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ABSTRACT
Nel presente lavoro l'autrice si
propone di analizzare i rimedi processuali predisposti
dal legislatore a tutela degli interessi collettivi dei
consumatori, a mente degli artt. 37 e 140 del codice del
consumo. A tal fine si sofferma sul rimedio inibitorio
avverso la condotta illecita quale tecnica di tutela
specifica dei diritti dei consumatori, sul contenuto
delle misure correttive degli effetti dannosi della
condotta illecita, nonché sul rapporto intercorrente tra
siffatte misure e il provvedimento inibitorio, tentando
in ultima analisi di definire i confini tra lo strumento
di tutela collettiva di cui all'art. 140 cod. cons. e il
nuovo strumento processuale dell'azione di classe di cui
all'art. 140 bis cod. cons.
SOMMARIO: 1. Considerazioni
introduttive; 2. La tutela inibitoria: natura giuridica;
3. La tutela inibitoria come tecnica di tutela specifica
dei diritti individuali-collettivi dei consumatori; 4.
Le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti
dannosi; 4.1. Segue. Il rapporto tra le misure idonee a
correggere o eliminare gli effetti dannosi e il
provvedimento inibitorio della condotta lesiva; 4.2.
Segue. Definizione dei limiti delle misure
ripristinatorie anche alla luce della nuova azione di
classe; 4.3. Segue. Le misure ripristinatorie
nell'applicazione giurisprudenziale; 5. La tutela
inibitoria cautelare: funzione e presupposti.
1. Considerazioni introduttive.
I “nuovi” diritti attribuiti al
consumatore - come persona prima che come soggetto
contraente[1]- vanno al di là di una prospettiva
meramente patrimonialistica della relazione giuridica e
si caratterizzano per il loro essere conformi e
concorrenti, di talché il soddisfacimento di un
consumatore implica naturalmente il soddisfacimento
anche degli altri appartenenti alla categoria[2].
Si tratta di diritti complessi che
si protendono oltre i diritti dei singoli soggetti e si
intersecano con gli interessi pubblici; l'osservanza,
infatti, da parte del professionista nello svolgimento
dell'attività d'impresa degli obblighi comportamentali
statuiti dal legislatore realizza il soddisfacimento
della collettività dei consumatori e, nel contempo, il
regolare funzionamento del mercato.
Le peculiarità di tali diritti si
riflettono sulle tecniche funzionali alla loro tutela, e
proprio in ragione di queste la tecnica inibitoria si
palesa quale efficace strumento di reazione alle
condotte imprenditoriali lesive, capace di garantire la
tutela integrale della pluralità dei consumatori
mediante la cessazione della condotta illecita e il
ripristino della legalità[3]. Attese, infatti, le
attuali dinamiche di mercato, contraddistinte dalla
produzione in serie, dalla distribuzione e
contrattazione di massa - e dunque l'ampia estensione
spazio-temporale delle prassi imprenditoriali - gli atti
illeciti del professionista si concretizzano in
violazioni fisiologicamente perduranti o destinate a
ripetersi nel tempo. Così: un prodotto difettoso finché
commercializzato lederà il diritto alla qualità dei
prodotti del consumatore; un messaggio pubblicitario
ingannevole finché diffuso sarà lesivo del diritto del
consumatore[4] ad una adeguata informazione e ad una
pubblicità corretta; delle condizioni generali di
contratto abusive[5] finché utilizzate, o raccomandate,
dispiegheranno la lesione del diritto del consumatore
alla correttezza, trasparenza ed all'equità nei rapporti
contrattuali; e ancora la prestazione di un servizio
pubblico inferiore agli standard qualitativi sarà lesivo
del diritto all'erogazione di servizi pubblici secondo
standard di qualità e di efficienza.
A fronte di prassi illecite di
questo genere - lesive di interessi non suscettibili di
riparazione attraverso l'equivalente monetario - una
tecnica di tutela che si connota come strumento di
immediata attuazione del diritto violato, svolgendo la
duplice funzione di repressione della condotta illecita
in itinere e di prevenzione per il futuro, non può che
essere maggiormente incisiva rispetto alle tradizionali
tecniche di tutela. Ed è in linea con la dimensione
collettiva della lesione, poiché l'ottemperanza da parte
del professionista all'ordine inibitorio emesso dal
giudice produce, di fatto, effetti nei confronti di
tutti i soggetti titolari di un diritto conforme: il
ritiro dal mercato del prodotto difettoso o
l'eliminazione di una clausola vessatoria realizzano un
risultato pratico in favore di tutti i consumatori. In
più, il contenuto flessibile del provvedimento
inibitorio fa sì che il giudice, nell'esercizio della
sua discrezionalità, possa apprestare delle soluzioni
idonee alle particolarità della fattispecie dedotta in
giudizio[6].
L'Unione europea, che ha sempre
prestato rilevante attenzione ai diritti dei
consumatori, ha attribuito fin dai primi provvedimenti
in materia di consumo un ruolo primario alle tecniche
inibitorie. Diverse infatti sono le direttive che
contemplano il ricorso all'inibitoria collettiva: la
direttiva sulla pubblicità ingannevole (84/450/CEE), sui
contratti negoziati fuori dai locali commerciali
(85/577/CEE), sui viaggi, vacanze “tutto compreso”
(90/314/CEE), sulle clausole abusive nei contratti
stipulati con i consumatori (93/13/CEE), sulla vendita e
garanzie dei beni di consumo (99/44/CEE), e infine la
direttiva 98/27/CE (ora confluita nella direttiva
2009/22/CE) che, nell'ottica di promuovere
l'armonizzazione delle disposizioni legislative degli
stati membri e creare uno spazio giuridico europeo in
materia di consumi, ha prefigurato la tutela inibitoria
quale modello generale di tutela giurisdizionale e/o
amministrativa in tutti i settori di consumerism
regolati da direttive dell'Unione europea[7], elencate
nell'allegato annesso alla direttiva o che saranno
inserite qualora emanate successivamente[8].
