Gli effetti della disciplina della mediazione (dlgs
28/2010) sulle procedure di conciliazione (o
assimilabili) ad essa preesistenti per la risoluzione
delle controversie in materia bancaria e finanziaria
In questo articolo
cerchiamo di analizzare gli effetti che ha la recente
disciplina del procedimento di mediazione, introdotta
dal Decreto Legislativo n° 28 del 2010, sulle
preesistenti procedure di conciliazione (o su alcune
procedure ad esse assimilabili) finalizzate alla
risoluzione delle controversie contrattuali in materia
bancaria e finaziaria.
Com’è noto,
l’esperimento preventivo del procedimento di mediazione
è condizione di procedibilità della domanda giudiziale
per tutte le controversie in una serie di materie
previste dal 1° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ed,
in particolare per quelle che hanno per oggetto i
diritti derivanti da contratti bancari, finanziari ed
assicurativi. Ciò significa che per poter iniziare una
causa davanti al Giudice ordinario per rivendicare un
diritto derivante da un contratto di questo tipo occorre
avere già effettuato il tentativo di conciliazione fra
(per esempio) cliente e banca e che, ovviamente, questo
tentativo non abbia avuto successo. Questa è, pertanto,
una delle materie in cui la procedura di mediazione è
“obbligatoria” perché prevista come tale dalla legge.
In particolare,
segnaliamo che per “contratto assicurativo” si intende,
in primo luogo, quello di assicurazione sulla vita, in
quanto la stessa norma prevede che pure tutte le cause
in materia di risarcimento del danno derivante dalla
circolazione di veicoli o di natanti sono tenute
all’esperimento obbligatorio del tentativo di
conciliazione. Inoltre, riteniamo che in queste
categorie di contratti vadano inclusi per analogia anche
i piani pensionistici individuali, date le loro
importanti componenti assicurativa e finanziaria. In
questo articolo, però, non ci occuperemo di contratti
assicurativi, ma solo di contratti bancari e finanziari.
La norma di cui al
comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ha acquistato
efficacia dopo un anno dall’entrata in vigore di questo
Decreto, vale a dire il 21 marzo 2011, e si applica
soltanto ai processi iniziati dopo tale data.
La
mediazione o conciliazione in materia bancaria e
finanziaria non è una novità per l’ordinamento
giuridico italiano, essendo stata introdotta diversi
anni fa:
·
dapprima dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n°
5 del 2003 sui procedimenti di conciliazione in materia
societaria, finanziaria e creditizia successivamente
abrogati dal 1° comma dell’art. 23 del Dlgs 28/2010 e
sostituiti dalla disciplina del procedimento di
mediazione contenuta in questo ultimo Decreto1,
·
poi
dall’art. 29 del Decreto Legislativo n° 262 del 2005
(sulla tutela del risparmio e la riforma dei mercati
finanziari) che ha aggiunto l’articolo 128-bis
al Decreto Legislativo n° 385 del 1993 (il Testo Unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia) sui
sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie
in materia bancaria,
·
infine
dagli artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del
2007, emanati in base alla delega al Governo contenuta
nel 1° comma dell’art. 27 del Dlgs 262/2005, che hanno
introdotto una procedura di conciliazione in materia
finanziaria gestita da un organismo che è emanazione
della CONSOB (la Commissione Nazionale per le Società e
la Borsa), la Camera di conciliazione e arbitrato presso
la CONSOB la cui organizzazione è disciplinata dal
Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008 (precisamente dagli
articoli da 1 a 16 di quest’ultimo).
In realtà, il
primo procedimento di conciliazione (o, almeno, ad esso
somigliante), quello presso il c.d. “Ombudsman
bancario” (di cui parleremo tra poco) è sorto persino
prima dell’emanazione delle norme citate, negli anni
novanta del secolo scorso.
In problema è che,
finora, i procedimenti di conciliazione (oggi di
mediazione) citati non hanno dato buona prova di
sé (nel senso che non hanno risolto molte
controversie), soprattutto quelli di cui al capoverso
precedente ed al secondo punto dell’elenco sopra
riportato, in quanto i clienti delle banche o delle
società finanziarie non li percepiscono come dei
procedimenti capaci di tutelare davvero i loro
interessi.
Questo perché gli
organismi di conciliazione (oggi di mediazione) che sono
stati istituiti nel tempo, dapprima l’Ombudsman
bancario (oggi chiamato anche Giurì Bancario), che ha
costituito il Conciliatore Bancario e Finanziario, e poi
l’Arbitro Bancario e Finanziario, sono nati in ambito
bancario (il primo ed il secondo sono espressione
dell’ABI – Associazione Bancaria Italiana, il terzo
della Banca d’Italia) e non sono stati finora
percepiti come organismi davvero terzi, in
grado di portare le banche ad una soluzione
conciliativa, cioè ad un accordo, che possa soddisfare
anche il cliente che ritiene di avere subito un torto.
Per questo motivo, tali organismi sono stati
poco utilizzati nella pratica, mentre la
giustizia civile ordinaria ha dovuto gestire un numero
crescente di cause in materia bancaria e finanziaria,
col conseguente allungamento dei tempi per la
definizione delle controversie. Del resto, ciò era
prevedibile in quanto, nelle controversie fra banche e
clienti, l’ABI è l’associazione che rappresenta una
delle parti in causa (le banche), per giunta quella con
maggiore potere contrattuale, mentre la Banca d’Italia è
troppo assorbita dalle sue funzioni di vigilanza sul
sistema bancario per potere svolgere efficacemente anche
quelle di organismo di tutela del consumatore –
acquirente di servizi bancari. Per giunta il capitale di
Banca d’Italia è detenuto dalle principali banche
ordinarie controllate, per cui, come nel caso dell’ABI,
vi è un chiaro conflitto di interesse (e, quindi, una
mancanza di terzietà) se questi enti costituiscono degli
organismi di conciliazione delle controversie fra banche
e clienti.
In particolare, l’Ombudsman
bancario (www.conciliatorebancario.it)
che non è un organismo di conciliazione (oggi di
mediazione) ma un organismo che giudica in appello i
reclami presentati dai clienti alle banche ed agli altri
intermediari finanziari e che da questi sono rigettati,
in tutto o in parte. La competenza dell’Ombudsman
non può superare i 100.000 Euro se è chiesto un
risarcimento e dal 2009 è limitata alle sole
controversie sulle attività di investimento effettuate
dalle banche per conto dei clienti (in concorrenza, come
vedremo tra poco, con la Camera di conciliazione presso
la CONSOB). Il suo giudizio deve essere pronunciato
entro 90 giorni, prorogabili per acquisire ulteriore
documentazione ad esso necessaria. Il problema è che
questo giudizio non è vincolante, non essendo l’Ombudsman
(o Giurì Bancario) un organismo arbitrale.
