Avv. Paolo Nesta


Palazzo Giustizia  Roma


Palazzo Giustizia Milano

Sede di Roma: C.so Vittorio Emanuele II,  252   00186 – Roma
Tel. (+39) 06.6864694 – 06.6833101 Fax (+39) 06.6838993
Sede di Milano:  Via Pattari,  6   20122 - Milano 
Tel. (+39) 02.36556452 – 02.36556453  Fax (+ 39) 02.36556454 

 

 Gli effetti della disciplina della mediazione (dlgs 28/2010) sulle procedure di conciliazione (o assimilabili) ad essa preesistenti per la risoluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria-Autore: Visconti Gianfranco –Diritto.it

 

Home page

Note legali e privacy

Dove siamo

Profilo e attività

Avvocati dello Studio

Contatti

Cassa di Previdenza e deontologia forense

Notizie di cultura e di utilità varie

 

 

Gli effetti della disciplina della mediazione (dlgs 28/2010) sulle procedure di conciliazione (o assimilabili) ad essa preesistenti per la risoluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria

In questo articolo cerchiamo di analizzare gli effetti che ha la recente disciplina del procedimento di mediazione, introdotta dal Decreto Legislativo n° 28 del 2010, sulle preesistenti procedure di conciliazione (o su alcune procedure ad esse assimilabili) finalizzate alla risoluzione delle controversie contrattuali in materia bancaria e finaziaria.

Com’è noto, l’esperimento preventivo del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale per tutte le controversie in una serie di materie previste dal 1° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ed, in particolare per quelle che hanno per oggetto i diritti derivanti da contratti bancari, finanziari ed assicurativi. Ciò significa che per poter iniziare una causa davanti al Giudice ordinario per rivendicare un diritto derivante da un contratto di questo tipo occorre avere già effettuato il tentativo di conciliazione fra (per esempio) cliente e banca e che, ovviamente, questo tentativo non abbia avuto successo. Questa è, pertanto, una delle materie in cui la procedura di mediazione è “obbligatoria” perché prevista come tale dalla legge.

In particolare, segnaliamo che per “contratto assicurativo” si intende, in primo luogo, quello di assicurazione sulla vita, in quanto la stessa norma prevede che pure tutte le cause in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli o di natanti sono tenute all’esperimento obbligatorio del tentativo di conciliazione. Inoltre, riteniamo che in queste categorie di contratti vadano inclusi per analogia anche i piani pensionistici individuali, date le loro importanti componenti assicurativa e finanziaria. In questo articolo, però, non ci occuperemo di contratti assicurativi, ma solo di contratti bancari e finanziari.

La norma di cui al comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ha acquistato efficacia dopo un anno dall’entrata in vigore di questo Decreto, vale a dire il 21 marzo 2011, e si applica soltanto ai processi iniziati dopo tale data.

La mediazione o conciliazione in materia bancaria e finanziaria non è una novità per l’ordinamento giuridico italiano, essendo stata introdotta diversi anni fa:

·         dapprima dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n° 5 del 2003 sui procedimenti di conciliazione in materia societaria, finanziaria e creditizia successivamente abrogati dal 1° comma dell’art. 23 del Dlgs 28/2010 e sostituiti dalla disciplina del procedimento di mediazione contenuta in questo ultimo Decreto1,

·         poi dall’art. 29 del Decreto Legislativo n° 262 del 2005 (sulla tutela del risparmio e la riforma dei mercati finanziari) che ha aggiunto l’articolo 128-bis al Decreto Legislativo n° 385 del 1993 (il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia bancaria,

·         infine dagli artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del 2007, emanati in base alla delega al Governo contenuta nel 1° comma dell’art. 27 del Dlgs 262/2005, che hanno introdotto una procedura di conciliazione in materia finanziaria gestita da un organismo che è emanazione della CONSOB (la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), la Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB la cui organizzazione è disciplinata dal Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008 (precisamente dagli articoli da 1 a 16 di quest’ultimo).

In realtà, il primo procedimento di conciliazione (o, almeno, ad esso somigliante), quello presso il c.d. “Ombudsman bancario” (di cui parleremo tra poco) è sorto persino prima dell’emanazione delle norme citate, negli anni novanta del secolo scorso.

In problema è che, finora, i procedimenti di conciliazione (oggi di mediazione) citati non hanno dato buona prova di sé (nel senso che non hanno risolto molte controversie), soprattutto quelli di cui al capoverso precedente ed al secondo punto dell’elenco sopra riportato, in quanto i clienti delle banche o delle società finanziarie non li percepiscono come dei procedimenti capaci di tutelare davvero i loro interessi.

Questo perché gli organismi di conciliazione (oggi di mediazione) che sono stati istituiti nel tempo, dapprima l’Ombudsman bancario (oggi chiamato anche Giurì Bancario), che ha costituito il Conciliatore Bancario e Finanziario, e poi l’Arbitro Bancario e Finanziario, sono nati in ambito bancario (il primo ed il secondo sono espressione dell’ABI – Associazione Bancaria Italiana, il terzo della Banca d’Italia) e non sono stati finora percepiti come organismi davvero terzi, in grado di portare le banche ad una soluzione conciliativa, cioè ad un accordo, che possa soddisfare anche il cliente che ritiene di avere subito un torto. Per questo motivo, tali organismi sono stati poco utilizzati nella pratica, mentre la giustizia civile ordinaria ha dovuto gestire un numero crescente di cause in materia bancaria e finanziaria, col conseguente allungamento dei tempi per la definizione delle controversie. Del resto, ciò era prevedibile in quanto, nelle controversie fra banche e clienti, l’ABI è l’associazione che rappresenta una delle parti in causa (le banche), per giunta quella con maggiore potere contrattuale, mentre la Banca d’Italia è troppo assorbita dalle sue funzioni di vigilanza sul sistema bancario per potere svolgere efficacemente anche quelle di organismo di tutela del consumatore – acquirente di servizi bancari. Per giunta il capitale di Banca d’Italia è detenuto dalle principali banche ordinarie controllate, per cui, come nel caso dell’ABI, vi è un chiaro conflitto di interesse (e, quindi, una mancanza di terzietà) se questi enti costituiscono degli organismi di conciliazione delle controversie fra banche e clienti.