Il legislatore italiano ha
ribadito, già con la l. 6 febbraio 1996, n. 52, in
materia di condizioni generali di contratto abusive, e
poi con la l. 30 luglio 1998 n. 281 (seppur non
costituisca legge di recepimento della direttiva sui
provvedimenti inibitori[9]), la policy comunitaria verso
il modello di tutela inibitoria, quale strumento
generale di protezione dei consumatori, anche in via
cautelare ove ricorrano giusti motivi d'urgenza[10].
Demandando, altresì, la possibilità di emanare
provvedimenti inibitori, oltre agli organi
giurisdizionali, all'Autorità Garante della concorrenza
e del mercato che può inibire la continuazione di
pratiche commerciali scorrette[11], con la conseguente
esistenza in tale ambito di una inibitoria
amministrativa e una giurisdizionale[12].
2. La tutela inibitoria: natura
giuridica.
In dottrina si è molto dibattuto
sulla natura della tutela inibitoria, e in particolare
sulla classificazione della relativa sentenza come
sentenza di accertamento, di condanna, costitutiva,
ovvero come species al di fuori della tradizionale
tripartizione delle forme di tutela giurisdizionale dei
diritti[13].
Il fervido dibattito circa
l'inquadramento dell'inibitoria scaturisce dal fatto che
la sua configurazione come tutela di accertamento, di
condanna o costitutiva si riverbera sul preminente
problema della configurabilità nel nostro ordinamento
della tutela inibitoria come modello generale di tutela
preventiva[14] – volta ad impedire che una violazione di
legge sia compiuta o ripetuta – al di là delle singole
ipotesi previste espressamente dalla legge. La
qualificazione come tutela di mero accertamento o di
condanna implicherebbe infatti la difficoltà di
sostenere la tipicità della tutela inibitoria, che
invece potrebbe discendere dal suo inquadramento come
tutela costitutiva[15].
Il dibattito dottrinale è scaturito
principalmente dall'entrata in vigore dello Statuto dei
lavoratori, e segnatamente dall'inammissibilità di
eseguire forzatamente l'ordine di reintegra del
lavoratore o di cessazione della condotta antisindacale.
L'impossibilità di intraprendere l'esecuzione forzata
del provvedimento a tutela del lavoratore, avente ad
oggetto una prestazione di fare infungibile o di una
prestazione di non fare, quindi incoercibile, ha indotto
taluni a mettere in discussione la natura giuridica
della tutela inibitoria, generalmente ritenuta
espressione della tutela di condanna[16].
Cosicché è stato sostenuto che,
stante la nozione tradizionale di condanna che correla
necessariamente la sentenza di condanna alla possibilità
di dar luogo all'esecuzione forzata della stessa[17], la
sentenza inibitoria – la cui esecuzione coattiva è
impossibile – non costituirebbe una sentenza di
condanna, ma una sentenza di accertamento mero
dell'illecito[18].
Senza voler sottovalutare le
difficoltà connesse all'esecuzione coattiva della
sentenza inibitoria in caso di inadempimento
dell'obbligazione derivante dalla stessa, ciò tuttavia
non può costituire il fondamento della qualificazione
della sentenza inibitoria come sentenza di mero
accertamento, la quale mira, in uno stato di incertezza
giuridica, esclusivamente alla dichiarazione
dell'esistenza o inesistenza di un diritto.
Diversamente, la tutela inibitoria non tende alla
dichiarazione dell'esistenza di un diritto contestato,
ma a fronte del non soddisfacimento del diritto a causa
dell'inosservanza di un dovere comportamentale, tende a
quella specifica prestazione da parte dell'autore della
violazione, attraverso l'ordine di cessare o non
ripetere il comportamento illecito, reintegrando in tal
modo il diritto leso dedotto in giudizio[19].
Secondo altri Autori la sentenza
inibitoria è inquadrabile tra i provvedimenti di
condanna nel caso in cui sia possibile conseguire
l'applicazione di misure coercitive[20], individuando in
questo modo la natura giuridica della sentenza
inibitoria in base ad elementi estrinseci, come la
previsione di misure coercitive[21], che in realtà non
incidono sul contenuto della sentenza inibitoria. Da
questa tesi ne discenderebbe che il provvedimento
inibitorio disciplinato inizialmente dalla L. 281/98 non
avrebbe configurato un provvedimento di condanna ma, a
seguito dell'introduzione all'art. 3 del comma 5-bis che
ha statuito l'applicazione delle misure coercitive in
caso di inadempimento dell'obbligo, esso avrebbe
acquisito la natura di provvedimento di condanna[22].
Epperò fuorviante collegare la natura di condanna o meno
del provvedimento all'eventuale applicazione di misure
coercitive in caso di sua violazione[23]. Esse, infatti,
pur assumendo particolare rilevanza in materia di
obblighi infungibili a prestazione continuata o
periodica - in quanto costituiscono misure compulsive ai
fini dell'adempimento della pronuncia - non possono
rappresentare il parametro cui riferirsi ai fini della
definizione del provvedimento inibitorio come
provvedimento cognitivo di condanna o meno.
Ad ogni modo, in riferimento alla
tesi surriferita, l'introduzione, attraverso il nuovo
art. 614-bis c.p.c.[24], di un sistema generale di
misure coercitive a contenuto pecuniario[25] - sul
modello delle astreintes francesi - a garanzia degli
obblighi di fare infungibili e degli obblighi di non
fare, implica che la sentenza inibitoria sia adesso
considerata sentenza di condanna.
