Abstract
L'autrice si propone di fare il
punto circa i soggetti legittimati all'esercizio
dell'azione collettiva inibitoria della condotta
imprenditoriale illecita, questione di centrale
importanza anche in un'ottica di effettività della
tutela degli interessi collettivi. In particolare, alla
luce della ricostruzione degli interessi collettivi dei
consumatori come diritti soggettivi ascrivibili ai
singoli, prospetta una lettura in favore del potere di
agire in giudizio per ottenere un provvedimento
inibitorio anche del singolo consumatore.
SOMMARIO: 1. Considerazioni
introduttive; 2. Dai diritti dei consumatori alla
ricostruzione della disciplina processuale; 3. La
legittimazione all'azione inibitoria a tutela dei
consumatori ed utenti: il dato normativo; 4.
Osservazioni ricostruttive in ordine all'esercizio
dell'azione inibitoria collettiva: la legittimazione del
consumatore; 4.1. Segue. L'interesse ad agire del
singolo consumatore; 5. La legittimazione del singolo
utente nell'azione collettiva contro la pubblica
Amministrazione ai sensi del D.Lgs. 20 dicembre 2009 n.
198; 6. La legittimazione processuale rappresentativa
delle associazioni non iscritte nell'elenco delle
associazioni dei consumatori e degli utenti; 7. La
legittimazione ad agire delle associazioni dei
consumatori rappresentative a livello nazionale; 8.
L'opportunità dell'intervento del pubblico ministero nel
giudizio collettivo inibitorio.
1. Considerazioni introduttive.
In un precedente lavoro mi sono
interrogata circa la natura degli interessi
collettivi[1], e in particolare degli interessi
collettivi dei consumatori, giungendo alla conclusione
che essi configurano una moltitudine di posizioni
giuridiche soggettive - di cui i singoli consumatori
sono titolari in modo pieno - che si caratterizzano per
il loro essere conformi e omogenei[2]. Si tratta diritti
non esclusivi, la cui lesione implica al tempo stesso la
lesione anche degli altri consumatori o utenti.
L'esclusione della natura di
diritti soggettivi degli interessi collettivi dei
consumatori muove per lo più dall'errato presupposto che
la lesione del singolo consumatore si abbia soltanto nel
momento in cui il singolo subisca un pregiudizio
apprezzabile, non concretandosi fino a quel momento la
lesione di un diritto del singolo[3], ma dell'astratta
collettività dei consumatori.
Tale interpretazione è frutto della
confusione del profilo dell'illecito con il profilo
della risarcibilità dell'eventuale pregiudizio arrecato
da un atto o un comportamento imprenditoriale
illecito[4]: i predetti diritti non vengono ad esistenza
a seguito di un pregiudizio apprezzabile, ma ci sono
già; ed è in funzione di essi che il legislatore impone
al professionista l'osservanza di obblighi
comportamentali, la cui violazione integra un illecito
plurioffensivo.
2. Dai diritti dei consumatori alla
ricostruzione della disciplina processuale.
La lettura degli interessi
collettivi dei consumatori e degli utenti come diritti
soggettivi sollecita una riflessione che discende dal
rapporto tra il diritto sostanziale e il processo
civile.
Sappiamo bene che il diritto
sostanziale è un sistema di norme dirette a risolvere
conflitti di interessi contrapposti, determinando gli
interessi prevalenti attraverso la previsione di poteri,
doveri e facoltà, e che il diritto processuale è
costituito da un sistema di norme dei meccanismi diretti
a garantire che la norma sostanziale sia attuata anche
nell'ipotesi di mancata cooperazione spontanea da parte
di chi vi è tenuto.
È vero, tuttavia, che quando c'è
incertezza sulla qualificazione giuridica operata dal
legislatore, l'essenza della disciplina processuale
della tutela apprestata dall'ordinamento è a sua volta
elemento da tenere in considerazione nella definizione
della situazione sostanziale, contribuendo a definirla
nei suoi contenuti concreti ed oggettivi; così in casi
dubbi, è possibile comprendere dai meccanismi
processuali adottati dal legislatore se si verta
nell'ambito di giudizi involgenti diritti soggettivi o
interessi legittimi. E, se pensiamo al sistema
processuale concepito dal legislatore nell'art. 140 cod.
cons. per l'inibitoria generale a tutela dei consumatori
- volta a contrastare l'illecito mediante l'ordine di
cessazione della condotta illecita e il ripristino della
legalità - effettivamente la sottostante situazione
sostanziale potrebbe non essere intesa quale diritto
soggettivo: al di là della mancanza di un espresso
riferimento al potere giudiziario del singolo
consumatore di promuovere azione inibitoria, il sistema
costruito nella norma è insoddisfacente nel caso di
tutela diretta del singolo. E si potrebbe forse
individuare in ciò la volontà del legislatore che ha
ritenuto più appropriata – versandosi in ipotesi di
diritti non riferibili in via esclusiva al singolo
individuo, e il conseguente bisogno diffuso di tutela –
una soluzione di legittimazione ad agire concentrata
nelle mani delle associazioni rappresentative, piuttosto
che una soluzione di legittimazione attribuita anche ai
singoli.
Tuttavia, il fatto che la tecnica
di tutela del 140 cod. cons. non sia tagliata sui
singoli non deve condurre a ritenere che gli interessi
collettivi dei consumatori non costituiscano diritti a
loro appartenenti; la fondamentale importanza che il
legislatore ascrive ai diritti di nuova generazione ne
impedisce di certo lo svilimento.
In quest'ambito, per ricostruire
un sistema di tutela effettiva degli interessi
collettivi dei consumatori, bisogna muovere dalla
individuazione delle situazioni soggettive fatte dal
diritto sostanziale alla costruzione di una disciplina
processuale che riesca a garantire la tutela di questi
nuovi diritti.
L'art. 2 del codice del consumo non
pone dubbi sulla loro connotazione giuridica, nel
promuovere infatti gli interessi collettivi dei
consumatori e degli utenti riconosce espressamente quali
diritti fondamentali: il diritto alla tutela della
salute; alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei
servizi; ad un'adeguata informazione e ad una corretta
pubblicità; all'esercizio delle pratiche commerciale
secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà;
alla correttezza, alla trasparenza ed all'equità nei
rapporti contrattuali; all'erogazione di servizi
pubblici secondo standard di qualità e di efficienza. E
da questa norma è possibile ricavare la legittimazione
anche dei singoli consumatori o utenti.
Si tratta di diritti fondamentali
che promuovono il benessere dei singoli, e che oggi
fanno indiscutibilmente parte del nostro bagaglio
soggettivo. Tali diritti seppur qualificati in maniera
diversa rispetto ai diritti soggettivi classici, poiché
si connotano per la loro generalità e per il fatto che
il soddisfacimento di un soggetto è allo stesso tempo
soddisfacimento anche per tutti gli altri componenti
della categoria, rivestono una importanza tale che non
possono non interpretarsi quali diritti. L'elemento
centrale degli interessi collettivi dei consumatori è
proprio questo loro essere anche diritti soggettivi
individuali: diritti individuali-collettivi.
Per una piena tutela dei nuovi
diritti individuali-collettivi è allora indispensabile
leggere in questa chiave le statuizioni processuali e
indirizzare la loro interpretazione alla costruzione di
un impianto processuale che assicuri l'effettività della
tutela a questi nuovi diritti.
Una scelta in tal senso è stata
espressamente compiuta dal legislatore del 2009 per
l'azione di classe, introdotta dall'art. 140 bis cod.
cons., che ha riconosciuto al singolo consumatore il
potere di promuovere un'azione collettiva
risarcitoria[5], prevedendo però una serie di meccanismi
atti ad evitare che la legittimazione del singolo possa
costituire un danno più che un vantaggio.
E, nello stesso senso l'interprete
deve porsi nell'indagine dell'art. 140 del codice del
consumo. Sicché, nell'individuazione dei soggetti
legittimati dovrà poi ricostruire gli opportuni
correttivi e i necessari meccanismi di coordinamento, al
fine di evitare gravi inconvenienti. Compito del
processualista è, allora, la ricostruzione di un sistema
processuale funzionale alla dimensione collettiva della
controversia, che - a onta di una legittimazione diffusa
e dell'assenza di filtri per la verifica di una fondata
possibilità di tutelare adeguatamente l'interesse -
possa esser vantaggioso e non foriero di maggiori danni
di quelli derivanti dalla mancata attivazione degli enti
a fronte di una condotta lesiva, in caso di esclusione
del potere giudiziario del singolo consumatore.
In altri termini, anche se il
sistema di tutela concepito nell'art. 140 cod. cons,
così per come strutturato, non risulta essere approntato
alla proposizione di un'azione inibitoria da parte del
singolo[6], non possiamo in ragione di ciò arrivare a
deprimere i diritti dei singoli consumatori enucleati
dal legislatore. Piuttosto de jure condito, sulla base
di ciò che è possibile ricostruire processualmente,
bisogna cercare di individuare la migliore soluzione
possibile al fine di garantire i diritti dei singoli,
ricorrendo talora all'interpretazione costituzionalmente
orientata della disposizione di legge, canone
ermeneutico che – nell'ambito delle interpretazioni
plausibili della disposizione – assume, quale parametro
di riferimento, i principi del giusto processo[7].
3. La legittimazione all'azione
inibitoria a tutela dei consumatori ed utenti: il dato
normativo.
L'art. 139 cod. cons.
(Legittimazione ad agire) individua quali soggetti
legittimati ad agire, ai sensi dell'art. 140, ovvero al
fine di ottenere l'inibitoria di atti e comportamenti
lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti,
l'adozione delle misure idonee ad eliminarne gli effetti
dannosi, la pubblicazione del provvedimento su
quotidiani a diffusione nazionale o locale[8], le
associazioni dei consumatori e degli utenti
rappresentative a livello nazionale, iscritte in un
apposito elenco del Ministero dello sviluppo economico.
Sono poi legittimati ad agire, secondo le modalità di
cui all'articolo 140, a tutela dei propri consumatori
rispetto ad illeciti posti in essere in tutto o in
parte Italia, gli organismi pubblici indipendenti
nazionali e le organizzazioni riconosciuti in altro
Stato dell'Unione europea ed inseriti nell'elenco degli
enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela
degli interessi collettivi dei consumatori, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee (art.
139, comma 2).
Tale disposizione nel determinare
i soggetti legittimati rinvia espressamente all'art. 2
(Diritti dei consumatori) cod. cons., e in più prevede
che «le dette associazioni sono legittimate ad agire
nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi
dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate
dal presente codice, nonché dalle seguenti disposizioni
legislative: a) legge 6 agosto 1990, n. 223, e legge 30
aprile 1998, n. 122, concernenti l'esercizio delle
attività televisive; b) decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 541, come modificato dal decreto legislativo 18
febbraio 1997, n. 44, e legge 14 ottobre 1999, n. 362,
concernente la pubblicità dei medicinali per uso
umano»[9].
Analogamente, in materia di azione
inibitoria avverso l'utilizzo di clausole abusive l'art.
