Sommario:
La responsabilità medica oggi: il ruolo cruciale della
cartella clinica. – La nascita della medicina difensiva…
- …e le conseguenze sulla gestione delle aziende
sanitarie. – Contenzioso medico-sanitario e clinical
risk management.
La
responsabilità medica oggi.
Nel 2001 appariva
sulla Rivista Italiana di Medicina Legale un articolo di
Francesco Introna dal titolo “Un paradosso:
con il progresso in medicina aumentano i processi contro
i medici”. La provocazione coglieva nel segno: a
partire dall’inizio del millennio, alcune svolte
giurisprudenziali hanno segnato un vigoroso
revirement della Corte di Cassazione nei giudizi
sulla responsabilità civile dei medici: su tutte, la
sentenza del “contatto sociale”, n. 589 del 1999, con
cui la Corte inquadrò la responsabilità del medico
nell’alveo della responsabilità contrattuale; e la
sentenza a Sezioni Unite del 2001 (n. 13533), in cui si
è stabilito che l’onere probatorio del creditore che
agisce in giudizio anche solo per contestare un inesatto
adempimento, si limita alla prova della fonte
dell’obbligazione (il contatto con il medico) e dei
danni, e alla mera allegazione di un inadempimento
astrattamente idoneo a causare quel danno, mentre il
debitore convenuto (ossia il medico) è gravato
dall'onere della prova dell'avvenuto, corretto
adempimento.
Incombe in sostanza
al medico-debitore e alla struttura sanitaria fornire la
prova che quel danno non è stato conseguenza del suo
operato, ovvero, pur essendolo stato, che non è dovuto a
una sua mancanza di diligenza.
La Corte di
Cassazione in successivi arresti ha basato pronunce di
condanna dei medici sulla base di presunzioni di
sussistenza di nesso causale e di colpa fondate
sull’incompletezza della cartella clinica (ex multis,
Cass. n. 12103/2000; Cass. n. 13316/2003; Cass. S.U.
577/2008; Cass. n. 1538/2010; Cass. n. 257/2011),
applicando il principio di vicinanza della prova: questo
principio, di formazione giurisprudenziale, introduce un
criterio equitativo di ripartizione dell'onere della
prova, smussando le rigidità dell'art. 2697 c.c. e del
classico brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit;
infatti, in base a detto criterio, la prova deve essere
data dalla parte che è più “vicina” ad essa, cioè la
parte nella cui sfera di azione si è svolto il fatto da
provare (nelle prestazioni sanitarie, questa sarà
certamente il medico).
La cartella clinica
diviene il perno su cui ruota tutto il giudizio di
responsabilità medica: essa è l’atto pubblico che
contiene tutti gli elementi che permettono la
tracciabilità delle decisioni prese, degli interventi
effettuati, e dei singoli passaggi in cui si può
annidare l'errore: è, in sostanza, la prova principe del
processo.
Per
comprendere le problematiche legate al valore probatorio
della cartella clinica, bisogna considerare che essa è
un documento redatto dalla stessa parte che svolge la
prestazione; il medico si trova quindi in una posizione
di assoluto dominio sulle fonti di prova della propria
condotta.
Questo è
il profilo fondamentale, perché il nodo essenziale dei
processi contro i medici è sempre stato la difficoltà da
parte del paziente di provare la colpa del medico ed il
nesso causale tra la sua condotta e il danno. Laddove
non si riescano ad accertare tali elementi, in sede
penale il medico verrà assolto, posto che l'imputato,
per essere soggetto ad una sentenza di condanna, deve
risultare colpevole ‹‹al di là di ogni ragionevole
dubbio›› (art. 533 c.p.p.).
In sede
civile, tuttavia, il discorso cambia: l'onere della
prova incombe oramai quasi totalmente in capo al medico,
in virtù del criterio di “vicinanza della prova”,
secondo il quale l'onere della prova grava sulla parte
nella cui sfera d'azione si svolge il fatto da provare.
Orbene, per il principio secondo cui le conseguenze
della mancata prova si ripercuotono sulla parte che ne è
onerata, ove la cartella clinica sia incompleta, e non
si possa accertare un svolgimento dei fatti diverso da
quello astrattamente prospettato dal paziente attore, la
responsabilità del medico viene presunta.
La
presunzione di colpevolezza a carico del medico che
abbia lacunosamente compilato la cartella in relazione
ad aspetti rilevanti del rapporto clinico, non può
verificarsi in sede penale, dove è ben saldo al
contrario il principio di presunzione di
non-colpevolezza (art. 27, 2° co., Cost.).
In virtù
del principio di vicinanza della prova, le omissioni
imputabili al medico nella redazione della cartella
clinica rilevano sia come figura sintomatica di inesatto
adempimento, per difetto di diligenza (in forza della
previsione di cui all'art. 1176, 2° co., c.c.), sia come
nesso eziologico presunto, posto che l'imperfetta
compilazione della stessa non può risolversi in un danno
di chi vanta un diritto in relazione alla prestazione
sanitaria.
