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CARTELLA CLINICA E RESPONSABILITA’ MEDICA-Vittorio Occorsio

 

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            Sommario: La responsabilità medica oggi: il ruolo cruciale della cartella clinica. – La nascita della medicina difensiva… - …e le conseguenze sulla gestione delle aziende sanitarie. – Contenzioso medico-sanitario e clinical risk management.

 

 

 

            La responsabilità medica oggi.

 

Nel 2001 appariva sulla Rivista Italiana di Medicina Legale un articolo di Francesco Introna dal titolo “Un paradosso: con il progresso in medicina aumentano i processi contro i medici”. La provocazione coglieva nel segno: a partire dall’inizio del millennio, alcune svolte giurisprudenziali hanno segnato un vigoroso revirement della Corte di Cassazione nei giudizi sulla responsabilità civile dei medici: su tutte, la sentenza del “contatto sociale”, n. 589 del 1999, con cui la Corte inquadrò la responsabilità del medico nell’alveo della responsabilità contrattuale; e la sentenza a Sezioni Unite del 2001 (n. 13533), in cui si è stabilito che l’onere probatorio del creditore che agisce in giudizio anche solo per contestare un inesatto adempimento, si limita alla prova della fonte dell’obbligazione (il contatto con il medico) e dei danni, e alla mera allegazione di un inadempimento astrattamente idoneo a causare quel danno, mentre il debitore convenuto (ossia il medico) è gravato dall'onere della prova dell'avvenuto, corretto adempimento.

Incombe in sostanza al medico-debitore e alla struttura sanitaria fornire la prova che quel danno non è stato conseguenza del suo operato, ovvero, pur essendolo stato, che non è dovuto a una sua mancanza di diligenza.

La Corte di Cassazione in successivi arresti ha basato pronunce di condanna dei medici sulla base di presunzioni di sussistenza di nesso causale e di colpa fondate sull’incompletezza della cartella clinica (ex multis, Cass. n. 12103/2000; Cass. n. 13316/2003; Cass. S.U. 577/2008; Cass. n. 1538/2010; Cass. n. 257/2011), applicando il principio di vicinanza della prova: questo principio, di formazione giurisprudenziale, introduce un criterio equitativo di ripartizione dell'onere della prova, smussando le rigidità dell'art. 2697 c.c. e del classico brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit; infatti, in base a detto criterio, la prova deve essere data dalla parte che è più “vicina” ad essa, cioè la parte nella cui sfera di azione si è svolto il fatto da provare (nelle prestazioni sanitarie, questa sarà certamente il medico).

 

La cartella clinica diviene il perno su cui ruota tutto il giudizio di responsabilità medica: essa è l’atto pubblico che contiene tutti gli elementi che permettono la tracciabilità delle decisioni prese, degli interventi effettuati, e dei singoli passaggi in cui si può annidare l'errore: è, in sostanza, la prova principe del processo.

            Per comprendere le problematiche legate al valore probatorio della cartella clinica, bisogna considerare che essa è un documento redatto dalla stessa parte che svolge la prestazione; il medico si trova quindi in una posizione di assoluto dominio sulle fonti di prova della propria condotta.

            Questo è il profilo fondamentale, perché il nodo essenziale dei processi contro i medici è sempre stato la difficoltà da parte del paziente di provare la colpa del medico ed il nesso causale tra la sua condotta e il danno. Laddove non si riescano ad accertare tali elementi, in sede penale il medico verrà assolto, posto che l'imputato, per essere soggetto ad una sentenza di condanna, deve risultare colpevole ‹‹al di là di ogni ragionevole dubbio›› (art. 533 c.p.p.).

            In sede civile, tuttavia, il discorso cambia: l'onere della prova incombe oramai quasi totalmente in capo al medico, in virtù del criterio di “vicinanza della prova”, secondo il quale l'onere della prova grava sulla parte nella cui sfera d'azione si svolge il fatto da provare. Orbene, per il principio secondo cui le conseguenze della mancata prova si ripercuotono sulla parte che ne è onerata, ove la cartella clinica sia incompleta, e non si possa accertare un svolgimento dei fatti diverso da quello astrattamente prospettato dal paziente attore, la responsabilità del medico viene presunta.

            La presunzione di colpevolezza a carico del medico che abbia lacunosamente compilato la cartella in relazione ad aspetti rilevanti del rapporto clinico, non può verificarsi in sede penale, dove è ben saldo al contrario il principio di presunzione di non-colpevolezza (art. 27, 2° co., Cost.).