Il
Conciliatore Bancario e Finanziario, che ha
rappresentato l’evoluzione dell’Ombudsman dopo
l’introduzione dell’art. 128-bis del Testo
Unico delle Leggi Bancarie da parte dell’art. 29 del
Dlgs 262/2005, è un normale organismo di conciliazione,
vale a dire, oggi, di mediazione, a cui si applica la
disciplina del Dlgs 28/2010 e del D.M. 180/2010.
Invece, l’Arbitro
Bancario e Finanziario (ABF, su cui vedi il
sito:
www.arbitrobancariofinanziario.it ) è un organismo
che giudica anch’esso in appello i reclami dei clienti
rigettati dalle banche e dagli altri intermediari
finanziari e che, se accoglie il ricorso e questo
giudizio non viene osservato dalla banca, può condannare
quest’ultima alla pubblicazione, a sue spese, di una
pubblicità del suo inadempimento sul sito web della
Banca d’Italia e su due quotidiani a diffusione
nazionale. L’ABF può giudicare tutte le controversie sui
servizi bancari e finanziari (per esempio, sui mutui,
conti correnti, prestiti personali, ecc.) diversi dai
servizi di investimento, di leasing e di factoring fino
a 100.000 Euro, se il cliente chiede una somma di
denaro, o senza limiti di importo se il cliente chiede
soltanto l’accertamento di un diritto, di un obbligo o
di una facoltà. L’ABF quindi può giudicare, ma non
decidere perché la banca, come abbiamo visto, può non
conformarsi al giudizio da esso espresso, per cui l’ABF
non è un organismo arbitrale (le cui decisioni sono
vincolanti), né di mediazione perché non ha l’obbligo di
tentare di fare giungere le parti ad un accordo di
conciliazione. Il giudizio va emesso entro 60 giorni
dalla presentazione del ricorso.
In entrambi i casi
(dell’Ombudsman e dell’ABF, ma non in quello
del Conciliatore Bancario e Finanziario) il ricorso deve
essere presentato entro un anno dal rigetto del reclamo
del cliente da parte della banca o dell’intermediario
finanziario che deve rispondere ad esso entro 30 giorni
dalla presentazione.
Infine, nel
rispetto delle competenze di essi, si possono rivolgere
a questi organismi sia i consumatori persone fisiche che
le imprese o gli enti senza fine di lucro (o non
profit).
Facciamo notare
che la tendenza alla creazione di un organismo
di conciliazione “in house” (cioè “in
casa”, quindi proprietario) per
trattare le controversie coi propri clienti non è solo
delle banche e degli intermediari finanziari, ma anche
di alcune società erogatrici di servizi pubblici di rete
(acqua, gas, elettricità, ecc., ma non la telefonia,
come vedremo tra poco) che poi ottengono lo stesso
risultato: la diffidenza dei clienti verso i loro
organismi di conciliazione, percepiti come non
imparziali, e la migrazione di questi verso la giustizia
ordinaria, con una forte crescita dei costi del
contenzioso legale. Insomma, questo artificio non premia
sul lato economico e nemmeno su quello dell’immagine.
Hanno fatto
eccezione a questa tendenza le società erogatrici dei
servizi telefonici che si sono rivolte soprattutto agli
organismi di conciliazione e poi di mediazione istituiti
dalle Camere di Commercio e che meritano, da questo
punto di vista, una lode per avere cercato di instaurare
un rapporto corretto coi clienti con cui sorgono delle
controversie.
Lo scarso utilizzo
da parte dei clienti, sempre per quanto riguarda la
risoluzione delle controversie in materia bancaria e
finanziaria, delle procedure di conciliazione previste
dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n° 5 del
2003 (oggi abrogati, come abbiamo visto in precedenza) e
della procedura sempre di conciliazione gestita dalla
Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB
(artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del 2007 ed
artt. 1- 16 del Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008) (www.camera-consob.it)
non è, invece, da imputarsi ad una diffidenza per la
effettiva terzietà di questi organismi, ma alla
scarsa conoscenza e propensione all’utilizzo dei sistemi
di risoluzione stragiudiziale delle controversie
che hanno caratterizzato finora il nostro paese e la sua
cultura giuridica, sia quella degli operatori del
diritto, sia quella diffusa della gente comune.
Infatti, gli
organismi di conciliazione di cui al Dlgs 5/2003, oggi
organismi di mediazione disciplinati dal Dlgs 28/2010,
devono dare garanzie di terzietà, così come li ha sempre
dati la Camera di conciliazione presso la CONSOB,
che è espressione dell’autorità pubblica di vigilanza
sui mercati finanziari e le società quotate e che,
pertanto, non può essere sospettata di vicinanza ad una
delle due parti delle controversie fra investitori non
professionali (cioè clienti, siano essi consumatori
persone fisiche oppure imprese od enti di diverso
genere) ed intermediari finanziari abilitati alla
prestazione di servizi e di attività di investimento
(banche, SIM, SGR, SICAV, ecc. iscritti nell’elenco
degli intermediari finanziari di cui agli artt. 106 e
107 del Dlgs 385/1993 tenuto dalla Banca d’Italia).
La competenza
della Camera di conciliazione presso la CONSOB è
limitata alla risoluzione delle controversie
fra investitori ed intermediari finanziari per
la violazione, da parte di
questi ultimi, degli obblighi di informazione,
correttezza e trasparenza previsti dalla legge nei
rapporti contrattuali con gli investitori (art.
2, 1° comma, del Dlgs 179/2007), quindi ai
servizi ed alle attività di
investimento in valori mobilari, sia
individuali che collettivi (fondi comuni). Anche in
questo caso il cliente deve avere prima presentato un
reclamo all’intermediario finanziario, rigettato o
ignorato da quest’ultimo (cosa che però il Dlgs 28/2010
sulla disciplina della mediazione non prevede ed è
quest’ultima norma che oggi dovrebbe prevalere). La
procedura presso la Camera di conciliazione dura 60
giorni prorogabili di altri 60 col consenso delle parti.
La Camera può investire della questione un altro
organismo di mediazione iscritto nel Registro di cui
all’art. 3 del D.M. 180/2010 con cui abbia un accordo di
collaborazione.