Questo
sicuramente rischia di ingenerare un vortice di
colpevolizzazione del medico, acuita inoltre dalla
progressiva riduzione della valenza pratica della
distinzione tra obbligazioni di mezzi (nel cui alveo
venivano tradizionalmente ricondotte le prestazioni
mediche) e obbligazioni di risultato, come nel caso
della sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 577
dell’11 gennaio 2008, in cui la Corte condanna il medico
che aveva effettuato una trasfusione di sangue solo
perché costui non era riuscito a provare la specifica
causa che rese impossibile il raggiungimento del
risultato voluto, ma – come noto agli operatori del
settore – può benissimo accadere che questa sia una
causa inaccertabile (nel caso di specie, si trattava di
una trasfusione a seguito della quale la paziente aveva
riportato l’epatite C, ma non si era riusciti a provare
se questa fosse in incubazione nel paziente o invece nel
sangue trasfuso).
Nel ragionamento
della Corte, più che un'obbligazione di risultato, si
addossa al medico una sorta di responsabilità oggettiva
per qualsiasi accadimento avvenga nel corso delle sue
operazioni.
La nascita della
medicina difensiva…
Il crescente favor
nei confronti del paziente pone però dei problemi di
misura, in vista di possibili “effetti collaterali”.
Un Autore
che si è da sempre scagliato contro questo atteggiamento
protettivo nei confronti del paziente ha scritto:
Proviamo
a metterci nelle vesti del medico convenuto in un
giudizio di responsabilità medica. Che eccezioni
solleveremo nella nostra comparsa? Non potremo dire
«provi l'attore la fondatezza dei suoi assunti», perché
saremo gravati da una presunzione di colpa ex
art. 1218 c.c., anche se nessun contratto abbiamo
concluso col paziente. Non potremo dire che l'intervento
era di speciale difficoltà, perché praticamente nessun
intervento è tale per la giurisprudenza, e anche se lo
fosse saremmo sempre gravati dall'onere di provare che
comunque l'insuccesso non poteva essere prevenuto.
Non
potremo dire che il nesso causale manca, perché sol che
la cartella clinica sia meno che certosina, quest'ultimo
potrà essere presunto dal giudice. Dulcis in fundo,
anche se per mostro e miracolo si dimostrasse l'assoluta
inesistenza di nesso causale tra la condotta del medico
e il danno del paziente, questi potrebbe sempre
sostenere che comunque il sanitario, non intervenendo od
intervenendo in modo imperito, gli ha fatto perdere la
chance di guarire, che è danno diverso ed
ulteriore rispetto a quello alla salute!
(Rossetti
2010, 2221).
In
effetti, la nuova tendenza lascia aperta un'ipotesi,
cioè che la classe medica si veda “stretta d'assedio” e
quindi si procuri una serie di “scudi” giuridici che
possono anche assumere la forma della rinuncia ad
interventi delicati ma cruciali, quelli che più
facilmente li esporrebbero a ritorsioni perché più alta
è la possibilità di fallimento: nasce la “medicina
difensiva” di cui la cartella clinica rischia di
divenire strumento. Le omissioni nella redazione della
cartella rilevano sia come figura sintomatica di
inesatto adempimento per difetto di diligenza, sia – in
una ripartizione dell'onere della prova fondata sul
criterio di vicinanza – come nesso eziologico presunto.
Inoltre, in base ad essa vengono erogati i finanziamenti
alle strutture.
Già nel 1994 l'Office
of Technology Assessment degli Stati Uniti, su
commissione del Congresso, pubblicò un volume dal titolo
Defensive Medicine and Medical Malpractice, in
cui veniva sottolineato con allarme il rischio di
un’implosione del sistema sanitario.
Il
risultato sarebbe paradossale: anziché conseguire una
miglior sanità si otterrebbero prestazioni incomplete e
insufficienti, e la tutela del cittadino anziché
valorizzata risulterebbe compromessa.
… e le
conseguenze sulla gestione delle aziende sanitarie.
Tuttavia un altro
fattore – legato alle esigenze socio-economiche del
nostro modello di servizio sanitario – deve essere
considerato: il bene del paziente non è più un
“obiettivo assoluto” delle policies sanitarie, ma
viene contemperato con le esigenze dell'organizzazione
complessiva, che ha le sue leggi burocratiche, ed è
sempre di più piegata ad esigenze extra-sanitarie:
rispetto di costi, tempi, di linee guida, di standard
dell'intero ospedale o della clinica (Gawande 2002).