Vi sono poi Autori che ritengono
che la sentenza inibitoria configuri una sentenza
costitutiva[26], in quanto il giudice nell'imporre il
vincolo di astensione da un comportamento, specifica in
relazione alle situazioni concrete gli ulteriori
comportamenti che il responsabile dovrà tenere, non solo
per non ripetere la violazione ma anche per non
perpetuarne le conseguenze, creando in questo modo una
regola che prima non esisteva[27]. In senso contrario, è
però da rilevare che il giudice accertata l'illiceità di
un determinato comportamento impone esclusivamente il
rispetto della norma di legge violata; e se poi
nell'ordinare all'obbligato di astenersi per il futuro
da un determinato facere stabilisce discrezionalmente le
modalità di attuazione di quell'ordine, ciò non vuol
dire che siano stati creati obblighi prima inesistenti,
in quanto si tratta di modalità comunque ricavate dal
comportamento vietato dalla legge[28].
Invero, per comprendere la natura
della sentenza inibitoria bisogna muovere dalla
negazione dell'equazione condanna ed esecuzione forzata,
che ormai trova ampio supporto nella dottrina più
recente[29] e nella giurisprudenza di legittimità[30], e
guardare al suo contenuto.
Abbiamo già detto che la sentenza
inibitoria è finalizzata a bloccare un illecito a
carattere continuativo o suscettibile di ripetersi, e a
tal fine il giudice compie l'accertamento dell'illiceità
della condotta, accertamento che implica necessariamente
l'ordine alla parte soccombente di cessazione anche per
il futuro, poiché l'interesse all'osservanza della norma
sostanziale violata non è circoscritto solo al momento
in cui si chiede tutela. Essa è, dunque, composta da un
capo di accertamento dell'illiceità di un comportamento
e da un capo condannatorio di cessazione del
comportamento e obbligo di astensione dal compierlo
nuovamente. Sicché, la sentenza inibitoria esplica il
suo effetto precettivo anche sullo sviluppo successivo
della situazione giuridica soggettiva, e l'eventuale
reiterazione del medesimo comportamento illecito non
richiederà l'instaurazione di un nuovo giudizio[31].
In esito a tali considerazioni, la
dottrina prevalente ritiene che il provvedimento
inibitorio, col quale viene imposta l'osservanza per il
presente e per il futuro della regola di condotta
violata, rappresenti una pronuncia di condanna[32], il
cui contenuto consiste nell'ordine rivolto ad una parte
del processo di astenersi in futuro dal ripetere
determinati atti commessi in violazione di obblighi di
non fare che si aggiunge alla pronuncia di accertamento
della esistenza e della violazione del diritto.
L'idea è, peraltro, avvalorata
dalla Suprema Corte che si è espressa a favore
dell'ammissibilità della condanna ad un facere
infungibile e incoercibile, rilevando che la relativa
decisione non solo è potenzialmente idonea a produrre i
suoi effetti tipici in conseguenza dell'eventuale
esecuzione volontaria da parte del debitore, ma è
altresì funzionale alla produzione di ulteriori
conseguenze giuridiche derivanti dall'inosservanza
dell'ordine in essa contenuto, che il titolare del
rapporto è autorizzato ad invocare in suo favore, prima
fra tutte la possibile successiva domanda del
risarcimento del danno, rispetto alla quale la condanna
ad un «facere» infungibile assume valenza sostanziale di
sentenza di accertamento[33].
3. L'inibitoria come tecnica di
tutela specifica dei diritti individuali-collettivi dei
consumatori.
Tradizionalmente l'inibitoria si
colloca nel solco delle tecniche di tutela preventiva,
poiché demandata ad intervenire in un momento in cui
l'illecito non si è ancora perpetrato o non si è
perpetrato del tutto, ovvero nel caso in cui sia
suscettibile di reiterazione in maniera analoga[34]. Con
la pronuncia inibitoria si ordina la cessazione o
l'inibizione di una condotta illecita[35], imponendo
all'autore della condotta lesiva di astenersi per il
futuro da comportamenti dei quali sia accertata
l'antigiuridicità. Si tratta di un provvedimento
essenzialmente rivolto al futuro, e se esperito a fronte
di un illecito che si è già completamente realizzato si
giustifica se l'atto non abbia già esaurito i suoi
effetti o se sia presumibile il successivo
reiterarsi[36].
Al contrario, le tecniche di tutela
risarcitoria e ripristinatoria intervengono ad illecito
già compiuto mediante la corresponsione di un
controvalore monetario del bene[37] o il ripristino
delle condizioni di fatto o di diritto preesistenti alla
violazione.
Nel sistema “bipolare” di tutela
collettiva dei consumatori[38] il nostro legislatore, ha
modulato negli artt. 37 e 140 del codice del consumo, in
armonia con la direttiva comunitaria 98/27 (ora
2009/22/CE), una tutela di tipo prettamente
inibitorio[39], che rappresenta lo strumento principe
della consumer protection.
Entrambe le norme fanno riferimento
alla cessazione di una condotta illecita imprenditoriale
già in atto, posto che l'attualità della condotta
imprenditoriale lesiva rappresenta la stessa ragion
d'essere dell'azione inibitoria a tutela degli interessi
collettivi dei consumatori. Tuttavia, il ricorso
all'azione inibitoria si giustifica ugualmente se la
condotta lesiva si è completamente realizzata (venendo
meno il presupposto dell'attualità della condotta),
laddove vi sono fatti e/o circostanze concrete che fanno
presumere la sua reiterazione con vicina probabilità, e
non come astratta possibilità. In presenza quindi di
indizi sufficienti circa l'iter di approntamento
dell'illecito[40] è possibile esperire l'inibitoria
collettiva, e in tale ipotesi il giudice deve valutare
l'illiceità della condotta - non più in atto - e rendere
poi, sulla base degli elementi acquisiti, un giudizio
prognostico sull'imminente reiterazione, nel quale trova
fondamento l'ingiunzione al professionista di astenersi
dal quella condotta.