Dal momento che il
Conciliatore Bancario e Finanziario e la Camera di
conciliazione presso la CONSOB sono due normali
organismi di conciliazione (oggi di mediazione) si
spiega perché la relazione illustrativa del Dlgs 28/2010
riconosce le procedure stragiudiziali istituite ai sensi
dell’art. 128-bis del Dlgs 285/1993 e degli
artt. 1 – 4 del Dlgs 179/2007 come valide per soddisfare
la condizione di procedibilità dell’esperimento del
tentativo di mediazione per le cause in materia di
contratti bancari e finanziari prevista dal comma 1°
dell’art. 5 del Dlgs 28/2010.
La speranza di un
rilancio delle procedure conciliative per le
controversie in materia bancaria e finanziaria sta
proprio nella nuova disciplina del procedimento di
mediazione introdotta dal Dlgs 28/2010. Infatti, sulla
base di esso, il cliente che voglia esperire il
tentativo obbligatorio di mediazione per una
controversia, per esempio, con una banca può scegliere
di rivolgersi all’organismo di mediazione che ritiene
più affidabile, cioè davvero terzo. Questo concetto è
ribadito dal 3° comma del nuovo testo dell’art. 128-bis
del Dlgs 385/1993 introdotto dall’art. 4, comma 3°, del
Decreto Legislativo n° 141 del 2010 che ha adeguato
questo articolo alla nuova disciplina della mediazione
contenuta nel Dlgs 28/2010. Esso, infatti, prevedendo
che l’adesione delle banche e degli intermediari
finanziari ai sistemi di risoluzione stragiudiziale
delle controversie di cui ai commi 1° e 2° dell’art.
128-bis del Dlgs 385/1993 non pregiudica “per
il cliente il ricorso ad ogni altro mezzo di tutela
previsto dall’ordinamento” ha voluto anche
affermare che il cliente può, come prevede il Dlgs
28/2010, scegliere l’organismo di mediazione che gli dà
maggiori garanzie di terzietà.
Se la banca non
partecipa alla mediazione promossa dal cliente il
mediatore deve comunque formulare una proposta di
conciliazione da comunicare alla banca e che questa può
accettare o meno entro sette giorni dalla data di
ricezione (in mancanza di risposta nel termine la
proposta si ha per rifiutata). La mancata partecipazione
della banca al procedimento di mediazione senza un
giustificato motivo può essere valutata dal Giudice del
giudizio successivo ai sensi dell’art. 116 del Codice di
Procedura Civile sulla valutabilità del contegno delle
parti nel processo. Per tale motivo ad una banca (o
società finanziaria, o compagnia di assicurazioni)
conviene partecipare al procedimento di mediazione
avviato nei suoi confronti da un cliente per non
aumentare le probabilità di perdere l’eventuale giudizio
successivo.
Se, invece, è la
banca ad avviare la procedura conciliativa (caso raro,
ma non impossibile) davanti ad un organismo che il
cliente non ritiene davvero terzo, quest’ultimo può non
partecipare al procedimento di mediazione, facendo poi
presente nel giudizio successivo i motivi per cui ha
sospettato la mancanza di terzietà del mediatore, oppure
può parteciparvi avvalendosi nella causa seguente del
diritto di impedire la produzione di quanto emerso nei
suoi confronti nel corso del procedimento di mediazione.
Lo stesso vale per
la mediazione, non obbligatoria per legge, relativa alle
controversie fra clienti e società di erogazione di
servizi pubblici di rete che si sono create in questi
anni un organismo di conciliazione in proprio ed hanno
cercato di renderla obbligatoria per il cliente con una
clausola del contratto stipulato per l’erogazione del
servizio (la c.d. “clausola di mediazione” o “di
conciliazione”). Infatti, il 5° comma dell’art. 5 del
Dlgs 28/2010 stabilisce che, nel caso di clausola di
mediazione contenuta in un contratto qualsiasi od in uno
statuto od atto costitutivo di società (e, pertanto,
obbligatoria in forza di queste clausole), le parti
restano libere di scegliersi l’organismo di
conciliazione che preferiscono, anche se l’atto che
contiene la clausola ne indica uno in particolare.
E questa ultima
norma vale, ovviamente, anche per i contratti bancari,
finanziari od assicurativi che dovessero contenere
l’indicazione di un determinato organismo di mediazione
a cui rivolgersi per esperire il tentativo obbligatorio
di conciliazione previsto dalla legge per le
controversie che da essi derivano.
1 Ricordiamo che gli artt. 38 – 40 del Dlgs 5/2003
furono attuati dai Decreti del Ministero della Giustizia
n° 222 e 223 del 2004. Una volta abrogate le norme
legislative di riferimento anche questi decreti
ministeriali sono da considerasi abrogati.
In questo articolo
cerchiamo di analizzare gli effetti che ha la recente
disciplina del procedimento di mediazione, introdotta
dal Decreto Legislativo n° 28 del 2010, sulle
preesistenti procedure di conciliazione (o su alcune
procedure ad esse assimilabili) finalizzate alla
risoluzione delle controversie contrattuali in materia
bancaria e finaziaria.
Com’è noto,
l’esperimento preventivo del procedimento di mediazione
è condizione di procedibilità della domanda giudiziale
per tutte le controversie in una serie di materie
previste dal 1° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ed,
in particolare per quelle che hanno per oggetto i
diritti derivanti da contratti bancari, finanziari ed
assicurativi. Ciò significa che per poter iniziare una
causa davanti al Giudice ordinario per rivendicare un
diritto derivante da un contratto di questo tipo occorre
avere già effettuato il tentativo di conciliazione fra
(per esempio) cliente e banca e che, ovviamente, questo
tentativo non abbia avuto successo. Questa è, pertanto,
una delle materie in cui la procedura di mediazione è
“obbligatoria” perché prevista come tale dalla legge.
In particolare,
segnaliamo che per “contratto assicurativo” si intende,
in primo luogo, quello di assicurazione sulla vita, in
quanto la stessa norma prevede che pure tutte le cause
in materia di risarcimento del danno derivante dalla
circolazione di veicoli o di natanti sono tenute
all’esperimento obbligatorio del tentativo di
conciliazione. Inoltre, riteniamo che in queste
categorie di contratti vadano inclusi per analogia anche
i piani pensionistici individuali, date le loro
importanti componenti assicurativa e finanziaria. In
questo articolo, però, non ci occuperemo di contratti
assicurativi, ma solo di contratti bancari e finanziari.
La norma di cui al
comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ha acquistato
efficacia dopo un anno dall’entrata in vigore di questo
Decreto, vale a dire il 21 marzo 2011, e si applica
soltanto ai processi iniziati dopo tale data.