 

            In virtù del principio di vicinanza della prova, le omissioni imputabili al medico nella redazione della cartella clinica rilevano sia come figura sintomatica di inesatto adempimento, per difetto di diligenza (in forza della previsione di cui all'art. 1176, 2° co., c.c.), sia come nesso eziologico presunto, posto che l'imperfetta compilazione della stessa non può risolversi in un danno di chi vanta un diritto in relazione alla prestazione sanitaria.

            Questo sicuramente rischia di ingenerare un vortice di colpevolizzazione del medico, acuita inoltre dalla progressiva riduzione della valenza pratica della distinzione tra obbligazioni di mezzi (nel cui alveo venivano tradizionalmente ricondotte le prestazioni mediche) e obbligazioni di risultato, come nel caso della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 577 dell’11 gennaio 2008, in cui la Corte condanna il medico che aveva effettuato una trasfusione di sangue solo perché costui non era riuscito a provare la specifica causa che rese impossibile il raggiungimento del risultato voluto, ma – come noto agli operatori del settore – può benissimo accadere che questa sia una causa inaccertabile (nel caso di specie, si trattava di una trasfusione a seguito della quale la paziente aveva riportato l’epatite C, ma non si era riusciti a provare se questa fosse in incubazione nel paziente o invece nel sangue trasfuso).

Nel ragionamento della Corte, più che un'obbligazione di risultato, si addossa al medico una sorta di responsabilità oggettiva per qualsiasi accadimento avvenga nel corso delle sue operazioni.

 

 

La nascita della medicina difensiva…

 

Il crescente favor nei confronti del paziente pone però dei problemi di misura, in vista di possibili “effetti collaterali”.

            Un Autore che si è da sempre scagliato contro questo atteggiamento protettivo nei confronti del paziente ha scritto:

 

            Proviamo a metterci nelle vesti del medico convenuto in un giudizio di responsabilità medica. Che eccezioni solleveremo nella nostra comparsa? Non potremo dire «provi l'attore la fondatezza dei suoi assunti», perché saremo gravati da una presunzione di colpa ex art. 1218 c.c., anche se nessun contratto abbiamo concluso col paziente. Non potremo dire che l'intervento era di speciale difficoltà, perché praticamente nessun intervento è tale per la giurisprudenza, e anche se lo fosse saremmo sempre gravati dall'onere di provare che comunque l'insuccesso non poteva essere prevenuto.

            Non potremo dire che il nesso causale manca, perché sol che la cartella clinica sia meno che certosina, quest'ultimo potrà essere presunto dal giudice. Dulcis in fundo, anche se per mostro e miracolo si dimostrasse l'assoluta inesistenza di nesso causale tra la condotta del medico e il danno del paziente, questi potrebbe sempre sostenere che comunque il sanitario, non intervenendo od intervenendo in modo imperito, gli ha fatto perdere la chance di guarire, che è danno diverso ed ulteriore rispetto a quello alla salute!

            (Rossetti 2010, 2221).

 

            In effetti, la nuova tendenza lascia aperta un'ipotesi, cioè che la classe medica si veda “stretta d'assedio” e quindi si procuri una serie di “scudi” giuridici che possono anche assumere la forma della rinuncia ad interventi delicati ma cruciali, quelli che più facilmente li esporrebbero a ritorsioni perché più alta è la possibilità di fallimento: nasce la “medicina difensiva” di cui la cartella clinica rischia di divenire strumento. Le omissioni nella redazione della cartella rilevano sia come figura sintomatica di inesatto adempimento per difetto di diligenza, sia – in una ripartizione dell'onere della prova fondata sul criterio di vicinanza – come nesso eziologico presunto. Inoltre, in base ad essa vengono erogati i finanziamenti alle strutture.

Già nel 1994 l'Office of Technology Assessment degli Stati Uniti, su commissione del Congresso, pubblicò un volume dal titolo Defensive Medicine and Medical Malpractice, in cui veniva sottolineato con allarme il rischio di un’implosione del sistema sanitario.

            Il risultato sarebbe paradossale: anziché conseguire una miglior sanità si otterrebbero prestazioni incomplete e insufficienti, e la tutela del cittadino anziché valorizzata risulterebbe compromessa.

 

            … e le conseguenze sulla gestione delle aziende sanitarie.

 

Tuttavia un altro fattore – legato alle esigenze socio-economiche del nostro modello di servizio sanitario – deve essere considerato: il bene del paziente non è più un “obiettivo assoluto” delle policies sanitarie, ma viene contemperato con le esigenze dell'organizzazione complessiva, che ha le sue leggi burocratiche, ed è sempre di più piegata ad esigenze extra-sanitarie: rispetto di costi, tempi, di linee guida, di standard dell'intero ospedale o della clinica (Gawande 2002).

