La Spagna
risulta avere già introdotto un tirocinio formativo
obbligatorio ed un esame di Stato per l’accesso alla
professione forense, a partire dal 31 ottobre 2011
(Ley de 30 de octubre, Sobre el acceso a las
profesiones de Abogado y Procurador de los Tribunales)
Nel
frattempo, però, il fenomeno dell’iscrizione di
aspiranti avvocati italiani in Spagna, con successiva
omologazione del titolo in Italia, non conosce tregua.
Da ultimo,
il Consiglio Nazionale Forense ha reso un parere “sul
riconoscimento del titolo di abogado”, diramato con
circolare 9-C-2011 del 5 maggio.
Il CNF dà
anzitutto atto che “nel sistema ordinistico in vigore
in Italia, il Consiglio nazionale forense (così come
ogni sua articolazione interna) non ha un potere di tipo
gerarchico nei confronti degli ordini circondariali;
questi ultimi sono costituiti in enti pubblici non
economici a carattere associativo, e ciascuno di essi è
dotato di una propria sfera di competenza e di piena
autonomia, salve le prerogative di garanzia del
Dicastero vigilante (Ministero della Giustizia)”.
E dunque,
“la materia della tenuta degli albi forensi, compresi
i procedimenti di iscrizione e cancellazione, è affidata
ai singoli Ordini (art. 14 e segg., R.D.L. 27 novembre
1933, n. 1578)”.
Vengono
tuttavia richiamati gli Ordini, affinchè compiano,
secondo i criterî enunciati dalla sentenza della Corte
di Giustizia del 29 gennaio 2009, causa C-311/06,
Cavallera, “un’adeguata istruttoria sulla domande di
iscrizione per distinguere in modo motivato i casi di
professionisti stranieri intenzionati ad esercitare in
buona fede il loro pieno diritto allo stabilimento in
Italia dalle ipotesi – come descritte dalla Corte – di
abuso del diritto europeo, sotto forma di “duplice
passaggio” da uno Stato all’altro, senza l’acquisizione
di qualifiche supplementari rispetto a quelle di
partenza”.
In altri termini, “quando a uno Stato membro è
richiesto di riconoscere un titolo di formazione
professionale, tale Stato membro non può essere tenuto
ad accogliere la domanda di coloro che non dimostrino di
aver acquisito alcuna competenza aggiuntiva
all’estero né di aver sostenuto un esame che certifichi
le loro competenze nelle materie oggetto della
professione”.
“Il
contegno
- conclude
il CNF - di colui che richiede duplice
riconoscimento dei propri titoli, rientrando nello Stato
membro di provenienza senza dimostrare di aver acquisito
alcun know how professionale aggiuntivo rispetto alla
condizione di partenza, pone in essere un
comportamento elusivo, giovandosi cioè di diritti
conferiti dall’ordinamento dell’Unione europea per scopi
difformi da quelli della libertà di circolazione dei
professionisti e nello spazio europeo, ed in sostanza
lucrando un indebito vantaggio rispetto ai
professionisti connazionali, che hanno dovuto superare
un regime di accesso effettivamente più severo,
presidiato perfino – in taluni ordinamenti europei, e
tra questi, in quello italiano – da norme di rango
costituzionale”.
In
sintesi, “il Consiglio dell’ordine conserva il potere
di negare l’iscrizione nella sezione avvocati stabiliti
dell’albo custodito, allorquando rilevi – alla luce dei
criteri forniti dalla giurisprudenza comunitaria – che
si versi in un caso di abuso del diritto
dell’Unione europea”.
Circolare del Consiglio Nazionale Forense del 5 maggio
2011
CNF
Circolare 9-C-2011 del 5 maggio 2011
(…)
“Il quesito è il seguente:
‘Il Centro SOLVIT Italia, che opera presso il
Dipartimento Politiche Comunitarie della Presidenza del
Consiglio e costituisce il punto di contatto nazione
della rete SOLVIT della Commissione Europea – D.G.