La
mediazione o conciliazione in materia bancaria e
finanziaria non è una novità per l’ordinamento
giuridico italiano, essendo stata introdotta diversi
anni fa:
·
dapprima dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n°
5 del 2003 sui procedimenti di conciliazione in materia
societaria, finanziaria e creditizia successivamente
abrogati dal 1° comma dell’art. 23 del Dlgs 28/2010 e
sostituiti dalla disciplina del procedimento di
mediazione contenuta in questo ultimo Decreto1,
·
poi
dall’art. 29 del Decreto Legislativo n° 262 del 2005
(sulla tutela del risparmio e la riforma dei mercati
finanziari) che ha aggiunto l’articolo 128-bis
al Decreto Legislativo n° 385 del 1993 (il Testo Unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia) sui
sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie
in materia bancaria,
·
infine
dagli artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del
2007, emanati in base alla delega al Governo contenuta
nel 1° comma dell’art. 27 del Dlgs 262/2005, che hanno
introdotto una procedura di conciliazione in materia
finanziaria gestita da un organismo che è emanazione
della CONSOB (la Commissione Nazionale per le Società e
la Borsa), la Camera di conciliazione e arbitrato presso
la CONSOB la cui organizzazione è disciplinata dal
Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008 (precisamente dagli
articoli da 1 a 16 di quest’ultimo).
In realtà, il
primo procedimento di conciliazione (o, almeno, ad esso
somigliante), quello presso il c.d. “Ombudsman
bancario” (di cui parleremo tra poco) è sorto persino
prima dell’emanazione delle norme citate, negli anni
novanta del secolo scorso.
In problema è che,
finora, i procedimenti di conciliazione (oggi di
mediazione) citati non hanno dato buona prova di
sé (nel senso che non hanno risolto molte
controversie), soprattutto quelli di cui al capoverso
precedente ed al secondo punto dell’elenco sopra
riportato, in quanto i clienti delle banche o delle
società finanziarie non li percepiscono come dei
procedimenti capaci di tutelare davvero i loro
interessi.
Questo perché gli
organismi di conciliazione (oggi di mediazione) che sono
stati istituiti nel tempo, dapprima l’Ombudsman
bancario (oggi chiamato anche Giurì Bancario), che ha
costituito il Conciliatore Bancario e Finanziario, e poi
l’Arbitro Bancario e Finanziario, sono nati in ambito
bancario (il primo ed il secondo sono espressione
dell’ABI – Associazione Bancaria Italiana, il terzo
della Banca d’Italia) e non sono stati finora
percepiti come organismi davvero terzi, in
grado di portare le banche ad una soluzione
conciliativa, cioè ad un accordo, che possa soddisfare
anche il cliente che ritiene di avere subito un torto.
Per questo motivo, tali organismi sono stati
poco utilizzati nella pratica, mentre la
giustizia civile ordinaria ha dovuto gestire un numero
crescente di cause in materia bancaria e finanziaria,
col conseguente allungamento dei tempi per la
definizione delle controversie. Del resto, ciò era
prevedibile in quanto, nelle controversie fra banche e
clienti, l’ABI è l’associazione che rappresenta una
delle parti in causa (le banche), per giunta quella con
maggiore potere contrattuale, mentre la Banca d’Italia è
troppo assorbita dalle sue funzioni di vigilanza sul
sistema bancario per potere svolgere efficacemente anche
quelle di organismo di tutela del consumatore –
acquirente di servizi bancari. Per giunta il capitale di
Banca d’Italia è detenuto dalle principali banche
ordinarie controllate, per cui, come nel caso dell’ABI,
vi è un chiaro conflitto di interesse (e, quindi, una
mancanza di terzietà) se questi enti costituiscono degli
organismi di conciliazione delle controversie fra banche
e clienti.
In particolare, l’Ombudsman
bancario (www.conciliatorebancario.it)
che non è un organismo di conciliazione (oggi di
mediazione) ma un organismo che giudica in appello i
reclami presentati dai clienti alle banche ed agli altri
intermediari finanziari e che da questi sono rigettati,
in tutto o in parte. La competenza dell’Ombudsman
non può superare i 100.000 Euro se è chiesto un
risarcimento e dal 2009 è limitata alle sole
controversie sulle attività di investimento effettuate
dalle banche per conto dei clienti (in concorrenza, come
vedremo tra poco, con la Camera di conciliazione presso
la CONSOB). Il suo giudizio deve essere pronunciato
entro 90 giorni, prorogabili per acquisire ulteriore
documentazione ad esso necessaria. Il problema è che
questo giudizio non è vincolante, non essendo l’Ombudsman
(o Giurì Bancario) un organismo arbitrale.
Il
Conciliatore Bancario e Finanziario, che ha
rappresentato l’evoluzione dell’Ombudsman dopo
l’introduzione dell’art. 128-bis del Testo
Unico delle Leggi Bancarie da parte dell’art. 29 del
Dlgs 262/2005, è un normale organismo di conciliazione,
vale a dire, oggi, di mediazione, a cui si applica la
disciplina del Dlgs 28/2010 e del D.M. 180/2010.
Invece, l’Arbitro
Bancario e Finanziario (ABF, su cui vedi il
sito:
www.arbitrobancariofinanziario.it ) è un organismo
che giudica anch’esso in appello i reclami dei clienti
rigettati dalle banche e dagli altri intermediari
finanziari e che, se accoglie il ricorso e questo
giudizio non viene osservato dalla banca, può condannare
quest’ultima alla pubblicazione, a sue spese, di una
pubblicità del suo inadempimento sul sito web della
Banca d’Italia e su due quotidiani a diffusione
nazionale. L’ABF può giudicare tutte le controversie sui
servizi bancari e finanziari (per esempio, sui mutui,
conti correnti, prestiti personali, ecc.) diversi dai
servizi di investimento, di leasing e di factoring fino
a 100.000 Euro, se il cliente chiede una somma di
denaro, o senza limiti di importo se il cliente chiede
soltanto l’accertamento di un diritto, di un obbligo o
di una facoltà. L’ABF quindi può giudicare, ma non
decidere perché la banca, come abbiamo visto, può non
conformarsi al giudizio da esso espresso, per cui l’ABF
non è un organismo arbitrale (le cui decisioni sono
vincolanti), né di mediazione perché non ha l’obbligo di
tentare di fare giungere le parti ad un accordo di
conciliazione. Il giudizio va emesso entro 60 giorni
dalla presentazione del ricorso.
In entrambi i casi
(dell’Ombudsman e dell’ABF, ma non in quello
del Conciliatore Bancario e Finanziario) il ricorso deve
essere presentato entro un anno dal rigetto del reclamo
del cliente da parte della banca o dell’intermediario
finanziario che deve rispondere ad esso entro 30 giorni
dalla presentazione.
