La nuova sanzione introdotta dal Decreto Sviluppo (art.
246-bis Codice dei Contratti)
La gogna è uno “strumento punitivo, di contenzione, di
controllo, di tortura, utilizzato nel periodo medievale,
costruito come un collare in ferro, fissato ad una
colonna per mezzo di una catena, che veniva stretto
attorno al collo dei condannati esposti alla berlina”.
E chissà, magari in questi giorni il Legislatore sta
pensando proprio a questo antico istituto giuridico come
prossimo meccanismo deflattivo del contenzioso degli
appalti pubblici …
D’altronde, che la tutela del sistema italiano degli
appalti pubblici fosse argomento particolarmente
“urticante” per il Legislatore, l’abbiamo capito già
qualche anno fa. Però, dopo l’ultimo giro di vite
operato dal Decreto Legge 13 maggio 2011 n. 70 – cd.
“D.L. Sviluppo”, in vigore dal 14 maggio 2011 – la
situazione inizia a farsi realmente preoccupante, e
rischia di innescare meccanismi distorsivi del sistema
processuale amministrativo speciale vigente in materia.
Tra le tante innovazioni riguardanti gli appalti
pubblici, il D.L. introduce nel Codice “de Lise” il
nuovo articolo 246-bis, rubricato “Responsabilità per
lite temeraria”, che così sancisce: “Nei giudizi in
materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi
e forniture, il giudice, fermo quanto previsto
dall’articolo 26 del codice del processo amministrativo
approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, 104,
condanna d’ufficio la parte soccombente al pagamento di
una sanzione pecuniaria in misura non inferiore al
doppio e non superiore al triplo del contributo
unificato dovuto per il ricorso introduttivo del
giudizio quando la decisione e’ fondata su ragioni
manifeste od orientamenti giurisprudenziali consolidati.
Al gettito delle sanzioni previste dal presente comma si
applica l’articolo 15 delle norme di attuazione del
codice del processo amministrativo approvato con il
citato decreto legislativo n. 104 del 2010”.
Da qualche giorno, dunque, se il ricorso è ritenuto
“temerario” dal Giudice, l’impresa soccombente può
essere condannata a pagare, non solo le spese
processuali in favore di controparte, ma anche una
sanzione pecuniaria in favore dell’erario, da
quantificarsi, anche d’ufficio, tra i 4000 ed i 6000
Euro.
Si aggrava ulteriormente, dunque, il già pesante carico
economico da sostenere nel processo amministrativo. Il
nuovo balzello, infatti, è in affollata compagnia: si
parte dal contributo unificato, fissato per gli appalti
in 2000 euro, peraltro oggi richiesto non solo per il
ricorso introduttivo ma anche per tutte le “domande
nuove” presentate nello stesso giudizio; c’è poi
l’eventuale condanna alle spese della fase cautelare
(art. 57 cpa), fase che costituisce l’unico momento
processuale in cui l’impresa ricorrente può ottenere
l’appalto stesso per cui ha agito, e non un surrogatorio
risarcimento per equivalente; giunti alla sentenza,
potrà essere disposta la condanna alle spese del
giudizio (art. 26 comma 1), un’ulteriore “somma di
denaro equitativamente determinata” a favore di
controparte (art. 26 comma 2), ed infine il nuovo
balzello per “lite temeraria”.
Ma di cosa stiamo parlando?
Questa sanzione ha a che fare con la responsabilità per
lite temeraria prevista in generale dall’art. 96 cpc?
Decisamente no.
La responsabilità per lite temeraria prevista dal codice
di procedura civile si fonda su requisiti soggettivi, la
mala fede o la colpa grave, ovvero sulla “consapevolezza
di essere nel torto”. In altri termini, può essere
condannato solo chi sa di aver abusato dell’azione
giudiziaria, facendo un uso consapevolmente distorto del
processo e, in ultima analisi, del proprio diritto di
difesa. Completamente diversi, invece, i presupposti
della nuova sanzione (“ragioni manifeste” od
“orientamenti giurisprudenziali consolidati”) che
sfuggono alla percezione ai ricorrenti, evidentemente
non giuristi.
A dirla tutta, qui non ci troviamo di fronte ad una
nuova tipologia di condanna alle spese: questa è una
vera e propria sanzione, tanto che, a differenza di
tutte le somme previste dall’art. 26 Cpa (nonché dagli
artt. da 91 a 97 Cpc, da esso richiamati nel processo
amministrativo) il nuovo balzello non spetta a
controparte, bensì all’erario, come il contributo
unificato. E come le sanzioni alternative alla
dichiarazione di inefficacia del contratto (art. 123
Cpa), l’unica norma sanzionatoria ad oggi prevista nel
processo amministrativo, guarda caso anch’essa limitata
al settore degli appalti pubblici.
