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Le conseguenze del mancato recepimento della direttiva europea in 2008/115/CE nell’ordinamento italiano- Allegria Angela

 

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Lo Stato Italiano in materia di diritto dell’immigrazione non ha ad oggi recepito la direttiva europea n. 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili agli Stati membri al rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno sul territorio di detti Stati è irregolare.

 

Ai sensi dell’art. 288 comma 3 TFUE (così come modificato dal Trattato di Lisbona) la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali per quanto riguarda la forma ed i mezzi necessari a tale scopo.

 

Tale misure devono essere attuate da parte degli Stati membri entro un termine imperativo fissato dalla direttiva stessa e nell’ambito del loro generale obbligo di leale cooperazione, mentre nella pendenza dell’obbligo di attuazione, gli Stati hanno obbligo di standstill, di non porre in essere misure interne tali da pregiudicare gli effetti della direttiva una volta attuata.

 

Con riferimento alla direttiva 2008/115/CE il termine perentorio di recepimento è scaduto il 24 dicembre 2010 senza che l’Italia abbia provveduto a predisporre i mezzi necessari per attuare il contenuto dell’atto europeo.

 

Ciò ha comportato notevoli conseguenze.

 

Con due distinte istanze l’avv. modicano Piero Sabellini, esperto di diritto dell’immigrazione, ha chiesto al Giudice Unico del Tribunale di Modica e al Giudice di Pace dello stesso foro, di voler sollevare questione di illegittimità costituzionale innanzi alla Consulta.

 

Si tratta di due procedimenti distinti.

 

Con il primo, già accolto dal Giudice Unico che ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la Questione di Legittimità Costituzionale e ha sospeso il giudizio disponendo la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, si pone il problema del conflitto fra l’art. 117 della nostra Costituzione e l’art. 14 comma 5 quater del Testo Unico sull’Immigrazione (d. lgs. 286/1998).

 

“La predetta Direttiva comunitaria – ci spiega il giovane avvocato – non essendo immediatamente applicabile nell’ordinamento giuridico italiano, determina un contrasto tra la stessa norma comunitaria e la norma interna, rappresentata dal T.U. sull’Immigrazione”.

 

Infatti, l’art. 117 Cost. indica quale materia di competenza esclusiva dello Stato nazionale l’immigrazione.

 

Nel caso di specie un cittadino extracomunitario era stato raggiunto da un Decreto di Espulsione dal territorio nazionale, emesso dal Prefetto della Provincia di Ragusa, sul presupposto della mancata regolarizzazione da parte dello stesso della propria posizione di soggiorno. Su tale atto si è poi incardinato il sub-procedimento amministrativo, conclusosi con l’emissione dell’Ordine Questorile di lasciare il territorio nazionale, emesso dal Questore della Provincia di Ragusa.

 

Alla luce del contrasto fra la Direttiva in questione e gli Artt. 13 e 14 del T.U. sull’Immigrazione, entrambi i provvedimenti amministrativi, seppur legittimamente assunti, sarebbero divenuti integralmente inefficaci.

 

Nel secondo caso, sulla cui istanza deciderà il prossimo 3 giugno il Giudice di Pace di Modica, il contrasto è con gli artt. 3, 25 e 117 Cost.

 

Il caso di specie riguarda un cittadino extracomunitario imputato del reato di cui all’art. 10 bis del Testo Unico in materia di Immigrazione, ossia immigrazione clandestina.

 

All’interno dell’istanza rivolta al magistrato decidente, l’avv. Sabellini delinea in maniera limpida e sistematica le differenze fra il contenuto della Direttiva in questione ed il d. lgs. 286/1998.

 

Mentre la Direttiva considera irregolare “la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un Paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro”, per il T.U. sull’Immigrazione è irregolare “l’ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle di cui all’art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68”; l’art. 3 lett. 2)”. Ciò comporta notevoli differenze nel regime sanzionatorio adottato.

 

Infatti, mentre l’art. 6.1 della Direttiva prevede che “gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un Paese terzo il cui soggiorno nel territorio è irregolare”, definendo la decisione di rimpatrio come “decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di Paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio”, la conseguenza prevista dal T.U. per la presenza irregolare è costituita da una sanzione penale, ossia l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro.

 

“Il ricorso ad una sanzione penale – sottolinea il legale modicano - peraltro di entità certamente considerevole snatura lo scopo che il legislatore comunitario si è prefisso di perseguire. Vale la pena osservare a tal proposito come la semplice inosservanza di un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico è sanzionata dal legislatore nazionale con la pena dell’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino ad € 206,00. Risulta essere pertanto evidente la sproporzione di sanzioni previste per l’ingresso in territorio nazionale di un soggetto extracomunitario, perseguibili non già con una sanzione penale, quanto piuttosto con una ben più semplice sanzione amministrativa”.

 

L’iter di allontanamento previsto dalla Direttiva prevede: l’allontanamento volontario, in secondo luogo l’accompagnamento coattivo, solo infine il trattenimento.

 

Nella legge Bossi-Fini invece è previsto in prima istanza l’allontanamento coattivo, in secondo luogo il trattenimento e solo in terzo luogo l’allontanamento volontario, seguito, in caso di inosservanza, dalla detenzione in carcere.

 

Altre differenze riguardano il divieto di reingresso dopo l’espulsione (nel termine di 10 anni come previsto dall’art. 10 bis comma 5, nel termine massimo di 5 anni nella Direttiva), il termine di allontanamento nazionale (di 5 giorni non prorogabili come previsto dal T.U., da 7 a 30 giorni con possibilità di poter estendere tale termine come è presente nell’art. 7.1 della Direttiva), la scelta di allontanamento (immediato accompagnamento alla frontiera con provvedimento esecutivo per la Bossi-Fini, il rimpatrio volontario rispetto a quello forzato nello spirito della Direttiva).

 

Alla luce di tali divergenze e nell’inerzia del legislatore italiano che sembra sonnecchiare sul recepimento della direttiva 2008/115/CE non resta che aspettare l’esito delle sollevate questioni di illegittimità costituzionale e sperare che, come al solito, non siano i poveri a farne le conseguenze!

 

Angela Allegria

 

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