Infine, nel
rispetto delle competenze di essi, si possono rivolgere
a questi organismi sia i consumatori persone fisiche che
le imprese o gli enti senza fine di lucro (o non
profit).
Facciamo notare
che la tendenza alla creazione di un organismo
di conciliazione “in house” (cioè “in
casa”, quindi proprietario) per
trattare le controversie coi propri clienti non è solo
delle banche e degli intermediari finanziari, ma anche
di alcune società erogatrici di servizi pubblici di rete
(acqua, gas, elettricità, ecc., ma non la telefonia,
come vedremo tra poco) che poi ottengono lo stesso
risultato: la diffidenza dei clienti verso i loro
organismi di conciliazione, percepiti come non
imparziali, e la migrazione di questi verso la giustizia
ordinaria, con una forte crescita dei costi del
contenzioso legale. Insomma, questo artificio non premia
sul lato economico e nemmeno su quello dell’immagine.
Hanno fatto
eccezione a questa tendenza le società erogatrici dei
servizi telefonici che si sono rivolte soprattutto agli
organismi di conciliazione e poi di mediazione istituiti
dalle Camere di Commercio e che meritano, da questo
punto di vista, una lode per avere cercato di instaurare
un rapporto corretto coi clienti con cui sorgono delle
controversie.
Lo scarso utilizzo
da parte dei clienti, sempre per quanto riguarda la
risoluzione delle controversie in materia bancaria e
finanziaria, delle procedure di conciliazione previste
dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n° 5 del
2003 (oggi abrogati, come abbiamo visto in precedenza) e
della procedura sempre di conciliazione gestita dalla
Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB
(artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del 2007 ed
artt. 1- 16 del Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008) (www.camera-consob.it)
non è, invece, da imputarsi ad una diffidenza per la
effettiva terzietà di questi organismi, ma alla
scarsa conoscenza e propensione all’utilizzo dei sistemi
di risoluzione stragiudiziale delle controversie
che hanno caratterizzato finora il nostro paese e la sua
cultura giuridica, sia quella degli operatori del
diritto, sia quella diffusa della gente comune.
Infatti, gli
organismi di conciliazione di cui al Dlgs 5/2003, oggi
organismi di mediazione disciplinati dal Dlgs 28/2010,
devono dare garanzie di terzietà, così come li ha sempre
dati la Camera di conciliazione presso la CONSOB,
che è espressione dell’autorità pubblica di vigilanza
sui mercati finanziari e le società quotate e che,
pertanto, non può essere sospettata di vicinanza ad una
delle due parti delle controversie fra investitori non
professionali (cioè clienti, siano essi consumatori
persone fisiche oppure imprese od enti di diverso
genere) ed intermediari finanziari abilitati alla
prestazione di servizi e di attività di investimento
(banche, SIM, SGR, SICAV, ecc. iscritti nell’elenco
degli intermediari finanziari di cui agli artt. 106 e
107 del Dlgs 385/1993 tenuto dalla Banca d’Italia).
La competenza
della Camera di conciliazione presso la CONSOB è
limitata alla risoluzione delle controversie
fra investitori ed intermediari finanziari per
la violazione, da parte di
questi ultimi, degli obblighi di informazione,
correttezza e trasparenza previsti dalla legge nei
rapporti contrattuali con gli investitori (art.
2, 1° comma, del Dlgs 179/2007), quindi ai
servizi ed alle attività di
investimento in valori mobilari, sia
individuali che collettivi (fondi comuni). Anche in
questo caso il cliente deve avere prima presentato un
reclamo all’intermediario finanziario, rigettato o
ignorato da quest’ultimo (cosa che però il Dlgs 28/2010
sulla disciplina della mediazione non prevede ed è
quest’ultima norma che oggi dovrebbe prevalere). La
procedura presso la Camera di conciliazione dura 60
giorni prorogabili di altri 60 col consenso delle parti.
La Camera può investire della questione un altro
organismo di mediazione iscritto nel Registro di cui
all’art. 3 del D.M. 180/2010 con cui abbia un accordo di
collaborazione.
Dal momento che il
Conciliatore Bancario e Finanziario e la Camera di
conciliazione presso la CONSOB sono due normali
organismi di conciliazione (oggi di mediazione) si
spiega perché la relazione illustrativa del Dlgs 28/2010
riconosce le procedure stragiudiziali istituite ai sensi
dell’art. 128-bis del Dlgs 285/1993 e degli
artt. 1 – 4 del Dlgs 179/2007 come valide per soddisfare
la condizione di procedibilità dell’esperimento del
tentativo di mediazione per le cause in materia di
contratti bancari e finanziari prevista dal comma 1°
dell’art. 5 del Dlgs 28/2010.
La speranza di un
rilancio delle procedure conciliative per le
controversie in materia bancaria e finanziaria sta
proprio nella nuova disciplina del procedimento di
mediazione introdotta dal Dlgs 28/2010. Infatti, sulla
base di esso, il cliente che voglia esperire il
tentativo obbligatorio di mediazione per una
controversia, per esempio, con una banca può scegliere
di rivolgersi all’organismo di mediazione che ritiene
più affidabile, cioè davvero terzo. Questo concetto è
ribadito dal 3° comma del nuovo testo dell’art. 128-bis
del Dlgs 385/1993 introdotto dall’art. 4, comma 3°, del
Decreto Legislativo n° 141 del 2010 che ha adeguato
questo articolo alla nuova disciplina della mediazione
contenuta nel Dlgs 28/2010. Esso, infatti, prevedendo
che l’adesione delle banche e degli intermediari
finanziari ai sistemi di risoluzione stragiudiziale
delle controversie di cui ai commi 1° e 2° dell’art.
128-bis del Dlgs 385/1993 non pregiudica “per
il cliente il ricorso ad ogni altro mezzo di tutela
previsto dall’ordinamento” ha voluto anche
affermare che il cliente può, come prevede il Dlgs
28/2010, scegliere l’organismo di mediazione che gli dà
maggiori garanzie di terzietà.
Se la banca non
partecipa alla mediazione promossa dal cliente il
mediatore deve comunque formulare una proposta di
conciliazione da comunicare alla banca e che questa può
accettare o meno entro sette giorni dalla data di
ricezione (in mancanza di risposta nel termine la
proposta si ha per rifiutata). La mancata partecipazione
della banca al procedimento di mediazione senza un
giustificato motivo può essere valutata dal Giudice del
giudizio successivo ai sensi dell’art. 116 del Codice di
Procedura Civile sulla valutabilità del contegno delle
parti nel processo. Per tale motivo ad una banca (o
società finanziaria, o compagnia di assicurazioni)
conviene partecipare al procedimento di mediazione
avviato nei suoi confronti da un cliente per non
aumentare le probabilità di perdere l’eventuale giudizio
successivo.
