Il caso di una donna
soldato molestata da un sergente, Cassazione 19748 del
2011
Al fascino della divisa, si sa, è difficile resistere.
Basta qualche grado, un
paio di stellette, ed ecco subito apparire una schiera
di donne pronte a lanciare sguardi ammalianti,
desiderosi ed estasiati verso il fortunato uomo in
divisa di turno.
Fin qui, tutto (quasi)
normale.
Ma quando ad indossare
la divisa sia una donna, magari una giovane recluta, e a
subirne il fascino sia un uomo, magari il sergente
superiore della giovane recluta, potrebbe nascere
qualche problema.
Il problema poi può
trasformarsi in reato se il sergente dell’Esercito
comincia a fare delle avances alla giovane recluta,
tenta inutilmente di baciarla, la cinge con le braccia
immobilizzandola e, traendola verso di sé, la bacia sul
collo.
E reato è stato, ma non
per il codice penale militare.
La Cassazione infatti,
con la
sentenza numero 19748 del 19 maggio 2011, ha
annullato la condanna nei confronti del sergente in
questione, condannato dalle autorità militari per il
reato di cui all’art. 195 C.P.M.P. (violenza contro un
inferiore).
Secondo la Suprema
Corte, al quale il militare aveva fatto ricorso, nel
caso di specie trova applicazione l’art. 199 C.P.M.P.
che, disciplinando le cause estranee al servizio o alla
disciplina militare, stabilisce che il reato militare
della violenza contro un inferiore non si applica quando
“ è commesso per cause estranee al servizio e alla
disciplina militare, fuori dalla presenza di militari
riuniti per servizio e da militare che non si trovi in
servizio o a bordo di una nave militare o di un
aeromobile militare”.
Seguendo quindi un
orientamento giurisprudenziale recente, la Cassazione ha
precisato che “la clausola di esclusione del reato
opera in tutti i casi in cui difetti una correlazione
tra la situazione in cui si trovi ad agire l’autore del
fatto ed il servizio militare” considerando così
come “cause estranee al servizio” tutte quelle
situazioni nelle quali non assuma rilevanza l’attività
militare svolta dal soggetto attivo del reato o che,
comunque, siano collegate ad essa in modo del tutto
occasionale.
E la presunta molestia
sessuale in questione, per la Corte, sarebbe del tutto
estranea al grado ricoperto, alle funzioni ed al
servizio svolti da entrambi i soggetti coinvolti nella
vicenda.
Naturalmente
l’insussistenza del reato militare non comporta alcuna
conseguenza in ordine alla procedibilità per il reato di
violenza sessuale davanti all’Autorità Giudiziaria
Ordinaria.
Anzi, è la Cassazione
stessa che inquadra la vicenda nella fattispecie
prevista dall’art. 609 septies, comma quarto, n. 3 del
Codice Penale, che disciplina la procedibilità d’ufficio
per il reato di violenza sessuale quando “il fatto è
commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di
pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni”,
e che detta anche pene più severe rispetto alla violenza
contro inferiore prevista dal Codice penale militare.
Donne soldato, dunque
non disperate: se è vero che i panni sporchi si lavano
in casa, è altrettanto vero che spesso ci sono macchie
tanto resistenti da eliminare che richiedono
necessariamente il ricorso ad una tintoria
professionale.
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