La riforma del 1999 (sulla scorta
del generale principio dell’accertamento della verità in
capo al Giudicante) ha introdotto al comma 5 dell’art.
441 Cpp (che regola il Giudizio abbreviato) una
previsione di integrazione probatoria ex officio del
tutto analoga a quella già prevista all’art. 507 Cpp per
il Giudizio dibattimentale.
Si è così assistito in questi anni
ad un sempre più crescente ricorso a detta facoltà da
parte dei vari GUP aditi fino al più eclatante caso del
delitto di Garlasco ove il Giudice di Vigevano ha
sostanzialmente “rifatto” la intera indagine in sede di
abbreviato, dopo avere ritenuto del tutto lacunosa
quella del Pm.
In pratica con la facoltà
integrativa di cui al comma 5 dell’art. 441 Cpp accade
sempre più di sovente ormai che l’imputato, il quale ha
legittimamente richiesto il Giudizio di accertamento
allo stato degli atti si trovi poi ad essere giudicato
sulla base di atti del tutto nuovi.
Con la conseguenza che quella
ponderata valutazione degli atti acquisiti in corso di
indagine e depositati al termine della stessa che aveva
determinato la scelta del rito sulla base prima di un
certa diagnosi e quindi di una certa prognosi difensiva,
viene poi completamente stravolta in sede di esito
finale e senza, e questo è il punto, che quella scelta
fatta sulla base di quella oramai stravolta diagnosi,
sia in alcun modo ritrattabile.
E tutto questo, ed in ciò deriva il
sospetto di lesione costituzionale degli artt. 3 e 24
della Costituzione, in virtù esclusiva dalla eventuale
professionalità o meno del Pm di turno, giacchè è ovvio
che a fronte di una indagine accurata da parte
dell’organo titolato a condurla non si dovrà certo
ricorrere, da parte del Giudicante, alla suppletiva
facoltà di cui all’art. 441 n. 5 Cpp.
Potrebbe obiettarsi che quanto
sopra non lede in realtà alcun principio costituzionale
giacchè essendo evenienza espressamente prevista essa
sarebbe preventivamente valutabile dal richiedente il
rito il quale, dunque, se ne assume consapevolmente il
futuro rischio al momento della scelta, ma ci si
dimentica il fondamentale diritto alla prova “contraria”
cardine insormontabile del processo accusatorio ed
espressamente previsto per il dibattimento all’art. 468
n. 4 Cpp.
Nel caso infatti di PM solerte ed
efficiente il difensore avrà a disposizione dapprima in
sede di avviso e deposito atti ex art. 415 bis Cpp e
quindi di successiva citazione avanti al GUP per la
udienza preliminare ovvero avanti al Giudice di merito
in caso di giudizio immediato ovvero di citazione
diretta, l’elenco preciso delle prove addotte dalla
accusa a sostegno della azione penale a cui potrà dunque
tempestivamente opporre le proprie prove a discarico
prima di richiedere il rito abbreviato.
Nel caso invece di Pm o pigro o
incapace che quindi allega poche o contraddittorie prove
a sostegno del proprio atto di accusa la difesa non ha
la opportunità di allegare prove a discarico a proprio
favore e pertanto chiedendo il giudizio abbreviato su
quelle prove allegate dal Pm corre il rischio di vedersi
poi condannata sulla base di altre prove successivamente
disposte dal Giudicante ex art. 441 n. 5 Cpp non più
contrastabili.
Inoltre la prova a carico non può
essere assunta per principio a “sorpresa” in quanto
l’imputato ha il diritto alla sua preventiva
valutazione, si ponga il caso di un Pm che chiede il
rinvio a giudizio per ipotizzata violenza sessuale sulla
base di una semplice querela scarna della parte lesa ove
indica alcuni nominativi, a suo dire, informati del
fatto.
Il difensore chiederà l’abbreviato
per sostenere la assenza di alcun riscontro ma poi il
Giudice decide di chiamare a deporre la parte lesa e i
vari soggetti indicati in querela.
A quel punto il difensore si
troverà ad assistere senza alcuna possibilità di
immediatamente controdedurre a quanto non conosce e che
verrà versato in atti da quei soggetti mai sentiti
prima, è evidente che la conseguente condanna sarà
intervenuta in evidente lesione del garantito diritto di
difesa, da intendersi in senso sostanziale e non certo
formale di mera… presenza.
E’ ben vero che una analoga
previsione compariva sin dalla introduzione dell’attuale
codice di rito anche per il Giudice del dibattimento, ma
il caso di cui all’art. 507 Cpp a ben vedere è ben
diverso da quello introdotto all’art. 441 n. 5 Cpp.
La integrazione probatoria di
ufficio ex art. 507 Cpp infatti consegue alle eventuali
lacune di un precedente e paritario confronto probatorio
dibattimentale tra le parti secondo quanto disciplinato
dagli artt. 493 e ss. Cpp, mentre la integrazione ex
art. 441 n. 5 Cpp consegue invece alla mera valutazione
del fascicolo probatorio del Pm.
Ne consegue che dal punto di vista
“strategico” per il Pm potrebbe essere conveniente
pervenire avanti al GIP (o al Giudice monocratico) con
un fascicolo “scarno” al fine di indurre la difesa a
richiedere (proprio sulla base della valutazione del
contenuto di quel fascicolo) il giudizio abbreviato e
attendere poi la necessaria integrazione finale da parte
del Giudice.
In quel caso l’imputato si troverà,
come tante volte in questi anni è accaduto, ad essere
condannato sulla base di prove che non erano neppure
individuabili al momento della sua richiesta del
giudizio allo stato degli atti.
Due le possibili soluzioni per
ovviare a tale ingiustificata disparità ovvero possibile
lesione del diritto di difesa in contraddittorio.
Dichiarare incostituzionale il
comma 5 dell’art. 441 Cpp nella parte in cui non prevede
in capo alla difesa, a seguito della Ordinanza ex art.
441 n. 5 Cpp, la facoltà di rinunciare alla richiesta di
rito abbreviato ovvero di esercitare la facoltà di cui
all’art. 468 n. 4 Cpp.
Oppure, se non si vuole ritornare
sui propri passi e scardinare il rinnovato impianto del
giudizio abbreviato, limitare al massimo il ricorso a
tale norma da parte del Giudice dell’abbreviato, perchè
quello che è nato come un Giudizio “sulla base degli
atti” non può trasformarsi in una Sentenza sulla base
di…altri (atti).
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