di Sandro Nardi
Il giudice puo' disattendere quanto
valutato dal consulente tecnico di ufficio, ma deve
adeguatamente motivare la sua decisione.
Tizio, alla guida del
suo ciclomotore, invadeva la semicarreggiata opposta,
nel centro abitato della propria città, senza dare la
precedenza all’autovettura, condotta da Caio, che
sopraggiungeva da destra, nella medesima strada, ma in
senso di marcia opposto.
A causa dell’urto Tizio
decedeva. Caio, imputato per omicidio colposo, in quanto
corresponsabile del sinistro, data l’elevata velocità
tenuta, chiedeva il c.d. patteggiamento.
Gli eredi di Tizio
agivano in sede civile per ottenere il risarcimento del
danno, tanto patrimoniale quanto morale, conseguente
all’incidente. Mentre in primo grado la responsabilità
del sinistro veniva esclusivamente ascritta a Tizio, i
giudici di appello riconoscevano un concorso di colpa
dei due conducenti, attribuendo il 40% di responsabilità
a Caio e il 60% a Tizio.
Conseguentemente, a
fronte dell’accoglimento della domanda di risarcimento
del danno morale subito dagli attori, la Corte d’Appello
rigettava invece la domanda di risarcimento del danno
patrimoniale, sul rilievo che gli attori non avevano
fornito la prova che la pensione di reversibilità loro
riconosciuta fosse di importo inferiore allo stipendio
che il defunto percepiva, quale dipendente della ULSS.
Avverso tale decisione,
gli eredi di Tizio ricorrevano per cassazione. In
particolare, secondo i ricorrenti, i giudici di merito
non avevano tenuto conto del fatto che Tizio, pur
occupando per circa 90 cm la semicarreggiata opposto,
era completamente fermo al momento dell’incidente e che
se Caio avesse tenuto una velocità congrua allo stato
dei luoghi (centro urbano) avrebbe potuto certamente
evitare l’urto, così come d’altra parte concluso dal
consulente tecnico di ufficio.
Il Supremo Collegio, in
accoglimento del ricorso, ha affermato che le
conclusioni a cui sono pervenuti i giudici di merito non
sono sufficiente motivate.
Nella specie, la
distribuzione delle percentuali di responsabilità ai due
conducenti avrebbe dovuto tener conto anche della
sentenza penale di patteggiamento e, più precisamente, i
giudici avrebbero dovuto spiegare le ragioni per le
quali l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente
responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede
a tale ammissione.
Ancora, la decisione
impugnata non ha chiarito, sempre secondo i Giudici di
legittimità, se il ciclomotore condotto da Tizio fosse
fermo o in movimento al momento dell’incidente,
disattendendo le conclusioni del consulente tecnico
d’ufficio.
In definitiva, la Corte
di cassazione ha stabilito la necessità che il giudizio
finale di un concorso di colpa di entrambi i conducenti
e la distribuzione delle rispettive percentuali di
responsabilità siano da rimettersi in discussione, in
quanto privi di una sufficiente motivazione.
(Sentenza Cassazione civile 22/03/2011,
n. 6543
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