In particolare, l’Ombudsman bancario (www.conciliatorebancario.it) che non è un organismo di conciliazione (oggi di mediazione) ma un organismo che giudica in appello i reclami presentati dai clienti alle banche ed agli altri intermediari finanziari e che da questi sono rigettati, in tutto o in parte. La competenza dell’Ombudsman non può superare i 100.000 Euro se è chiesto un risarcimento e dal 2009 è limitata alle sole controversie sulle attività di investimento effettuate dalle banche per conto dei clienti (in concorrenza, come vedremo tra poco, con la Camera di conciliazione presso la CONSOB). Il suo giudizio deve essere pronunciato entro 90 giorni, prorogabili per acquisire ulteriore documentazione ad esso necessaria. Il problema è che questo giudizio non è vincolante, non essendo l’Ombudsman (o Giurì Bancario) un organismo arbitrale.

Il Conciliatore Bancario e Finanziario, che ha rappresentato l’evoluzione dell’Ombudsman dopo l’introduzione dell’art. 128-bis del Testo Unico delle Leggi Bancarie da parte dell’art. 29 del Dlgs 262/2005, è un normale organismo di conciliazione, vale a dire, oggi, di mediazione, a cui si applica la disciplina del Dlgs 28/2010 e del D.M. 180/2010.

Invece, l’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF, su cui vedi il sito: www.arbitrobancariofinanziario.it ) è un organismo che giudica anch’esso in appello i reclami dei clienti rigettati dalle banche e dagli altri intermediari finanziari e che, se accoglie il ricorso e questo giudizio non viene osservato dalla banca, può condannare quest’ultima alla pubblicazione, a sue spese, di una pubblicità del suo inadempimento sul sito web della Banca d’Italia e su due quotidiani a diffusione nazionale. L’ABF può giudicare tutte le controversie sui servizi bancari e finanziari (per esempio, sui mutui, conti correnti, prestiti personali, ecc.) diversi dai servizi di investimento, di leasing e di factoring fino a 100.000 Euro, se il cliente chiede una somma di denaro, o senza limiti di importo se il cliente chiede soltanto l’accertamento di un diritto, di un obbligo o di una facoltà. L’ABF quindi può giudicare, ma non decidere perché la banca, come abbiamo visto, può non conformarsi al giudizio da esso espresso, per cui l’ABF non è un organismo arbitrale (le cui decisioni sono vincolanti), né di mediazione perché non ha l’obbligo di tentare di fare giungere le parti ad un accordo di conciliazione. Il giudizio va emesso entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso.

In entrambi i casi (dell’Ombudsman e dell’ABF, ma non in quello del Conciliatore Bancario e Finanziario) il ricorso deve essere presentato entro un anno dal rigetto del reclamo del cliente da parte della banca o dell’intermediario finanziario che deve rispondere ad esso entro 30 giorni dalla presentazione.

Infine, nel rispetto delle competenze di essi, si possono rivolgere a questi organismi sia i consumatori persone fisiche che le imprese o gli enti senza fine di lucro (o non profit).

Facciamo notare che la tendenza alla creazione di un organismo di conciliazione “in house(cioè “in casa”, quindi proprietario) per trattare le controversie coi propri clienti non è solo delle banche e degli intermediari finanziari, ma anche di alcune società erogatrici di servizi pubblici di rete (acqua, gas, elettricità, ecc., ma non la telefonia, come vedremo tra poco) che poi ottengono lo stesso risultato: la diffidenza dei clienti verso i loro organismi di conciliazione, percepiti come non imparziali, e la migrazione di questi verso la giustizia ordinaria, con una forte crescita dei costi del contenzioso legale. Insomma, questo artificio non premia sul lato economico e nemmeno su quello dell’immagine.

Hanno fatto eccezione a questa tendenza le società erogatrici dei servizi telefonici che si sono rivolte soprattutto agli organismi di conciliazione e poi di mediazione istituiti dalle Camere di Commercio e che meritano, da questo punto di vista, una lode per avere cercato di instaurare un rapporto corretto coi clienti con cui sorgono delle controversie.

Lo scarso utilizzo da parte dei clienti, sempre per quanto riguarda la risoluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria, delle procedure di conciliazione previste dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n° 5 del 2003 (oggi abrogati, come abbiamo visto in precedenza) e della procedura sempre di conciliazione gestita dalla Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB (artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del 2007 ed artt. 1- 16 del Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008) (www.camera-consob.it) non è, invece, da imputarsi ad una diffidenza per la effettiva terzietà di questi organismi, ma alla scarsa conoscenza e propensione all’utilizzo dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie che hanno caratterizzato finora il nostro paese e la sua cultura giuridica, sia quella degli operatori del diritto, sia quella diffusa della gente comune.

Infatti, gli organismi di conciliazione di cui al Dlgs 5/2003, oggi organismi di mediazione disciplinati dal Dlgs 28/2010, devono dare garanzie di terzietà, così come li ha sempre dati la Camera di conciliazione presso la CONSOB, che è espressione dell’autorità pubblica di vigilanza sui mercati finanziari e le società quotate e che, pertanto, non può essere sospettata di vicinanza ad una delle due parti delle controversie fra investitori non professionali (cioè clienti, siano essi consumatori persone fisiche oppure imprese od enti di diverso genere) ed intermediari finanziari abilitati alla prestazione di servizi e di attività di investimento (banche, SIM, SGR, SICAV, ecc. iscritti nell’elenco degli intermediari finanziari di cui agli artt. 106 e 107 del Dlgs 385/1993 tenuto dalla Banca d’Italia).

La competenza della Camera di conciliazione presso la CONSOB è limitata alla risoluzione delle controversie fra investitori ed intermediari finanziari per la violazione, da parte di questi ultimi, degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti dalla legge nei rapporti contrattuali con gli investitori (art. 2, 1° comma, del Dlgs 179/2007), quindi ai servizi ed alle attività di investimento in valori mobilari, sia individuali che collettivi (fondi comuni). Anche in questo caso il cliente deve avere prima presentato un reclamo all’intermediario finanziario, rigettato o ignorato da quest’ultimo (cosa che però il Dlgs 28/2010 sulla disciplina della mediazione non prevede ed è quest’ultima norma che oggi dovrebbe prevalere). La procedura presso la Camera di conciliazione dura 60 giorni prorogabili di altri 60 col consenso delle parti. La Camera può investire della questione un altro organismo di mediazione iscritto nel Registro di cui all’art. 3 del D.M. 180/2010 con cui abbia un accordo di collaborazione.