37 cod. cons., che ha recepito l'art. 1469-sexies c.c.,
prevede che le associazioni rappresentative dei
consumatori, di cui all'art. 137 cod. cons.[10], possono
convenire in giudizio il professionista o l'associazione
di professionisti che utilizzano, o che raccomandano
l'utilizzo di condizioni generali di contratto e
richiedere al giudice competente che inibisca l'uso
delle condizioni di cui sia accertata l'abusività. Tale
legittimazione spetta, inoltre, alle associazioni
rappresentative dei professionisti e alle camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura.
L'aspetto emergente dalla lettura
del dato normativo è l'espresso conferimento del potere
di promuovere l'azione nell'ipotesi di violazione dei
diritti dei consumatori alle sole associazioni che
abbiano ottenuto il riconoscimento della propria
rappresentatività mediante l'inserimento nell'elenco
delle associazioni dei consumatori rappresentative a
livello nazionale, istituito presso il Ministero dello
sviluppo economico; iscrizione subordinata al decreto
del Ministro dello sviluppo economico che verifica che
l'associazione sia in possesso di quei requisiti
tassativamente indicati dall'art. 137 cod. cons[11].
Non sono, invece, contemplati
dall'art. 139 cod. cons. tra i soggetti legittimati
all'azione inibitoria generale in favore dei consumatori
organismi pubblici, a differenza di quanto previsto
dall'art. 37 cod. cons. che attribuisce la
legittimazione delle camere di commercio all'inibitoria
contrattuale[12]. Si tratta, probabilmente, di una
scelta legislativa che partecipa di una impostazione
tradizionale che vede gli organismi pubblici in ruolo di
terzietà, in quanto portatori di un interesse pubblico
che mal si concilia con chi promuove un giudizio per la
tutela di un interesse seppure non strettamente
individuale; e, in questo senso va letta la disposizione
che prevede che si svolga davanti alle Camere di
commercio la procedura di conciliazione per la
risoluzione extragiudiziale delle controversie in
materia di consumo[13], attribuendo alle stesse una
posizione di terzietà arbitraria, in linea con le
funzioni di controllo, promozione e coordinamento
nell'interesse generale del sistema delle imprese,
attribuite dalla legge n. 580 del 1993[14].
Tale discrepanza normativa circa i
soggetti legittimati è frutto dell'assenza di un sistema
processuale concepito in maniera unitaria per la tutela
dei consumatori, la cui conseguenza è appunto la
maturazione nel tempo di scelte processuali
differenziate che risentono dei nuovi humus[15].
4. Osservazioni ricostruttive in
ordine all'esercizio dell'azione inibitoria collettiva:
la legittimazione del consumatore.
I prevalenti orientamenti
dottrinali in ordine al profilo della legittimazione a
promuovere l'azione collettiva inibitoria, fortemente
influenzati dalle precedenti riflessioni sul giudizio
inibitorio avverso l'impiego di clausole vessatorie[16],
hanno ritenuto ammissibile l'esercizio della stessa
unicamente da parte delle associazioni dei consumatori e
degli utenti iscritte nell'elenco di cui all'art. 137
cod. cons., escludendo tale possibilità per il singolo
consumatore o utente.
Il fondamento concettuale di tale
lettura poggia su argomentazioni concernenti
l'ontologica distinzione tra interesse collettivo e
interesse individuale, da cui discende la non
riconducibilità dell'interesse collettivo alla figura
del diritto soggettivo, e di conseguenza l'estraneità
dell'azione inibitoria della condotta illecita rispetto
al singolo: la tutela inibitoria tenderebbe a tutelare
l'interesse del consumatore inteso come collettività e
non come singolo[17]. E, sulla base di questo assunto,
la legittimazione ad agire è stata ricostruita in
termini di legittimazione esclusiva delle associazioni
rappresentative, in quanto portatrici di una situazione
giuridica appartenente alla collettività dei consumatori
ed utenti nel suo insieme[18].
Sempre nell'ambito delle posizioni
dottrinali che muovono dall'idea che l'interesse
collettivo sia distinto da quello del singolo
consumatore, taluni hanno sostenuto l'esclusiva
legittimazione ad agire delle associazioni
consumeristiche preposte dalla legge, ma imputando alle
stesse la titolarità dell'interesse collettivo. Ed è
questa l'impostazione ricostruttiva che tuttora incontra
il maggior favore in sede giurisprudenziale[19].
Soltanto letture minoritarie,
valorizzando i profili di novità della disciplina a
tutela dei consumatori nonché il profilo funzionale
impresso dal riconoscimento dei diritti ed interessi
individuali e collettivi dei consumatori, emergente
dall'affermazione del legislatore «ne è promossa la
tutela in sede nazionale e locale, anche in forma
collettiva e associativa»[20], hanno sostenuto che
l'azione inibitoria sia esperibile anche dai singoli
consumatori, prospettando l'eventualità del concorso tra
le azioni riservate agli enti esponenziali riconosciuti
e le azioni dei singoli ugualmente legittimati[21].
A mio avviso – come già osservato –
i singoli consumatori ed utenti sono «naturalmente»
legittimati all'azione, e potrebbe ritenersi che per
questa ragione il legislatore non faccia alcuna menzione
al loro potere di azione, e si limiti al conferimento
espresso della legittimazione ad agire alle associazioni
rappresentative, che è invece necessario.
Il percorso ricostruttivo in tal
senso è abbastanza piano, poiché scaturisce dalla
lettura degli interessi collettivi dei consumatori come
diritti soggettivi ascrivibili ai singoli: se vi è una
norma che attribuisce dei diritti, il singolo deve avere
la possibilità di ricorrere all'organo giurisdizionale
per conseguire il soddisfacimento dell'interesse che la
norma assicura attraverso l'imposizione al
professionista di comportamenti doverosi; e se così non
fosse l'enunciazione dei diritti di cui all'art. 2 cod.
cons. assumerebbe un mero valore declamatorio, con la
conseguenza di un diniego di tutela tutte le volte che
nessuna associazione riconosciuta intraprenda l'azione
collettiva.
Tale prospettiva risulta essere in
linea con lo schema generale di tutela giurisdizionale
delle situazioni giuridiche soggettive: l'ordinamento
stabilisce quali siano gli interessi meritevoli di
tutela e impone degli obblighi destinati a soddisfarli,
se poi il comportamento doveroso ai consociati -
previsto quale effetto dalla norma - rappresenta una
situazione favorevole per una serie di soggetti, ciò non
è determinante ai fini del potere di azione, in ragione
del fatto che presentandosi tutti come destinatari
dell'obbligo, tutti sono titolari di un loro autonomo
potere di azione[22].
Se poi il legislatore, data la
particolare natura di questi diritti nonché la
condizione di debolezza del consumatore, che ovviamente
postula il problema dell'accesso alla giustizia e
dell'effettività della tutela giurisdizionale[23],
attribuisce espressamente il potere di promuovere il
giudizio inibitorio alle associazioni dei consumatori
rappresentative, ciò non deve ricostruirsi in termini di
restrizione della legittimazione del singolo[24], ma in
termini di legittimazione concorrente con quella dei
singoli destinatari della tutela.
Peraltro, la previsione dell'art.
140, comma 9, cod. cons. fa propendere per l'idea che il
diritto di azione del singolo sia presupposto dal
legislatore: «....le disposizioni di cui al presente
articolo non precludono il diritto ad azioni individuali
dei consumatori che siano danneggiati dalle medesime
violazioni». Ivi il riferimento alle azioni individuali
dei consumatori non è da leggere come legittimazione
all'azione risarcitoria, in tal caso infatti si
tratterebbe di una puntualizzazione del tutto inutile,
poiché l'azione individuale di natura aquiliana o
contrattuale del singolo consumatore non è mai stata
messa in discussione, né il relativo giudizio
risarcitorio potrebbe porsi in rapporto di litispendenza
o continenza con il giudizio inibitorio[25].
Ad ulteriore sostegno della lettura
in favore della legittimazione del singolo consumatore o
utente, occorre rilevare che laddove si ritenga
esclusiva l'attribuzione all'esercizio dell'azione agli
enti rappresentativi si realizzerebbe una recisione tra
interessi dei membri della categoria e tutela. E gli
interessi effettivamente protetti non sarebbero gli
interessi dei consumatori, ma gli interessi delle
associazioni legittimate, pienamente libere di valutare
a loro discrezione l'opportunità – presumibilmente
rapportata alla convenienza in termini di ritorno
pubblicitario e acquisizione di nuovi associati – o meno
dell'esercizio dell'azione, con palese contraddizione
rispetto alla stessa funzione di tutela a cui sono
rivolti gli strumenti di protezione degli interessi
collettivi apprestati dall'ordinamento, ancor prima che
rispetto ai principi costituzionali[26]. A questa
osservazione si aggiunga che la restrizione all'esiguo
numero delle associazioni rappresentative si tradurrebbe
in un monopolio della tutela giurisdizionale delle
situazioni giuridiche contemplate dal codice del
consumo[27].
Va poi rilevato che la lettura
proposta circa la legittimazione individuale non si pone
in contrasto neanche con la direttiva 98/27/CE (ora
2009/22/CE) relativa a provvedimenti inibitori a tutela
degli interessi dei consumatori, atteso che la stessa,
pur individuando negli organismi pubblici indipendenti e
nelle organizzazioni esponenziali i soggetti atti ad
assicurare una più efficace tutela degli interessi
collettivi dei consumatori, all'art. 7, «Disposizioni
relative a una più ampia legittimazione ad agire»,
precisa che nulla osta al mantenimento in vigore o
all'adozione da parte degli Stati membri di norme che
conferiscano sul piano nazionale una più ampia
legittimazione ad agire agli enti abilitati nonché a
qualsiasi altro interessato[28].
4.1. Segue. L'interesse ad agire
del singolo consumatore.
Lo status di consumatore o utente –
persona fisica che agisce per scopi estranei
all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o
professionale eventualmente svolta[29] – non implica
automaticamente anche l'interesse ad agire in via
inibitoria avverso gli atti o comportamenti lesivi dei
diritti individuali-collettivi contemplati dall'art. 2
cod. cons., ma discende da un atto di consumo relativo
ad un determinato bene o servizio[30], che pone il
soggetto in una posizione di contiguità con il
professionista[31], sì da pretendere il ripristino della
legalità. Così, a titolo di esempio, un consumatore di
un particolare tipo di lenti a contatto, distribuite da
una sola casa produttrice, nell'ipotesi di un difetto
frequentemente riscontrato nelle stesse, come potrebbe
essere la lineatura della lente, ha di certo un
interesse tale da giustificare la proposizione
dell'azione ex art. 140 cod. cons. a tutela del suo
diritto alla sicurezza e qualità dei prodotti;
analogamente potrebbe essere proposta l'azione
inibitoria da parte di un pendolare nel caso di regolari
inefficienze del servizio di trasporto.
