedono generalmente la partecipazione stabile
anche di organi o comunque di
rappresentanti regionali.
A volte, tuttavia, il confine tra
il campo di intervento di questi diversi strumenti
istituzionali
non è così lineare come potrebbe
apparire sulla carta ed in alcuni casi è stato lo stesso
legislatore regionale, ad evitare
rischi di sovrapposizioni, ad attribuire la preminenza
ai
Consigli delle Autonomie.
Altre questioni molto discusse sono
quella delle competenze, dei poteri e degli effetti
giuridici
delle attività svolte dei CAL. La
funzione consultiva indicata in Costituzione è
ovviamente
attribuita da tutti gli statuti
regionali innanzitutto nei confronti del Consiglio, in
sede di
esercizio della potestà
legislativa. Essa è sempre prevista per le proposte di
legge che
attribuiscono funzioni
amministrative agli enti locali o che incidono sulle
loro competenze. E’
poi estesa variamente, a titolo
meramente esemplificativo, in relazione al bilancio e
agli atti di
programmazione regionale (Toscana,
Liguria, Marche, Umbria, Lazio, Calabria); alle
modifiche dello statuto regionale
(Emilia Romagna, Lazio, Calabria), in alcuni casi con
espressa limitazione alle parti che
riguardano gli enti locali (Liguria, Puglia); alle
modifiche
legislative concernenti la
disciplina dei CAL (Emilia Romagna, Lombardia); alla
istituzione
di nuovi comuni (Puglia);
all’istituzione di enti sub regionali (Calabria).
14 La Corte Costituzionale parla
espressamente di un organo attraverso il quale agli
“enti territoriali minori”
viene assicurata “la rappresentanza
dei propri interessi” (Corte Cost., 370/06, cit).
www.federalismi.it 7
Peraltro, mentre nella maggior
parte dei casi queste funzioni sono elencate negli
statuti, non
mancano fattispecie in cui lo
statuto rimanda interamente alla legge regionale, come
nel caso
della Puglia, con una soluzione che
a suo tempo, come si è accennato, non aveva mancato di
suscitare perplessità di ordine
costituzionale.
Più complesso è il problema degli
effetti del parere emanato dal CAL, soprattutto là dove
questo sia di segno negativo o
venga subordinato all’accoglimento di emendamenti e
proposte
di modifica. Anche questo profilo è
stato molto discusso. La legge regionale toscana n. 36
del
2000 prevedeva che in caso di
parere negativo il Consiglio regionale potesse approvare
la
proposta di legge solo a
maggioranza assoluta. La soluzione destava anche qui
perplessità,
discutendosi della correttezza
costituzionale di quella che avrebbe potuto intendersi
come una
limitazione all’esercizio della
potestà legislativa riservata dall’art. 121 Cost. ai
Consigli
regionali. Il nuovo statuto,
approvato nel 2005, ha previsto soltanto che là dove il
Consiglio
regionale si discosti dal parere
del CAL debba farlo con decisione motivata (art. 66).
L’approvazione a maggioranza
assoluta è stata tuttavia inserita in altri statuti
regionali,
limitando tale effetto “rinforzato”
del parere alle sole materie incidenti sulla competenza
e
sulle funzioni degli enti locali,
con esclusione del bilancio regionale e degli atti di
pianificazione (Liguria, Emilia
Romagna15, Lombardia, Lazio, Umbria, Marche, Calabria).
Allo stato le perplessità in ordine
alla legittimità di tali previsioni statutarie debbono
ritenersi
fugate, considerando come la
previsione di un voto a maggioranza assoluta dei
componenti il
Consiglio regionale non determini,
a ben vedere, alcuno spostamento di competenze
legislative.
Un’altra questione su cui si era
concentrata l’attenzione dei primi commentatori e che ha
trovato soluzione negli statuti
attiene all’esercizio della funzione consultiva non solo
nei
confronti dei Consigli, ma anche
degli altri organi regionali. Lo statuto della Regione
Toscana, ad esempio, estende
l’obbligo di motivazione in caso di decisione contraria
al parere
del CAL per qualsiasi organo
regionale (art. 66, cit.). Una generale funzione
consultiva nei
confronti degli organi regionali
diversi dal Consiglio è prevista anche negli altri
statuti.