Dal momento che il Conciliatore Bancario e Finanziario e la Camera di conciliazione presso la CONSOB sono due normali organismi di conciliazione (oggi di mediazione) si spiega perché la relazione illustrativa del Dlgs 28/2010 riconosce le procedure stragiudiziali istituite ai sensi dell’art. 128-bis del Dlgs 285/1993 e degli artt. 1 – 4 del Dlgs 179/2007 come valide per soddisfare la condizione di procedibilità dell’esperimento del tentativo di mediazione per le cause in materia di contratti bancari e finanziari prevista dal comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010.

La speranza di un rilancio delle procedure conciliative per le controversie in materia bancaria e finanziaria sta proprio nella nuova disciplina del procedimento di mediazione introdotta dal Dlgs 28/2010. Infatti, sulla base di esso, il cliente che voglia esperire il tentativo obbligatorio di mediazione per una controversia, per esempio, con una banca può scegliere di rivolgersi all’organismo di mediazione che ritiene più affidabile, cioè davvero terzo. Questo concetto è ribadito dal 3° comma del nuovo testo dell’art. 128-bis del Dlgs 385/1993 introdotto dall’art. 4, comma 3°, del Decreto Legislativo n° 141 del 2010 che ha adeguato questo articolo alla nuova disciplina della mediazione contenuta nel Dlgs 28/2010. Esso, infatti, prevedendo che l’adesione delle banche e degli intermediari finanziari ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie di cui ai commi 1° e 2° dell’art. 128-bis del Dlgs 385/1993 non pregiudica “per il cliente il ricorso ad ogni altro mezzo di tutela previsto dall’ordinamento” ha voluto anche affermare che il cliente può, come prevede il Dlgs 28/2010, scegliere l’organismo di mediazione che gli dà maggiori garanzie di terzietà.

Se la banca non partecipa alla mediazione promossa dal cliente il mediatore deve comunque formulare una proposta di conciliazione da comunicare alla banca e che questa può accettare o meno entro sette giorni dalla data di ricezione (in mancanza di risposta nel termine la proposta si ha per rifiutata). La mancata partecipazione della banca al procedimento di mediazione senza un giustificato motivo può essere valutata dal Giudice del giudizio successivo ai sensi dell’art. 116 del Codice di Procedura Civile sulla valutabilità del contegno delle parti nel processo. Per tale motivo ad una banca (o società finanziaria, o compagnia di assicurazioni) conviene partecipare al procedimento di mediazione avviato nei suoi confronti da un cliente per non aumentare le probabilità di perdere l’eventuale giudizio successivo.

Se, invece, è la banca ad avviare la procedura conciliativa (caso raro, ma non impossibile) davanti ad un organismo che il cliente non ritiene davvero terzo, quest’ultimo può non partecipare al procedimento di mediazione, facendo poi presente nel giudizio successivo i motivi per cui ha sospettato la mancanza di terzietà del mediatore, oppure può parteciparvi avvalendosi nella causa seguente del diritto di impedire la produzione di quanto emerso nei suoi confronti nel corso del procedimento di mediazione.

Lo stesso vale per la mediazione, non obbligatoria per legge, relativa alle controversie fra clienti e società di erogazione di servizi pubblici di rete che si sono create in questi anni un organismo di conciliazione in proprio ed hanno cercato di renderla obbligatoria per il cliente con una clausola del contratto stipulato per l’erogazione del servizio (la c.d. “clausola di mediazione” o “di conciliazione”). Infatti, il 5° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 stabilisce che, nel caso di clausola di mediazione contenuta in un contratto qualsiasi od in uno statuto od atto costitutivo di società (e, pertanto, obbligatoria in forza di queste clausole), le parti restano libere di scegliersi l’organismo di conciliazione che preferiscono, anche se l’atto che contiene la clausola ne indica uno in particolare.

E questa ultima norma vale, ovviamente, anche per i contratti bancari, finanziari od assicurativi che dovessero contenere l’indicazione di un determinato organismo di mediazione a cui rivolgersi per esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla legge per le controversie che da essi derivano.

 

1 Ricordiamo che gli artt. 38 – 40 del Dlgs 5/2003 furono attuati dai Decreti del Ministero della Giustizia n° 222 e 223 del 2004. Una volta abrogate le norme legislative di riferimento anche questi decreti ministeriali sono da considerasi abrogati.

 

 

In questo articolo cerchiamo di analizzare gli effetti che ha la recente disciplina del procedimento di mediazione, introdotta dal Decreto Legislativo n° 28 del 2010, sulle preesistenti procedure di conciliazione (o su alcune procedure ad esse assimilabili) finalizzate alla risoluzione delle controversie contrattuali in materia bancaria e finaziaria.

Com’è noto, l’esperimento preventivo del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale per tutte le controversie in una serie di materie previste dal 1° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ed, in particolare per quelle che hanno per oggetto i diritti derivanti da contratti bancari, finanziari ed assicurativi. Ciò significa che per poter iniziare una causa davanti al Giudice ordinario per rivendicare un diritto derivante da un contratto di questo tipo occorre avere già effettuato il tentativo di conciliazione fra (per esempio) cliente e banca e che, ovviamente, questo tentativo non abbia avuto successo. Questa è, pertanto, una delle materie in cui la procedura di mediazione è “obbligatoria” perché prevista come tale dalla legge.

In particolare, segnaliamo che per “contratto assicurativo” si intende, in primo luogo, quello di assicurazione sulla vita, in quanto la stessa norma prevede che pure tutte le cause in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli o di natanti sono tenute all’esperimento obbligatorio del tentativo di conciliazione. Inoltre, riteniamo che in queste categorie di contratti vadano inclusi per analogia anche i piani pensionistici individuali, date le loro importanti componenti assicurativa e finanziaria. In questo articolo, però, non ci occuperemo di contratti assicurativi, ma solo di contratti bancari e finanziari.

La norma di cui al comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ha acquistato efficacia dopo un anno dall’entrata in vigore di questo Decreto, vale a dire il 21 marzo 2011, e si applica soltanto ai processi iniziati dopo tale data.

