Nel Def si prevede una riduzione della spesa in conto
capitale di 8 miliardi tra il 2010 e il 2014. È un
importante contributo alla riduzione dell'indebitamento
pubblico. Eppure, il rilancio della politica
infrastrutturale è stato spesso indicato come lo
strumento per favorire la crescita e per superare i
divari territoriali. Quanto alle risorse, in parte sono
già disponibili. Anzi nel caso di quelle europee, c'è il
rischio di perderle se non si utilizzano nei tempi
previsti. È una contraddizione che il governo deve
risolvere.
Nel quadro tendenziale di finanza pubblica esposto nel
Documento di economia e finanza, la spesa in conto
capitale ha un profilo marcatamente declinante. Tra il
2010 e il 2014 la flessione è pari a 8 miliardi,
offrendo così un rilevante contributo alla riduzione
dell’indebitamento pubblico. (1) In particolare, gli
investimenti pubblici passerebbero dal 2,1 per cento del
Pil nel 2010 all’1,6 per cento nel 2014. (2).
Si ripete dunque quanto già accadde durante gli anni
Novanta, quando si ottenne il risanamento dei conti
pubblici, in vista dell’entrata nell’euro, anche per
merito di una sostanziale e prolungata riduzione della
spesa per investimenti pubblici.
OBIETTIVI CONTRADDITTORI
L’andamento della spesa per investimenti pubblici
dovrebbe essere in qualche modo la conseguenza delle
misure di politica economica attivate (o evitate) nel
corso degli ultimi anni. Misure che tuttavia non è
facile individuare considerando che sia nel recente
passato che a livello programmatico si è sempre puntato
a rilanciare la politica infrastrutturale per gli
effetti sulla crescita e per il superamento dei divari
territoriali. Inoltre, le stesse previsioni del
Documento di finanza pubblica del settembre 2011 erano
di gran lunga più ottimiste, pur confermando un
andamento decrescente della spesa (in valore assoluto)
nel corso del tempo. Più che altro si tratterebbe allora
di un effetto “inerziale”, che ha favorito un
allungamento dei tempi tra il momento della decisione di
investimento e la sua realizzazione.
D’altra parte, il legame tra infrastrutture e sviluppo è
richiamato esplicitamente all’interno del Piano
nazionale delle riforme, dove è considerato una delle
nove “macro-aree di intervento”, anche se la tematica
degli investimenti pubblici è stata esclusa dalla
valutazione sugli effetti delle riforme.
Quali sono dunque i motivi per i quali, nel quadro
tendenziale, si ipotizza una contrazione delle spese in
conto capitale? E sono in contraddizione con eventuali
politiche di rilancio degli investimenti pubblici
teorizzate in altri documenti governativi (e nello
stesso Pnr)?
QUANTO SI PUÒ SPENDERE
Secondo la Corte dei conti, le previsioni negative sulla
spesa in conto capitale sono attribuibili in gran parte
alle difficoltà incontrate nel rendere effettivo il
Piano di infrastrutture strategiche (Pis) della Legge
obiettivo. (3) Vi sarebbe stato (e sarebbe ancora in
atto) un rallentamento delle realizzazioni in corso e
dei pagamenti determinato dagli ostacoli all’effettiva
utilizzazione delle risorse nonché dalla riduzione degli
stanziamenti. (4)
Previsioni di segno negativo sono ascrivibili anche ai
vincoli finanziari agli investimenti degli enti locali
attraverso il Patto di stabilità interno.
Nella Nota metodologica sui criteri di formulazione
delle previsioni tendenziali, allegata al Def, è
contenuto un riquadro sulla procedura di stima del Fas
(Fondo per le aree sottosviluppate). Se ne ricava che la
stima dell’impatto sui tendenziali di spesa della
programmazione del Fas (per il periodo 2011-2016) è
valutata partendo dalla ricognizione delle risorse
disponibili e dalla spendibilità o realizzabilità delle
spese, in funzione della loro natura economica e della
tempistica prevista di volta in volta dalle norme
autorizzative e dalle delibere Cipe di ripartizione, in
base alla programmazione 2007-2013.