Mercato Interno, ha ricevuto numerosi reclami
dell’omologo Centro spagnolo relativamente a cittadini
italiani laureati in giurisprudenza in Italia che hanno
omologato il proprio titolo di studio in Spagna,
conseguendo così l’abilitazione all’esercizio della
professione forense secondo le norme di quello Stato. A
fronte delle istanze di iscrizione nella sezione
speciale per avvocati stabiliti dell’albo professionale,
vari Consigli dell’Ordine hanno richiesto informazioni
in merito, tra l’altro, all’effettivo svolgimento di
attività professionale nel Paese estero e al grado di
conoscenza della lingua straniera ivi praticata.
Sembrerebbe anche che alcuni Consigli, oltre a decidere
di sospendere le domande di iscrizione in attesa
dell’acquisizione delle predette informazioni,
avrebbero, altresì, deliberato di riesaminare tutte le
iscrizioni effettuate fino ad oggi.
Questa prassi potrebbe configurare una violazione del
diritto dell’Unione Europea, in particolare della
direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio
permanente della professione di avvocato in uno Stato
membro diverso da quello in cui è stata acquistata la
qualifica e dei principi di cui alla direttiva
2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche
professionali.
In effetti, benché la Corte di Giustizia abbia
dichiarato che le disposizioni sul riconoscimento delle
qualifiche professionali non possano essere invocate al
fine di accedere ad una professione regolamentata in uno
Stato membro ospitante, da parte del titolare di una
qualifica rilasciata da un’autorità di un altro Stato
membro che non sanzioni alcuna formazione prevista dal
sistema di istruzione di tale Stato e non si fondi né su
di un esame né su di una esperienza professionale
acquisita in detto Stato membro, tale principio è
applicabile solo nei casi in cui l’omologazione del
titolo acquisito in un altro Stato non attesti alcuna
qualifica supplementare e quindi non sia fondata sulla
verifica delle qualifiche o delle esperienze
professionali acquisite in quello Stato (cfr. sentenza
29 gennaio 2009, causa C-311/06, Cavallera).
Nel verificare se i titoli conseguiti all’estero
attestino una qualifica supplementare rispetto a quella
acquisita in Italia, non possono essere imposte
condizioni sproporzionate o comunque incompatibili con
il diritto dell’Unione Europea, quale ad esempio esigere
l’indicazione del motivo per il quale si intende
esercitare la professione in Italia anziché nello Stato
nel quale è stata ottenuta l’abilitazione.
Inoltre, i controlli non possono avere carattere
sistematico, dovendo essere limitati ai soli casi nei
quali vi siano indizi di un abuso del diritto
dell’Unione europea, ovvero di un comportamento che miri
ad ottenere un vantaggio derivante dalla normativa
sovranazionale mediante la creazione artificiosa delle
condizioni necessarie per la sua applicazione.
Alla luce di quanto esposto, si prega codesto Consiglio
Nazionale Forense di voler fornire elementi utili a
chiarire la questione, anche al fine di prevenire
l’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia
[…]‘.
1. La Commissione ritiene di sottolineare, in via
preliminare ad ogni altra considerazione, che il proprio
ruolo si esplica in una funzione esclusivamente di
supporto ermeneutico, e non anche prescrittiva.
Nel sistema ordinistico in vigore in Italia, infatti, il
Consiglio nazionale forense (così come ogni sua
articolazione interna) non ha un potere di tipo
gerarchico nei confronti degli ordini circondariali;
questi ultimi sono costituiti in enti pubblici non
economici a carattere associativo, e ciascuno di essi è
dotato di una propria sfera di competenza e di piena
autonomia, salve le prerogative di garanzia del
Dicastero vigilante (Ministero della Giustizia).
Sempre in via preliminare, deve ricordarsi che il C.N.F.
è anche dotato di funzioni giurisdizionali ed è chiamato
ad esprimersi quale giudice speciale in posizione di
piena terzietà rispetto a tutti i ricorsi ad esso
demandati dalla legge.