La possibilità di promuovere
un'azione collettiva inibitoria a fronte di una condotta
illecita già esaurita è esplicitamente espressa nella
Ley General para la defensa de los consumidores y
usuarios, emanata dall'ordinamento spagnolo in
attuazione della medesima direttiva comunitaria
98/27[41]. L'art. 53 (Acciones de cessaciòn),
disciplinante l'azione inibitoria a tutela dei
consumatori, dispone in termini molto chiari che
l'azione inibitoria diretta a ottenere una sentenza che
condanna il convenuto alla cessazione della condotta e
alla sua proibizione per il futuro, potrà essere
esercitata anche quando la condotta si sia esaurita al
momento dell'esercizio dell'azione, se esistono indizi
sufficienti che fanno temere l'immediata
reiterazione[42].
È da dire che attesa la
peculiarità delle situazioni soggettive in gioco –
caratterizzate da un contenuto non patrimoniale e dalla
indifferenziazione del danno determinato dalla condotta
contra ius del professionista – gli strumenti di tutela
predisposti dal legislatore sono indirizzati verso
tecniche di tutela specifica e non verso la tradizionale
tutela risarcitoria[43], non idonea a garantire il
bisogno di tutela di siffatte situazioni a fronte di
condotte illecite continuative o ripetitive[44]: essa si
risolve in una monetizzazione del danno senza certezza
del rispetto in futuro delle regole comportamentali. I
provvedimenti a contenuto risarcitorio o restitutorio,
per loro natura rivolti al passato, non colpiscono la
lesione giuridica per sé stessa, ma sono in funzione del
danno che ne è derivato, tutelando in via indiretta
diritti essenzialmente individuali[45].
Nel giudizio inibitorio il
giudice si limita a rilevare il danno-evento, inteso
quale lesione in sé delle situazioni dedotte in
giudizio, e non i danni-conseguenza attinenti le singole
sfere dei consumatori[46]. Così, ad esempio, viene
valutata la pericolosità di un prodotto per la salute,
ma non i concreti danni arrecati ai singoli consumatori
o l'ingannevolezza di una pratica commerciale al di là
degli effetti della pratica rispetto al singolo
consumatore.
I consumatori per via dell'ordine
di cessazione del comportamento illecito e della
conseguente condanna del professionista a tenere un
comportamento modellato sull'obbligo violato sono
tutelati in via diretta, ottenendo ciò che era garantito
dal contenuto del diritto, ovvero la piena
reintegrazione del diritto. E, sebbene il concetto di
inibitoria evochi un ordine di non fare, tutte le volte
che la violazione si sostanzi in una condotta illecita
omissiva l'ordine del giudice può consistere
nell'imposizione di un facere. D'altronde, l'inibitoria
positiva anche se non espressamente contemplata dal
legislatore è già ampiamente applicata dalla
giurisprudenza in tema di immissioni (art. 844 c.c.), di
diritto d'autore e, in generale, di provvedimenti
d'urgenza.
Sicché il rimedio inibitorio, in
armonia con il principio di effettività della tutela
giurisdizionale – inteso nel senso del principio
chiovendiano, secondo il quale “il processo deve dare al
titolare di un diritto tutto quello e proprio quello che
ha diritto di ottenere”–, assurge a tutela specifica di
riparazione della lesione, che va per sua natura a
vantaggio di tutti i soggetti lesi dalla condotta
illecita[47]. È un mezzo di reazione al compimento di un
illecito in atto o già compiuto ma che può reiterarsi,
finalizzato a far conseguire lo specifico interesse che
si sarebbe realizzato in assenza dell'illecito e non
utilità equivalenti.
Tuttavia, è vero anche che la
condotta illecita del professionista spesso costituisce
uno dei fatti costituivi del diritto risarcitorio o
restitutorio del consumatore, così ad esempio la
pubblicità ingannevole di un prodotto può essere
elemento costitutivo del diritto soggettivo al
risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali
ex art. 2043 c.c.[48]. Può allora rilevarsi che l'actio
inibitoria costituisce al tempo stesso uno strumento di
tutela preventiva di altri diritti. In altri termini,
atteso che la lesione dei diritti individuali-collettivi
si è già perpetrata, l'inibitoria appare idonea anche a
prevenire la lesione di ulteriori diritti, ovvero di
quei diritti individuali-esclusivi dei consumatori che
sovente – unitamente ad ulteriori elementi –
scaturiscono dal comportamento sanzionato come
illegittimo dal codice del consumo. Dunque, tutela
preventiva sì ma nel senso qui individuato: tutela che
previene il compimento di altro illecito.
Ed anche nel caso in cui è
privilegiata l'interpretazione che l'azione inibitoria
può essere promossa dal singolo consumatore[49], essa
non costituisce un ulteriore presidio difensivo munito
dal legislatore per la tutela di tradizionali diritti,
ma rappresenta lo strumento deputato a far rispettare il
comportamento doveroso del professionista/produttore, il
cui mancato rispetto comporta la violazione dei nuovi
diritti riconosciuti dall'art. 2 cod. consumo, diritti
che si caratterizzano per l'esser corrispondenti ai
diritti di una moltitudine di consumatori.
Infine, preme precisare che,
sebbene il diritto alla tutela degli interessi economici
non sia contemplato dall'art. 2 (a differenza della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea) e
tendenzialmente si ritenga che gli imprenditori siano
gli unici destinatari della tutela prevista dalla
disciplina antitrust, deve ritenersi che l'azione
inibitoria sia ammissibile anche nell'ipotesi di un
comportamento anticoncorrenziale[50], comportamento da
rapportare alla lesione del diritto alla correttezza,
trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali[51].
4. Le misure idonee a correggere
o eliminare gli effetti dannosi .