In ordine alla sussistenza
dell'interesse ad agire è stato osservato che se «vi è
una norma sostanziale che ha ascritto al novero delle
situazioni soggettive determinate categorie di interessi
precedentemente qualificabili come interessi
indifferenziati della collettività (e perciò interessi
di fatto), consentendone l'azionabilità in giudizio,
l'individuazione di opportuni criteri di
differenziazione e di collegamento col bene della vita
protetto dalla norma» può mantenere una funzione per
selezionare i soggetti agenti, «in modo da evitare quei
rischi di proliferazione dei processi che l'allargamento
delle maglie della tutela preventiva e il conferimento
della legittimazione disgiunta rende astrattamente
possibile»[32].
Ritenuta l'ammissibilità della
legittimazione del consumatore o utente, “danneggiato”
dal comportamento contra ius del professionista, a
proporre un'azione inibitoria individuale, va
evidenziato che anch'essa si connota come come azione
collettiva. Ed infatti, il carattere collettivo
dell'azione non è dato dal fatto che il soggetto che la
intraprende sia un soggetto esponenziale
istituzionalmente proteso alla promozione e tutela degli
interessi della collettività di riferimento, ma
dall'effetto dell'azione, e non vi è dubbio che l'azione
inibitoria individuale tenda allo stesso risultato
dell'azione proposta dal soggetto collettivo, ovvero la
cessazione del comportamento lesivo e l'eliminazione
degli effetti dannosi per tutti i destinatari
dell'interesse tutelato.
Alla dignità teorica di questa
ricostruzione fa però da contraltare la considerazione
che è estremamente improbabile che un singolo
consumatore o utente promuova un'azione inibitoria a
causa delle spese che dovrebbe sostenere per un giudizio
che è sì finalizzato al ripristino della situazione
lesa[33], ma senza alcuna contropartita in termini
economici nel caso di sentenza di accoglimento della
domanda inibitoria, versandosi nell'ipotesi di un
illecito che non è fonte di obbligazione risarcitoria e
non essendo peraltro prevista un'ulteriore condanna al
risarcimento dei danni punitivi[34].
E allora, la conseguenza forse più
rilevante che discende da questa impostazione
ricostruttiva concerne la possibilità da parte di un
solo consumatore di dare mandato anche ad
associazioni[35] diverse da quelle rientranti nel novero
delle iscritte nell'elenco del Ministero delle Attività
produttive, che agiranno nella qualità di rappresentanti
processuali, e dunque in nome e per conto del
consumatore.
5. La legittimazione del singolo
utente nell'azione collettiva contro la pubblica
Amministrazione ai sensi del D.Lgs. 20 dicembre 2009 n.
198.
La proposta lettura ricostruttiva
circa la legittimazione del singolo consumatore è
coerente con le recenti scelte compiute dal legislatore
in materia di azione collettiva nei confronti della
pubblica amministrazione e dei concessionari dei
pubblici servizi.
Come è noto, con il D.Lgs. 20
dicembre 2009 n. 198, in attuazione della L. 4, marzo
2009, n. 15, recante la delega al governo finalizzata
all'ottimizzazione della produttività del lavoro
pubblico ed alla efficienza e trasparenza delle
pubbliche amministrazioni nonché disposizioni
integrative delle funzioni attribuite al Consiglio
nazionale dell'economia e del lavoro – cosiddetta “Legge
Brunetta” – il legislatore ha introdotto l'azione
collettiva contro la pubblica amministrazione[36].
L'azione ha come obiettivo un
controllo esterno di tipo giudiziale nei confronti della
pubblica amministrazione, nonché dei concessionari di
servizi pubblici, qualora dalla violazione degli
standard qualitativi ed economici o degli obblighi
contenuti nelle carte dei servizi, dall'omesso esercizio
dei poteri di vigilanza, di controllo o dalla violazione
dei termini o dalla mancata emanazione di atti
amministrativi generali obbligatori e non aventi
contenuto normativo, sia derivata la lesione di
interessi giuridicamente rilevanti e omogenei per una
pluralità di utenti e consumatori[37].
L'azione è, quindi, finalizzata a
porre rimedio in forma specifica alla violazione o alla
omissione riscontrata, nei limiti delle risorse
strumentali, finanziarie e umane concretamente a
disposizione delle parti intimate[38], ed esclude il
risarcimento del danno conseguente agli inadempimenti
della pubblica amministrazione, per il quale resta ferma
la possibilità di esperire i rimedi ordinari[39].
Al fine di ripristinare il corretto
svolgimento della funzione o la regolare erogazione di
un servizio il legislatore riconosce in prima battuta la
legittimazione ad agire in giudizio, secondo le modalità
stabilite nei confronti delle pubbliche amministrazioni,
a ciascun individuo che faccia valere una posizione
giuridicamente rilevante e corrispondente al tempo
stesso a una pluralità di utenti o consumatori[40]. La
disposizione precisa poi che l'azione è esercitabile se
derivi una lesione diretta, concreta e attuale dei
propri interessi[41].
Ne consegue che il non rispetto
degli standard qualitativi e quantitativi dell'azione
amministrativa e dei servizi resi al pubblico legittima
adesso l'azione del cittadino[42] - destinatario
dell'esercizio delle potestà amministrative – a far
valere l'osservanza dei doveri cui è tenuta la pubblica
amministrazione. Egli potrà così farsi promotore
dell'azione singolarmente, a condizione che l'interesse
agito sia, oltre che rilevante, omogeneo ad una
pluralità di utenti. In altri termini, si tratta
dell'espresso riconoscimento normativo del potere di
agire in giudizio, al singolo – inteso quale utente dei
servizi della pubblica amministrazione – nell'ipotesi di
lesione degli interessi collettivi degli
utenti-cittadini da parte della pubbliche
amministrazioni o di concessionari dei pubblici
servizi[43].
6. La legittimazione processuale
rappresentativa delle associazioni non iscritte
nell'elenco delle associazioni dei consumatori e degli
utenti.
Posto che l'ipotesi di un'azione
inibitoria promossa da un consumatore o utente
“danneggiato” - nel senso già argomentato - da un
comportamento imprenditoriale illecito è prettamente
teorica, ed è altrettanto inverosimile l'ipotesi di
mandato agli studi legali, i quali non avrebbero alcun
interesse a sostenere i costi di gestione dell'azione
senza un vantaggio economico[44], la conseguenza più
rilevante che discende dalla qualificazione
dell'interesse collettivo come diritto soggettivo è la
possibilità per il singolo di dare mandato ad agire ad
un'associazione che abbia come fine statutario la tutela
dei consumatori, seppur non inserita nell'elenco delle
associazioni rappresentative tenuto dal Ministero delle
attività produttive.
Infatti, se il singolo consumatore
o utente è titolare delle nuove situazioni giuridiche
contemplate nel codice del consumo ed in quanto tale ha
la legittimazione ad causam, cioè il potere di agire in
giudizio per ottenere un provvedimento inibitorio, e si
tratta di diritti per cui lo stesso legislatore ha
previsto la possibilità del distacco della titolarità
dal loro esercizio attribuendo alle associazioni
rappresentative l'autonoma legittimazione ad agire a
tutela di essi, non vi è ragione per escludere che il
singolo possa conferire mediante espressa dichiarazione
di volontà, la legittimazione ad processum ad
associazione non rientranti nel novero di quelle
rappresentative ai sensi dell'art. 137 c.d.c., che
agiranno nelle vesti di rappresentante del consumatore.
Ed in questo modo il consumatore potrà avvalersi del
sostegno tecnico ed economico conferito
dall'associazione – che avrà un tornaconto in termini
pubblicitari – superando gli ostacoli finanziari e
psicologici che si frappongono all'esercizio
dell'azione.
La rappresentanza volontaria, che
postula l'attribuzione specifica in via negoziale da
parte del singolo consumatore, si rende possibile in
virtù dell'art. 77 c.p.c.[45], ovvero attraverso la
tecnica imperniata sul conferimento espresso e per
iscritto della legittimazione processuale[46]. Di
talchè, l'associazione dei consumatori alla quale viene
attribuito un mandato con rappresentanza - che deve
risultare da un atto autentico o da una scrittura
privata autenticata - agisce in nome e per conto del
danneggiato, o dei danneggiati, e a tutela del loro
diritto specificamente dedotto in giudizio.
Ora, secondo il prevalente
orientamento dottrinale e giurisprudenziale la
legittimazione processuale rappresentativa può essere
conferita solo a chi abbia un corrispondente potere di
rappresentanza rispetto a quei diritti sostanziali che
costituiscono oggetto del giudizio, ritenendo pertanto
non ammissibile una rappresentanza puramente
processuale[47]. Ciò viene argomentato dal rilievo che
la norma nel richiedere l'espresso conferimento del
potere processuale prende in considerazione come
destinatario di questo conferimento soltanto il
procuratore generale e quello preposto a determinati
affari.
Nondimeno, può rilevarsi che le
peculiarità specifiche delle situazioni sostanziali da
tutelare attraverso l'azione di cui all'art. 140 cod.
cons. fanno propendere per quell'interpretazione
giurisprudenziale tesa ad ammettere la possibilità di
conferire una rappresentanza puramente processuale anche
ad un soggetto che non abbia già il potere
rappresentativo rispetto a quei diritti sostanziali che
costituiscono oggetto del giudizio[48], ovvero una
rappresentanza processuale disgiunta da quella
sostanziale. Peraltro, è anche difficilmente
immaginabile un rapporto di rappresentanza sostanziale
rispetto ai diritti di cui all'art. 2 cod. cons., mentre
è connaturato all'effettività della loro tutela
giurisdizionale l'esigenza di una rappresentanza
processuale, come del resto dimostra la stessa
disciplina in materia di tutela dei consumatori con
l'attribuzione della legittimazione ad agire alle
associazioni rappresentative.
Ma vi è di più: l'interpretazione
dell'art. 77 c.p.c. in favore di una rappresentanza
puramente processuale, nell'ambito della tutela dei
nuovi diritti dei consumatori, costituisce una lettura
costituzionalmente orientata. L'art. 24 cost. nel
garantire l'esercizio dell'azione in giudizio a
tutti[49], senza distinzioni di alcun genere rappresenta
diretta espressione del principio di uguaglianza
formale, ma soprattutto del principio di uguaglianza
sostanziale accolto dall'art. 3, comma 2, cost. Ora,
ritenere ammissibile il conferimento della
rappresentanza alle associazione dei consumatori,
realizza la rimozione degli ostacoli all'accesso alla
giustizia della parte più debole, quale è il
consumatore, rendendo effettiva la garanzia
costituzionale dell'azione.
7. La legittimazione ad agire delle
associazioni rappresentative a livello nazionale.
Il conferimento della
legittimazione ad agire agli enti esponenziali il cui
fine statutario sia la difesa dei consumatori, sulla
scorta dell'opzione indicata dalla disciplina
comunitaria[50], rappresenta l'approdo del tentativo di
individuare una tecnica di protezione in un contesto
processuale retto dal principio personalistico e nel
quale l'azione popolare è ammessa solo in particolari
ipotesi[51].