Ciò a chiarire che le considerazioni che seguono non
intendono essere, né possono costituire, atto di
interferenza nell’esercizio delle funzioni
amministrative assegnate dalla legge ai Consigli locali
dell’ordine, né tanto meno anticipare le pronunzie che,
rispetto a singole concrete domande di giustizia, il
Consiglio nazionale stesso sarà tenuto a rendere in sede
giurisdizionale.
2. La materia della tenuta degli albi forensi, ivi
comprendendo i diversi procedimenti di iscrizione e
cancellazione, è affidata come detto agli Ordini
circondariali (art. 14 e segg., R.D.L. 27 novembre 1933,
n. 1578).
Nel caso l’interessato abbia a dolersi di un contegno
non conforme alla legge da parte dell’Ordine può
proporre ricorso al Consiglio nazionale forense (art.
31, R.D.L. cit.), e le decisioni di quest’ultimo sono a
loro volta impugnabili dinanzi alla Corte Suprema di
Cassazione a Sezioni Unite, per motivi di legittimità.
Lo stesso meccanismo di reclamo è conformato dal
legislatore italiano con riferimento alle eventuale
diniego di iscrizione che un avvocato proveniente da
altro Paese UE dovesse subire, con conseguente lesione
del proprio diritto di stabilimento (così l’art. 6,
commi 7 e 8, D. lgsl. n. 96/2001, normativa di
recepimento della cd Direttiva stabilimento, al Dir.
98/5/CE).
Va quindi recisamente smentita l’affermazione, avanzata
all’interno degli esposti citati, secondo la quale il
professionista sia privo di tutela giurisdizionale
rispetto alle decisioni degli ordini che lo riguardano.
Vale osservare il contrario: il sistema italiano appare
particolarmente garantista, allorquando consente che le
decisioni in materia di iscrizione in albi arrivino fino
alla Suprema Corte, che – quale custode della
nomofilachia – rappresenta la massima garanzia possibile
per la tutela dei diritti.
3. Fatte queste doverose premesse, la Commissione
rappresenta di aver già affrontato in passato in diverse
occasioni la tematica del riconoscimento dei titoli
professionali in base alla direttiva 98/5/CE anche nei
suoi aspetti applicativi.
In particolare, con parere 25 giugno 2009, n. 17, si è
provveduto a fornire agli ordini un indirizzo
interpretativo circa la corretta applicazione della più
recente giurisprudenza della Corte di Giustizia in
materia di limiti al riconoscimento dei titoli
professionali, con particolare riguardo alla sentenza 29
gennaio 2009, causa C-311/06, Cavallera.
Si è, in particolare, richiamata l’attenzione dei
Consigli circondariali sulla necessità di compiere,
secondo i criterî enunciati dalla Corte, un’adeguata
istruttoria sulla domande di iscrizione per distinguere
in modo motivato i casi di professionisti stranieri
intenzionati ad esercitare in buona fede il loro pieno
diritto allo stabilimento in Italia dalle ipotesi – come
descritte dalla Corte – di abuso del diritto europeo,
sotto forma di “duplice passaggio” da uno Stato
all’altro, senza l’acquisizione di qualifiche
supplementari rispetto a quelle di partenza (ad es.
laurea in giurisprudenza, trasformata in titolo
professionale abilitante a mezzo di mero duplice
riconoscimento, prima del titolo accademico e
successivamente della qualifica ottenuta).
4. Va ribadito, anche in questa sede, che la sentenza
nel caso Cavallera riguarda un diverso canale di accesso
alla professione legale da parte di possessori di titoli
stranieri, ed in particolare il sistema generale di
riconoscimento delle qualifiche professionali sancito
dalla dir. 2005/36/CE e già dalla precedente 89/48/CEE.
Tale processo è, nel nostro ordinamento, incardinato in
forma accentrata presso il Ministero della Giustizia,
che valuta in conferenza di servizi la riconoscibilità
del titolo professionale di altro Stato membro,
prescrivendo le eventuali necessarie misure compensative
(al riguardo si segnala che il Ministero sta provvedendo
a motivare ciascun singolo provvedimento di
riconoscimento in base ai parametri di cui alla sentenza
Cavallera).