Lo strumento di tutela degli
interessi collettivi dei consumatori, tratteggiato dal
legislatore nell'art. 140 cod. cons., non si presenta
quale esclusivamente inibitorio - ovvero volto solo al
protrarsi della condotta lesiva in futuro - poiché la
stessa disposizione, oltre l'ordine di pubblicazione del
provvedimento su uno o più quotidiani, prevede che
l'azione possa essere volta alla rimozione degli effetti
dannosi causati dal comportamento illecito posto in
essere[52]. Nulla è, invece, previsto in tal senso dalla
disciplina concernente l'inibitoria contrattuale (art.
37 cod. cons.), sebbene in dottrina e in giurisprudenza
sia pacifico che il rinvio del comma 4 dell'art. 37 -
per quanto da esso non previsto - all'art. 140 cod.
cons. implica la possibilità di adottare misure idonee a
correggere od eliminare gli effetti dannosi anche in
materia di condizioni generali di contratto abusive[53].
La disposizione ha posto
all'attenzione della dottrina due problemi: il contenuto
da attribuire a siffatte misure e il rapporto
intercorrente tra esse e il provvedimento inibitorio del
comportamento lesivo degli interessi collettivi dei
consumatori e utenti.
Il primo problema deriva dal fatto
che il legislatore ha previsto per i soggetti
legittimati ad agire la possibilità di richiedere al
tribunale di «adottare misure idonee a correggere od
eliminare gli effetti dannosi delle violazioni
accertate» ma non ha predeterminato il contenuto,
rimettendo così alla discrezionalità del giudice la
scelta.
Siffatte misure possono quindi
assumere il contenuto più vario in relazione alle
concrete esigenze di tutela, senza però poter giungere
alla restituzione di somme di denaro o al risarcimento
del danno subito da ciascun consumatore a seguito della
condotta illecita di cui si chiede la cessazione[54]. Si
tratta di misure che non possono rivolgersi a
consumatori o utenti determinati e che comportano un
facere uguale per tutti. Infatti, l'espressione “effetti
dannosi” delle violazioni non è da rapportare ai
pregiudizi ulteriori eventualmente subiti dai
consumatori ma all'atto illecito, pregiudizievole di per
sé[55]; dunque, da intendere come effetti della
violazione dell'interesse collettivo tutelato, la cui
permanenza contribuisce a protrarre la lesione degli
interessi collettivi dei consumatori o utenti.
D'altra parte, al fine del
riconoscimento di eventuali danni prodotti ai
consumatori devono ricorrere elementi - la cui prova è a
carico di chi esercita la pretesa risarcitoria - quali
l'ingiustizia del danno, la quantificazione del danno,
il nesso causale tra questo e la condotta illecita,
l'elemento soggettivo del dolo o della colpa del
professionista; tutti elementi che esulano dall'ambito
del giudizio inibitorio che si fonda su una valutazione
collettiva e indifferenziata.
Sicché, può considerarsi misura
idonea all'eliminazione degli effetti della violazione,
ad esempio, la campagna di richiamo di un prodotto
difettoso, la pubblicazione di un messaggio informativo
circa l'illiceità di una pratica commerciale nella home
page del sito web dell'azienda, l'ordine di distruzione
di un prodotto altamente pericoloso, la correzione di
una etichetta mendace, la comunicazione rettificativa di
un messaggio pubblicitario ingannevole, l'invio di una
e-mail agli utenti di un servizio, la correzione di una
clausola poco chiara o anche l'ordine di rettifica delle
condizioni contrattuali[56], etc.
A scopo esemplificativo: se un tour
operator attua ripetutamente una pratica commerciale
scorretta mediante un opuscolo informativo inerente la
vendita di un pacchetto turistico[57] – in realtà
qualitativamente inferiore rispetto a quello
pubblicizzato – il giudice, in esito ad una azione
promossa ai sensi dell'art. 140 cod. cons. da una
associazione dei consumatori, con il provvedimento
inibitorio ordina la cessazione della pratica illecita e
poi come misura idonea a correggere gli effetti dannosi
della pratica può ordinare l'invio di una lettera a
tutti gli acquirenti del pacchetto turistico, che non
hanno ancora usufruito dello stesso, con cui si informa
dell'attuazione della pratica illecita, ma non può
ordinare rispetto ai consumatori che abbiano già
usufruito del pacchetto di aver diritto, ad esempio, ad
un bonus pari ad un tot per l'acquisto di altro
pacchetto. In tal caso, infatti, il provvedimento
costituirebbe una condanna di risarcimento in forma
specifica a favore di consumatori determinati. D'altra
parte nel settore dei servizi turistici il codice del
consumo contiene una considerevole normativa in favore
del consumatore[58], e il non considerare misure idonee
alla correzione degli effetti dannosi ai sensi dell'art.
140, lett. b) quelle misure dirette ai consumatori che
hanno già subito un pregiudizio ulteriore dal
comportamento illecito del professionista, a mio avviso,
non implica una mancanza di tutela per il consumatore.
4.1. Segue. Il rapporto tra le
misure idonee a correggere o eliminare gli effetti
dannosi e il provvedimento inibitorio della condotta
lesiva.
L'altro problema che si è posto
all'attenzione della dottrina riguarda il rapporto
intercorrente tra siffatte misure - volte alla rimozione
degli effetti dannosi - e il provvedimento inibitorio.
Secondo parte della dottrina
l'adozione di misure idonee ad eliminare gli effetti
dannosi delle violazioni accertate costituirebbe un
rimedio autonomo, e come tale ammissibile anche
indipendentemente dalla pronuncia inibitoria dell'atto o
comportamento illecito[59].