La mediazione o conciliazione in materia bancaria e finanziaria non è una novità per l’ordinamento giuridico italiano, essendo stata introdotta diversi anni fa:

·         dapprima dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n° 5 del 2003 sui procedimenti di conciliazione in materia societaria, finanziaria e creditizia successivamente abrogati dal 1° comma dell’art. 23 del Dlgs 28/2010 e sostituiti dalla disciplina del procedimento di mediazione contenuta in questo ultimo Decreto1,

·         poi dall’art. 29 del Decreto Legislativo n° 262 del 2005 (sulla tutela del risparmio e la riforma dei mercati finanziari) che ha aggiunto l’articolo 128-bis al Decreto Legislativo n° 385 del 1993 (il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia bancaria,

·         infine dagli artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del 2007, emanati in base alla delega al Governo contenuta nel 1° comma dell’art. 27 del Dlgs 262/2005, che hanno introdotto una procedura di conciliazione in materia finanziaria gestita da un organismo che è emanazione della CONSOB (la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), la Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB la cui organizzazione è disciplinata dal Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008 (precisamente dagli articoli da 1 a 16 di quest’ultimo).

In realtà, il primo procedimento di conciliazione (o, almeno, ad esso somigliante), quello presso il c.d. “Ombudsman bancario” (di cui parleremo tra poco) è sorto persino prima dell’emanazione delle norme citate, negli anni novanta del secolo scorso.

In problema è che, finora, i procedimenti di conciliazione (oggi di mediazione) citati non hanno dato buona prova di sé (nel senso che non hanno risolto molte controversie), soprattutto quelli di cui al capoverso precedente ed al secondo punto dell’elenco sopra riportato, in quanto i clienti delle banche o delle società finanziarie non li percepiscono come dei procedimenti capaci di tutelare davvero i loro interessi.

Questo perché gli organismi di conciliazione (oggi di mediazione) che sono stati istituiti nel tempo, dapprima l’Ombudsman bancario (oggi chiamato anche Giurì Bancario), che ha costituito il Conciliatore Bancario e Finanziario, e poi l’Arbitro Bancario e Finanziario, sono nati in ambito bancario (il primo ed il secondo sono espressione dell’ABI – Associazione Bancaria Italiana, il terzo della Banca d’Italia) e non sono stati finora percepiti come organismi davvero terzi, in grado di portare le banche ad una soluzione conciliativa, cioè ad un accordo, che possa soddisfare anche il cliente che ritiene di avere subito un torto. Per questo motivo, tali organismi sono stati poco utilizzati nella pratica, mentre la giustizia civile ordinaria ha dovuto gestire un numero crescente di cause in materia bancaria e finanziaria, col conseguente allungamento dei tempi per la definizione delle controversie. Del resto, ciò era prevedibile in quanto, nelle controversie fra banche e clienti, l’ABI è l’associazione che rappresenta una delle parti in causa (le banche), per giunta quella con maggiore potere contrattuale, mentre la Banca d’Italia è troppo assorbita dalle sue funzioni di vigilanza sul sistema bancario per potere svolgere efficacemente anche quelle di organismo di tutela del consumatore – acquirente di servizi bancari. Per giunta il capitale di Banca d’Italia è detenuto dalle principali banche ordinarie controllate, per cui, come nel caso dell’ABI, vi è un chiaro conflitto di interesse (e, quindi, una mancanza di terzietà) se questi enti costituiscono degli organismi di conciliazione delle controversie fra banche e clienti.

In particolare, l’Ombudsman bancario (www.conciliatorebancario.it) che non è un organismo di conciliazione (oggi di mediazione) ma un organismo che giudica in appello i reclami presentati dai clienti alle banche ed agli altri intermediari finanziari e che da questi sono rigettati, in tutto o in parte. La competenza dell’Ombudsman non può superare i 100.000 Euro se è chiesto un risarcimento e dal 2009 è limitata alle sole controversie sulle attività di investimento effettuate dalle banche per conto dei clienti (in concorrenza, come vedremo tra poco, con la Camera di conciliazione presso la CONSOB). Il suo giudizio deve essere pronunciato entro 90 giorni, prorogabili per acquisire ulteriore documentazione ad esso necessaria. Il problema è che questo giudizio non è vincolante, non essendo l’Ombudsman (o Giurì Bancario) un organismo arbitrale.

Il Conciliatore Bancario e Finanziario, che ha rappresentato l’evoluzione dell’Ombudsman dopo l’introduzione dell’art. 128-bis del Testo Unico delle Leggi Bancarie da parte dell’art. 29 del Dlgs 262/2005, è un normale organismo di conciliazione, vale a dire, oggi, di mediazione, a cui si applica la disciplina del Dlgs 28/2010 e del D.M. 180/2010.

Invece, l’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF, su cui vedi il sito: www.arbitrobancariofinanziario.it ) è un organismo che giudica anch’esso in appello i reclami dei clienti rigettati dalle banche e dagli altri intermediari finanziari e che, se accoglie il ricorso e questo giudizio non viene osservato dalla banca, può condannare quest’ultima alla pubblicazione, a sue spese, di una pubblicità del suo inadempimento sul sito web della Banca d’Italia e su due quotidiani a diffusione nazionale. L’ABF può giudicare tutte le controversie sui servizi bancari e finanziari (per esempio, sui mutui, conti correnti, prestiti personali, ecc.) diversi dai servizi di investimento, di leasing e di factoring fino a 100.000 Euro, se il cliente chiede una somma di denaro, o senza limiti di importo se il cliente chiede soltanto l’accertamento di un diritto, di un obbligo o di una facoltà. L’ABF quindi può giudicare, ma non decidere perché la banca, come abbiamo visto, può non conformarsi al giudizio da esso espresso, per cui l’ABF non è un organismo arbitrale (le cui decisioni sono vincolanti), né di mediazione perché non ha l’obbligo di tentare di fare giungere le parti ad un accordo di conciliazione. Il giudizio va emesso entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso.

In entrambi i casi (dell’Ombudsman e dell’ABF, ma non in quello del Conciliatore Bancario e Finanziario) il ricorso deve essere presentato entro un anno dal rigetto del reclamo del cliente da parte della banca o dell’intermediario finanziario che deve rispondere ad esso entro 30 giorni dalla presentazione.