Non sembra dunque che nel formulare le previsioni si sia
tenuto conto del paragrafo 4.7 del Pnr dedicato a
“Politiche e disparità regionali” e, più in generale, ai
contenuti precipui del Piano Sud. Nel Pnr si legge
infatti che, al fine di correggere i divari
territoriali, il governo e le amministrazioni “sono
impegnati ad accelerare la realizzazione dei progetti
volti sia ad assicurare la disponibilità di
infrastrutture moderne ed efficienti nei settori dei
trasporti, dell’ambiente e dell’energia, sia al
miglioramento dei servizi soprattutto nelle aree in
ritardo di sviluppo”. Per raggiungere questi obiettivi
si dovrebbe accelerare notevolmente la spesa per
investimenti prevista dal Quadro strategico nazionale
2007-2013 (59,4 miliardi) e quella collegata con le
risorse nazionali aggiuntive destinate al riequilibrio
economico-sociale, provenienti dal Fas. Una verifica sui
fondi complessivamente disponibili e riprogrammabili
nell’ambito del Piano nazionale per il Sud ne fissa
l’ammontare a 40,3 miliardi per il periodo 2007-2013,
mentre il loro impiego dovrebbe realizzarsi
presumibilmente a partire dal 2012.
Lo stesso vale per la politica relativa alle grandi
infrastrutture (Legge obiettivo). Constatato il ritardo
nella realizzazione delle opere e l’insufficienza delle
risorse disponibili per completarle, l’Allegato
infrastrutture al Def ipotizza che vada perseguito
l’obiettivo di appaltare e cantierare ciò che il Cipe ha
fino ad oggi approvato, avvalendosi anche dei fondi
europei e della finanza privata. In questo modo, si
avrebbe l’ovvio effetto di accelerare anche i pagamenti
relativi agli stanziamenti pubblici.
Va poi ricordato che esistono vincoli alla possibilità
di rinviare o rallentare la spesa, come nel caso dei
fondi europei. Pena la perdita di risorse comunitarie,
gli obiettivi annuali di spesa impongono di effettuare
entro la fine del 2011 pagamenti per quasi 10 miliardi,
di cui circa la metà a valere sul bilancio pubblico. Si
tratta del doppio di quanto previsto per l’anno 2010.
Anche provvedimenti legislativi quali il decreto
legislativo in materia di risorse aggiuntive per la
rimozione degli squilibri economici e sociali e (con
tutta probabilità) il prossimo decreto sviluppo mirano
ad accelerare (e a riqualificare) la spesa, in aperto
contrasto con il quadro tendenziale del Def.
Certo, alcune delle azioni previste per l’accelerazione
della spesa di investimento pubblico fanno parte di un
“quadro programmatico” in parte ancora da definire, ma è
anche vero che presupposti e informazioni di base sono
già rilevabili in un “quadro tendenziale”. Se fossero
previsti cambiamenti rispetto al quadro tendenziale,
sarebbe opportuno considerarli e in qualche modo
“anticiparli” in un documento programmatico quale il Def
vuole essere. Se viceversa si intende agire sugli
investimenti per il controllo dei saldi di finanza
pubblica è il caso di abbandonare ogni velleità di
rilancio dello strumento a fini di sviluppo.
(1) Come ricorda il Cer, “il contributo fornito alla
riduzione dell’indebitamento tendenziale è dell’11,1 per
cento, circa il triplo del peso che questa voce di spesa
ha sul livello del disavanzo pubblico (4,4 per cento)”.
Rapporto Cer – Aggiornamenti, 26 aprile 2011, p. 7.
(2) Occorre ricordare che negli anni Ottanta tale
percentuale era superiore al 3 per cento. Inoltre, la
flessione andrebbe nella direzione opposta rispetto a
quanto auspicato da Confindustria, secondo cui si
tratterebbe di aumentare “progressivamente gli
investimenti in infrastrutture, per riportarli entro il
2015 e mantenerli stabilmente a un livello pari almeno
al 2,5 per cento del Pil, introducendo un vero e proprio
vincolo programmatico sulla spesa pubblica”. Progetti
Italia 2015, p. 41.
(3) Audizione sul Documento di economia e finanza 2011
alle Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato, 20
aprile 2011.
(4) Sulla riduzione delle risorse si veda tra gli altri
Ance, Le risorse destinate dallo Stato alle
infrastrutture, marzo 2011. Dalle stime Ance risulta una
contrazione di risorse destinate a nuove infrastrutture
pari a circa il 34 per cento nel triennio 2009-2011. |