Se, invece, è la
banca ad avviare la procedura conciliativa (caso raro,
ma non impossibile) davanti ad un organismo che il
cliente non ritiene davvero terzo, quest’ultimo può non
partecipare al procedimento di mediazione, facendo poi
presente nel giudizio successivo i motivi per cui ha
sospettato la mancanza di terzietà del mediatore, oppure
può parteciparvi avvalendosi nella causa seguente del
diritto di impedire la produzione di quanto emerso nei
suoi confronti nel corso del procedimento di mediazione.
Lo stesso vale per
la mediazione, non obbligatoria per legge, relativa alle
controversie fra clienti e società di erogazione di
servizi pubblici di rete che si sono create in questi
anni un organismo di conciliazione in proprio ed hanno
cercato di renderla obbligatoria per il cliente con una
clausola del contratto stipulato per l’erogazione del
servizio (la c.d. “clausola di mediazione” o “di
conciliazione”). Infatti, il 5° comma dell’art. 5 del
Dlgs 28/2010 stabilisce che, nel caso di clausola di
mediazione contenuta in un contratto qualsiasi od in uno
statuto od atto costitutivo di società (e, pertanto,
obbligatoria in forza di queste clausole), le parti
restano libere di scegliersi l’organismo di
conciliazione che preferiscono, anche se l’atto che
contiene la clausola ne indica uno in particolare.
E questa ultima
norma vale, ovviamente, anche per i contratti bancari,
finanziari od assicurativi che dovessero contenere
l’indicazione di un determinato organismo di mediazione
a cui rivolgersi per esperire il tentativo obbligatorio
di conciliazione previsto dalla legge per le
controversie che da essi derivano.
1 Ricordiamo che gli artt. 38 – 40 del Dlgs 5/2003
furono attuati dai Decreti del Ministero della Giustizia
n° 222 e 223 del 2004. Una volta abrogate le norme
legislative di riferimento anche questi decreti
ministeriali sono da considerasi abrogati.
Gli effetti della disciplina della mediazione (dlgs
28/2010) sulle procedure di conciliazione (o
assimilabili) ad essa preesistenti per la risoluzione
delle controversie in materia bancaria e finanziaria
In questo articolo cerchiamo di analizzare gli effetti
che ha la recente disciplina del procedimento di
mediazione, introdotta dal Decreto Legislativo n° 28 del
2010, sulle preesistenti procedure di conciliazione (o
su alcune procedure ad esse assimilabili) finalizzate
alla risoluzione delle controversie contrattuali in
materia bancaria e finaziaria.
Com’è noto, l’esperimento preventivo del procedimento di
mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale per tutte le controversie in una serie di
materie previste dal 1° comma dell’art. 5 del Dlgs
28/2010 ed, in particolare per quelle che hanno per
oggetto i diritti derivanti da contratti bancari,
finanziari ed assicurativi. Ciò significa che per poter
iniziare una causa davanti al Giudice ordinario per
rivendicare un diritto derivante da un contratto di
questo tipo occorre avere già effettuato il tentativo di
conciliazione fra (per esempio) cliente e banca e che,
ovviamente, questo tentativo non abbia avuto successo.
Questa è, pertanto, una delle materie in cui la
procedura di mediazione è “obbligatoria” perché prevista
come tale dalla legge.
In particolare, segnaliamo che per “contratto
assicurativo” si intende, in primo luogo, quello di
assicurazione sulla vita, in quanto la stessa norma
prevede che pure tutte le cause in materia di
risarcimento del danno derivante dalla circolazione di
veicoli o di natanti sono tenute all’esperimento
obbligatorio del tentativo di conciliazione. Inoltre,
riteniamo che in queste categorie di contratti vadano
inclusi per analogia anche i piani pensionistici
individuali, date le loro importanti componenti
assicurativa e finanziaria. In questo articolo, però,
non ci occuperemo di contratti assicurativi, ma solo di
contratti bancari e finanziari.
La norma di cui al comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010
ha acquistato efficacia dopo un anno dall’entrata in
vigore di questo Decreto, vale a dire il 21 marzo 2011,
e si applica soltanto ai processi iniziati dopo tale
data.
La mediazione o conciliazione in materia bancaria e
finanziaria non è una novità per l’ordinamento giuridico
italiano, essendo stata introdotta diversi anni fa:
dapprima dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo
n° 5 del 2003 sui procedimenti di conciliazione in
materia societaria, finanziaria e creditizia
successivamente abrogati dal 1° comma dell’art. 23 del
Dlgs 28/2010 e sostituiti dalla disciplina del
procedimento di mediazione contenuta in questo ultimo
Decreto1,
poi dall’art. 29 del Decreto Legislativo n° 262 del
2005 (sulla tutela del risparmio e la riforma dei
mercati finanziari) che ha aggiunto l’articolo 128-bis
al Decreto Legislativo n° 385 del 1993 (il Testo Unico
delle leggi in materia bancaria e creditizia) sui
sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie
in materia bancaria,
infine dagli artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n°
179 del 2007, emanati in base alla delega al Governo
contenuta nel 1° comma dell’art. 27 del Dlgs 262/2005,
che hanno introdotto una procedura di conciliazione in
materia finanziaria gestita da un organismo che è
emanazione della CONSOB (la Commissione Nazionale per le
Società e la Borsa), la Camera di conciliazione e
arbitrato presso la CONSOB la cui organizzazione è
disciplinata dal Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008
(precisamente dagli articoli da 1 a 16 di quest’ultimo).
In realtà, il primo procedimento di conciliazione (o,
almeno, ad esso somigliante), quello presso il c.d.
“Ombudsman bancario” (di cui parleremo tra poco) è sorto
persino prima dell’emanazione delle norme citate, negli
anni novanta del secolo scorso.
In problema è che, finora, i procedimenti di
conciliazione (oggi di mediazione) citati non hanno dato
buona prova di sé (nel senso che non hanno risolto molte
controversie), soprattutto quelli di cui al capoverso
precedente ed al secondo punto dell’elenco sopra
riportato, in quanto i clienti delle banche o delle
società finanziarie non li percepiscono come dei
procedimenti capaci di tutelare davvero i loro
interessi.