Ulteriore questione riguarda
l’attribuzione ai CAL dell’iniziativa legislativa.
Superate anche
in questo caso alcune timidezze
iniziali, molti statuti la prevedono, limitandola alle
materie
incidenti sulle competenze degli
enti locali o rimandandone le relative limitazioni alla
legge
ordinaria regionale (Umbria,
Liguria, Lazio, Calabria, Lombardia).
15 Lo statuto della Regione Emilia
Romagna prevede che, all’infuori delle materie incidenti
sulle funzioni degli
enti locali, allorquando il
Consiglio Regionale si discosti dal parere del CAL,
l’approvazione del progetto di
legge è accompagnato dalla
approvazione di ordine del giorno da trasmettere al
medesimo Consiglio delle
Autonomie (art. 23, comma 4).
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Diffusa è l’attribuzione ai CAL
della facoltà di sottoporre alla Giunta o al suo
Presidente le
questioni su cui si ritiene debba
essere sollevato ricorso innanzi alla Corte
Costituzionale (v.
anche legge n. 131 del 2003). In
alcuni casi è previsto che si tratti di una proposta,
come si
esprime lo statuto toscano, o di
una segnalazione, come è detto in quello della
Lombardia,
sottoposta alla Giunta o al suo
Presidente, previa informazione al Consiglio (art. 66,
comma 5,
Statuto Regione Toscana; art. 54,
comma 6, Statuto Regione Lombardia). Lo statuto della
Regione Lombardia chiarisce
peraltro che la segnalazione attiene ad “eventuali
lesioni
dell’autonomia locale da parte di
leggi dello Stato”. La formulazione non può tuttavia
risolvere il problema di come la
Regione possa farsi portatrice di una lesione delle
prerogative
degli enti locali nell’ambito del
giudizio di costituzionalità, a meno che questa si
risolva
anche in una lesione della sfera di
competenza regionale ai sensi dell’art. 127, comma 2,
Cost.
Se il complesso delle funzioni dei
CAL, nonostante l’inevitabile disomogeneità, è
sufficientemente tipizzato, tipiche
ma ancor meno omogenee appaiono le scelte regionali in
ordine alla composizione di tali
organi.
La maggior parte degli statuti e
delle leggi regionali prevedono una rappresentanza degli
organi esecutivi degli enti locali,
con una articolazione tra componenti di diritto,
generalmente
coincidenti con i presidenti di
provincia ed i sindaci delle città capoluogo, e
componenti
elettivi, costituiti dai sindaci
degli altri comuni, in alcuni casi articolati in
sottoclassi a
seconda degli abitanti. Ad esempio,
la legge regionale n. 22/09 della Regione Lombardia
prevede la presenza di dodici
sindaci di comuni con popolazione superiore a duemila
abitanti
e di tre sindaci di comuni con
popolazione inferiore ai duemila abitanti. Altre leggi
(Toscana)
si limitano a prevedere un
determinato numero di sindaci di comuni non capoluogo,
rimettendone la scelta alle
assemblee dei sindaci in sede elettiva e disciplinando
il relativo
procedimento elettorale. In altri
casi (Emilia Romagna), si prevedono, quali componenti di
diritto, anche i sindaci delle
città con più di cinquantamila abitanti, ancorché non
capoluogo,
lasciando la scelta degli altri
alle assemblee elettive e riservandone una quota ai
comuni
montani.
