di Alberto Marcheselli
Nella sentenza n. 13329/2011 della
Corte di Cassazione si controverte dei termini entro cui
il contribuente puo' ottenere il rimborso di tributi
versati in contrasto con il diritto comunitario. Il
contribuente, scaduto il termine triennale di rimborso
dell'imposta di registro, tentava infatti di ottenere il
rimborso in un momento successivo, attraverso la
qualificazione della domanda come restituzione di un
indebito civilistico o risarcimento del danno da mancato
recepimento del diritto comunitario.
Si trattava dell'assoggettamento ad
imposta proporzionale di registro, ai sensi dell’art. 7
della legge n. 904/1977, di un atto di fusione posto in
essere da una società commerciale, contravvenendo così
alla direttiva CEE - la n. 69/335 - in forza della quale
tali operazioni sarebbero da considerare fiscalmente
esenti.
I giudici di merito avevano
affermato la responsabilità dello Stato, fondandosi sul
fatto che l’omesso tempestivo recepimento della norma
comunitaria avrebbe comportato il danno conseguente al
mancato riconoscimento della esenzione cui il
contribuente aveva diritto.
La Corte di Cassazione demolisce
però, condivisibilmente, questa impostazione,
riconoscendo sì, in generale, la possibilità di agire
contro lo Stato per mancato o ritardato recepimento di
una direttiva comunitaria, ma a condizione che questa
non sia autoesecutiva. Solo nel caso in cui si ravvisi
la necessità di un’attività di adeguamento del
legislatore interno alla normativa comunitaria si può
addebitare allo Stato una qualche responsabilità da
inadempimento di tal tipo.
Al contrario, se si tratta di
direttive self-executing, cioè dotate di immediata e
diretta applicabilità, allo Stato non può imputarsi un
mancato recepimento (non necessario) e ricorre da parte
dell'Amministrazione che proceda ugualmente una diretta
violazione di norme giuridiche (il combinato disposto
del diritto interno e di quello comunitario), ovvero, in
caso di adempimento spontaneo del contribuente, come
nella specie, un versamento indebito.
Nel caso in esame, la Suprema
Corte, riconoscendo che la disposizione contenuta nella
direttiva n. 69/335 è autoesecutiva, afferma che il
titolo in virtù del quale si sarebbe dovuto richiedere
il risarcimento del danno non era nè quello per mancato
recepimento di una norma comunitaria né un generico
indebito civilistico, bensì un versamento indebito di
imposta di registro, disciplinato dalla norma speciale
dell’art. 77 del D.P.R. n. 131/1986.
La differenza è di notevole
importanza pratica proprio quanto ai termini: le azioni
di risarcimento del danno, disciplinata dall’art. 2043
c.c., e la ripetizione dell'indebito, disciplinata
dall'art. 2033, sono soggette al termine di
prescrizione, di 5 e 10 anni.
Per la ripetizione dell'indebito
tributario interviene invece la disciplina speciale
prevista dall’art. 77 del D.P.R. menzionato, che prevede
un termine decadenziale molto breve entro cui poter
chiedere all’Amministrazione Finanziaria il rimborso
dell’imposta ingiustamente versata (“tre anni dal giorno
del pagamento, ovvero se posteriore, da quello in cui è
sorto il diritto alla ripetizione”).
Tale termine, ad avviso della
Corte, e secondo un orientamento reiterato della
Cassazione ma contestato da parte della giurisprudenza
di merito) viene ritenuto decorrente dal giorno del
pagamento, anche nel caso in cui l’illegittimità della
pretesa tributaria derivi da un contrasto tra la norma
interna e comunitaria, eventualmente confermato da una
sentenza della Corte di Giustizia resa in sede di
questione pregiudiziale.
Tale termine non può pertanto
essere eluso riqualificando la domanda come risarcimento
del danno da mancato recepimento del diritto
comunitario, non ricorrendone i presupposti |