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Direttive comunitarie self executing e risarcimento del danno per imposta non dovuta-La responsabilita' e' dello Stato. Ma a quale titolo? (Cassazione civile Sentenza, Sez. Trib., 17/06/2011, n. 1332-Ipsoa.it

 

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di Alberto Marcheselli

Nella sentenza n. 13329/2011 della Corte di Cassazione si controverte dei termini entro cui il contribuente puo' ottenere il rimborso di tributi versati in contrasto con il diritto comunitario. Il contribuente, scaduto il termine triennale di rimborso dell'imposta di registro, tentava infatti di ottenere il rimborso in un momento successivo, attraverso la qualificazione della domanda come restituzione di un indebito civilistico o risarcimento del danno da mancato recepimento del diritto comunitario.

 

Si trattava dell'assoggettamento ad imposta proporzionale di registro, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 904/1977, di un atto di fusione posto in essere da una società commerciale, contravvenendo così alla direttiva CEE - la n. 69/335 - in forza della quale tali operazioni sarebbero da considerare fiscalmente esenti.

 

I giudici di merito avevano affermato la responsabilità dello Stato, fondandosi sul fatto che l’omesso tempestivo recepimento della norma comunitaria avrebbe comportato il danno conseguente al mancato riconoscimento della esenzione cui il contribuente aveva diritto.

 

La Corte di Cassazione demolisce però, condivisibilmente, questa impostazione, riconoscendo sì, in generale, la possibilità di agire contro lo Stato per mancato o ritardato recepimento di una direttiva comunitaria, ma a condizione che questa non sia autoesecutiva. Solo nel caso in cui si ravvisi la necessità di un’attività di adeguamento del legislatore interno alla normativa comunitaria si può addebitare allo Stato una qualche responsabilità da inadempimento di tal tipo.

 

Al contrario, se si tratta di direttive self-executing, cioè dotate di immediata e diretta applicabilità, allo Stato non può imputarsi un mancato recepimento (non necessario) e ricorre da parte dell'Amministrazione che proceda ugualmente una diretta violazione di norme giuridiche (il combinato disposto del diritto interno e di quello comunitario), ovvero, in caso di adempimento spontaneo del contribuente, come nella specie, un versamento indebito.

 

Nel caso in esame, la Suprema Corte, riconoscendo che la disposizione contenuta nella direttiva n. 69/335 è autoesecutiva, afferma che il titolo in virtù del quale si sarebbe dovuto richiedere il risarcimento del danno non era nè quello per mancato recepimento di una norma comunitaria né un generico indebito civilistico, bensì un versamento indebito di imposta di registro, disciplinato dalla norma speciale dell’art. 77 del D.P.R. n. 131/1986.

 

La differenza è di notevole importanza pratica proprio quanto ai termini: le azioni di risarcimento del danno, disciplinata dall’art. 2043 c.c., e la ripetizione dell'indebito, disciplinata dall'art. 2033, sono soggette al termine di prescrizione, di 5 e 10 anni.

 

Per la ripetizione dell'indebito tributario interviene invece la disciplina speciale prevista dall’art. 77 del D.P.R. menzionato, che prevede un termine decadenziale molto breve entro cui poter chiedere all’Amministrazione Finanziaria il rimborso dell’imposta ingiustamente versata (“tre anni dal giorno del pagamento, ovvero se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla ripetizione”).

 

Tale termine, ad avviso della Corte, e secondo un orientamento reiterato della Cassazione ma contestato da parte della giurisprudenza di merito) viene ritenuto decorrente dal giorno del pagamento, anche nel caso in cui l’illegittimità della pretesa tributaria derivi da un contrasto tra la norma interna e comunitaria, eventualmente confermato da una sentenza della Corte di Giustizia resa in sede di questione pregiudiziale.

 

Tale termine non può pertanto essere eluso riqualificando la domanda come risarcimento del danno da mancato recepimento del diritto comunitario, non ricorrendone i presupposti

 

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