Tale soluzione ricostruttiva è
stata talora confermata in giurisprudenza: così il
Tribunale di Roma, in materia di pay-tv, in esito ad
un'azione promossa in via d'urgenza non ha emesso alcun
provvedimento inibitorio e ha ordinato l'adozione di
misure idonee alla rimozione degli effetti dannosi[60],
atteso che al momento della proposizione della domanda
la pratica commerciale scorretta si era ormai esaurita;
analogamente il Tribunale di Palermo, in materia di
interessi anatocistici, non ha emesso alcun
provvedimento inibitorio ma ha dichiarato la
vessatorietà di una clausola applicata dalla Banca sino
al 2000 e ha ordinato alla Banca, come misura idonea
all'eliminazione degli effetti dannosi della condotta
illecita, di astenersi dal respingere le domande
avanzate dai titolari di rapporto di conto corrente
dirette alla ripetizione di somme corrisposte in
eccedenza[61].
Invero, tali provvedimenti di
questo tipo sono frutto della confusione tra gli
interessi collettivi e i diritti individuali omogenei
dei consumatori[62], confusione che si riflette sulla
ricostruzione del contenuto delle misure rese ai sensi
dell'art. 140, lett. b) cod. cons., nonché
sull'autonomia del rimedio rispetto al provvedimento
inibitorio del comportamento illecito del
professionista.
Sulla scorta dei rilievi svolti
sulle misure correttive della condotta lesiva, quali
misure che non possono rivolgersi a consumatori o utenti
e che comportano un facere uguale per tutti, ne discende
che tale rimedio non può essere interpretato come misura
alternativa o autonoma rispetto al provvedimento di cui
alla lett. a), ma come rimedio che può accompagnarsi
all'accoglimento dell'inibitoria per la rimozione delle
conseguenze dell'illecito[63], in grado di rafforzare
l'efficacia del provvedimento a tutela degli interessi
collettivi. E, dunque, non rimedio riparatorio
successivo ad una violazione già perpetrata ed
esauritasi, in quanto coessenziale al rimedio inibitorio
è il perdurare dell'illecito o il probabile reiterarsi
nella stesse modalità.
Qualora, invece, si ritenesse che
il rimedio ripristinatorio sia autonomo rispetto
all'inibitoria dell'utilizzo di una clausola abusiva o
di un comportamento lesivo degli interessi collettivi, e
come tale esperibile dall'ente rappresentativo anche nel
caso in cui la condotta illecita sia cessata, le misure
correttive – che presuppongono l'accertamento del
giudice dell'abusività della clausola o l'illegittimità
del comportamento del professionista – sarebbero per
forza di cose volte al passato e non potrebbero che
consistere in provvedimenti che impongono un facere a
favore dei consumatori o utenti che abbiano subito dei
danni nella loro sfera individuale a causa di uno stesso
comportamento illecito, la cui soddisfazione
implicherebbe la reintegrazione dei singoli patrimoni.
Diversamente, il rimedio inibitorio della condotta
illecita prescinde dagli ulteriori effetti
pregiudizievoli subiti dai consumatori rispetto alla
lesione degli interessi collettivi - laddove il
pregiudizio è in re ipsa - e soddisfa congiuntamente
ciascuno e tutti i componenti della categoria dei
consumatori[64].
In altri termini, mediante l'azione
delle associazioni dei consumatori – la cui autonoma
legittimazione concerne solo la tutela dei diritti
individuali-collettivi[65] – verrebbero fatte valere
situazioni differenti rispetto alle situazioni oggetto
di tutela del provvedimento inibitorio, diretto alla
tutela dei diritti contemplati dall'art. 2 cod. cons.
(diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti, del
diritto all'esercizio delle pratiche commerciali secondo
principi di buona fede, correttezza e lealtà, diritto
all'adeguata informazione e corretta pubblicità, diritto
alla correttezza e all'equità nei rapporti contrattuali,
etc.), con il conseguente ampliamento del meccanismo
processuale di tutela collettiva concepito dal
legislatore per la tutela degli interessi collettivi dei
consumatori, come emerge già nell'incipit dell'art. 140
cod. cons.: «I soggetti di cui all'articolo 139 sono
legittimati nei casi ivi previsti ad agire a tutela
degli interessi collettivi dei consumatori e degli
utenti richiedendo al tribunale...». Si tratterebbe di
situazioni differenti che richiedono strumenti
processuali differenti.
A titolo esemplificativo, se un
produttore per un certo lasso di tempo ha immesso sul
mercato un prodotto difettoso violando il diritto dei
consumatori alla sicurezza e alla qualità dei
prodotti, l'associazione rappresentativa dei
consumatori non potrà più agire per un provvedimento
inibitorio se il prodotto in vendita ormai non presenta
più quel difetto, ma non potrà neanche agire per
chiedere una misura ripristinatoria, come la
sostituzione del prodotto per coloro che lo avevano già
acquistato, poiché questo costituirebbe un rimedio in
forma specifica dei diritti strettamente individuali dei
consumatori. La sostituzione del prodotto andrebbe a
soddisfare l'interesse dei consumatori all'esatta
esecuzione del contratto di vendita, ma non l'interesse
collettivo dei consumatori. Non direi, però, che nella
fattispecie l'assenza di una forma di tutela collettiva
integri un vuoto di tutela per il consumatore, in quanto
il legislatore in tema di vendita dei beni di
consumo[66] ha predisposto una normativa di forte tutela
del consumatore, statuendo la responsabilità del
venditore finale (che ai sensi dell'art. 131 cod. cons.
ha il diritto di regresso nei confronti del soggetto o
dei soggetti responsabili facenti parte di una catena
contrattuale distributiva) per qualsiasi difetto di
conformità del bene che si manifesta entro il termine di
due anni e il diritto del consumatore al ripristino,
senza spese, della conformità del bene mediante
riparazione o sostituzione, ovvero ad una congrua
riduzione del prezzo o alla risoluzione del
contratto[67]. Il consumatore ha soltanto l'onere di
denunciare entro il termine di due mesi dalla data in
cui ha scoperto il difetto e in ogni caso, salvo prova
contraria, i difetti di conformità che si manifestano
entro sei mesi dalla consegna del bene si presumono
esistenti già a tale data[68]. E, merita un cenno anche
la disposizione che sancisce che nel caso il consumatore
abbia subito un danno, egli deve provare il difetto, il
danno e la connessione causale; e se è verosimile che il
danno sia stato causato da un difetto del prodotto, il
giudice può ordinare che le spese della consulenza
tecnica siano anticipate dal produttore[69].