I principî dettati dalla Corte vanno però certamente
applicati per quanto possibile anche all’altro canale di
accesso alla professione nell’ambito dell’Unione
europea, in seguito all’esercizio del diritto di
stabilimento attuato per la professione legale con la
già citata direttiva 98/5/CE.
I principî che la Corte di Giustizia ha dettato sono
dunque, in sintesi, i seguenti:
quando a uno Stato membro è richiesto di riconoscere un
titolo di formazione professionale, tale Stato membro
non può essere tenuto ad accogliere la domanda di coloro
che non dimostrino di aver acquisito alcuna competenza
aggiuntiva all’estero né di aver sostenuto un esame che
certifichi le loro competenze nelle materie oggetto
della professione.
La Corte ha quindi in sostanza chiarito che, pur essendo
del tutto legittimo che gli Stati membri mantengano
differenti modalità per l’accesso alla medesima
professione regolamentata, tuttavia il contegno di colui
che richiede un duplice riconoscimento dei propri
titoli, rientrando nello Stato membro di provenienza
senza dimostrare di aver acquisito alcun know how
professionale aggiuntivo rispetto alla condizione di
partenza, pone in essere un comportamento elusivo,
giovandosi cioè di diritti conferiti dall’ordinamento
dell’Unione europea per scopi difformi da quelli della
libertà di circolazione dei professionisti e nello
spazio europeo, ed in sostanza lucrando un indebito
vantaggio rispetto ai professionisti connazionali, che
hanno dovuto superare un regime di accesso
effettivamente più severo, presidiato perfino – in
taluni ordinamenti europei, e tra questi, in quello
italiano – da norme di rango costituzionale (cfr. art.
33, comma 5, Cost.).
5. La Corte ha, in seguito, fornito alcune ulteriori
precisazioni, che debbono essere tenute altrettanto in
conto per la valutazione delle domande di accesso alla
professione forense in Italia.
Innanzitutto nel caso Pesla (causa C-345/08) essa ha
chiarito che, anche per l’accesso al semplice tirocinio
professionale, le autorità dello Stato membro ospitante
possono pretendere non tanto e non solo una generica
conoscenza giuridica, ma anche una padronanza degli
strumenti del proprio diritto nazionale, onde garantire
che l’attività professionale o di formazione
professionale sia adeguata e conforme all’interesse
dell’ordinamento.
Questi criterî, va ricordato, si collocano a valle di
una precedente giurisprudenza (causa C-313/01,
Morgenbesser) che impone all’Ordine forense di valutare
in modo ampio e sistematico il curriculum del
richiedente l’iscrizione, per verificare in concreto
quali siano le abilità acquisite, anziché basarsi sul
solo dato formale della denominazione o della
provenienza del titolo di studio posseduto.
6. Di recente sono intervenute due ulteriori pronunce
della Corte di Lussemburgo: in una prima (causa
C-118/09, Koller) i giudici hanno chiarito che uno Stato
membro non può negare il riconoscimento di un titolo
professionale per il solo fatto che il richiedente non
ha effettuato il tirocinio pratico nello Stato membro di
destinazione, una volta che l’interessato ha provato
l’effettivo svolgimento della professione all’estero.
Un secondo intervento si è avuto solo pochi giorni or
sono, con la sentenza 3 febbraio 2011, causa C-359/09,
Ebert: in questo frangente la Corte ha precisato che il
sistema di ordini o camere di avvocati rappresenta il
presidio di interessi pubblici fondamentali quali il
rispetto della deontologia, il controllo sui
professionisti e la loro responsabilità, e la correlata
organizzazione in senso pubblicistico della professione;
ne consegue che per beneficiare del diritto di
stabilimento, all’avvocato comunitario può essere
richiesta l’iscrizione in albi ed elenchi, alle medesime
condizioni previste per i professionisti locali e con
gli stessi requisiti.
7. Come accennato, l’ordinamento italiano ha recepito la
direttiva 98/5/CE sullo stabilimento degli avvocati con
il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.