Siffatta tecnica di certo assicura
una tutela superiore al consumatore, e in ragione del
fatto che per lo più si tratta di pregiudizi così tenui
da non spingere il singolo neanche alla richiesta della
tutela risarcitoria, e in ragione delle maggiori risorse
finanziarie di cui possono disporre gli enti
esponenziali, e anche della loro maggiore capacità di
aver conoscenza delle eventuali pratiche commerciali
illecite[52]. Di talchè, la legittimazione ad agire
dell'ente a rilevanza collettiva contribuisce ad
accrescere l'effettiva salvaguardia delle situazioni
giuridiche dei consumatori in un ambito ove la
correlazione tra titolarità del diritto e titolarità del
diritto di azione non è sempre sinonimo di maggiore
idoneità alla tutela in giudizio.
Il nostro legislatore subordina il
conferimento della legittimazione ad agire all'esistenza
di determinati requisiti di rappresentatività delle
associazioni. Segnatamente, l'individuazione delle
associazioni rappresentative a livello nazionale avviene
attraverso un controllo amministrativo circa il possesso
dei requisiti indicati dall'art. 137 cod. cons., quale
l'avvenuta costituzione da almeno tre anni e il possesso
di uno statuto che preveda come scopo esclusivo la
tutela dei consumatori e degli utenti senza finalità di
lucro, il numero di iscritti e la presenza sul
territorio di almeno cinque regioni o province autonome,
lo svolgimento di un'attività continuativa nei tre anni
precedenti, etc.
In effetti, i predefiniti requisiti
di rappresentatività delle associazioni dei consumatori
rappresentano l'esito di una enucleazione, già compiuta
dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, di
idonei parametri di riferimento da utilizzare nello
scrutinio dei soggetti capaci di rappresentare
efficacemente ed adeguatamente interessi riguardanti una
pluralità di soggetti[53].
L'associazione per soddisfare il
requisito della legittimazione deve soltanto allegare di
essere inserita nell'elenco delle associazioni
rappresentative dei consumatori ed utenti istituito
presso il Ministero delle attività produttive e il
Giudice, ai fini del riscontro della legittimazione ad
agire, deve limitarsi alla verifica dell'effettivo
inserimento in tale elenco. L'iscrizione ha una valenza
costitutiva ai fini della titolarità dell'interesse
collettivo in capo alle associazioni[54].
La legittimazione di siffatte
associazioni deriva non dal fatto che sia stata
pregiudicata una loro posizione giuridica come
conseguenza di una condotta illegittima del
professionista, quanto da un espresso riconoscimento del
legislatore della possibilità di proporre domanda per la
tutela di una posizione di vantaggio che riguarda i
consumatori o utenti pregiudicati dalla condotta. Le
norme del codice del consumo prevedono, infatti, dei
comportamenti doverosi dei professionisti in favore dei
consumatori e degli utenti, che rivestono la posizione
di titolari degli interessi normativamente rilevanti che
il comportamento doveroso tende a soddisfare, posizione
che naturalmente implica sul piano processuale il
diritto di azione, viceversa l'associazione non è
titolare della situazione giuridica tutelata, in quanto
non si pone come destinataria dell'obbligo[55].
Tuttavia il legislatore, data la
peculiarità e la rilevanza collettiva delle fattispecie
sostanziali che necessitano tutela, attraverso
l'espressa attribuzione del potere di azione alle
associazioni consumeristiche rappresentative a livello
nazionale, riconosce anche l'interesse delle stesse alla
repressione degli illeciti perpetrati dal professionista
a danno dei consumatori. Le associazioni si fanno
portatrici di un interesse che si consolida sulle stesse
e non si sostituiscono ai singoli consumatori. Peraltro,
ritenere che l'associazione agisca deducendo in giudizio
i diritti individuali dei singoli significherebbe
affermare che tutti i diritti individuali debbano essere
specificamente dedotti in giudizio, con la conseguenza
che ogni singolo diritto dedotto dovrebbe essere oggetto
di esame da parte del giudice con notevole
appesantimento del processo.
Se si assume questa prospettiva, la
legittimazione ex lege degli enti esponenziali non
costituisce un'ipotesi di mero potere di azione o di
legittimazione straordinaria bensì ordinaria: il
legislatore ha riconosciuto l'interesse sostanziale
delle stesse all'osservanza dell'obbligo comportamentale
del professionista, riconoscimento che discende dalla
correlazione alla dimensione collettiva delle
fattispecie sostanziali; e in questa chiave va letta
quella soglia di “rappresentatività” delineata dal
legislatore quale criterio di attribuzione della
legittimazione ad agire.
Tale legittimazione ex lege
riguarda non i diritti o gli interessi propri dell'ente
esponenziale bensì quelli collettivi recepiti nelle
finalità statutarie.
In dottrina è stato sovente
sottolineato il rischio che le associazioni possano
decidere di intraprendere un'azione per propri interessi
politici o per un ritorno in termini di notorietà, più
che per l'autentica difesa degli interessi dei
consumatori con conseguenze sulla effettività della
tutela giurisdizionale. Indubbiamente si tratta di una
eventualità concreta, correlata anche al fatto che le
associazioni sono soggetti privati che spesso devono
muoversi in situazioni di ristrettezza delle risorse
disponibili, tendendo così a fare una selezione tra le
controversie da dedurre in giudizio e prediligendo
quelle che possono dare una maggiore notorietà
all'associazione, con un conseguente vantaggio in
termini di introiti[56].
Tuttavia, è vero anche che il
rischio è mitigato dal fatto che la legittimazione delle
associazioni rappresentative non si traduce – secondo la
lettura da noi prediletta – in una restrizione della
legittimazione dei titolari del diritto, sicché nulla
vieta che nel caso in cui nessuna associazione
rappresentativa agisca in giudizio per chiedere
l'inibizione di un comportamento lesivo degli interessi
collettivi dei consumatori possa promuovere l'azione il
singolo consumatore pregiudicato, verosimilmente
conferendo mandato di rappresentanza ad associazioni
consumeristiche.
8. L'opportunità dell'intervento
del pubblico ministero nel giudizio collettivo
inibitorio.
Gli interessi collettivi dei
consumatori e degli utenti configurano interessi di
natura privata di dimensione collettiva e non possono
essere considerati interessi pubblici[57], facendo capo
ad una collettività più ristretta rispetto alla
collettività statale.
Tuttavia, non può negarsi che siano
diritti generalizzati che talvolta si intersecano con
gli interessi pubblici, assumendo un rilievo
pubblicistico[58]. E, analogamente non può negarsi che
la loro tutela in una certa misura trascenda il rapporto
tra i consumatori e il professionista, riverberandosi
sul buon funzionamento del mercato del consumo, quale
consequenziale effetto del rispetto delle regole di
comportamento e di giusta competizione economica[59].
L'essenza pubblicistica dei diritti
dei consumatori è stata recentemente colta dalla Procura
generale di Torino che, in occasione dell'introduzione
dell'art. 140 bis nel codice del consumo, ha richiesto
con una circolare alle cancellerie delle sezioni civili
di segnalare la pendenza dei processi civili «in tema di
tutela del risparmio e dei diritti dei consumatori e
utenti, ovvero di azioni a tutela di interessi
collettivi ai sensi della l. 30 luglio 1998 n. 281, del
d.lgs 6 settembre 2005 n. 206, della l. 28 dicembre 2005
n. 262, nonché della legge finanziaria 2008, che
all'art. 2. comma 445, ha previsto la class action» al
fine di valutare la sussistenza del pubblico interesse
all'intervento in causa ai sensi dell'art. 70, ultimo
comma, c.p.c[60].
D'altra parte, il rilievo
pubblicistico dei diritti dei consumatori si esplica in
modo palese nel ruolo affidato dal legislatore – in
ragione delle ampliate competenze con il D.Lgs. n.
146/2007 - all'Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato in materia di pratiche commerciali scorrette e
illeciti antitrust; divenuto organismo amministrativo
deputato alla tutela dei diritti dei consumatori prima
ancora che del mercato in senso stretto[61].
Ed è proprio alla luce della
spiccata rilevanza sociale degli interessi collettivi
dei consumatori che appare ragionevole considerare
l'opportunità dell'intervento del pubblico ministero nel
giudizio collettivo inibitorio[62], tecnicamente
ammissibile a mente dell'art. 70, ultimo comma,
c.p.c.[63], che ne prevede l'intervento facoltativo in
ogni causa in cui ravvisi un pubblico interesse[64].
Il giudice quindi, davanti il quale
è proposta l'azione a tutela dei diritti collettivi dei
consumatori, dovrà ordinare ai sensi dell'art. 71,
comma, 2 c.p.c. la comunicazione degli atti affinché il
pubblico ministero possa intervenire. Ed è questa la
disposizione che assume un valore centrale ai fini della
presenza del p.m. nei giudizi concernenti la tutela
degli interessi collettivi dei consumatore, poiché il
riconoscerne la rilevanza pubblicistica implica
l'obbligo per il giudice di trasmettere fin dall'inizio
del processo gli atti al p.m.[65]. Talchè il pubblico
ministero potrà costituirsi in giudizio fin dall'inizio
del giudizio e attraverso l'esercizio dei suoi poteri
potrà coadiuvare nella conduzione del processo, peraltro
la sua presenza potrebbe preservare dal rischio di una
estinzione fraudolenta del processo o da un uso
ricattatorio del processo.
Si aggiunga un'altra notazione: la
condotta del professionista lesiva dei diritti dei
consumatori può configurare anche un reato, come il
reato di truffa, di frode alimentare in danno della
pubblica salute, o di frode commerciale, rilevandosi
utile anche in questo senso la presenza del p.m. che
potrà ravvisare gli eventuali profili penali della
condotta imprenditoriale.
Senza dubbio la presenza del
pubblico ministero è una soluzione che alimenta
polemiche sull'interventismo statale rispetto ad
interessi considerati per lo più di natura privata; ed è
in ragione di ciò, oltre alla considerazione di una
scarsa funzionalità dell'istituto nelle controversie
civili che l'idea di allargarne i compiti è apparsa una
soluzione ricostruttiva poco praticabile[66]. Tuttavia,
benché non possa disconoscersi il fondamento realistico
delle osservazioni mosse all'intervento del pubblico
ministero, trincerarsi dietro le disfunzioni
dell'istituto – che porta con sé il retrogusto della
rassegnazione che non deve avere il sopravvento tra gli
studiosi – rischia di far perder di vista l'apporto che
in questo ambito può esser dato da un soggetto
naturalmente deputato alla difesa della legalità. Certo,
allo stato attuale la disfunzione dell'ufficio del
pubblico ministero nel processo civile costituisce un
ostacolo al suo effettivo intervento, ma è auspicabile
che vi si ponga rimedio con un incremento dell'organico
e con una preparazione tecnica specifica in materia
consumeristica, in caso contrario l'intervento del
pubblico ministero resterà una suggestiva ricostruzione
teorica.