Quindi, siamo di fronte ad una sanzione, con finalità da
un lato punitive per il ricorrente temerario, dall’altro
lato risarcitorie per la giustizia amministrativa.
Ma ce n’era davvero bisogno? Assolutamente no.
E infatti, uno strumento punitivo, perfettamente
adottabile anche per i casi di cui al nuovo art. 246-bis
Ccp, è già previsto per tutte le materie dal già citato
art. 26 comma 2 del Cpa, visto che tale norma aggancia
il potere del giudice di condannare anche d’ufficio la
parte soccombente al pagamento in favore dell’altra
parte di una somma di denaro equitativamente
determinata, proprio alla sussistenza dei medesimi
presupposti della nuova sanzione per lite temeraria, e
cioè quando la decisione è fondata su ragioni manifeste
o orientamenti giurisprudenziali consolidati.
Peraltro, anche la funzione risarcitoria
dell’amministrazione della giustizia in caso di cause
manifestamente infondate è già assolta da uno strumento
consolidato del processo, che consente in tali ipotesi
di definire il giudizio celermente e con motivazioni
molto sintetiche: la cd. sentenza breve di cui all’art.
74 Cpa, che si fonda, tra l’altro, sulla manifesta
infondatezza del ricorso.
Detta così, la nuova sanzione è né più e ne meno che un
clone: raddoppia gli strumenti punitivo\risarcitori per
cause infondate, al fine di raddoppiare i costi del
processo.
A questo punto, non sfuggirà ai più la vera natura della
norma, nascosta sotto le mentite spoglie di una
sanzione: si tratta di un nuovo – l’ennesimo – strumento
deflattivo, che mira a ridurre il contenzioso in materia
di appalti pubblici.
Un obiettivo legittimo, per carità, ma perseguito con
modalità profondamente errate, decisamente illegittime.
Gli strumenti deflattivi del contenzioso, infatti,
dovrebbero consistere in procedure stragiudiziali,
alternative all’esercizio del diritto di difesa dinanzi
al giudice, che il cittadino e l’impresa devono poter
scegliere liberamente, in relazione ad i vantaggi,
economici e temporali, che essi possono comportare
rispetto al processo amministrativo. E così, infatti,
era in materia di appalti pubblici, prima del 246-bis.
Oggi invece, questo nuovo articolo, lungi dal dare alla
società nuovi strumenti di soluzione delle controversie,
alternativi e preferibili al processo, si limita a
rendere meno appetibile quest’ultimo, incrementandone i
costi.
Peraltro, fa specie che tale sanzione venga commisurata
nel suo ammontare proprio al contributo unificato (tra
il doppio ed il triplo), come a voler dire che, quanto
più alte sono le tasse che pago per accedere al “sistema
giustizia”, tanto più gravi saranno le conseguenze dei
miei comportamenti censurabili al suo interno. E
l’assunto non ci convince, posto che, una volta “dentro”
il processo, i comportamenti delle parti dovrebbero
essere valutati allo stesso modo, indipendentemente
dalla materia trattata.
E’ evidente, dunque, che non ci troviamo di fronte ad
una politica deflattiva del contenzioso: questa è un
scelta politica che, semmai, potrebbe definirsi
“corrosiva” del diritto di difesa in materia di appalti
pubblici.
In un simile contesto, il capro espiatorio è sempre,
manco a dirlo, l’avvocato. Sarà l’avvocato, infatti, a
fare da “collo di bottiglia”, a consigliare di
intraprendere o meno il giudizio al proprio cliente, in
relazione agli orientamenti giurisprudenziali del
momento; e sarà l’avvocato, in caso di sanzione, a
dover spiegare al cliente le ragioni “giurisprudenziali”
di essa, con il serio rischio di finire lui stesso
accusato -e messo alla gogna- come unico vero
responsabile.
D’altronde, si sa, il proverbio “ambasciator non porta
pena” per l’avvocato non è mai valso.
E ancora, sarà l’avvocato a pensarci due volte prima di
avviare ricorsi “pilota”, con argomentazioni giuridiche
originali che tentino di scardinare un orientamento
giurisprudenziale prevalente; con ciò contribuendo, suo
malgrado, al reale rischio di una stagnazione
dell’evoluzione giurisprudenziale in materia. |