Questo perché gli organismi di conciliazione (oggi di
mediazione) che sono stati istituiti nel tempo, dapprima
l’Ombudsman bancario (oggi chiamato anche Giurì
Bancario), che ha costituito il Conciliatore Bancario e
Finanziario, e poi l’Arbitro Bancario e Finanziario,
sono nati in ambito bancario (il primo ed il secondo
sono espressione dell’ABI – Associazione Bancaria
Italiana, il terzo della Banca d’Italia) e non sono
stati finora percepiti come organismi davvero terzi, in
grado di portare le banche ad una soluzione
conciliativa, cioè ad un accordo, che possa soddisfare
anche il cliente che ritiene di avere subito un torto.
Per questo motivo, tali organismi sono stati poco
utilizzati nella pratica, mentre la giustizia civile
ordinaria ha dovuto gestire un numero crescente di cause
in materia bancaria e finanziaria, col conseguente
allungamento dei tempi per la definizione delle
controversie. Del resto, ciò era prevedibile in quanto,
nelle controversie fra banche e clienti, l’ABI è
l’associazione che rappresenta una delle parti in causa
(le banche), per giunta quella con maggiore potere
contrattuale, mentre la Banca d’Italia è troppo
assorbita dalle sue funzioni di vigilanza sul sistema
bancario per potere svolgere efficacemente anche quelle
di organismo di tutela del consumatore – acquirente di
servizi bancari. Per giunta il capitale di Banca
d’Italia è detenuto dalle principali banche ordinarie
controllate, per cui, come nel caso dell’ABI, vi è un
chiaro conflitto di interesse (e, quindi, una mancanza
di terzietà) se questi enti costituiscono degli
organismi di conciliazione delle controversie fra banche
e clienti.
In particolare, l’Ombudsman bancario
(www.conciliatorebancario.it) che non è un organismo di
conciliazione (oggi di mediazione) ma un organismo che
giudica in appello i reclami presentati dai clienti alle
banche ed agli altri intermediari finanziari e che da
questi sono rigettati, in tutto o in parte. La
competenza dell’Ombudsman non può superare i 100.000
Euro se è chiesto un risarcimento e dal 2009 è limitata
alle sole controversie sulle attività di investimento
effettuate dalle banche per conto dei clienti (in
concorrenza, come vedremo tra poco, con la Camera di
conciliazione presso la CONSOB). Il suo giudizio deve
essere pronunciato entro 90 giorni, prorogabili per
acquisire ulteriore documentazione ad esso necessaria.
Il problema è che questo giudizio non è vincolante, non
essendo l’Ombudsman (o Giurì Bancario) un organismo
arbitrale.
Il Conciliatore Bancario e Finanziario, che ha
rappresentato l’evoluzione dell’Ombudsman dopo
l’introduzione dell’art. 128-bis del Testo Unico delle
Leggi Bancarie da parte dell’art. 29 del Dlgs 262/2005,
è un normale organismo di conciliazione, vale a dire,
oggi, di mediazione, a cui si applica la disciplina del
Dlgs 28/2010 e del D.M. 180/2010.
Invece, l’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF, su cui
vedi il sito: www.arbitrobancariofinanziario.it ) è un
organismo che giudica anch’esso in appello i reclami dei
clienti rigettati dalle banche e dagli altri
intermediari finanziari e che, se accoglie il ricorso e
questo giudizio non viene osservato dalla banca, può
condannare quest’ultima alla pubblicazione, a sue spese,
di una pubblicità del suo inadempimento sul sito web
della Banca d’Italia e su due quotidiani a diffusione
nazionale. L’ABF può giudicare tutte le controversie sui
servizi bancari e finanziari (per esempio, sui mutui,
conti correnti, prestiti personali, ecc.) diversi dai
servizi di investimento, di leasing e di factoring fino
a 100.000 Euro, se il cliente chiede una somma di
denaro, o senza limiti di importo se il cliente chiede
soltanto l’accertamento di un diritto, di un obbligo o
di una facoltà. L’ABF quindi può giudicare, ma non
decidere perché la banca, come abbiamo visto, può non
conformarsi al giudizio da esso espresso, per cui l’ABF
non è un organismo arbitrale (le cui decisioni sono
vincolanti), né di mediazione perché non ha l’obbligo di
tentare di fare giungere le parti ad un accordo di
conciliazione. Il giudizio va emesso entro 60 giorni
dalla presentazione del ricorso.
In entrambi i casi (dell’Ombudsman e dell’ABF, ma non in
quello del Conciliatore Bancario e Finanziario) il
ricorso deve essere presentato entro un anno dal rigetto
del reclamo del cliente da parte della banca o
dell’intermediario finanziario che deve rispondere ad
esso entro 30 giorni dalla presentazione.
Infine, nel rispetto delle competenze di essi, si
possono rivolgere a questi organismi sia i consumatori
persone fisiche che le imprese o gli enti senza fine di
lucro (o non profit).
Facciamo notare che la tendenza alla creazione di un
organismo di conciliazione “in house” (cioè “in casa”,
quindi proprietario) per trattare le controversie coi
propri clienti non è solo delle banche e degli
intermediari finanziari, ma anche di alcune società
erogatrici di servizi pubblici di rete (acqua, gas,
elettricità, ecc., ma non la telefonia, come vedremo tra
poco) che poi ottengono lo stesso risultato: la
diffidenza dei clienti verso i loro organismi di
conciliazione, percepiti come non imparziali, e la
migrazione di questi verso la giustizia ordinaria, con
una forte crescita dei costi del contenzioso legale.
Insomma, questo artificio non premia sul lato economico
e nemmeno su quello dell’immagine.
Hanno fatto eccezione a questa tendenza le società
erogatrici dei servizi telefonici che si sono rivolte
soprattutto agli organismi di conciliazione e poi di
mediazione istituiti dalle Camere di Commercio e che
meritano, da questo punto di vista, una lode per avere
cercato di instaurare un rapporto corretto coi clienti
con cui sorgono delle controversie.
Lo scarso utilizzo da parte dei clienti, sempre per
quanto riguarda la risoluzione delle controversie in
materia bancaria e finanziaria, delle procedure di
conciliazione previste dagli artt. 38 – 40 del Decreto
Legislativo n° 5 del 2003 (oggi abrogati, come abbiamo
visto in precedenza) e della procedura sempre di
conciliazione gestita dalla Camera di conciliazione e
arbitrato presso la CONSOB (artt. 1 – 4 del Decreto
Legislativo n° 179 del 2007 ed artt. 1- 16 del
Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008)
(www.camera-consob.it) non è, invece, da imputarsi ad
una diffidenza per la effettiva terzietà di questi
organismi, ma alla scarsa conoscenza e propensione
all’utilizzo dei sistemi di risoluzione stragiudiziale
delle controversie che hanno caratterizzato finora il
nostro paese e la sua cultura giuridica, sia quella
degli operatori del diritto, sia quella diffusa della
gente comune.