[1] Sul concetto di interesse
collettivo si veda tra i tanti: VIGORITI V., Interessi
collettivi e processo. La legittimazione ad agire,
Milano, 1979, 17 ss.; PROTO PISANI A, Appunti
preliminari per lo studio sulla tutela giurisdizionale
degli interessi collettivi, in Le azioni a tutela di
interessi collettivi- Atti del Convegno di studio
(Pavia, 11-12 giugno 1974), Padova, 1976, 263 ss.;
CAPPELLETTI M., Formazioni sociali e interessi di gruppo
davanti alla giustizia civile, in Riv. dir. proc., 1975,
367 ss.; COSTANTINO G., Brevi note sulla tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi davanti al
giudice civile, in Le azioni a tutela di interessi
collettivi, cit., 223 ss.; GRASSO E., Gli interessi
della collettività e l'azione collettiva, in Riv. dir.
proc., 1983, p. 24 ss.; TROCKER N., voce Interessi
collettivi e diffusi, in Enc. giur. Treccani, vol. XVII,
Roma, 1989; DONZELLI R., La tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi, Napoli 2008, PETRILLO C., La
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e
diffusi, Roma, 2005.
[2] Mi permetto di rinviare a DI
SALVO C., Annotazioni sul concetto di interesse
collettivo dei consumatore, di prossima pubblicazione in
Diritto & Diritti – www.diritto.it.
[3] Da ultimo in tal senso, CAPONI
R., Modelli europei di tutela collettiva nel processo
civile: esperienze tedesca e italiana a confronto, in Le
azioni seriali, a cura di Menchini S., in Quaderni del
Il Giusto processo civile, Napoli, 2008, 129-130,
secondo il quale il singolo consumatore non ha un
diritto soggettivo individuale alla correttezza, alla
trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali in
generale. Il consumatore è titolare di tali diritti solo
in relazione allo specifico rapporto contrattuale di cui
è parte (analogamente in riferimento agli altri diritti
previsti dall'art. 2, comma 2); solo in tale veste può
subire una lesione o una minaccia di lesione
suscettibile di essere apprezzata in modo specifico,
diretto e attuale, e può agire in giudizio per la tutela
di un proprio diritto.
[4] Cfr. DONZELLI R., La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, cit. 774,
l'A. osserva che i due profili sono sovrapposti dalla
dottrina per argomentare l'irrilevanza dell'interesse
del singolo membro della collettività alla repressione
degli illeciti a lesività differenziata.
[5] L'attribuzione della
legittimazione ad agire a tutela dei diritti individuali
omogenei dei consumatori ed utenti a “ciascun componente
della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato
o comitati cui partecipa”, è una innovazione assoluta
dell'art. 140 bis cod. cons., ridisegnato dall'art. 49
della L. 23 luglio 2009 n. 99. Nella versione precedente
dell'art. 140 bis (Azione collettiva risarcitoria), come
introdotto dall'art. 2 comma 446 l. 244 del 2007, il
legislatore aveva attribuito la legittimazione ad agire
soltanto alle “associazioni di cui al comma 1
dell'articolo 139 e gli altri soggetti di cui al comma
2”, ovvero alle “associazioni e comitati che sono
adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi
fatti valere”. Si veda sul punto, SANTANGELI F.-PARISI
P., Il nuovo strumento di tutela collettiva
risarcitoria: l'azione di classe dopo le recenti
modifiche all'art. 140-bis cod. cons, www.Judicium.it.
[6] Non è un caso che la struttura
dell'art. 140 bis cod. cons. di nuovo conio, che
riconosce al singolo il potere giudiziario di promuovere
una azione collettiva risarcitoria è molto diversa da
quella dell'art. 140 cod. cons. Tale norma prevede,
infatti, la possibilità per il singolo di agire mediante
associazioni (anche non riconosciute) o comitati cui dà
mandato, un meccanismo di partecipazione all'azione di
classe per i consumatori che intendono avvalersi della
tutela, un giudizio sull'ammissibilità della domanda,
nonché la possibilità di sospensione del giudizio quando
sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso
un'istruttoria davanti a un'autorità indipendente ovvero
un giudizio davanti al giudice amministrativo,
l'impossibilità di proporre ulteriori azioni di classe
per i medesimi fatti e nei confronti della stessa
impresa dopo la scadenza del termine per l'adesione, la
riunione di quelle già proposte entro il termine
assegnato dal giudice per l'adesione e infine
l'efficacia del giudicato dell'azione di classe.
[7] Cfr. DE LUCA M.,
L'interpretazione costituzionalmente orientata: note
minime, in Foro it., 2009, 422 ss.
[8] L'art. 140 cod. cons.
(Procedura) stabilisce che «I soggetti di cui
all'articolo 139 sono legittimati nei casi ivi previsti
ad agire a tutela degli interessi collettivi dei
consumatori e degli utenti richiedendo al tribunale: a)
di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli
interessi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare
misure idonee a correggere od eliminare gli effetti
dannosi delle violazioni accertate; c) di ordinare la
pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani
a diffusione nazionale oppure locale, nei casi in cui la
pubblicazione del provvedimento può contribuire a
correggere o eliminare gli effetti delle violazioni
accertate.».
[9] L'art. 139 cod. cons.
(Legittimazione ad agire), inserito all'interno del
titolo II, Accesso alla giustizia (rubrica così
modificata dall'art 2, comma 449, legge 24 dicembre
2007, n. 244), dispone: «1. Le associazioni dei
consumatori e degli utenti inserite nell'elenco di cui
all'art. 137 sono legittimate ad agire, ai sensi
dell'art. 140, a tutela degli interessi collettivi dei
consumatori e degli utenti. Oltre a quanto disposto
dall'articolo 2, le dette associazioni sono legittimate
ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi
collettivi dei consumatori contemplati nelle materie
disciplinate dal presente codice, nonché dalle seguenti
disposizioni legislative: a) legge 6 agosto 1990, n.
223, e legge 30 aprile 1998, n. 122, concernenti
l'esercizio delle attività televisive; b) decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, come modificato
dal decreto legislativo 18 febbraio 1997, n. 44, e legge
14 ottobre 1999, n. 362, concernente la pubblicità dei
medicinali per uso umano.
2. Gli organismi pubblici
indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciuti
in altro Stato dell'Unione europea ed inseriti
nell'elenco degli enti legittimati a proporre azioni
inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei
consumatori, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle
Comunità europee, possono agire, ai sensi del presente
articolo e secondo le modalità di cui all'articolo 140,
nei confronti di atti o comportamenti lesivi per i
consumatori del proprio Paese, posti in essere in tutto
o in parte sul territorio dello Stato».
[10] Il richiamo dell'art. 137 cod.
cons., inserito in sede di emanazione del codice del
consumo, ha sostituto il controllo giudiziale di
rappresentatività del precedente art. 1469-sexies, che
con la generica espressione «associazioni
rappresentative dei consumatori...» affidava al giudice
il compito di accertare di volta in volta il requisito
della rappresentatività dell'associazione. La verifica
era effettuata sulla base dei criteri di valutazione
elaborati in via giurisprudenziale (il numero degli
iscritti, le finalità statutarie etc.) e dei criteri
individuati da legislatore in altri settori di tutela
degli interessi collettivi, e in modo particolare in
base ai requisiti indicati nell'art. 16 della legge n.
349/86 istitutiva del Ministero dell'ambiente.
Promulgata poi la L. n. 281 del 1998 «Disciplina dei
diritti dei consumatori e degli utenti», è stato
ritenuto che dovesse operarsi un rinvio al criterio da
essa individuato riguardo la rappresentatività delle
associazioni, ovvero l'iscrizione nell'elenco istituito
presso il Ministero dell'industria, del commercio e
dell'artigianato, sicché anche nel caso di inibitoria
contrattuale la rappresentatività dell'associazione
andava desunta dalla sua iscrizione nel citato elenco.
[11] L'art. 137, comma 2, cod.
cons. stabilisce che: «L'iscrizione nell'elenco è
subordinata al possesso da comprovare con la
presentazione di documentazione conforme alle
prescrizioni e alle procedure stabilite con decreto del
Ministro dello sviluppo economico, dei seguenti
requisiti: a) avvenuta costituzione per atto pubblico o
per scrittura privata autenticata, da almeno tre anni e
possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a
base democratica e preveda come scopo esclusivo la
tutela dei consumatori e degli utenti, senza fine di
lucro; b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato
annualmente con l'indicazione delle quote versate
direttamente all'associazione per gli scopi statutari;
c) numero di iscritti non inferiore allo 0,5 per mille
della popolazione nazionale e presenza sul territorio di
almeno cinque regioni o province autonome, con un numero
di iscritti non inferiore allo 0,2 per mille degli
abitanti di ciascuna di esse, da certificare con
dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa
dal legale rappresentante dell'associazione con le
modalità di cui agli articoli 46 e seguenti del testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di documentazione amministrativa, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre
2000, n. 445; d) elaborazione di un bilancio annuale
delle entrate e delle uscite con indicazione delle quote
versate dagli associati e tenuta dei libri contabili,
conformemente alle norme vigenti in materia di
contabilità delle associazioni non riconosciute; e)
svolgimento di un'attività continuativa nei tre anni
precedenti; f) non avere i suoi rappresentanti legali
subito alcuna condanna, passata in giudicato, in
relazione all'attività dell'associazione medesima, e non
rivestire i medesimi rappresentanti la qualifica di
imprenditori o di amministratori di imprese di
produzione e servizi in qualsiasi forma costituite, per
gli stessi settori in cui opera l'associazione.
[12] Va rilevato che, stando ai
dati disponibili, non risultano finora promosse azioni
inibitorie ex art. 37 cod. cons. dalle Camere di
commercio.
[13] Al riguardo l'art. 140, comma
2, cod. cons. dispone: «Le associazioni di cui al comma
1, nonché i soggetti di cui all'art. 139, comma 2,
possono attivare, prima del ricorso al giudice, la
procedura di conciliazione dinanzi alla camera di
commercio, industria, artigianato e agricoltura
competente per territorio, a norma dell'articolo 2,
comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n.
580, nonché agli altri organismi di composizione
extragiudiziale per la composizione delle controversie
in materia di consumo a norma dell'art. 141..». Sul
procedimento di conciliazione regolato dall'art. 140
cod. cons. si veda SANTANGELI F., La conciliazione
extragiudiziale tra le associazioni dei consumatori ed
il professionista nell'interesse collettivo dei
consumatori e degli utenti ai sensi dell'art. 140 del
codice del consumo, in via di pubblicazione.
[14] Cfr. CAMERO-DELLA VALLE, La
nuova disciplina dei diritti del consumatore, Milano,
1999, 148.
[15] Sull'incoerenza del sistema
processuale in ragione della mancanza di un sistema
originario processuale ZENO-ZENCOVICH V.-PAGLIETTA M.C.,
Diritto processuale dei consumatori, Milano, 2009, 2 ss.
