giapponeUn disastro costoso - Il terremoto e la
catastrofe nucleare hanno colpito il Giappone in una
fase storica delicata, in bilico tra il rilancio
economico e il prolungamento della “lost decade”. A due
mesi dal peggiore terremoto mai avvenuto nel paese la
valutazione dei danni è ancora incerta.
Secondo
la Banca Mondiale i danni variano tra 122 e 235 mld di $
(2,5-4% del Pil), il doppio della spesa sostenuta dopo
il terremoto di Kobe del 1995. L’FMI eleva la banda di
oscillazione tra il 3 e il 5% del Pil (cinque volte la
spesa post Kobe). Il disastro dell’11 marzo sarà
comunque il più costoso al mondo dal 1965. In dollari
correnti i danni sono superiori a quelli prodotti
dall’uragano Katrina (USA 2005), dal terremoto di
Northridle (USA 1994) e dal terremoto nello Schuan (Cina
2008). Gran parte dei costi sarà a carico delle famiglie
e del Governo, mentre agli assicuratori privati
farebbero capo circa 13-14 mld di $, quasi venti volte
l’esborso sostenuto dopo Kobe (738 mln di $).
Gli
effetti sul Pil sono ancora incerti: secondo la Banca
Mondiale, dopo una iniziale flessione le spese per la
ricostruzione dovrebbero rappresentare uno stimolo per
almeno cinque anni.
Una
crescita fragile
Dopo la
caduta del Pil durante la crisi (-6,3% nel 2009, il dato
peggiore tra le economie avanzate) nel 2010 il Giappone
ha registrato la maggiore crescita degli ultimi venti
anni (+3,9%), uscendo dalla crisi più velocemente degli
altri paesi avanzati. Proprio alla fine di un anno così
brillante il paese ha però ceduto alla Cina la seconda
posizione al Mondo per ammontare di Pil.
Andamento del Pil giapponese
(var. %
a/a)
tabella1
Fonte:
elaborazione su dati FMI
La
crescita del 2010 è in gran parte frutto di imponenti
misure fiscali e di una forte ripresa delle
esportazioni: la spesa pubblica è cresciuta del 2,3%, i
consumi privati dell’1,8%, gli investimenti fissi lordi
sono scesi per il quarto anno consecutivo (-0,2%). Le
esportazioni in volume sono cresciute del 24% circa
(dopo il -24,1% del 2009). Nel complesso, domanda
interna e investimenti hanno contribuito per poco più
della metà alla crescita complessiva (2,1%), mentre le
esportazioni nette vi hanno contribuito per l’1,8%. Le
stime dell’FMI indicano per il 2011 una crescita
positiva (+1,4%, 0,2% meno delle stime pre-terremoto),
ma inferiore alla media delle economie avanzate (+2,4%)
e di quelle emergenti asiatiche (+5%).
Proprio
la composizione della crescita post recessione è causa
delle incertezze sul futuro, in uno scenario compromesso
dai recenti avvenimenti. Lo sforzo necessario per la
ricostruzione determinerà un’ulteriore crescita della
spesa pubblica e del già enorme debito pubblico (nel
2010 il Giappone ha consolidato il suo primato nel
rapporto debito-Pil: 220,3%). Nel 2011 l’FMI lo stima al
229,1% e, in assenza di correttivi oggi difficili da
immaginare, al 250,5% nel 2016. Alla crescita recente
avevano contribuito poi soprattutto le esportazioni,
penalizzate dagli ultimi eventi. Queste rappresentano
circa il 4,6% delle esportazioni mondiali e il 7,3% di
quelle dei paesi avanzati, e rivestono un peso notevole
soprattutto nel commercio con l’area asiatica; secondo
la Banca Mondiale, un calo del Pil nipponico tra lo 0,25
e lo 0,5% causerebbe un calo delle esportazioni verso i
paesi dell’est asiatico tra lo 0,75 e l’1,5%. Ma al di
là del fattore numerico, la questione giapponese ha
evidenziato la vulnerabilità di una catena produttiva
globale nella quale il ruolo delle scorte è ridotto al
minimo. In alcuni settori la velocità con cui la
produzione ha rallentato (o si è bloccata del tutto) a
causa della mancanza di produzioni intermedie made in
Japan ha portato molti a rievocare l’effetto contagio
sperimentato durante la crisi nata con i mutui
sub-prime. Automobilistico ed elettronica sono i settori
più penalizzati: due imprese giapponesi infatti
controllano il 90% del mercato di una resina necessaria
alla produzione di smartphone e apparecchi simili, e le
batterie dell’iPod sono realizzate con un polimero
prodotto da un’impresa giapponese che controlla il 70%
del mercato.