Il procedimento per lo stabilimento degli avvocati
comunitarî è basato, come noto, su due fasi:
- una prima è l’iscrizione nella sezione speciale
dell’albo all’uopo istituita (art. 6), che consente
l’esercizio professionale con le sole limitazioni
prescritte dall’art. 8;
- la seconda fase – peraltro eventuale – è quella della
stabilizzazione, con cui lo stabilito, dopo tre anni di
esercizio regolare ed effettivo, acquisisce il titolo
professionale italiano di “avvocato” e diventa a tutti
gli effetti “integrato” (art. 12 e ss., D. lgs. cit.).
È in questo momento che l’ordine circondariale è onerato
di una più ampia funzione di verifica dell’attività del
professionista: egli può ottenere la dispensa dalla
prova attitudinale previa verifica dei predetti
requisiti di effettività e regolarità dell’esercizio
professionale, che il Consiglio competente verifica
tramite l’analisi delle pratiche seguite e delle
prestazioni svolte dal richiedente.
Nel caso tali presupposti non risultino sussistere,
l’interessato sarà tenuto a sostenere la richiamata
prova attitudinale, secondo il procedimento ordinario di
riconoscimento dei titoli professionali di cui all’art.
22, comma 2, del d.lgs. 206/2007.
A questo ultimo procedimento sono senz’altro applicabili
in via diretta i principî esplicitati dalla Corte nel
caso Cavallera e quindi, in assenza delle condizioni
necessarie, l’accesso al riconoscimento del titolo può
essere rifiutato.
8. Sulla scorta di quanto precede è agevole comprendere
per quale motivo questa Commissione abbia indicato agli
ordini forensi locali la necessità di farsi parte
diligente nella corretta analisi delle richieste di
stabilimento ed integrazione.
Non vi è dubbio infatti che, per quanto maggiori spazi
di apprezzamento valutativo competano al Consiglio
dell’ordine alla fine dei tre anni di esercizio
professionale con il titolo di origine e di intesa con
altro avvocato iscritto nell’albo ordinario, e non
piuttosto all’inizio di tale triennio (argomenta ex
artt. 13, comma 3, d. lgs. 96/2001 che prevede le citate
facoltà di verifica e controllo, compreso un eventuale
colloquio), tuttavia anche in sede di prima ricezione
della domanda di iscrizione nella sezione stabiliti i
Consigli dell’ordine conservano uno spatium delibandi
che va esercitato proprio nei limiti indicati dalle
direttive rilevanti e dalla Corte di giustizia, e poco
sopra ricordati.
9. Si ritiene pertanto in conclusione che il Consiglio
dell’ordine conservi il potere di negare l’iscrizione
nella sezione avvocati stabiliti dell’albo custodito,
allorquando rilevi – alla luce dei criteri forniti dalla
giurisprudenza comunitaria – che si versi in un caso di
abuso del diritto dell’Unione europea.
Contro tale decisione il richiedente può esperire i
mezzi di gravame previsti dalla legge, che prevedono il
reclamo dinanzi al Consiglio nazionale forense, e la
eventuale impugnabilità delle sentenze di questo di
fronte alle Sezioni unite della Corte suprema di
cassazione.
10. Il quesito proposto evidenzia inoltre le possibili
criticità derivanti da un’opera di controllo sistematico
e penetrante degli ordini forensi sulle richieste di
stabilimento ed integrazione provenienti da Stati membri
quali la Spagna, che finora non si sono dotati di alcun
sistema di verifica delle competenze professionali per
l’accesso alla qualifica di avvocato.
Si è segnalato, più in dettaglio, che risultano casi di
richieste di informazioni agli interessati circa
l’effettivo svolgimento di attività professionale nel
Paese di provenienza e il possesso delle conoscenze
linguistiche proprie del Paese medesimo.
Al riguardo, va evidenziato come singoli e specifici
casi di richieste di stabilimento ed integrazione di
professionisti abilitati in altro Stato membro
dell’Unione europea possono essere oggetto di
valutazione ed acquisizione di ulteriore documentazione
in presenza di indici di anomalia che rendano
ragionevole un approfondimento, peraltro non invasivo,
dell’Ordine circa l’esatto curriculum del richiedente
l’iscrizione.