Gli Autori nel sottolineare l'evoluzione disordinata
della disciplina processuale secondo un tortuoso
percorso che delinea sempre nuove soluzioni e lascia
inalterate quelle del passato, ricorrono ad una efficace
metafora: «il sistema processuale di derivazione
comunitaria non è un edificio che progressivamente si
riempie e si definisce nelle funzioni attribuite a
ciascuna sua parte, bensì un serpentone multicolorato
che si allunga ad ogni intervento legislativo».
[16] Per una dettagliata analisi
del dibattito dottrinale in ordine all'azione inibitoria
in materia di clausole abusive, DONZELLI R, La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli 2008,
785 ss. L'A. osserva che la contrapposizione ontologica
tra interessi collettivi e interessi individuali è stata
favorita soprattutto dall'accentuata valorizzazione dei
profili funzional-strutturali dell'azione regolata
dall'art. 1469-sexies c.c.: «Questa, infatti, quale
strumento rivolto a provocare il sindacato circa la
vessatorietà delle clausole predisposte
dall'imprenditore, si è presentata naturalmente tesa a
tutelare gli interessi di tutta la collettività dei
consumatori e ciò, chiaramente, per il suo operare su un
piano astratto, generale e preventivo: astratto, poiché
svincolato dalle vicende di una concreta pattuizione;
generale, poiché operante a vantaggio della
indeterminata categoria dei consumatori; e preventivo,
in quanto rivolto ad evitare l'inserimento nei futuri
regolamenti contrattuali, della clausola dichiarata
abusiva».
[17] Cfr. CONTI R., Ai nastri di
partenza l'inibitoria a tutela degli interessi
collettivi ex art. 3 L. n. 218/1998, in Corr. giurid.,
2001, 394.
[18] In tal senso, GIUSSANI A., La
tutela degli interessi collettivi nella nuova disciplina
dei diritti dei consumatori, in Danno e resp., 1998,
1061 ss.; CHIARLONI S., Appunti sulle tecniche di tutela
collettiva dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc.,
2005, 398; CHINÈ, Commento all'art. 3, in I diritti dei
consumatori e degli utenti (un commento alle L. 30
luglio 1998, n. 281 e 24 novembre 2000, n. 340 e al
D.Lgs 23 aprile 2001, n. 224), a cura di Alpa e Levi,
Milano, 2001, 34 ss.; CARBONARA F., Gli interessi
collettivi e diffusi e l'azione inibitoria dell'art.
1469 sexies c.c., in La tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi e diffusi, a cura di Lanfranchi L.,
478, sostiene che «l'interesse della collettività non
coincide con la somma dei singoli interessi individuali,
è l'interesse della collettività nel suo insieme
rispetto al quale l'interesse del singolo può anche non
coincidere, o addirittura essere confliggente»; nello
stesso senso DANOVI F., L'azione inibitoria in materia
di clausole vessatorie, in Riv. dir. proc., 1996, 1071:
«L'inibitoria è concessa a soggetti dotati di funzione
rappresentativa proprio perché posta a salvaguardia di
un interesse distinto anche da quello del singolo
consumatore e trascendente la sfera di questo»;
CAPPONI-GASPARINETTI-VERARDI, La tutela collettiva dei
consumatori, Profili di diritto sostanziale e
processuale, Napoli, 1995, 39; RUFFOLO U., Clausole
«vessatorie» e «abusive». Gli artt. 1469-bis e seguenti
del codice civile e i contratti col consumatore, Milano,
1997, 112 ss.
[19] Cfr. Cass. Sez. Un., 28 marzo
2006, n. 7036, in Corriere giur., 2006, 785, con nota di
DI MAJO, I diritti soggettivi (collettivi) delle
associazioni dei consumatori.
[20] DONZELLI R, La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., 780,
nota 59, osserva che l'«anche» si inserisce
correttamente nella prospettiva indicata dalla lettura
dell'art. 2 della Costituzione, secondo il quale i
«diritti inviolabili dell'uomo» sono riconosciuti e
garantiti «sia come singolo sia nelle formazioni
sociali», aspetto irrinunciabile all'interno di una
ricostruzione di un modello di tutela giurisdizionale
degli interessi collettivi che rispettosa dei principi
costituzionali, tenga presente entrambi i termini della
dinamica di questi particolari interessi, ovvero la
dimensione individuale e la dimensione
sovra-individuale, cioè collettiva, degli stessi.
[21] PAGNI I., Tutela individuale e
tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti (prime riflessioni sull'art.
3, L. 30.7.1998, n. 281), in La disciplina dei diritti
dei consumatori e degli utenti (L. 30 luglio 1998 n.
281), Napoli, 2000, 164 ss., ritiene che vi sia
contitolarità di posizioni giuridiche riconosciute in
capo ai consumatori ed alle loro associazioni
rappresentative, e quindi entrambi potranno agire,
moltiplicandosi le ipotesi di concorso tra azioni
inibitorie collettive e azioni inibitorie individuali;
ID., Tutela individuale e tutela collettiva: un'indagine
sul possibile raccordo tra i rimedi, in Le azioni
seriali, a cura di Menchini S., in Quaderni del Il
Giusto processo civile, Napoli, 2008, 153 ss.;
LANFRANCHI L., Le animulae vagulae blandulae e l'altra
faccia della luna, in La tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi e diffusi, cit., XLI ss., in
riferimento alla difficoltà di ipotizzare un interesse
del singolo consumatore ad agire in inibitoria contro il
professionista che utilizzi o raccomandi l'utilizzo di
clausole vessatorie osserva che «non si comprende,
perché quel che non è compatibile con la tutela
contenziosa dei diritti, lo diventi in riferimento
all'interesse collettivo, l'interesse ad agire potendo
per quest'ultimo sussistere nella specie
dell'utilizzazione ancora in potenza delle condizioni
generali di contratto. Nessuna necessità
logico-giuridica, e tanto meno equitativa, impone,
invero che ciò che non è rilevante per la tutela
preventiva del singolo, lo diventi per quella quota
collettiva, di cui sarebbero portatori le Associazioni e
le Camere di commercio», aggiunge, poi che il «dovere di
correttezza, trasparenza ed equità dei rapporti
contrattuali concernenti beni e servizi» è un dovere
«sicuramente riguardante l'utilizzazione in senso lato
delle condizioni generali di contratto, per evocare un
“fondamentale diritto” individuale a concludere
contratti non viziati da condizioni generali illecite,
che è violato anche dalla predisposizione delle clausole
in questione e non solo dalla stipula del contratto
viziato»; MARENGO R., Garanzie processuali e tutela dei
consumatori, Torino, 2006, 150, critica la scelta in
base alla quale i singoli membri della collettività
risultano esclusi dal novero dei soggetti legittimati:
«se l'oggettivazione della rappresentatività costituisce
presidio contro l'indiscriminata moltiplicazione delle
iniziative e garantisce un certo grado di serietà delle
medesime, la soluzione preferibile sembra consistere nel
massimo ampliamento della categoria dei legittimati e
nell'affidamento al giudice della verifica, volta per
volta, della rappresentatività»; CARRATTA A., in Profili
processuali della tutela degli interessi collettivi e
diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi
collettivi e diffusi, cit., 132 ss., sostiene la
legittimazione del singolo consumatore ma attraverso un
differente percorso ricostruttivo; l'A. in riferimento
all'utilizzo e alla raccomandazione di clausole abusive
da parte del professionista, dopo aver osservato la
difficoltà di ipotizzare l'interesse del consumatore
prima che l'utilizzo o la raccomandazione si sia
concretizzata in uno specifico contratto, afferma che
«pur nella consapevolezza di simili difficoltà, il cui
superamento evidentemente giustifica l'estensione della
legittimazione ad agire ad enti e associazioni
portatrici degli interessi collettivi e diffusi, si deve
anche ammettere che, nell'inerzia di queste ultime o
comunque in concomitanza con l'azione esperita da esse,
non vi siano plausibili ragioni – una volta che si
riconosca la configurazione degli interessi collettivi e
diffusi come situazioni giuridiche superindividuali
rilevanti per l'ordinamento concorrenti con i diritti
soggettivi e gli interessi legittimi dei singoli – per
negare il diritto ad agire in giudizio
(costituzionalmente garantito) all'appartente alla
categoria alla quale pertiene il tutelando interesse
collettivo e diffuso».
[22] Cfr. DONZELLI R, La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., 822,
il quale osserva che nella norma è possibile separare un
piano strutturale in cui si apprezza l'obbligo ed un
piano funzionale in cui emerge l'interesse
normativamente rilevante che viene ad essere soddisfatto
dall'osservanza dell'obbligo...l'ordinamento processuale
assume un comportamento normativamente tipizzato del
titolare dell'interesse come idoneo a costituire il
dovere del giudice di decidere sul merito della
controversia. Ed il bene collettivo non è costituito da
entità di difficile apprezzamento, ma semplicemente dal
comportamento doveroso del soggetto di volta in volta
obbligato; comportamento che rappresenta la situazione
favorevole il cui verificarsi è in grado di soddisfare
l'intera serie di interessi...l'obbligo ovvero il
comportamento doveroso, è quindi l'unico effetto
giuridico che la norma prevede. La norma va concepita
come uno schema entro il quale, al realizzarsi di certe
circostanze, è previsto un certo comportamento umano, il
quale appare come doveroso ai consociati».
[23] La debolezza del consumatore
rispetto al professionista, richiede norme protettive a
suo favore non solo nell'ambito del rapporto sostanziale
con il professionista, ma anche nell'ambito del processo
sono necessarie regole che tendano ad ovviare alla
condizione di debolezza del consumatore. Il processo
infatti «ripropone le stesse dinamiche del rapporto
sostanziale, così come le scelte di policy riposano
sulla medesima constatazione dell'asimmetria di potere
tra le parti. Entrambi risolvono lo sbilanciamento di
poteri, riconoscendo una normativa di favore in base
alla qualifica soggettiva dei contraenti», così
ZENO-ZENCOVICH V. - PAGLIETTA M.C., Diritto processuale
dei consumatori, cit., 11.
[24] ODORISIO E., La tutela
giurisdizionale dei diritti dei consumatori e degli
utenti: concorso di azioni e “giusto processo civile”,
in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi
e diffusi, a cura di Lanfranchi L., Torino, 2003, 497,
osserva: «se vi sono alcuni titolari del diritto (come
nel caso di specie le associazioni) che più di altri (i
singoli consumatori ed utenti) sono considerati dal
legislatore in grado di tutelare in maniera più efficace
una determinata situazione sostanziale.....ciò può
portare a ritenere legittima la non necessità del
litisconsorzio, e il potere di chi non ha partecipato al
giudizio di avvantaggiarsi del giudicato favorevole, ma
non è sufficiente per escludere il diritto di azione del
singolo...La privazione del diritto di azione può in
teoria ritenersi ammissibile solo in presenza di un
contrapposto e prevalente interesse di rango
costituzionale di cui nell'ipotesi in esame non vi è
traccia»; contra COLAGRANDE, Disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti, in Le nuove leggi civili
commentate, 1998, 732, secondo cui il modo in cui è
stata costruita la disciplina processuale della l.