Infine, nel rispetto delle competenze di essi, si possono rivolgere a questi organismi sia i consumatori persone fisiche che le imprese o gli enti senza fine di lucro (o non profit).

Facciamo notare che la tendenza alla creazione di un organismo di conciliazione “in house(cioè “in casa”, quindi proprietario) per trattare le controversie coi propri clienti non è solo delle banche e degli intermediari finanziari, ma anche di alcune società erogatrici di servizi pubblici di rete (acqua, gas, elettricità, ecc., ma non la telefonia, come vedremo tra poco) che poi ottengono lo stesso risultato: la diffidenza dei clienti verso i loro organismi di conciliazione, percepiti come non imparziali, e la migrazione di questi verso la giustizia ordinaria, con una forte crescita dei costi del contenzioso legale. Insomma, questo artificio non premia sul lato economico e nemmeno su quello dell’immagine.

Hanno fatto eccezione a questa tendenza le società erogatrici dei servizi telefonici che si sono rivolte soprattutto agli organismi di conciliazione e poi di mediazione istituiti dalle Camere di Commercio e che meritano, da questo punto di vista, una lode per avere cercato di instaurare un rapporto corretto coi clienti con cui sorgono delle controversie.

Lo scarso utilizzo da parte dei clienti, sempre per quanto riguarda la risoluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria, delle procedure di conciliazione previste dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n° 5 del 2003 (oggi abrogati, come abbiamo visto in precedenza) e della procedura sempre di conciliazione gestita dalla Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB (artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del 2007 ed artt. 1- 16 del Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008) (www.camera-consob.it) non è, invece, da imputarsi ad una diffidenza per la effettiva terzietà di questi organismi, ma alla scarsa conoscenza e propensione all’utilizzo dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie che hanno caratterizzato finora il nostro paese e la sua cultura giuridica, sia quella degli operatori del diritto, sia quella diffusa della gente comune.

Infatti, gli organismi di conciliazione di cui al Dlgs 5/2003, oggi organismi di mediazione disciplinati dal Dlgs 28/2010, devono dare garanzie di terzietà, così come li ha sempre dati la Camera di conciliazione presso la CONSOB, che è espressione dell’autorità pubblica di vigilanza sui mercati finanziari e le società quotate e che, pertanto, non può essere sospettata di vicinanza ad una delle due parti delle controversie fra investitori non professionali (cioè clienti, siano essi consumatori persone fisiche oppure imprese od enti di diverso genere) ed intermediari finanziari abilitati alla prestazione di servizi e di attività di investimento (banche, SIM, SGR, SICAV, ecc. iscritti nell’elenco degli intermediari finanziari di cui agli artt. 106 e 107 del Dlgs 385/1993 tenuto dalla Banca d’Italia).

La competenza della Camera di conciliazione presso la CONSOB è limitata alla risoluzione delle controversie fra investitori ed intermediari finanziari per la violazione, da parte di questi ultimi, degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti dalla legge nei rapporti contrattuali con gli investitori (art. 2, 1° comma, del Dlgs 179/2007), quindi ai servizi ed alle attività di investimento in valori mobilari, sia individuali che collettivi (fondi comuni). Anche in questo caso il cliente deve avere prima presentato un reclamo all’intermediario finanziario, rigettato o ignorato da quest’ultimo (cosa che però il Dlgs 28/2010 sulla disciplina della mediazione non prevede ed è quest’ultima norma che oggi dovrebbe prevalere). La procedura presso la Camera di conciliazione dura 60 giorni prorogabili di altri 60 col consenso delle parti. La Camera può investire della questione un altro organismo di mediazione iscritto nel Registro di cui all’art. 3 del D.M. 180/2010 con cui abbia un accordo di collaborazione.

Dal momento che il Conciliatore Bancario e Finanziario e la Camera di conciliazione presso la CONSOB sono due normali organismi di conciliazione (oggi di mediazione) si spiega perché la relazione illustrativa del Dlgs 28/2010 riconosce le procedure stragiudiziali istituite ai sensi dell’art. 128-bis del Dlgs 285/1993 e degli artt. 1 – 4 del Dlgs 179/2007 come valide per soddisfare la condizione di procedibilità dell’esperimento del tentativo di mediazione per le cause in materia di contratti bancari e finanziari prevista dal comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010.

La speranza di un rilancio delle procedure conciliative per le controversie in materia bancaria e finanziaria sta proprio nella nuova disciplina del procedimento di mediazione introdotta dal Dlgs 28/2010. Infatti, sulla base di esso, il cliente che voglia esperire il tentativo obbligatorio di mediazione per una controversia, per esempio, con una banca può scegliere di rivolgersi all’organismo di mediazione che ritiene più affidabile, cioè davvero terzo. Questo concetto è ribadito dal 3° comma del nuovo testo dell’art. 128-bis del Dlgs 385/1993 introdotto dall’art. 4, comma 3°, del Decreto Legislativo n° 141 del 2010 che ha adeguato questo articolo alla nuova disciplina della mediazione contenuta nel Dlgs 28/2010. Esso, infatti, prevedendo che l’adesione delle banche e degli intermediari finanziari ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie di cui ai commi 1° e 2° dell’art. 128-bis del Dlgs 385/1993 non pregiudica “per il cliente il ricorso ad ogni altro mezzo di tutela previsto dall’ordinamento” ha voluto anche affermare che il cliente può, come prevede il Dlgs 28/2010, scegliere l’organismo di mediazione che gli dà maggiori garanzie di terzietà.

Se la banca non partecipa alla mediazione promossa dal cliente il mediatore deve comunque formulare una proposta di conciliazione da comunicare alla banca e che questa può accettare o meno entro sette giorni dalla data di ricezione (in mancanza di risposta nel termine la proposta si ha per rifiutata). La mancata partecipazione della banca al procedimento di mediazione senza un giustificato motivo può essere valutata dal Giudice del giudizio successivo ai sensi dell’art. 116 del Codice di Procedura Civile sulla valutabilità del contegno delle parti nel processo. Per tale motivo ad una banca (o società finanziaria, o compagnia di assicurazioni) conviene partecipare al procedimento di mediazione avviato nei suoi confronti da un cliente per non aumentare le probabilità di perdere l’eventuale giudizio successivo.