A questo impianto normativo
tendente a riequilibrare le asimmetrie tra il
professionista e il consumatore, soggetto debole[70], si
aggiunge poi il nuovo mezzo di tutela collettiva
dell'azione di classe a mente dell'art. 140 bis cod.
cons., esperibile anche per la tutela dei diritti
identici spettanti ai consumatori finali di un
determinato prodotto nei confronti del relativo
produttore[71]. Pertanto, lo stesso consumatore
danneggiato dall'acquisto del prodotto difettoso, che
vanta una posizione giuridica soggettiva caratterizzata
da omogeneità rispetto a quella di altri acquirenti del
medesimo prodotto, può avviare un'azione di classe
(anche se ipotesi poco realistica, in quanto
difficilmente il consumatore dispone dei mezzi necessari
per gestire un'azione di classe), oppure può dare
mandato a un'associazione di consumatori[72], secondo il
meccanismo della rappresentanza processuale, o potrà
aderire all'azione di classe già promossa per
l'accertamento della responsabilità del produttore e la
sua condanna al risarcimento del danno e alle
restituzioni, non sopportando così le spese processuali.
E anche nel caso in cui si tratti
di prodotti pericolosi poi ritirati dal mercato, a mio
avviso, l'associazione rappresentativa non potrà agire
attraverso il meccanismo processuale dell'art. 140 cod.
cons. e, qualora si manifestasse la necessità di una
campagna informativa circa la pericolosità dei prodotti
già commercializzati, il ricorso giurisdizionale ex art.
140 non appare essere l'unica via percorribile a tal
fine, atteso che l'ordinamento in questi casi assicura
altri meccanismi di tutela che, verosimilmente,
dovrebbero essere anche più rapidi. Il singolo
consumatore infatti, e a fortiori le associazioni
esponenziali, possono presentare un reclamo alle
amministrazioni che si occupano del controllo che i
prodotti immessi sul mercato siano sicuri (art. 106 cod.
cons.), le quali possono disporre l'informazione dei
consumatori circa i rischi presentati dal prodotto, i
cui costi sono posti a carico del produttore, e ove ciò
non sia in tutto o in parte possibile, a carico del
distributore[73]. L'immissione sul mercato di prodotti
pericolosi configura, peraltro, reato ai sensi dell'art.
112 cod. cons[74].
Per concludere, quando il
comportamento plurioffensivo del professionista si è già
verificato ed esaurito ciò che assume reale importanza
in termini di effettività della tutela giurisdizionale è
la possibilità di far valere mediante un'unica azione
risarcitoria o restitutoria i diritti dei consumatori
vittime della stessa condotta. E, seppur nell'ottica
dell'effettività della tutela del consumatore, lo
strumento inibitorio, concepito nell'art. 140 cod.
cons., non può esser piegato fino a giungere a risultati
perseguibili solo tramite un'azione di classe o
un'azione individuale, in quanto strutturalmente e
funzionalmente inadeguato.
Si tratta di situazioni differenti
che invero richiedono strumenti processuali differenti.
4.2. Segue. Definizione dei limiti
delle misure ripristinatorie anche alla luce della nuova
azione di classe.
Ad ulteriore conferma delle
precedenti osservazione, contribuisce il confronto con
il nuovo istituto dell'azione di classe di cui all'art.
140 bis[75], attraverso il quale è possibile comprendere
meglio i confini entro cui le misure ripristinatorie
possono operare, onde evitare duplicazione di meccanismi
di tutela con risultati inevitabilmente contraddittori.
Come è noto, il legislatore con il
nuovo art. 140 bis – con cambio di rotta rispetto al
testo approvato nel 2007, rubricato «azione collettiva
risarcitoria» – ha introdotto l'azione di classe, il cui
fulcro è la tutela dei diritti individuali omogenei dei
consumatori e degli utenti. A tal fine la sentenza che
definisce il giudizio procederà all'accertamento della
responsabilità del professionista e alla sua condanna al
risarcimento del danno e alle restituzioni spettanti ai
consumatori aderenti. E, di regola, la sentenza
procederà anche alla liquidazione del danno per gli
aderenti, qualora però non sia possibile emanare una
sentenza con precisa liquidazione (verosimilmente nella
maggior parte dei casi) la sentenza si limiterà ad
accertare il diritto risarcitorio o restitutorio dei
consumatori, determinando i criteri omogenei per la
liquidazione del danno[76].
Ebbene, è di tutta evidenza che
nell'applicazione giurisprudenziale dell'azione
inibitoria, mediante la diffusa ricostruzione estensiva
delle misure idonee alla eliminazione degli effetti
dannosi di cui all'art. 140 lett. b) cod. cons., è stato
raggiunto lo stesso risultato, con la sola differenza
della mancata indicazione dei criteri di liquidazione.
Infatti, dette misure, si sono configurate come
provvedimenti di accertamento del diritto risarcitorio o
restitutorio dei consumatori, alla stregua dei
provvedimenti ora ottenibili attraverso l'azione di
classe.
Come già detto, trattasi di
provvedimenti che non sono espressione della tutela
degli interessi collettivi.
Tale conclusione trova un appiglio
anche nel nuovo testo dell'art. 140 bis, ove rispetto
alla precedente versione è venuto meno il riferimento
alla tutela degli interessi collettivi: «Le associazioni
di cui al comma 1 dell'art. 139 e gli altri soggetti di
cui al comma 2 sono legittimati ad agire a tutela degli
interessi collettivi dei consumatori e degli utenti
richiedendo al Tribunale...»[77], ora così
modificato: «I diritti individuali omogenei dei
consumatori e degli utenti di cui al comma 2 sono
tutelabili anche attraverso l'azione di classe..».