Esportazioni giapponesi verso i paesi dell’Est asiatico
(in %
del totale verso l’area)
tabella2
Fonte:
elaborazione su dati Banca Mondiale
Ad
essere penalizzati sono soprattutto Thailandia, Corea,
Cina e Filippine, per i quali il Giappone rappresenta il
principale fornitore di componenti e beni capitali per
l’elettronica, ma problemi (soprattutto nell’automotive)
hanno cominciato a emergere anche negli USA, che nel
2010 hanno importato 1,2 mld di $ di componenti
giapponesi.
I
vincoli delle banche
In
Giappone le sorti del sistema bancario ed economico sono
fortemente intrecciate: uno dei fattori che hanno
depresso l’economia del paese è la lentezza con cui i
maggiori gruppi bancari hanno ridotto il peso dei
crediti non recuperabili. Allo stesso tempo la
prolungata debolezza ha evitato alle banche giapponesi
il coinvolgimento nella crisi finanziaria.
Sul
piano contabile il sistema bancario giapponese appare
oggi risanato. Il consuntivo degli ultimi anni è
positivo. Nei bilanci chiusi a marzo 2010 i profitti
lordi aggregati hanno sfiorato i 30 mld $, con un
andamento positivo anche nei successivi trimestri. Com’è
tipico delle banche giapponesi, gli indicatori di
profittabilità sono modesti: i profitti lordi
difficilmente salgono oltre lo 0,5% dell’attivo, mentre
l’incidenza media sul patrimonio è intorno al 6%.
Profilo
dei maggiori gruppi bancari giapponesi
(Sett.
2010)
tabella3
(*)
Mitsubishi UFJ Financial Group;
(**)
Sumitomo Mitsui Financial Group
Fonte:
elaborazioni su bilanci e The Banker
L’impatto immediato di terremoto e tsunami dovrebbe
risultare limitato: l’esposizione creditizia verso le
aree più colpite è inferiore al 4% del totale (meno
dell’1% per le banche maggiori ma significativa per
alcune banche regionali). Il sistema bancario nipponico
soffre comunque di un eccesso di raccolta rispetto alla
domanda di finanziamenti. Il rapporto prestiti/depositi
(inferiore all’80% a marzo 2010) è da anni in discesa, e
la responsabilità è quasi interamente dei gruppi bancari
maggiori (al 120% nel 2001). Il più importante gruppo
giapponese (il MUFG) è 9° al mondo per totale attivo, ma
2° per depositi raccolti.
Impiegare la raccolta all’interno del paese è difficile:
le imprese hanno pochi progetti d’investimento, ampia
liquidità (metà delle quotate è virtualmente priva di
debiti) e si finanziano per lo più tramite emissione di
titoli. Anche la domanda di credito delle famiglie è
debole, per la prolungata stagnazione economica e
l’invecchiamento della popolazione.
Per
compensare la carente domanda interna di credito, le
banche hanno rivolto gli impieghi a titoli di stato e
attività estere. A fine 2010 il portafoglio di titoli di
stato delle banche ammontava in media a oltre un quinto
dell’attivo totale (oltre 100 trilioni di yen) e
conferma le banche giapponesi come i principali
detentori di JGB (Japanese Government Bond). I
rendimenti molto bassi1 espongono le banche a un rischio
di tasso molto superiore alla norma, che le banche
maggiori tentano di mitigare riducendo la durata media
del portafoglio (circa 2 anni). Secondo la Banca
Centrale un aumento dei rendimenti di 100 pb per tutte
le scadenze causerebbe una perdita di circa il 10% del
patrimonio tier 1 per le banche maggiori, e di oltre il
30% per le regionali, il cui portafoglio di titoli di
stato ha generalmente una scadenza media più alta (3,5
anni).
L’altro
canale verso cui le banche giapponesi indirizzano le
risorse è l’estero. Negli ultimi anni i gruppi maggiori
sono stati molto attivi: nel 2008 Nomura ha rilevato le
attività di Lehman Brothers in Europa, Medio Oriente e
Asia; MUFG ha acquisito il 21% di Morgan Stanley e ha
rilevato l’intero portafoglio di project finance (oltre
6 mld di $) della Royal Bank of Scotland; Mizuho ha
investito sia in Merrill Lynch sia in Black Rock, il più
grande asset manager del mondo. Le banche giapponesi
stanno anche accrescendo i loro finanziamenti all’estero
(soprattutto in Asia).
* Le
opinioni espresse dagli autori non coinvolgono
l’istituto di appartenenza.
1. Il
rendimento del JGB a dieci anni si è attestato all’1,3%
(era inferiore all’1% ad agosto 2010). Per scadenze
inferiori a un anno il JGB rende tra 0,12 e 0,16%. |