Infatti, gli organismi di conciliazione di cui al Dlgs
5/2003, oggi organismi di mediazione disciplinati dal
Dlgs 28/2010, devono dare garanzie di terzietà, così
come li ha sempre dati la Camera di conciliazione presso
la CONSOB, che è espressione dell’autorità pubblica di
vigilanza sui mercati finanziari e le società quotate e
che, pertanto, non può essere sospettata di vicinanza ad
una delle due parti delle controversie fra investitori
non professionali (cioè clienti, siano essi consumatori
persone fisiche oppure imprese od enti di diverso
genere) ed intermediari finanziari abilitati alla
prestazione di servizi e di attività di investimento
(banche, SIM, SGR, SICAV, ecc. iscritti nell’elenco
degli intermediari finanziari di cui agli artt. 106 e
107 del Dlgs 385/1993 tenuto dalla Banca d’Italia).
La competenza della Camera di conciliazione presso la
CONSOB è limitata alla risoluzione delle controversie
fra investitori ed intermediari finanziari per la
violazione, da parte di questi ultimi, degli obblighi di
informazione, correttezza e trasparenza previsti dalla
legge nei rapporti contrattuali con gli investitori
(art. 2, 1° comma, del Dlgs 179/2007), quindi ai servizi
ed alle attività di investimento in valori mobilari, sia
individuali che collettivi (fondi comuni). Anche in
questo caso il cliente deve avere prima presentato un
reclamo all’intermediario finanziario, rigettato o
ignorato da quest’ultimo (cosa che però il Dlgs 28/2010
sulla disciplina della mediazione non prevede ed è
quest’ultima norma che oggi dovrebbe prevalere). La
procedura presso la Camera di conciliazione dura 60
giorni prorogabili di altri 60 col consenso delle parti.
La Camera può investire della questione un altro
organismo di mediazione iscritto nel Registro di cui
all’art. 3 del D.M. 180/2010 con cui abbia un accordo di
collaborazione.
Dal momento che il Conciliatore Bancario e Finanziario e
la Camera di conciliazione presso la CONSOB sono due
normali organismi di conciliazione (oggi di mediazione)
si spiega perché la relazione illustrativa del Dlgs
28/2010 riconosce le procedure stragiudiziali istituite
ai sensi dell’art. 128-bis del Dlgs 285/1993 e degli
artt. 1 – 4 del Dlgs 179/2007 come valide per soddisfare
la condizione di procedibilità dell’esperimento del
tentativo di mediazione per le cause in materia di
contratti bancari e finanziari prevista dal comma 1°
dell’art. 5 del Dlgs 28/2010.
La speranza di un rilancio delle procedure conciliative
per le controversie in materia bancaria e finanziaria
sta proprio nella nuova disciplina del procedimento di
mediazione introdotta dal Dlgs 28/2010. Infatti, sulla
base di esso, il cliente che voglia esperire il
tentativo obbligatorio di mediazione per una
controversia, per esempio, con una banca può scegliere
di rivolgersi all’organismo di mediazione che ritiene
più affidabile, cioè davvero terzo. Questo concetto è
ribadito dal 3° comma del nuovo testo dell’art. 128-bis
del Dlgs 385/1993 introdotto dall’art. 4, comma 3°, del
Decreto Legislativo n° 141 del 2010 che ha adeguato
questo articolo alla nuova disciplina della mediazione
contenuta nel Dlgs 28/2010. Esso, infatti, prevedendo
che l’adesione delle banche e degli intermediari
finanziari ai sistemi di risoluzione stragiudiziale
delle controversie di cui ai commi 1° e 2° dell’art.
128-bis del Dlgs 385/1993 non pregiudica “per il cliente
il ricorso ad ogni altro mezzo di tutela previsto
dall’ordinamento” ha voluto anche affermare che il
cliente può, come prevede il Dlgs 28/2010, scegliere
l’organismo di mediazione che gli dà maggiori garanzie
di terzietà.
Se la banca non partecipa alla mediazione promossa dal
cliente il mediatore deve comunque formulare una
proposta di conciliazione da comunicare alla banca e che
questa può accettare o meno entro sette giorni dalla
data di ricezione (in mancanza di risposta nel termine
la proposta si ha per rifiutata). La mancata
partecipazione della banca al procedimento di mediazione
senza un giustificato motivo può essere valutata dal
Giudice del giudizio successivo ai sensi dell’art. 116
del Codice di Procedura Civile sulla valutabilità del
contegno delle parti nel processo. Per tale motivo ad
una banca (o società finanziaria, o compagnia di
assicurazioni) conviene partecipare al procedimento di
mediazione avviato nei suoi confronti da un cliente per
non aumentare le probabilità di perdere l’eventuale
giudizio successivo.
Se, invece, è la banca ad avviare la procedura
conciliativa (caso raro, ma non impossibile) davanti ad
un organismo che il cliente non ritiene davvero terzo,
quest’ultimo può non partecipare al procedimento di
mediazione, facendo poi presente nel giudizio successivo
i motivi per cui ha sospettato la mancanza di terzietà
del mediatore, oppure può parteciparvi avvalendosi nella
causa seguente del diritto di impedire la produzione di
quanto emerso nei suoi confronti nel corso del
procedimento di mediazione.
Lo stesso vale per la mediazione, non obbligatoria per
legge, relativa alle controversie fra clienti e società
di erogazione di servizi pubblici di rete che si sono
create in questi anni un organismo di conciliazione in
proprio ed hanno cercato di renderla obbligatoria per il
cliente con una clausola del contratto stipulato per
l’erogazione del servizio (la c.d. “clausola di
mediazione” o “di conciliazione”). Infatti, il 5° comma
dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 stabilisce che, nel caso di
clausola di mediazione contenuta in un contratto
qualsiasi od in uno statuto od atto costitutivo di
società (e, pertanto, obbligatoria in forza di queste
clausole), le parti restano libere di scegliersi
l’organismo di conciliazione che preferiscono, anche se
l’atto che contiene la clausola ne indica uno in
particolare.
E questa ultima norma vale, ovviamente, anche per i
contratti bancari, finanziari od assicurativi che
dovessero contenere l’indicazione di un determinato
organismo di mediazione a cui rivolgersi per esperire il
tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla
legge per le controversie che da essi derivano.
1 Ricordiamo che gli artt. 38 – 40 del Dlgs 5/2003
furono attuati dai Decreti del Ministero della Giustizia
n° 222 e 223 del 2004. Una volta abrogate le norme
legislative di riferimento anche questi decreti
ministeriali sono da considerasi abrogati.
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