È questa l’ipotesi di domande che provengano da
cittadini italiani, laureatisi in Italia e che spesso
hanno svolto il tirocinio nel nostro Paese; tali
soggetti avanzano la richiesta di stabilimento sulla
base di titoli stranieri di formazione anomala, ossia
emessi in un arco di tempo assai breve (solitamente un
anno o poco più), e dai quali non emerge alcun legame
con il Paese di emissione dei titoli. In presenza di
tali indici di anomalia appare ragionevole anche un
approfondimento relativo alle competenze linguistiche.
È noto infatti come alcune organizzazioni commerciali
italiane offrano agli stessi cittadini italiani laureati
in giurisprudenza servizi di supporto al riconoscimento
dei titoli, proponendo il disbrigo di tutte le pratiche
inerenti sia l’omologazione della laurea in Spagna, sia
l’iscrizione al locale “collegio degli avvocati”.
Alcune di esse (cfr. ad esempio le esplicite indicazioni
presenti al sito www.omologazionetitoli.it) giungono a
promettere l’intero espletamento delle pratiche senza
che il candidato abbia alcuna conoscenza della lingua
del Paese dell’Unione europea di “transito”.
È evidente, a questo punto, che l’ordine, in presenza di
evidenti elementi indiziarî, dovrà accertarsi se la
domanda provenga o meno da un soggetto che ha un
qualsivoglia legame con il Paese nel quale afferma di
aver esercitato al professione.
La sussistenza di prassi elusive di questo tipo andrebbe
utilmente segnalata a questo Consiglio, anche al fine di
consentire l’attivazione di meccanismi di consultazione
bilaterali o in sede europea.
11. Diversamente pare doversi opinare con riferimento ad
eventuali richieste di informazioni attinenti ai motivi
personali in base ai quali i richiedenti avrebbero
deciso di esercitare il diritto di stabilimento.
Tali motivi dovrebbero appartenere al cd. “foro interno”
dell’interessato, e non paiono assumere rilievo
giuridico nelle fattispecie de quibus, allo stesso modo
nel quale non assumono alcuna rilevanza i motivi
personali in base ai quali un avvocato iscritto in un
albo tenuto da un certo Consiglio dell’ordine decida di
trasferire la propria iscrizione in altro albo tenuto da
un Consiglio dell’ordine situato in altro circondario di
tribunale, purché l’avvocato abbia, nel circondario di
destinazione, residenza o domicilio professionale.
12. Il quesito pervenuto pone inoltre l’ulteriore
questione se l’ordine forense possa procedere ad una
verifica sistematica degli albi, al fine di individuare
soggetti che abbiano già ottenuto in passato
l’iscrizione sulla base di un procedimento che
costituisca nel suo complesso un abuso del diritto
dell’Unione. In linea generale l’ordine forense ha
l’espresso potere-dovere, conferito dalla legge (art.
16, comma terzo, R.D.L. 1578/1933), di procedere alla
verifica periodica degli albi ogni anno, e ciò avviene
nella prassi per verificare la sussistenza di tutti i
presupposti di iscrizione, in modo non discriminatorio
(si consideri ad esempio il dovere di verifica circa
situazioni di incompatibilità, di pendenza di
procedimenti penali etc.).
D’altra parte si è evidenziato, già nel ricordato parere
di questa Commissione n. 17/2009, che l’iscrizione
nell’albo protratta per lunghi periodi ingenera
inevitabilmente l’affidamento di terzi e consolida
un’aspettativa dell’interessato, con la conseguenza che
la cancellazione disposta dall’ordine potrebbe
riverberarsi su processi in corso e sugli interessi di
clienti in piena buona fede.
Si è pertanto suggerito di procedere alla cancellazione
di soggetti già iscritti solo quando le circostanze
evidenzino un documentato interesse pubblico
all’espunzione del soggetto dall’albo, dando così corpo
a tutti i presupposti per un provvedimento
amministrativo di revoca della precedente deliberazione.
