Argine efficace contro gli eccessi
dei partiti, ma attendiamo doppia scheda e primarie
Terminato il primo turno delle
elezioni amministrative, è utile tornare a parlare del
sistema elettorale negli enti locali, e in particolare
del voto disgiunto.
L’elettore, ricordiamo, ha la
possibilità di esprimere il voto disgiunto tracciando un
doppio segno sulla scheda, e specificatamente:
- un segno sul nome e cognome del
candidato sindaco prescelto
- un altro segno sul simbolo della
lista scelta anche non collegata al candidato sindaco.
Nel sistema elettorale degli enti
locali tale istituto è previsto dal 3 comma dell’art 72
TUEL (discorso a parte per le regioni a Statuto
Speciale) ed è dal legislatore permesso solamente per le
elezioni dei comuni con popolazione superiore a
quindicimila abitanti.
Soffermandoci sul dato elettorale
uscito fuori dalle urne, risalta immediatamente come il
voto disgiunto, indipendentemente dal reale effetto
sulla competizione, sia strumento che favorisce la di
libertà di voto per l’elettore.
Il cittadino-elettore può
discostarsi dalle indicazioni di partito per
l’espressione del sindaco, pur rimanendo fedele alla
preferenza della propria lista al consiglio comunale e/o
alle pressioni e condizionamenti dei candidati ai
consigli comunali dovuti a molteplici fattori.
Analizziamo i dati elettorali
dell’ultima tornata.
Napoli è il caso più eclatante,
Luigi De Magistris è riuscito a conquistare oltre dieci
punti di percentuale in più, rispetto alla coalizione
che lo sosteneva, raggiungendo così il turno di
ballottaggio.
De Magistris, sostenuto solamente
dall’Italia dei Valori e da tre liste civiche, ha
raggiunto il 27,52% di consensi, contro il 17% raccolto
dalla sua coalizione.
Mario Morcone, sostenuto da una
coalizione capeggiata dal Partito Democratico ha
raggiunto il 19,15% contro il 22,5% raccolto dalle sue
liste.
Infine il candidato del
centro-destra Giovanni Letteri, ha ottenuto il 38,52%
contro il 43,18% della sua colazione.
In definitiva, senza voto
disgiunto, il candidato ammesso al ballottaggio sarebbe
stato Morcone, e non De Magistris.
Il risultato di Milano risulta meno
influenzato dall’effetto del voto disgiunto.
Infatti, il candidato del
centro-destra Letizia Moratti ha ottenuto il 41,58%, con
una leggera flessione rispetto al 43,3% della sua
coalizione.
Il candidato del centro-sinistra,
Giuliano Pisapia, ha raggiunto il 48,04% ottenendo un
punto percentuale in più delle sue liste che si fermano
al 47,24%.
Il dato di Bologna, infine,
registra la vittoria del candidato del centro-sinistra,
Merola, al primo turno, per un soffio, con il 50,46% dei
consensi, ma perdendo nei confronti della sua ampia
colazione (54,24%) ben 4 punti.
Il candidato del centro-destra, pur
“premiato” dal voto disgiunto si ferma al 30,35% contro
il 27,32% delle liste che lo sostenevano.
Qui il voto disgiunto ha
“rischiato” di mandare al ballottaggio il candidato del
centro-sinistra.
Da segnalare il dato del candidato
sindaco “grillino” che è risultato essere invece
assolutamente omogeneo con quello dell’unica lista a suo
sostegno, entrambi i dati si fermano al 9%.
Il voto disgiunto ha dunque avuto
l’indubbia merito di costituire ostacolo a possibili
tendenze eccessivamente partitocratiche nelle scelte
degli amministratori locali (il caso De Magistris, il
“quasi” caso Merola).
Rimane però insufficiente che la
previsione della possibilità di divergenza, tra la
preferenza al consiglio comunale e quella nei confronti
del sindaco, sia possibile con due segni, ma all’interno
della medesima scheda.
Non a caso, sono sempre più diffusi
i ricorsi davanti ai Tribunali Amministrativi per
contenzioso derivati da errata espressione del voto
disgiunto.
Prevedere “la doppia scheda”, una
per il primo cittadino e una per il consiglio comunale,
rappresenterebbe sicuramente una garanzia di semplicità
e di chiarezza per l’elettore, oltre che ridurre il
contenzioso.
La presenza di due schede distinte,
ovviamente, non consente più di parlare di voto
disgiunto, perchè viene meno la possibilità materiale di
confrontare i due voti, come espressi dallo stesso
elettore.
Altra soluzione: le primarie
obbligatorie. In questo modo, i cittadini sarebbero
chiamati, prima della vera e propria competizione
elettorale, a decidere quale debba essere il candidato
migliore della relativa area politica.
Anche tale ultima soluzione farebbe
venire meno l’esigenza del voto disgiunto.
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