Questi modelli, con i quali si
attribuisce la rappresentanza degli enti locali ai
sindaci o
presidenti di provincia, sono in
alcuni casi temperati dalla presenza di alcuni
rappresentanti
degli organi consiliari. Ad
esempio, la legge regionale n. 36/2000 della Regione
Toscana
prevede che del CAL facciano parte
anche due presidenti di consigli provinciali, due
presidenti di consigli comunali e
tre presidenti di Comunità Montane (art. 1). Una
articolazione simile è prevista
dalla legge regionale n. 1/2005 della Regione Calabria,
dalla
legge regionale n. 20/2008 della
Regione Umbria, dalla legge n. 1/2011 della Regione
www.federalismi.it 9
Liguria. Vi sono poi leggi che,
oltre ad indicare una composizione dei CAL simile a
quella
appena descritta, prevedono anche
la partecipazione di rappresentanti delle associazioni
di
enti locali (ad esempio, ANCI, UPI,
Legautonomie, UNCEM, Associazioni regionali): così la
leggi regionali Lombardia, Lazio,
Piemonte.
In opposizione a questo tipo di
scelte in ordine alla composizione dei CAL si colloca la
legge
della Regione Puglia n.29/2006, la
quale prevede che il Consiglio sia composto da
cinquantasette membri di cui uno in
rappresentanza delle Comunità Montane e gli altri eletti
dai consigli provinciali e comunali
nel proprio seno (art. 2). E’ evidente che in questo
caso la
differenza non è meramente
accidentale, ma attiene al modello istituzionale,
risolvendosi il
CAL in un organo elettivo di
secondo grado.
Ancora, una questione non sopita in
ordine alla composizione dei CAL riguarda la presenza o
meno di rappresentanti delle così
dette autonomie funzionali, ovvero (ossia) di soggetti
distinti dagli enti locali
territoriali. Se ne discute sin dall’avvio del dibattito
intorno
all’istituzione dei CAL e ne
costituisce ora un esempio lo Statuto della Regione
Lombardia il
quale stabilisce che il CAL “si
riunisce in composizione integrata da un massimo di
quindici
rappresentanti delle autonomie
funzionali e sociali, per esprimere parere sullo
Statuto, sul
programma regionale di sviluppo e i
suoi aggiornamenti, sui piani e programmi relativi
all’innovazione economica e
tecnologica […]” (art. 54, comma 8). La legge regionale
n.
22/09 individua poi a tal fine
rappresentanti di varie istituzioni, enti pubblici e
privati
(università, centri di ricerca,
istituzioni scolastiche, Unioncamere, Camere di
Commercio,
esponenti del Terzo Settore e via
dicendo).
Simili soluzioni si sono prestate a
critiche, soprattutto per la sovrapposizione che ne
deriva tra
le funzioni latu sensu concertative
e di raccordo tra istituzioni e forze sociali e la
funzione di
rappresentanza degli enti locali e
di interlocuzione istituzionale con la Regione che
dovrebbe
scolpire le caratteristiche
istituzionali dei CAL.
3. Per il rafforzamento
dell’identità dei CAL. Alcune prospettive.
L’elencazione appena fatta di
problematiche varie in sede di disciplina e
funzionamento dei
CAL è tutt’altro che esaustiva.
Occorrerà procedere al loro esame, come si è anticipato,
con
un apposito studio comparativo
degli statuti e della legislazione regionale. Si possono
tuttavia
trarre da questa breve digressione
alcune indicazioni.
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Innanzitutto, il ruolo dei CAL esce
rafforzato dalle pur differenziate soluzioni adottate in
sede
regionale. La sua istituzione in
quasi tutte le Regioni sta ad indicare che la scelta del
legislatore costituzionale si è
mostrata lungimirante.
I CAL saranno tuttavia chiamati
presto a svolgere dei compiti dei quali devono
dimostrare di
essere all’altezza. Citiamo, senza
potervi neanche fare cenno, due questioni di portata
straordinaria che investono in
questo momento gli enti locali: l’indifferibile
necessità di
pervenire alla approvazione della
Carta delle Autonomie, ovvero (ossia) della nuova legge
generale sugli enti locali
successiva alla riforma del Titolo V della Costituzione
ed il grande
capitolo del federalismo fiscale,
con l’emanazione dei decreti legislativi attuativi della
delega
di cui alla legge n. 42 del 2009.16
In entrambi i casi non vi è solo
necessità di far valere gli interessi degli enti locali
su scala
nazionale, compito indispensabile
che tuttavia viene assolto dalle varie rappresentanze
sia
istituzionali che associative, ma
occorre che la dialettica istituzionale funzioni
innanzitutto nel
rapporto regioni – enti locali,
poiché è su questi equilibri che si costruisce la nuova
articolazione dello stato. Basti
solo pensare cosa implica l’effettiva attuazione del
principio di
sussidiarietà in relazione alla
distribuzione delle risorse, al rapporto tra entrate
proprie e
fiscalità regionale e quanto su
questo sono destinate ad incidere le leggi che le
regioni
dovranno adottare. Senza un
corretto equilibrio di questi elementi, non il progetto
federalista,
ma qualunque forma di decentramento
rimane una mera declamazione verbale.