Se, invece, è la banca ad avviare la procedura conciliativa (caso raro, ma non impossibile) davanti ad un organismo che il cliente non ritiene davvero terzo, quest’ultimo può non partecipare al procedimento di mediazione, facendo poi presente nel giudizio successivo i motivi per cui ha sospettato la mancanza di terzietà del mediatore, oppure può parteciparvi avvalendosi nella causa seguente del diritto di impedire la produzione di quanto emerso nei suoi confronti nel corso del procedimento di mediazione.

Lo stesso vale per la mediazione, non obbligatoria per legge, relativa alle controversie fra clienti e società di erogazione di servizi pubblici di rete che si sono create in questi anni un organismo di conciliazione in proprio ed hanno cercato di renderla obbligatoria per il cliente con una clausola del contratto stipulato per l’erogazione del servizio (la c.d. “clausola di mediazione” o “di conciliazione”). Infatti, il 5° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 stabilisce che, nel caso di clausola di mediazione contenuta in un contratto qualsiasi od in uno statuto od atto costitutivo di società (e, pertanto, obbligatoria in forza di queste clausole), le parti restano libere di scegliersi l’organismo di conciliazione che preferiscono, anche se l’atto che contiene la clausola ne indica uno in particolare.

E questa ultima norma vale, ovviamente, anche per i contratti bancari, finanziari od assicurativi che dovessero contenere l’indicazione di un determinato organismo di mediazione a cui rivolgersi per esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla legge per le controversie che da essi derivano.

 

1 Ricordiamo che gli artt. 38 – 40 del Dlgs 5/2003 furono attuati dai Decreti del Ministero della Giustizia n° 222 e 223 del 2004. Una volta abrogate le norme legislative di riferimento anche questi decreti ministeriali sono da considerasi abrogati.

 

Gli effetti della disciplina della mediazione (dlgs 28/2010) sulle procedure di conciliazione (o assimilabili) ad essa preesistenti per la risoluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria

 

In questo articolo cerchiamo di analizzare gli effetti che ha la recente disciplina del procedimento di mediazione, introdotta dal Decreto Legislativo n° 28 del 2010, sulle preesistenti procedure di conciliazione (o su alcune procedure ad esse assimilabili) finalizzate alla risoluzione delle controversie contrattuali in materia bancaria e finaziaria.

 

Com’è noto, l’esperimento preventivo del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale per tutte le controversie in una serie di materie previste dal 1° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ed, in particolare per quelle che hanno per oggetto i diritti derivanti da contratti bancari, finanziari ed assicurativi. Ciò significa che per poter iniziare una causa davanti al Giudice ordinario per rivendicare un diritto derivante da un contratto di questo tipo occorre avere già effettuato il tentativo di conciliazione fra (per esempio) cliente e banca e che, ovviamente, questo tentativo non abbia avuto successo. Questa è, pertanto, una delle materie in cui la procedura di mediazione è “obbligatoria” perché prevista come tale dalla legge.

 

In particolare, segnaliamo che per “contratto assicurativo” si intende, in primo luogo, quello di assicurazione sulla vita, in quanto la stessa norma prevede che pure tutte le cause in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli o di natanti sono tenute all’esperimento obbligatorio del tentativo di conciliazione. Inoltre, riteniamo che in queste categorie di contratti vadano inclusi per analogia anche i piani pensionistici individuali, date le loro importanti componenti assicurativa e finanziaria. In questo articolo, però, non ci occuperemo di contratti assicurativi, ma solo di contratti bancari e finanziari.

 

La norma di cui al comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 ha acquistato efficacia dopo un anno dall’entrata in vigore di questo Decreto, vale a dire il 21 marzo 2011, e si applica soltanto ai processi iniziati dopo tale data.

 

La mediazione o conciliazione in materia bancaria e finanziaria non è una novità per l’ordinamento giuridico italiano, essendo stata introdotta diversi anni fa:

 

    dapprima dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n° 5 del 2003 sui procedimenti di conciliazione in materia societaria, finanziaria e creditizia successivamente abrogati dal 1° comma dell’art. 23 del Dlgs 28/2010 e sostituiti dalla disciplina del procedimento di mediazione contenuta in questo ultimo Decreto1,

 

    poi dall’art. 29 del Decreto Legislativo n° 262 del 2005 (sulla tutela del risparmio e la riforma dei mercati finanziari) che ha aggiunto l’articolo 128-bis al Decreto Legislativo n° 385 del 1993 (il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia bancaria,

 

    infine dagli artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del 2007, emanati in base alla delega al Governo contenuta nel 1° comma dell’art. 27 del Dlgs 262/2005, che hanno introdotto una procedura di conciliazione in materia finanziaria gestita da un organismo che è emanazione della CONSOB (la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), la Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB la cui organizzazione è disciplinata dal Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008 (precisamente dagli articoli da 1 a 16 di quest’ultimo).

 

In realtà, il primo procedimento di conciliazione (o, almeno, ad esso somigliante), quello presso il c.d. “Ombudsman bancario” (di cui parleremo tra poco) è sorto persino prima dell’emanazione delle norme citate, negli anni novanta del secolo scorso.

 

In problema è che, finora, i procedimenti di conciliazione (oggi di mediazione) citati non hanno dato buona prova di sé (nel senso che non hanno risolto molte controversie), soprattutto quelli di cui al capoverso precedente ed al secondo punto dell’elenco sopra riportato, in quanto i clienti delle banche o delle società finanziarie non li percepiscono come dei procedimenti capaci di tutelare davvero i loro interessi.