Se si considera che molte delle iscrizioni in questione
sono state operate dagli ordini prima dell’intervento
della Corte di Giustizia con la sentenza Cavallera, e
dunque in tutto il periodo 2001-2009, non appare di per
sé illegittimo il contegno del Consiglio dell’ordine
che, per evitare il perpetuarsi di situazioni di abuso
del diritto dell’Unione europea, a tutela dell’interesse
pubblico al corretto esercizio della professione forense
(Corte cost. ….) proceda a verifica delle posizioni di
coloro che hanno esercitato il diritto di stabilimento
provenendo da Paesi privi di selettivi criteri di
accesso alla professione, e comunque in circostanze di
tempo o di fatto tali da ingenerare il ragionevole
dubbio circa l’integrazione della descritta fattispecie
abusiva, fino ad arrivare nei casi concreti anche
all’ipotesi della revoca dell’iscrizione a suo tempo
disposta.
Anche l’eventuale cancellazione disposta all’esito delle
verifiche intraprese, oltre ad essere motivata da un
comprovato interesse pubblico all’espunzione dall’albo
del soggetto che non aveva titolo per esservi iscritto,
è provvedimento ovviamente “giustiziabile” nelle forme e
di fronte alle Autorità già indicate.
Deve peraltro aggiungersi che, in relazione alle
esigenze di protezione dell’affidamento e di tutela
della clientela e dei terzi, la produzione degli effetti
dell’eventuale provvedimento di revoca dell’iscrizione a
suo tempo disposta dovrebbe essere modulata in forme
compatibili con le cennate esigenze, e andrebbe
tendenzialmente esclusa la revoca con effetti ex tunc,
di per sé idonea a travolgere tutti gli atti compiuti
dal soggetto cancellato.
Tali verifiche vanno comunque effettuate tenendo conto
delle posizioni individuali dei soggetti iscritti, senza
fare ricorso a strumenti di verifica standardizzati (ad
es. formulari e questionari inviati indistintamente a
tutti gli iscritti).
13. In conclusione, questa Commissione ritiene conforme
allo spirito delle norme europee che gli ordini
circondariali svolgano un’attività di attenta vigilanza
sulle richieste di iscrizione nell’elenco degli avvocati
stabiliti al fine di prevenire, in forma non
discriminatoria, casi di abuso del diritto dell’Unione
Europea.
Ritiene irragionevoli forme e prassi concrete di
verifica e di controllo a carattere sistematico che si
rivelino sproporzionate rispetto alle finalità di tutela
dell’interesse pubblico al corretto esercizio della
professione.
Ritiene che non esorbiti dalle proprie competenze il
Consiglio dell’ordine che effettui controlli anche sulle
iscrizioni già disposte, perché il relativo
potere-dovere di verifica rientra nel più generale
potere di revisione degli albi regolato dalla legge.
Ritiene infine che gli eventuali provvedimenti che
dovessero essere assunti all’esito delle citate
verifiche dovrebbero comunque salvaguardare
l’affidamento incolpevole dei terzi e della clientela,
evitando il rischio di travolgere attività difensive
compiute in costanza dell’iscrizione poi revocata.
14. Ad abundantiam va segnalato che la situazione
attuale è verosimilmente destinata ad esaurirsi in tempi
relativamente brevi, posto che la Spagna – anche sulla
scorta di un forte incoraggiamento degli altri Stati
membri – ha introdotto un tirocinio formativo
obbligatorio ed un esame di Stato per l’accesso alla
professione forense, che troveranno applicazione a far
data dal 31 ottobre 2011 (ley de 30 de octubre, sobre el
acceso a las profesiones de Abogado y Procurador de los
Tribunales).”
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-Obbligo di informazioni sul prodotto reclamizzato e sul
prezzo che consentano al consumatore di fare un acquisto
– Nozione di caratteristiche del prodotto – Indicazione
di un prezzo “a partire da” in una comunicazione
commerciale pubblicata sulla stampa – Omissioni
ingannevoli Continua a Leggere
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