281/98 ha il significato di una «espressa negazione di
quel diritto di azione spesso riconosciuto al singolo
dalla giurisprudenza civile e amministrativa, anche per
garantire un effetto anticipatorio della tutela rispetto
ad un danno che si può evitare attraverso l'azione
giurisdizionale».
[25] In questi termini TAVORMINA
L., L'inibitoria collettiva a tutela dei consumatori.
Mercato, concorrenza e deterrence, in Contr. e impr.,
2009, 1001; analoghe considerazioni in riferimento alla
legittimazione del singolo contraente all'azione di
rettifica di un contratto lesivo del diritto all'equità
nei rapporti contrattuali GUIZZI G., Mercato
concorrenziale e teoria del contratto, in Riv. dir.
comm., 1999, 127, nota 108, il quale rileva che «in
tanto ha senso l'accenno a tali istituti di diritto
processuale, ed in particolare l'accenno al fenomeno
della litispendenza, solo se si presuppone che l'azione
dell'ente esponenziale volta alla correzione del
contratto lesivo del diritto all'equità di cui all'art.
3 lettera b) e le possibili azioni individuali
genericamente menzionate nell'ultimo comma siano tra
loro in rapporto di assoluta identità».
[26] In tal senso, DONZELLI R, La
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, cit.,
406 nota 14.
[27] Peraltro, in tal modo le
associazioni rappresentative possono acquistare un vero
e proprio potere negoziale, che può concretizzarsi in
pratiche neocorporativiste.
[28] Cfr. PAGNI I., Tutela
individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina
dei diritti dei consumatori e degli utenti (prime
riflessioni sull'art. 3, L. 30.7.1998, n. 281), in La
disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti
(L. 30 luglio 1998 n. 281), Napoli, 2000, 127, nota 1.
[29] Questa è la definizione di
consumatore o utente dell'art. 3, lett. a) del codice
del consumo.
[30] TAVORMINA L., L'inibitoria
collettiva a tutela dei consumatori. Mercato,
concorrenza e deterrence, in Contr. e impr., cit. 1003
ss. L'A. evidenzia che può essere riconosciuta la
legittimazione del singolo anche all'inibitoria avverso
l'utilizzo delle clausole vessatorie presenti nelle
condizioni generali di un contratto, a prescindere dalla
sua avvenuta conclusione, purché il consumatore alleghi
la prova del compimento di un atto di consumo, in
relazione a quel bene o servizio, o la prova
dell'abitualità del rapporto di consumo.
[31] Ai sensi dell'art. 3, lett. c)
cod. cons. per professionista si intende «la persona
fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della
propria attività imprenditoriale, commerciale,
artigianale o professionale, ovvero un suo
intermediario».
[32] PAGNI I., Tutela individuale e
tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti (prime riflessioni sull'art.
3, L. 30.7.1998, n. 281), cit., 189, 192.
[33] La mancanza di incentivi alla
proposizione della domanda giudiziale per la tutela dei
nuovi diritti rappresenta un serio ostacolo di fatto.
Sulla debolezza psicologica e finanziaria del
consumatore rispetto alla controparte professionale, si
veda GIUSSANI A., Il consumatore come parte debole nel
processo civile tra esigenze di tutela e prospettive di
riforma, in Riv. trim. dir. proc., 2005, 525 ss.
[34] I danni punitivi, strumento
civilistico di carattere generale nel sistema
statunitense diretto alla deterrenza delle condotte
illecite particolarmente insidiose o riprovevoli, sono
ritenuti dalla prevalente giurisprudenza e parte della
dottrina contrari all'ordine pubblico italiano, per lo
più sulla base della considerazione che la disciplina
del risarcimento del danno in Italia non svolge funzioni
afflittive ma compensative. Sulla funzione di deterrenza
dei danni punitivi GIUSSANI A., Azioni collettive, danni
punitive e deterrenza dell'illecito, in Riv. trim. dir.
proc., 2008, 239 ss.
[35] La possibilità di dare mandato
alle associazioni da parte di ciascun componente della
classe è stata espressamente prevista in ordine alla
tutela dei diritti individuali omogenei dal nuovo testo
dell'art. 140 bis, comma 1, cod. cons., come modificato
dalla l. n. 99 del 2009: «I diritti individuali omogenei
dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 sono
tutelabili anche attraverso l'azione di classe, secondo
le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun
componente della classe, anche mediante associazioni cui
dà mandato o comitati cui partecipa, può agire
l'accertamento della responsabilità e per la condanna al
risarcimento del danno e alle restituzioni».
[36] Sul punto si veda GALLO C. E.,
La class action nei confronti della pubblica
amministrazione, in Urbanistica e appalti, 5/2010, 501
ss.; ROMANA FANTETTI F., L'azione collettiva contro la
Pubblica Amministrazione, in Resp. Civ., 2011, 59 ss.;
LUCATI I., L'osservatorio legislativo. Class action
anche nei confronti della Pubblica amministrazione, in
Resp. Civ., 2010, 158 ss.; ZONNO D., Class action
pubblica: nuove forme di tutela dell'interesse diffuso,
in Giur. merito, 2010, 2362 ss.
[37] L'art. 1, comma 1,
(Presupposti dell'azione e legittimazione ad agire)
recita: «Al fine di ripristinare il corretto svolgimento
della funzione o la corretta erogazione di un servizio,
i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed
omogenei per una pluralità di utenti e consumatori
possono agire in giudizio, con le modalità stabilite dal
presente decreto, nei confronti delle amministrazioni
pubbliche, diverse dalle autorità amministrative
indipendenti, dagli organi costituzionali e
giurisdizionali, nonché dalla Presidenza del Consiglio
dei ministri, e dei concessionari di servizi pubblici,
se dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte
dei servizi, dalla violazione di termini o dalla mancata
emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e
non aventi contenuto normativo da emanarsi
obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato
da una legge o da un regolamento, ovvero dalla
violazione degli standard qualitativi ed economici
stabiliti dalle autorità preposte alla regolazione ed al
controllo del settore, derivi la lesione diretta,
concreta e attuale dei predetti interessi. Nel giudizio
sulla sussistenza di tale lesione si tiene anche conto
delle risorse strumentali, finanziarie e umane
concretamente a disposizione delle parti intimate».
[38] Osserva ROMANA FANTETTI F.,
L'azione collettiva contro la Pubblica Amministrazione,
cit. «Conseguentemente, la pubblica amministrazione può
essere chiamata a rimediare ai disservizi unicamente ove
i medesimi siano frutto di disorganizzazione e non
qualora derivino da effettiva mancanza di risorse».
[39] L'art. 1, co. 6, del decreto
stabilisce che «il ricorso non consente di ottenere il
risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai
comportamenti di cui al comma 1; a tal fine, restano
fermi i rimedi ordinari.». ROMANA FANTETTI F., op. ult.
cit., 63, osserva che «il richiamo agli ordinari rimedi
risarcitori dei danni prodotti nell'erogazione di un
servizio o nell'espletamento di una funzione deve essere
inteso: a) quanto ai concessionari, all'azione
collettiva di cui all'art. 140 bis cod. consumo, cui
essi sono espressamente sottoposti oltre che alla
fattispecie generale dell'illecito aquiliano; b) quanto
alle amministrazioni pubbliche, al diritto vivente,
costituito da una interpretazione giurisprudenziale
ormai univoca e dall'art. 35, d.lg. 31.3.2009, n. 80,
che riconosce al privato il diritto al risarcimento del
danno da mala amministrazione; c) per entrambe le
categorie di soggetti, alla disposizione del nuovo art.
2 bis l. n. 241 del 1990 che prevede l'obbligo di
risarcimento del danno ingiusto cagionato dalla
inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione
del procedimento.
[40] L'art. 2 del decreto prende in
considerazione il rapporto tra il ricorso in questione
con gli interventi degli organismi competenti con
funzione di regolazione e di controllo preposto al
settore interessato rispetto alle medesime condotte,
nonché con i giudizi instaurati ai sensi degli artt.
139, 140 e 140 bis del Codice del consumo, e stabilisce
la prevalenza di quest'ultime con conseguente
improponibilità del ricorso contro la pubblica
amministrazione. Se invece la class action pubblica è
proposta prima e successivamente è instaurato un
giudizio inibitorio ex art. 140 avverso la medesima
condotta, il giudice deve disporre la sospensione del
ricorso fino alla definizione del giudizio.
[41] Tale specificazione è in linea
con quanto ritenuto in giurisprudenza, cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 1 febbraio 2010, n. 413 «L'azione innanzi al
giudice amministrativo non rappresenta, un'azione
popolare che può essere esercitata dal quisque de
populo. Essa, al contrario, richiede l'esistenza sia
della legittimazione al ricorso (da intendersi come
titolarità di una posizione giuridica differenziata
rispetto alla collettività indifferenziata), sia di un
interesse al ricorso (da intendersi come utilità, anche
strumentale, che dall'accoglimento del ricorso può
comunque derivare).
Nel caso di specie, non si ravvisa
in capo ai ricorrenti alcuna situazione giuridica
differenziata che valga a distinguere la loro posizione
dal quisque de populo. Essi, al contrario, si fanno
portatori di un interesse (alla salubrità ambientale e
alla tutela della salute) che rimane allo stadio di mero
interesse diffuso, poiché nessuno di loro vanta, con
riferimento al bene di cui chiede tutela, aspettative
specifiche rispetto ad altri soggetti. Nessuno, in altre
parole è portatore di una posizione differenziata, visto
che ciascuno si trova nella stessa condizione in cui
versano le persone che appartengono alla collettività,
più o meno ampia, che è interessata al provvedimento
amministrativo..».
[42] La legittimazione del singolo
è subordinata alla lesione della propria sfera giuridica
corrispondente a quella di altri utenti-cittadini,
pertanto non sarà ammissibile per la tutela di posizioni
differenziate. I soggetti che si trovano nella medesima
situazione giuridica del ricorrente possono ai sensi
dell'art. 1, comma 4, intervenire nel termine di venti
giorni liberi prima dell'udienza di discussione del
ricorso.
[43] Ai sensi dell'art. 1, comma 4,
«il ricorso può essere proposto anche da associazioni o
comitati a tutela degli interessi dei propri associati,
appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori di
cui al 1° co.».
[44] L'azione di cui all'art. 140
cod. cons. non presenta, infatti, alcuna possibilità di
profitto.
[45] L'art. 77 c.p.c.
(Rappresentanza del procuratore e dell'institore)
dispone che «Il procuratore generale e quello preposto a
determinati affari non possono stare in giudizio per il
preponente, quando questo potere non è stato loro
conferito espressamente per iscritto, tranne per gli
atti urgenti e per le misure cautelari».
[46] Sulla rappresentanza
volontaria in giudizio, CARNELUTTI F., Rappresentanza
processuale volontaria, in Riv. dir. proc., 1956, 633;
DI BLASI, Rappresentanza in giudizio (diritto vigente),
in Novissimo Dig. it., XIV, Torino, 1967, 859 ss;
MANDRIOLI C., La rappresentanza nel processo civile,
Torino, 1959, 168 ss.; ID., Diritto processuale civile –
Nozioni introduttive e disposizioni generali, Torino,
2007, 321 ss.
