La questione in esame, come balza
agli anche agli occhi di chiunque, pur nella sua
dimensione minima rispetto ad altre e più importanti
problemi che agitano il mondo tormentato
dell’amministrazione della giustizia in Italia, e se
vogliamo, forse proprio per la sua “piccolezza” ci pone
alcune domande.
la prima relativa all’ambito della
discrezionalità del giudice in ordine alla gestione del
processo, letta non solo alla luce del novellato art.
111 della Costituzione ma- e direi soprattutto- alla
luce dei principi di speditezza che hanno informato
tutti gli interventi sul corpo del codice di rito da
oltre tre lustri a questa parte. Segnalo, tra questi, in
particolare, i seguenti articoli del codice di rito:
a.1: l’art. 175 cpc primo comma per
il quale : Il giudice istruttore esercita tutti i poteri
intesi al più sollecito e leale svolgimento del
procedimento ;
a-2 : l’art. 187 cpc primo comma
per il quale Il giudice istruttore, se ritiene che la
causa sia matura per la decisione di merito senza
bisogno di assunzione di mezzi di prova, rimette le
parti davanti al collegio;
a.3 l’art. 80-bis. delle
disposizioni di attuazione del codice di rito per il
quale La rimessione al collegio, a norma dell'articolo
187 del Codice può essere disposta dal giudice
istruttore anche nell'udienza destinata esclusivamente
alla prima comparizione delle parti. Pare importante
mettere in risalto il fatto che il “sollecito
svolgimento del procedimento”, secondo l’espressione
usata dall’art. 175 cpc, non costituisce una facoltà del
giudice ma un suo preciso dovere. L’articolo in parola,
infatti, nell’adoperare il termine “esercita” ( e non ad
esempio, “può esercitare”, o ha “facoltà di esercitare”)
e riferendola ai poteri istruttori, sgancia il loro
esercizio da valutazioni di merito ed introduce un vero
e proprio principio fonte di obbligo e di conseguente
responsabilità. Obbligo rafforzato dalla norma portata
dall’art. 111 Cost. per il quale com’è noto la
giurisdizione si attua mediante il giusto processo
regolato dalla legge che ne assicura la ragionevole
durata.
Alla luce di ciò si comprende come
un uso non aderente ai detti principi del potere
direzionale del processo, esercitato con uno strumento-
l’ordinanza- non reclamabile ( se non nei casi ormai
residuali in cui il processo è di competenza del
Tribunale in composizione collegiale) né suscettibile di
altro rimedio diverso dalla richiesta di modifica o
riesame da rivolgersi allo stesso giudice che l’ha
adottato, possa produrre conseguenze di non scarso
rilievo. Si pensi, per esempio al caso in cui la
inessenzialità della fase istruttoria derivi dall’aver
parte convenuta aderito, con la propria comparsa di
costituzione e risposta alla domanda spinta dall’attore
e, ciò malgrado, il giudice rinvii lo tesso la causa al
altra udienza remota nel tempo, per la precisazione
delle conclusioni.
Quali i rimedi?
Circa i rimedi che si offrono al
cittadino che si vede differire nel tempo, e (nel caso)
a lungo, la risposta di giustizia, pare utile
sottolineare che fattispecie del tipo di quelle or ora
segnalate, proprio loro dimensione lillipuziana rispetto
ad altre e più imponenti questioni emergenti
dall’attuale realtà giudiziaria italiana, da un lato
esaltano la singolare contraddittoria anomalia derivante
dal fatto che gli ultimi 15 anni sono stati dedicati dal
legislatore della riforma del codice a snellire i tempi
della giustizia ( si pensi da ultimo alla L. 69/2009,
alla concentrazione delle udienze introduttive da due ad
una, alla natura sempre più estesa della perentorietà
dei termini posti all’attività delle difese; alla prova
testimoniale assumibile anche fuori dal giudizio; alla
riduzione dei tempi di impugnazione; alla concisione che
deve ispirare il giudice nella redazione delle sentenze
ecc. ecc.) e dall’altro non si frappongono alla ricerca
di rimedi concretamente esperibili in modo da ricondurre
il potere di direzione dell’istruttoria attribuito al
giudice , nell’alveo disegnato dal legislatore.
A mio avviso al Difensore non si
offrono tante possibilità.
L’ordinanza non è impugnabile (
art. 177 cpc), né ricorribile per Cassazione.
Resta comunque il secondo comma
dell’art. 111 della Costituzione che impone alla legge
di assicurare la ragionevole durata di ogni processo,
che è norma di immediata precettività .
La l. 24 marzo 2001 n. 89 (c.d. «
legge Pinto ») declinando tale principio sanziona, a
propria volta, l’irragionevole durata del processo
prevedendo, tra l’altro, l’obbligo del risarcimento del
danno che da esso consegue come lesione di un diritto
fondamentale della persona.
Il § 1 dell'art. 6 Cedu stabilisce
che « ogni persona ha diritto a che la sua causa sia
esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine
ragionevole da un giudice indipendente e imparziale,
costituito per legge “con ciò inserendo una variabile
temporale nel processo e un nuovo canone alla luce del
quale deve essere valutata l'efficienza del sistema
giudiziario che pure deve essere finalizzata a un
maggiore rispetto dei diritti della persona “1.
L’art. 2 secondo comma della citata
legge 89/2001 in attuazione dei principi comunitari così
dispone : << Diritto all'equa riparazione.
1. Chi ha subìto un danno
patrimoniale o non patrimoniale per effetto di
violazione della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848,
sotto il profilo del mancato rispetto del termine
ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della
Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione.
2. Nell'accertare la violazione il
giudice considera la complessità del caso e, in
relazione alla stessa, il comportamento delle parti e
del giudice del procedimento, nonché quello di ogni
altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque
contribuire alla sua definizione.
3. Il giudice determina la
riparazione a norma dell' articolo 2056 del codice
civile, osservando le disposizioni seguenti:
a) rileva solamente il danno
riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole
di cui al comma 1;
b) il danno non patrimoniale è
riparato, oltre che con il pagamento di una somma di
denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità
della dichiarazione dell'avvenuta violazione >>.
Non pare possano individuarsi
ostacoli particolari all’avvio sin da subito dell’azione
di cui all’art. 3 della cosiddetta Legge Pinto anche a
motivo dell’insuscettibilità di gravame del
provvedimento dannoso (ad es. una ordinanza di rinvio ad
un termine troppo lungo della decisione della
controversia).
Conclusione
I colleghi penalisti insistono per
un riequilibrio dei poteri tra accusa e difesa.
Ma i colleghi civilisti
sottovalutano la necessità e l’urgenza, che a quel
riequilibrio si ispira, di metter mano ad esempio agli
artt. 175 e seguenti del codice di rito con una riforma
che imponga, nel solco del principio per il quale il
giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più
sollecito e leale svolgimento del procedimento ed alla
luce del novellato art. 111 della Costituzione, la
motivazione di tutti i provvedimenti istruttori in modo
da renderli scrutinabili da parte del Collegio ex art.
178 cpc -anche nei casi ora esclusi-.
Ciò nell’esclusivo interesse della
regolarità e celerità del processo.
1 Ida Falcone : LA RAGIONEVOLEZZA
DEL PROCESSO: TRA VINCOLI EUROPEI E AUTONOMIA
DELL'ORDINAMENTO INTERNO in Giust. civ., 2010, 05, 0251 |