 

Questo perché gli organismi di conciliazione (oggi di mediazione) che sono stati istituiti nel tempo, dapprima l’Ombudsman bancario (oggi chiamato anche Giurì Bancario), che ha costituito il Conciliatore Bancario e Finanziario, e poi l’Arbitro Bancario e Finanziario, sono nati in ambito bancario (il primo ed il secondo sono espressione dell’ABI – Associazione Bancaria Italiana, il terzo della Banca d’Italia) e non sono stati finora percepiti come organismi davvero terzi, in grado di portare le banche ad una soluzione conciliativa, cioè ad un accordo, che possa soddisfare anche il cliente che ritiene di avere subito un torto. Per questo motivo, tali organismi sono stati poco utilizzati nella pratica, mentre la giustizia civile ordinaria ha dovuto gestire un numero crescente di cause in materia bancaria e finanziaria, col conseguente allungamento dei tempi per la definizione delle controversie. Del resto, ciò era prevedibile in quanto, nelle controversie fra banche e clienti, l’ABI è l’associazione che rappresenta una delle parti in causa (le banche), per giunta quella con maggiore potere contrattuale, mentre la Banca d’Italia è troppo assorbita dalle sue funzioni di vigilanza sul sistema bancario per potere svolgere efficacemente anche quelle di organismo di tutela del consumatore – acquirente di servizi bancari. Per giunta il capitale di Banca d’Italia è detenuto dalle principali banche ordinarie controllate, per cui, come nel caso dell’ABI, vi è un chiaro conflitto di interesse (e, quindi, una mancanza di terzietà) se questi enti costituiscono degli organismi di conciliazione delle controversie fra banche e clienti.

 

In particolare, l’Ombudsman bancario (www.conciliatorebancario.it) che non è un organismo di conciliazione (oggi di mediazione) ma un organismo che giudica in appello i reclami presentati dai clienti alle banche ed agli altri intermediari finanziari e che da questi sono rigettati, in tutto o in parte. La competenza dell’Ombudsman non può superare i 100.000 Euro se è chiesto un risarcimento e dal 2009 è limitata alle sole controversie sulle attività di investimento effettuate dalle banche per conto dei clienti (in concorrenza, come vedremo tra poco, con la Camera di conciliazione presso la CONSOB). Il suo giudizio deve essere pronunciato entro 90 giorni, prorogabili per acquisire ulteriore documentazione ad esso necessaria. Il problema è che questo giudizio non è vincolante, non essendo l’Ombudsman (o Giurì Bancario) un organismo arbitrale.

 

Il Conciliatore Bancario e Finanziario, che ha rappresentato l’evoluzione dell’Ombudsman dopo l’introduzione dell’art. 128-bis del Testo Unico delle Leggi Bancarie da parte dell’art. 29 del Dlgs 262/2005, è un normale organismo di conciliazione, vale a dire, oggi, di mediazione, a cui si applica la disciplina del Dlgs 28/2010 e del D.M. 180/2010.

 

Invece, l’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF, su cui vedi il sito: www.arbitrobancariofinanziario.it ) è un organismo che giudica anch’esso in appello i reclami dei clienti rigettati dalle banche e dagli altri intermediari finanziari e che, se accoglie il ricorso e questo giudizio non viene osservato dalla banca, può condannare quest’ultima alla pubblicazione, a sue spese, di una pubblicità del suo inadempimento sul sito web della Banca d’Italia e su due quotidiani a diffusione nazionale. L’ABF può giudicare tutte le controversie sui servizi bancari e finanziari (per esempio, sui mutui, conti correnti, prestiti personali, ecc.) diversi dai servizi di investimento, di leasing e di factoring fino a 100.000 Euro, se il cliente chiede una somma di denaro, o senza limiti di importo se il cliente chiede soltanto l’accertamento di un diritto, di un obbligo o di una facoltà. L’ABF quindi può giudicare, ma non decidere perché la banca, come abbiamo visto, può non conformarsi al giudizio da esso espresso, per cui l’ABF non è un organismo arbitrale (le cui decisioni sono vincolanti), né di mediazione perché non ha l’obbligo di tentare di fare giungere le parti ad un accordo di conciliazione. Il giudizio va emesso entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso.

 

In entrambi i casi (dell’Ombudsman e dell’ABF, ma non in quello del Conciliatore Bancario e Finanziario) il ricorso deve essere presentato entro un anno dal rigetto del reclamo del cliente da parte della banca o dell’intermediario finanziario che deve rispondere ad esso entro 30 giorni dalla presentazione.

 

Infine, nel rispetto delle competenze di essi, si possono rivolgere a questi organismi sia i consumatori persone fisiche che le imprese o gli enti senza fine di lucro (o non profit).

 

Facciamo notare che la tendenza alla creazione di un organismo di conciliazione “in house” (cioè “in casa”, quindi proprietario) per trattare le controversie coi propri clienti non è solo delle banche e degli intermediari finanziari, ma anche di alcune società erogatrici di servizi pubblici di rete (acqua, gas, elettricità, ecc., ma non la telefonia, come vedremo tra poco) che poi ottengono lo stesso risultato: la diffidenza dei clienti verso i loro organismi di conciliazione, percepiti come non imparziali, e la migrazione di questi verso la giustizia ordinaria, con una forte crescita dei costi del contenzioso legale. Insomma, questo artificio non premia sul lato economico e nemmeno su quello dell’immagine.

 

Hanno fatto eccezione a questa tendenza le società erogatrici dei servizi telefonici che si sono rivolte soprattutto agli organismi di conciliazione e poi di mediazione istituiti dalle Camere di Commercio e che meritano, da questo punto di vista, una lode per avere cercato di instaurare un rapporto corretto coi clienti con cui sorgono delle controversie.

 

Lo scarso utilizzo da parte dei clienti, sempre per quanto riguarda la risoluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria, delle procedure di conciliazione previste dagli artt. 38 – 40 del Decreto Legislativo n° 5 del 2003 (oggi abrogati, come abbiamo visto in precedenza) e della procedura sempre di conciliazione gestita dalla Camera di conciliazione e arbitrato presso la CONSOB (artt. 1 – 4 del Decreto Legislativo n° 179 del 2007 ed artt. 1- 16 del Regolamento CONSOB n° 16763 del 2008) (www.camera-consob.it) non è, invece, da imputarsi ad una diffidenza per la effettiva terzietà di questi organismi, ma alla scarsa conoscenza e propensione all’utilizzo dei sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie che hanno caratterizzato finora il nostro paese e la sua cultura giuridica, sia quella degli operatori del diritto, sia quella diffusa della gente comune.