[47] CARNELUTTI F., Rappresentanza
processuale volontaria, cit., 636 ss.; SATTA S.,
Commentario al codice di procedura civile, I, Milano,
1968, 265; MANDRIOLI C., La rappresentanza nel processo
civile, cit., 179. In giurisprudenza, Cass. 22 febbraio
1997, n. 1622 in Mass. Giur. It., 1997; App. Napoli,
sez. II, 30 maggio, 2008.
[48] L'orientamento della Suprema
Corte non è unanime circa l'esclusione di una
rappresentanza puramente processuale. Vi sono, infatti,
sentenze che hanno ammesso la conferibilità della
rappresentanza processuale anche a persone prive di
poteri rappresentativi negoziali: Cass. 9 novembre 1982
n. 5877, in Giur. it., 1983, I, 1, 1506, asserisce che
l'organo investito della rappresentanza legale di una
società con personalità giuridica può validamente
delegare ad altro soggetto, anche se estraneo alla
società, il potere di rappresentanza giudiziale della
società medesima, con il conseguente conferimento della
legittimazione processuale; Cass. 14 febbraio 1977 n.
681 in Foro it., 1977, I, 821, afferma che l'organo
investito della rappresentanza di una società di
capitali può delegare la rappresentanza in giudizio
della società ad un altro soggetto, anche estraneo alla
società, si richiama all'art. 77 c.p.c. e precisa che
tale norma ha solo la funzione di limitare i poteri del
rappresentante volontario, ossia di stabilire che
l'espresso conferimento per iscritto del potere
processuale è necessario, ma non avrebbe anche la
portata di stabilire che tale conferimento non è
sufficiente.
[49] Sul diritto di azione si
vedano le accurate osservazioni di ANDOLINA I.-VIGNERA
G., I fondamenti costituzionali della giustizia civile.
Il modello costituzionale del processo civile italiano,
Torino, 1997, 51 ss.
[50] L'art. 3 della direttiva
1998/27/CE, ora confluito nella direttiva 2009/22/CE,
individua quali enti legittimati all'azione inibitoria
gli organismi pubblici indipendenti, specificamente
preposti alla tutela degli interessi collettivi dei
consumatori e le organizzazioni aventi lo scopo di
tutelare gli interessi collettivi dei consumatori
contemplati nelle direttive elencate nell'allegato I,
secondo i criteri stabiliti dal diritto nazionale.
[51] V., T.a.r. Lazio, sez. I, 6
dic 2005 n. 13160; T.a.r. Lazio, sez. I, 23 febbraio
2006, n. 1373.
[52] Una pratica a cui
frequentemente ricorrono le associazioni consumeristiche
per avere conoscenza di eventuali comportamenti
illeciti, è il c.d. mystery shopping. Attraverso tale
metodologia di indagine diffusa le associazioni
rilevano, per mezzo dei consumatori addestrati, la
qualità dei prodotti o dei servizi, o l'uso di pratiche
commerciali scorrette, acquisendo per questa via utili
risultanze circa l'effettiva diffusione di una condotta
illecita sotto un profilo quantitativo e geografico.
[53] Così il Cons. Stato, 9 marzo
1973, n. 253 (in Foro it., 1974, III, 33, con nota di
Zanuttigh L.) riconosce la legittimazione
dell'associazione Italia Nostra ad agire a tutela degli
interessi diffusi all'ambiente, in quanto portatore di
interessi autonomi e distinti da quelli della generalità
dei cittadini, e individua quale indice di adeguata
rappresentatività la continuità dell'azione sul
territorio; Cons. Stato, Ad. Plen., 19 ottobre 1979, n.
24 (in Cons. Stato,1979, I, 1289) individua quale altro
indice di adeguata rappresentatività la capacità
organizzativa; Cons. Stato, 3 maggio 1995, n. 673 (in
Foro amm., 1995, 922) individua la finalità dello scopo
associativo alla tutela degli interessi per i quali si
agisce.
[54] Il Consiglio di Stato, 15 dic.
1998, n. 1884, ha affermato che in capo agli enti
esponenziali sussiste ope legis la legittimazione ad
agire in giudizio per la tutela dell'interesse
collettivo alla corretta organizzazione ed erogazione
dei pubblici servizi.
[55] Vedi DONZELLI R, La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., 407
ss.
[56] GIUSSANI A, Azioni collettive
risarcitorie nel processo civile, cit., 41 ss.
[57] La natura pubblica degli
interessi collettivi è stata sostenuta da taluni Autori
durante i primi anni del dibattito dottrinale sulla
figura degli interessi collettivi, VOCINO C., Sui
cosiddetti interessi diffusi, in Studi in memoria di
Salvatore Satta, vol. II, Padova, 1982, 1887, 1891, il
quale osserva che «...gli interessi pubblici non sono
generali nel senso che pertengono necessariamente
all'universalità dei cittadini, trovandosi sempre una
parte di questi a rimanervi estranea, e restando tali
anche quando coinvolgono una porzione della detta
universalità, siano riferibili a una data classe, a una
data categoria, a una comunità minore di quella
statuale....Gli interessi tipici che ci vengono
presentati come diffusi o collettivi sono presi in
carico, per virtù di innumerevoli disposizioni di legge,
dalla pubblica amministrazione. A prevenire e reprimere
la degradazione delle bellezze naturali...a garantire la
buona conservazione dei beni artistici e culturali...a
sorvegliare la correttezza della pubblicità e
dell'informazione di massa, sono predisposte miriadi di
leggi..e sono predisposti organi e uffici
dell'amministrazione pubblica»; SINAGRA L., Intervento
in Strumenti per la tutela degli interessi diffusi della
collettività, Atti del convegno nazionale, Bologna,
1981, 168, il quale afferma che con l'espressione
interessi diffusi si compie una ingiustificata
distinzione rispetto agli interessi pubblici e che «la
mancanza del requisito dell'individualità assimila
questo tipo di interessi con l'interesse generale....»;
PIZZORUSSO A., Interesse pubblico e interessi pubblici,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, 59, nota 6, rileva
invece che «..l'interesse collettivo si presenta come un
interesse pubblico se lo si guarda dal punto di vista
degli appartenenti a tale comunità minore, mentre dal
punto di vista della comunità maggiore assume una
posizione simile a quella degli interessi privati».
[58] MAZZIOTI M, voce Diritti
sociali, in Enc.dir., Milano, 1964, 804.
[59] BESSONE M., La tutela dei
consumatori oggi. Dalla consumer protection alla
garanzia costituzionale dei diritti inviolabili, in
Giur.it., 1986, IV, c. 302.
[60] Circolare Procura generale
della Repubblica di Torino, 12 maggio 2008, in Foro it.,
2008, V, c. 216. La circolare in effetti coinvolge due
distinte ipotesi di tutela collettiva dei consumatori:
la tutela degli interessi dei consumatori, oggetto
dell'azioni inibitorie ex artt. 37 e 140 cod. cons., e
la tutela dei diritti individuali omogenei dei
consumatori, oggetto di aggregazione processuale
mediante la proposizione dell'azione collettiva
risarcitoria ex art. 140 bis cod. cons. Evidenzia la
ricorrenza di fattispecie di pubblico interesse in
entrambe le ipotesi, CAPONI R., Una letteratura di
interrogativi in attesa della giurisprudenza, in Foro
it., 2008, V. c. 180,
[61] Cfr. MINERVINI V., L'Autorità
Garante della concorrenza e del mercato quale Autorità
di tutela del consumatore: verso una nuova forma di
regolazione dei mercati, in Riv. dir. comm., 4/2010.
[62] Il legislatore, limitatamente
al giudizio di ammissibilità dell'azione di classe, ha
previsto la possibilità dell'intervento del pubblico
ministero, disponendo al comma 5 dell'art. 140 bis cod.
cons. che «la domanda si propone con atto di citazione
notificato anche all'ufficio del pubblico ministero
presso il tribunale adito, il quale può intervenire
limitatamente al giudizio di ammissibilità».
[63] Sull'opportunità
dell'intervento del P.M. relativamente all'azione
inibitoria avverso l'utilizzo delle clausole abusive,
CONSOLO C. - DE CRISTOFARO M., Clausole abusive e
processo, in Corr. giur., 1997, 479.
[64] Com'è noto, la disposizione
prevede invece l'intervento obbligatorio del pubblico
ministero in tutte quelle cause che egli stesso avrebbe
potuto proporre, nelle cause matrimoniali, o sullo stato
delle persone. In entrambi i casi il pubblico ministero
può costituirsi in giudizio in qualsiasi momento, ha gli
stessi poteri istruttori delle parti nelle cause che
avrebbe potuto proporre, e nei limiti delle domande
proposte dalla parti nel caso di intervento facoltativo.
[65] In effetti, in quest'ambito ai
fini della valutazione dell'interesse pubblico non
dovrebbero esserci margini di discrezionalità nella
valutazione da parte del giudice e in quella successiva
del pubblico ministero. Rappresentando proprio questa
valutazione lo snodo centrale ai fini dell'intervento
del pubblico ministero.
[66] VIGORITI V., Interessi
collettivi e processo. La legittimazione ad agire, cit.,
239 ss., critica la possibilità di valorizzare le
funzioni del pubblico ministero per la tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi per due
ordini di ragioni: in primo luogo l'istituto del
pubblico ministero nel processo civile è espressione di
un superato modello giuridico, secondo cui i singoli
possono agire in giudizio solo per la tutela di
posizioni meramente individuali e che la difesa di
interessi di dimensioni diversa debba spettare ad organi
dello Stato; operando così si disconosce l'effettiva
consistenza del fenomeno e la portata innovativa,
ricadendo nella contrapposizione fra il «privato»,
inteso come meramente singolare, e il «pubblico»,
catalizzatore di quanto trascende l'individuale; in
secondo luogo perché il ruolo che effettivamente svolge
nell'ordinamento vigente pubblico dimostra come non
abbia mai esercitato i poteri di azione e di intervento
che la legge gli attribuisce in settori socialmente
molto rilevanti; nello stesso senso CAPPELLETTI M,
Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi
collettivi e diffusi, in Le azioni a tutela di interessi
collettivi, cit., 211 ss.; GRASSO E., Gli interessi
della collettività e l'azione collettiva, in Riv. dir.
proc., 1983, 47 ss., osservava che nell'ambito della
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, la
limitazione dei poteri del pubblico ministero fosse
esito di una interpretazione restrittiva, sul piano
letterale e sul piano sistematico, della normativa, e
specificatamente del diniego di conferire rilevanza
precettiva all'art. 73 del t.u. sull'ordinamento
giudiziario, secondo il quale il pubblico ministero «ha
azione diretta per fare eseguire ed osservare le leggi
di ordine pubblico e che interessano i diritti dello
Stato», limitando l'azione e l'intervento necessario del
pubblico ministero alle ipotesi indicate dall'art. 70
c.p.c. e da qualche legge speciale.
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