Orbene, si consideri
che, secondo i dati Istat, le morti causate negli
ospedali da errori medici sono 32.000 ogni anno (il 2,5%
del totale dei decessi in Italia), in numero sempre
crescente; le richieste di risarcimento sono arrivate a
quasi 30.000 l'anno; in media, il risarcimento
effettivamente erogato è pari a 25.000 euro; il costo
sociale del contenzioso è stato stimato in circa 2,5
miliardi di euro (Crupi, Gensini e Motterlini 2006).
Secondo lo studio di Fusciani il volume del contenzioso
è aumentato del 148 % dal 1994 al 2004 (Fusciani 2004).
È di tutta evidenza
che questa “patologia” del sistema ha forti
ripercussioni sulla gestione delle aziende sanitarie,
sia pubbliche che private.
Le
assicurazioni sono ormai un onere elevatissimo ed
inevitabile per le strutture e per gli stessi medici.
Circa 500 milioni di euro vengono spesi ogni anno dalle
Regioni per assicurare ospedali e medici contro gli
errori (secondo dati raccolti da Panorama, 14
ottobre 2010, p. 82 ss., la cifra sarebbe per la
precisione 538.076.789 euro).
Le
Regioni corrono ai ripari: la Regione Veneto – con la
legge n. 15/2009, “Norme in materia di gestione
stragiudiziale del contenzioso sanitario” – si propone
l'obiettivo di regolare modalità di composizione
stragiudiziale delle controversie, istituendo una
Commissione conciliativa regionale, cui si assegna il
compito di promuovere la risoluzione stragiudiziale
delle controversie che derivano dalla responsabilità
civile delle strutture sanitarie pubbliche e private
convenzionate (la legge è stata dichiarata
costituzionalmente legittima con sentenza Corte
Costituzionale 14 maggio 2010, n. 178).
I costi
assicurativi che deve mettere in conto chi si avventura
nella gestione di un ospedale pubblico in Italia sono di
sessanta euro a ricovero, 2.233 euro a letto, 3.690 euro
a medico e 1.630 euro a infermiere, con picchi fino a
5.310 euro a letto per il reparto di Ostetricia, che
registra il primato per errori denunciati (dati Il
sole 24 ore 11 gennaio 2011).
Contenzioso medico-sanitario e
clinical risk management.
Occorre
dunque interrogarsi sulla responsabilità delle strutture
sanitarie e sulla gestione del “Risk Management”.
In altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti, il problema
è sempre stato affrontato (v. ad es. il lavoro: Vincent
C. (a cura di), Clinical Risk Mangement, Brit.
Med. Journ., II ed., 2001). Già nel 1951 è stata fondata
la statunitense Joint Commission for Accreditation of
Healthcare Organisation (JCAHO) (www.jcaho.org)
che ha accreditato (2002) più di 5.000 ospedali e circa
15.000 organizzazioni sanitarie di diverso tipo: la
JCAHO è un'organizzazione privata no profit con
sede a Chicago (Illinois) e nel 1999 ha istituito la
Joint Commision International (JCI) che opera a
livello internazionale e fornisce assistenza tecnica per
lo sviluppo dei “sistemi-qualità” nei servizi sanitari
mondiali.
Uno
studio di ampio respiro sullo stato attuale del
contenzioso (si consideri che è sorta persino
l'Associazione dei Medici Accusati di Malpractice
Ingiustamente –AMAMI-, che raccoglie i sanitari usciti
indenni dai gradi di giudizio per non aver commesso
alcun errore, www.amami.it), è stato effettuato da Di
Marzio, per il quale emergerebbe un aspetto politico del
problema, in base alla considerazione che la disciplina
della responsabilità sarebbe lo strumento per pervenire
ad una più articolata distribuzione dei rischi,
attraverso un favor processuale per il
danneggiato rispetto al danneggiante (Di Marzio 2007).
La
notazione di Di Marzio si allarga ad una riflessione
sulle deformazioni del nostro sistema: il marcato
allentamento del nesso causale e la definitiva
sovrapposizione del rischio al danno sembrano aprire la
strada
verso
un'irrazionale previdenza sociale priva di qualsiasi
programmazione a monte e che non tiene nel minimo conto
se il beneficiario sia un Creso o un poveraccio. Una
previdenza sociale entro la quale il medico non pagherà,
perché pagherà la struttura sanitaria, che neppure
pagherà perché pagherà l'assicuratore, che neppure
pagherà, perché aumenterà i premi per tutti, sicché alla
fine pagheremo tutti, per questa via, un'altra
bellissima tassa, indifferente per di più al principio
costituzionale di progressività.
(Di
Marzio 2007, 4).
È pur
vero che il costo del contenzioso viene assorbito dalle
assicurazioni che le Regioni stipulano, il che vuol dire
che esso ricade, in ultima analisi, sul cittadino. Un
costo sociale, d'altra parte, che può valere la pena di
sopportare, salvo il pericolo che ciò si traduca in un
alleggerimento della responsabilità del medico. |