Con gli incentivi al fotovoltaico
si è caricato sulle spalle degli italiani un debito di
quasi 90 miliardi, il 5 per cento di tutto il debito
pubblico. Il costo per la collettività ha assunto
dimensioni tali che appare inevitabile una stretta sulle
nuove installazioni. Così, molti dei posti di lavoro
creati nel settore andranno persi. E per un paio di
decenni potremo investire ben poco nel fotovoltaico,
rinunciando ai benefici delle innovazioni tecnologiche.
Più saggiamente, altri paesi europei hanno deciso di
spalmare incentivi e investimenti sull'arco di più anni.
Da internet.
Si stima che nel 2010 siano stati
avviati impianti fotovoltaici per almeno 7.500 MW,
inclusi quelli “dichiarati finiti” entro l’anno, ma che
verranno allacciati entro giugno 2011, con tariffe 2010.
La nuova potenza è pari a sette volte il totale
istallato in Italia sino a fine 2009, quattro volte il
totale negli Stati Uniti, dieci volte quello in Francia.
QUANTO CI COSTA IL FOTOVOLTAICO
Ogni MW di potenza produce
all’incirca 1.250 MWh l’anno (media nazionale) ogni MWh
prodotto riceve dal Gse un incentivo che può stimarsi
mediamente attorno a 380 euro per kw (tariffe 2010).
Dunque, per le circa 9mila MW di potenza totale
istallata con “tariffe 2010”,, il costo complessivo da
pagarsi in bolletta potrebbe arrivare, a regime, a 4,3
miliardi l’anno (9.000 x 1.250 x 380) per i prossimi
venti anni. Così, quasi alla chetichella, si è caricato
sulle spalle degli italiani un debito di quasi 90
miliardi, il 5 per cento di tutto il debito pubblico,
cui va aggiunto il debito per gli incentivi alle altre
rinnovabili.
Con questi incentivi si sono
attivati investimenti per circa 25 miliardi (stimando un
costo complessivo di 3,2 milioni per MW), ma più della
metà della cifra è stata spesa per l’acquisto di
pannelli, in prevalenza importati perché la nostra
industria non era certo attrezzata a far fronte a un
picco di tale di domanda. Per il resto ne hanno
beneficiato soprattutto gli installatori (settore a
modesta tecnologia) oltre ai tanti mediatori,
finanzieri, proprietari di terreni. Quanti altri e
quanto più efficaci stimoli alla domanda si sarebbero
potuti attuare con una spesa di 60 miliardi (valore
attuale del debito di 90 miliardi contratto con i
produttori di fotovoltaico). E questo mentre è in atto
una forte stretta della spesa pubblica per risparmi
modesti anche in settori prioritari come ricerca e
università.
Chi è responsabile di questa
dissennata politica? Occorre risalire al decreto del 19
febbraio 2007 a firma Pier Luigi Bersani e Alfonso
Pecoraro Scanio che ha determinato il decollo del
settore introducendo tariffe particolarmente elevate. In
vero, quel decreto stabiliva un limite massimo di 1200
MW di potenza incentivabile, ma poi lo vanificava
dicendo che avrebbero avuto comunque diritto alle
tariffe incentivanti anche tutti gli impianti entrati in
esercizio nei quattordici mesi successivi al
raggiungimento dei 1200 MW: in pratica si lasciava mano
libera all’installazione di potenze molto superiori,
senza alcun limite. Negli ultimi due anni il costo
d’investimento si è dimezzato, ma il governo Berlusconi,
invece di ridurre gli incentivi, è intervenuto con due
leggi (41 e 129/10) finendo per riconoscere le tariffe
Bersani-Pecoraro Scanio anche a tutti gli impianti
“dichiarati terminati” nel 2010 e allacciati entro
giugno 2011. Il disastro nasce dal legiferare quella che
è in sostanza spesa pubblica senza porvi alcun limite,
grazie al fatto che il costo è scaricato in bolletta
invece di essere contabilizzato sul bilancio dello
Stato.
LE CONSEGUENZE SUL FUTURO
Il costo per la collettività ha
assunto dimensioni tali che una forte stretta sulle
nuove installazioni è diventata inevitabile e infatti
sono state appena varate dal Consiglio dei ministri
nuove norme che riducono gli incentivi. Molti dei posti
di lavoro creati nel settore andranno persi, dopo poco
più di un anno. Per un paio di decenni potremo investire
ben poco nel fotovoltaico, e quindi avremo assai meno
benefici dalle innovazioni tecnologiche rispetto ad
altri paesi europei, che più saggiamente hanno deciso di
“spalmare” incentivi e investimenti sull’arco di più
anni. Peccato, perché l’innovazione tecnologica è molto
rapida e tra pochi anni i costi del fotovoltaico
potrebbero avvicinarsi a quelli dell’eolico.
Il vantaggio “ecologico” del boom
di investimenti sarà limitato: il peso del fotovoltaico
sulla produzione elettrica totale salirà dallo 0,5 per
cento nel 2010 al 3,5-4 per cento quando tutti gli
impianti “2010” entreranno in funzione. Però, poiché i
consumi complessivi di elettricità sono in diminuzione
da vari anni, si determinerà un esubero di potenza con
disattivazione di produzioni molto più efficienti. Si
verificheranno anche rilevanti squilibri nelle reti di
distribuzione, data l’alta variabilità della produzione
fotovoltaica. Già oggi si verifica che Terna debba
interrompere il ritiro di energia di punta dagli
impianti eolici, che continuano a essere remunerati
anche quando non possono immettere energia in rete.
L’incidenza degli “oneri di
sistema” sul costo medio dell’energia per il consumatore
tipico (al netto delle imposte) è salito tra il primo e
il secondo trimestre 2011 dal 10,9 al 13,7 per cento
(dati dell’Autorità per l’energia), percentuale
destinata ad aumentare esponenzialmente quando entrerà a
regime la nuova produzione fotovoltaica. Si tratta in
realtà di un’imposta “occulta” che pesa assai più sui
poveri che sui ricchi.
E l’incidenza di questi oneri è
assai più elevata se la si rapporta, correttamente, ai
soli costi di produzione, escludendo i costi
commerciali, di dispacciamento e distribuzione. La
produzione totale lorda di energia elettrica in Italia
ammonta a 300mila GWh; il prezzo all’ingrosso
dell’energia termica è di circa 65mila euro al GWh,
quindi il valore di tutta l’energia prodotta, a quel
prezzo, sarebbe all’incirca 20 miliardi. Per gli
incentivi al fotovoltaico si sono spesi 820 milioni nel
2010, si prevede di spendere quasi 3 miliardi nel 2011
e, a regime, si arriverà a oltre 4 miliardi l’anno.
Sommando gli incentivi delle altre “rinnovabili” e gli
altri “oneri di sistema” si potrebbe arrivare a un
carico complessivo vicino a 8 miliardi: non siamo
lontani dall’aumentare del 50 per cento il costo della
produzione termica efficiente. Con ovvi riflessi sul
tenore di vita delle famiglie e la competitività del
paese. |