           

Orbene, si consideri che, secondo i dati Istat, le morti causate negli ospedali da errori medici sono 32.000 ogni anno (il 2,5% del totale dei decessi in Italia), in numero sempre crescente; le richieste di risarcimento sono arrivate a quasi 30.000 l'anno; in media, il risarcimento effettivamente erogato è pari a 25.000 euro; il costo sociale del contenzioso è stato stimato in circa 2,5 miliardi di euro (Crupi, Gensini e Motterlini 2006). Secondo lo studio di Fusciani il volume del contenzioso è aumentato del 148 % dal 1994 al 2004 (Fusciani 2004).

È di tutta evidenza che questa “patologia” del sistema ha forti ripercussioni sulla gestione delle aziende sanitarie, sia pubbliche che private.

            Le assicurazioni sono ormai un onere elevatissimo ed inevitabile per le strutture e per gli stessi medici. Circa 500 milioni di euro vengono spesi ogni anno dalle Regioni per assicurare ospedali e medici contro gli errori (secondo dati raccolti da Panorama, 14 ottobre 2010, p. 82 ss., la cifra sarebbe per la precisione 538.076.789 euro).

            Le Regioni corrono ai ripari: la Regione Veneto – con la legge n. 15/2009, “Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario” – si propone l'obiettivo di regolare modalità di composizione stragiudiziale delle controversie, istituendo una Commissione conciliativa regionale, cui si assegna il compito di promuovere la risoluzione stragiudiziale delle controversie che derivano dalla responsabilità civile delle strutture sanitarie pubbliche e private convenzionate (la legge è stata dichiarata costituzionalmente legittima con sentenza Corte Costituzionale 14 maggio 2010, n. 178).

            I costi assicurativi che deve mettere in conto chi si avventura nella gestione di un ospedale pubblico in Italia sono di sessanta euro a ricovero, 2.233 euro a letto, 3.690 euro a medico e 1.630 euro a infermiere, con picchi fino a 5.310 euro a letto per il reparto di Ostetricia, che registra il primato per errori denunciati (dati Il sole 24 ore 11 gennaio 2011).

 

            Contenzioso medico-sanitario e clinical risk management.        

 

Occorre dunque interrogarsi sulla responsabilità delle strutture sanitarie e sulla gestione del “Risk Management”. In altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti, il problema è sempre stato affrontato (v. ad es. il lavoro: Vincent C. (a cura di), Clinical Risk Mangement, Brit. Med. Journ., II ed., 2001). Già nel 1951 è stata fondata la statunitense Joint Commission for Accreditation of Healthcare Organisation (JCAHO) (www.jcaho.org) che ha accreditato (2002) più di 5.000 ospedali e circa 15.000 organizzazioni sanitarie di diverso tipo: la JCAHO è un'organizzazione privata no profit con sede a Chicago (Illinois) e nel 1999 ha istituito la Joint Commision International (JCI) che opera a livello internazionale e fornisce assistenza tecnica per lo sviluppo dei “sistemi-qualità” nei servizi sanitari mondiali.

 

            Uno studio di ampio respiro sullo stato attuale del contenzioso (si consideri che è sorta persino l'Associazione dei Medici Accusati di Malpractice Ingiustamente –AMAMI-, che raccoglie i sanitari usciti indenni dai gradi di giudizio per non aver commesso alcun errore, www.amami.it), è stato effettuato da Di Marzio, per il quale emergerebbe un aspetto politico del problema, in base alla considerazione che la disciplina della responsabilità sarebbe lo strumento per pervenire ad una più articolata distribuzione dei rischi, attraverso un favor processuale per il danneggiato rispetto al danneggiante (Di Marzio 2007).

            La notazione di Di Marzio si allarga ad una riflessione sulle deformazioni del nostro sistema: il marcato allentamento del nesso causale e la definitiva sovrapposizione del rischio al danno sembrano aprire la strada

 

            verso un'irrazionale previdenza sociale priva di qualsiasi programmazione a monte e che non tiene nel minimo conto se il beneficiario sia un Creso o un poveraccio. Una previdenza sociale entro la quale il medico non pagherà, perché pagherà la struttura sanitaria, che neppure pagherà perché pagherà l'assicuratore, che neppure pagherà, perché aumenterà i premi per tutti, sicché alla fine pagheremo tutti, per questa via, un'altra bellissima tassa, indifferente per di più al principio costituzionale di progressività.

            (Di Marzio 2007, 4).

           

            È pur vero che il costo del contenzioso viene assorbito dalle assicurazioni che le Regioni stipulano, il che vuol dire che esso ricade, in ultima analisi, sul cittadino. Un costo sociale, d'altra parte, che può valere la pena di sopportare, salvo il pericolo che ciò si traduca in un alleggerimento della responsabilità del medico.

 

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