Orbene, il livello di
frammentarietà che ancora caratterizza l’esperienza dei
CAL, al quale si è
fatto cenno trattando di alcuni
profili specifici, pur con i notevoli sviluppi che si
sono avuti in
questo decennio, può costituire un
elemento di debolezza di tali organi, tale da non
renderli
sufficientemente attrezzati a
queste sfide.
Riteniamo pertanto siano necessari,
otre alla approfondita ricognizione di cui si è detto,
uno
sforzo di coordinamento di queste
esperienze, nella dimensione nazionale, e ciò non al
fine di
volere limitare l’autonomia di cui
sono espressione, il che non sarebbe né verosimile, né
tanto
meno possibile, ma al fine di dare
all’istituto una maggiore forza.
Lungo questo percorso, peraltro, i
Consigli delle Autonomie Locali potrebbero trovare uno
spazio inatteso là dove, anche in
coerenza con la svolta federalista, s’impone una
profonda
riforma del Parlamento. Ove infatti
si smettesse di brandire strumentalmente le riforme
istituzionali senza mai approdare
ad alcuna concretizzazione, i Consigli potrebbero
16 Su questa, v. gli atti del
Convegno del 1 marzo 2010, Il sistema delle autonomie
territoriali dopo la legge sul
federalismo fiscale, organizzato
dal CAL del Lazio in collaborazione con l’ANCI
regionale, riportati sul sito del
CAL, in www.cal.regione.lazio.it,
con le relazioni di A.D’ATENA, N. RICCARDELLI,
F.FIORILLO, G.C. DE
MARTIN, E.BUGLIONE, G.MELONI e le
conclusioni di B. CARAVITA DI TORITTO.
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rappresentare la base elettorale di
quel Senato federale, delle Regioni e delle Autonomie
Locali, che ha costituito oggetto
di numerosi progetti di legge costituzionale17, che la
Conferenza delle Regioni e delle
Provincie Autonome ha ribadito anche recentemente essere
uno degli obiettivi principali di
riforma18 e che di certo è un obiettivo fondamentale e
irrinunciabile. Per i proponenti di
tali progetti i CAL vedrebbero in questo caso realizzata
quella funzione di “seconda camera”
rispetto ai Consigli regionali che ha in parte
costituito
una aspirazione latente di questi
anni e che, allo stato, non trova tuttavia posto nel
testo
costituzionale.
Occorre, a maggior ragione ove si
concretizzassero tali prospettive, ma anche per
sostenere il
dibattito dal punto di vista delle
Autonomie Locali e in vista di obiettivi più
ravvicinati, fare
qualche passo in avanti. Un
coordinamento nazionale, nella forma che dovrà essere
meglio
messa punto, in cui le diverse
esperienze regionali possano essere intanto poste a
confronto
tra di loro, stimolando
l’elaborazione, l’affinamento e la condivisione della
relativa
strumentazione tecnica e culturale,
può costituire in tal senso un’occasione molto utile e
un
campo nuovo e importante di
protagonismo delle Autonomie Locali per realizzare le
riforme
che diano al federalismo strumenti
indispensabili, ad ogni livello, per un giusto e solido
cambiamento dello Stato.
17 V. ad es. il progetto di riforma
di Legautonomie presentato anche in questa legislatura,
in
www.legautonomie.it
18 Conferenza delle Regioni e delle
Provincie Autonome, prot. n. 11/037/CR6d/C1 del 24 marzo
2011, in
www.regioni.it |