 

Infatti, gli organismi di conciliazione di cui al Dlgs 5/2003, oggi organismi di mediazione disciplinati dal Dlgs 28/2010, devono dare garanzie di terzietà, così come li ha sempre dati la Camera di conciliazione presso la CONSOB, che è espressione dell’autorità pubblica di vigilanza sui mercati finanziari e le società quotate e che, pertanto, non può essere sospettata di vicinanza ad una delle due parti delle controversie fra investitori non professionali (cioè clienti, siano essi consumatori persone fisiche oppure imprese od enti di diverso genere) ed intermediari finanziari abilitati alla prestazione di servizi e di attività di investimento (banche, SIM, SGR, SICAV, ecc. iscritti nell’elenco degli intermediari finanziari di cui agli artt. 106 e 107 del Dlgs 385/1993 tenuto dalla Banca d’Italia).

 

La competenza della Camera di conciliazione presso la CONSOB è limitata alla risoluzione delle controversie fra investitori ed intermediari finanziari per la violazione, da parte di questi ultimi, degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti dalla legge nei rapporti contrattuali con gli investitori (art. 2, 1° comma, del Dlgs 179/2007), quindi ai servizi ed alle attività di investimento in valori mobilari, sia individuali che collettivi (fondi comuni). Anche in questo caso il cliente deve avere prima presentato un reclamo all’intermediario finanziario, rigettato o ignorato da quest’ultimo (cosa che però il Dlgs 28/2010 sulla disciplina della mediazione non prevede ed è quest’ultima norma che oggi dovrebbe prevalere). La procedura presso la Camera di conciliazione dura 60 giorni prorogabili di altri 60 col consenso delle parti. La Camera può investire della questione un altro organismo di mediazione iscritto nel Registro di cui all’art. 3 del D.M. 180/2010 con cui abbia un accordo di collaborazione.

 

Dal momento che il Conciliatore Bancario e Finanziario e la Camera di conciliazione presso la CONSOB sono due normali organismi di conciliazione (oggi di mediazione) si spiega perché la relazione illustrativa del Dlgs 28/2010 riconosce le procedure stragiudiziali istituite ai sensi dell’art. 128-bis del Dlgs 285/1993 e degli artt. 1 – 4 del Dlgs 179/2007 come valide per soddisfare la condizione di procedibilità dell’esperimento del tentativo di mediazione per le cause in materia di contratti bancari e finanziari prevista dal comma 1° dell’art. 5 del Dlgs 28/2010.

 

La speranza di un rilancio delle procedure conciliative per le controversie in materia bancaria e finanziaria sta proprio nella nuova disciplina del procedimento di mediazione introdotta dal Dlgs 28/2010. Infatti, sulla base di esso, il cliente che voglia esperire il tentativo obbligatorio di mediazione per una controversia, per esempio, con una banca può scegliere di rivolgersi all’organismo di mediazione che ritiene più affidabile, cioè davvero terzo. Questo concetto è ribadito dal 3° comma del nuovo testo dell’art. 128-bis del Dlgs 385/1993 introdotto dall’art. 4, comma 3°, del Decreto Legislativo n° 141 del 2010 che ha adeguato questo articolo alla nuova disciplina della mediazione contenuta nel Dlgs 28/2010. Esso, infatti, prevedendo che l’adesione delle banche e degli intermediari finanziari ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie di cui ai commi 1° e 2° dell’art. 128-bis del Dlgs 385/1993 non pregiudica “per il cliente il ricorso ad ogni altro mezzo di tutela previsto dall’ordinamento” ha voluto anche affermare che il cliente può, come prevede il Dlgs 28/2010, scegliere l’organismo di mediazione che gli dà maggiori garanzie di terzietà.

 

Se la banca non partecipa alla mediazione promossa dal cliente il mediatore deve comunque formulare una proposta di conciliazione da comunicare alla banca e che questa può accettare o meno entro sette giorni dalla data di ricezione (in mancanza di risposta nel termine la proposta si ha per rifiutata). La mancata partecipazione della banca al procedimento di mediazione senza un giustificato motivo può essere valutata dal Giudice del giudizio successivo ai sensi dell’art. 116 del Codice di Procedura Civile sulla valutabilità del contegno delle parti nel processo. Per tale motivo ad una banca (o società finanziaria, o compagnia di assicurazioni) conviene partecipare al procedimento di mediazione avviato nei suoi confronti da un cliente per non aumentare le probabilità di perdere l’eventuale giudizio successivo.

 

Se, invece, è la banca ad avviare la procedura conciliativa (caso raro, ma non impossibile) davanti ad un organismo che il cliente non ritiene davvero terzo, quest’ultimo può non partecipare al procedimento di mediazione, facendo poi presente nel giudizio successivo i motivi per cui ha sospettato la mancanza di terzietà del mediatore, oppure può parteciparvi avvalendosi nella causa seguente del diritto di impedire la produzione di quanto emerso nei suoi confronti nel corso del procedimento di mediazione.

 

Lo stesso vale per la mediazione, non obbligatoria per legge, relativa alle controversie fra clienti e società di erogazione di servizi pubblici di rete che si sono create in questi anni un organismo di conciliazione in proprio ed hanno cercato di renderla obbligatoria per il cliente con una clausola del contratto stipulato per l’erogazione del servizio (la c.d. “clausola di mediazione” o “di conciliazione”). Infatti, il 5° comma dell’art. 5 del Dlgs 28/2010 stabilisce che, nel caso di clausola di mediazione contenuta in un contratto qualsiasi od in uno statuto od atto costitutivo di società (e, pertanto, obbligatoria in forza di queste clausole), le parti restano libere di scegliersi l’organismo di conciliazione che preferiscono, anche se l’atto che contiene la clausola ne indica uno in particolare.

 

E questa ultima norma vale, ovviamente, anche per i contratti bancari, finanziari od assicurativi che dovessero contenere l’indicazione di un determinato organismo di mediazione a cui rivolgersi per esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla legge per le controversie che da essi derivano.

 

 

 

1 Ricordiamo che gli artt. 38 – 40 del Dlgs 5/2003 furono attuati dai Decreti del Ministero della Giustizia n° 222 e 223 del 2004. Una volta abrogate le norme legislative di riferimento anche questi decreti ministeriali sono da considerasi abrogati.

 

 

 

Legislazione e normativa nazionale

Dottrina e sentenze

Consiglio Ordine Roma: informazioni

Rassegna stampa del giorno

Articoli, comunicati e notizie

Interventi, pareri e commenti degli Avvocati

Formulario di atti e modulistica

Informazioni di contenuto legale

Utilità per attività legale

Links a siti avvocatura e siti giuridici