Verosimilmente, il legislatore italiano, che non ha
particolare dimestichezza con le nozioni di interesse
collettivo e di diritti individuali omogenei, si è
avveduto dell'erroneo utilizzo della nozione di
interesse collettivo a fronte di provvedimenti volti
invece alla tutela di diritti individuali omogenei.
E, in linea con ciò, si appalesa
l'attribuzione della legittimazione a ciascun componente
del gruppo, titolare dei diritti che intende tutelare
mediante l'azione di classe, e l'abbandono della
precedente impostazione che consentiva esclusivamente
alle associazioni rappresentative dei consumatori di
prendere iniziative in ordine alla promozione di
un'azione di classe; esse adesso possono avviare
un'azione di classe ma solo se ricevono - anche da parte
di un solo consumatore - di un apposito mandato.
Ad ogni modo, la soluzione
giurisprudenziale estensiva delle misure ripristinatorie
- comprensibile in assenza di uno strumento processuale
di tutela dei diritti individuali omogenei - allo stato
dell'arte sarebbe sistematicamente incompatibile, in
quanto implicherebbe risultati contraddittori e
illogici.
Mi spiego.
Ritenere infatti che l'azione
inibitoria ex art. 140 cod. cons. possa concludersi,
oltre che con l'ordine di cessazione della condotta
illecita, con l'accertamento del diritto al risarcimento
del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai
singoli, implica che si verrebbe a creare la seguente
situazione: da una parte, un meccanismo di tutela
collettiva più agevole, riguardante tutta la categoria
dei consumatori di un determinato prodotto o servizio,
con una sorta di meccanismo di opt-out[78], in quanto
tutti i consumatori potrebbero giovarsi del risultato
favorevole della sentenza passata in giudicato senza un
meccanismo di adesione all'azione; poichè in assenza di
indicazioni sull'estensione del giudicato collettivo, si
segue la regola - propria delle obbligazioni solidali ex
art. 1306 c.c. - dell'efficacia secundum eventum litis,
con il vantaggio di non esser vincolati alla sentenza di
rigetto; non è però prevista alcuna efficacia
dell'azione promossa dall'associazione ai fini
prescrittivi dell'azione del singolo consumatore, quindi
il consumatore danneggiato che voglia agire in giudizio,
eviterà di attendere l'esito di quel giudizio ai fini
dell'accertamento del diritto risarcitorio o
restitutorio, con conseguente dispendio di risorse
giudiziarie; e in più, l'eventuale sentenza che accerti
l'illiceità del comportamento imprenditoriale e il
diritto restitutorio o risarcitorio dei consumatori, non
costituirebbe titolo esecutivo per il singolo
consumatore.
Dall'altra parte, si porrà invece
un meccanismo che prevede un giudizio di ammissibilità,
un sistema di autoinclusione dei consumatori danneggiati
(opt-in), che comporta la rinuncia a ogni azione
risarcitoria fondata sul medesimo titolo, gli effetti
interruttivi della prescrizione[79] e l'estensione del
giudicato, sia negativo che positivo, nei confronti
degli aderenti e la formazione del titolo esecutivo.
Tuttavia, alle presenti
considerazioni fa da contraltare il rilievo che i
provvedimenti inibitori collettivi ex art. 140 cod.
cons. sono per la maggior parte adottati in via
cautelare e non come provvedimenti inibitori ordinari in
esito ad un giudizio di merito. Rilievo che suscita
l'interrogativo circa la reale efficacia di un
accertamento - compiuto nei limiti della cognizione
sommaria cautelare – dell'illiceità della condotta
imprenditoriale e del diritto risarcitorio o
restitutorio rispetto ai singoli consumatori lesi. Al
quale si aggiunge il dubbio se essi possano agire per
ottenere il rispetto del provvedimento giudiziale.
4.3. Segue. Le misure
ripristinatorie nell'applicazione giurisprudenziale.
Il rimedio di cui alla lett. b)
dell'art. 140 cod. cons. nell'applicazione
giurisprudenziale ha rappresentato l'alveo per allargare
le maglie del provvedimento giudiziale spingendosi oltre
la tutela degli interessi collettivi e sconfinando nella
tutela di diritti individuali omogenei dei consumatori -
distinti da quei diritti elencati nell'art. 2 cod.
cons., a tutela dei quali si chiede l'inibitoria della
condotta illecita - in quanto pluralità di diritti
individuali sorti in occasione di una stessa illecita
condotta imprenditoriale o di una condotta ripetuta, che
è l'origine del danno comune a tutti, e che possono
essere soddisfatti solo mediante la reintegrazione
patrimoniale[80]. Diritti, coinvolgenti profili
individuali, per la cui tutela le associazioni
consumeristiche non possono agire autonomamente.
É emblematica in tal senso la
sentenza del Tribunale di Torino[81], riguardante la
vicenda dei contratti conclusi tra Wind e gli utenti,
aventi ad oggetto il servizio di accesso diretto alla
rete telefonica ed eliminazione del canone Telecom. Con
tale pronuncia il Tribunale di Torino ha inibito
l'utilizzo delle clausole contrattuali che esoneravano
il gestore dalla responsabilità derivante dal ritardo di
accesso diretto al servizio di telefonia per motivi
tecnici, valutabili discrezionalmente dallo stesso e ha
adottato quale misura idonea alla rimozione degli
effetti dannosi derivanti dall'utilizzo delle clausole
contrattuali ritenute abusive, l'obbligo del
professionista di comunicare mediante lettera ai singoli
clienti che, attesa la mancata attivazione del servizio
di accesso diretto, ciascuno avrebbe avuto il diritto
alla restituzione - previa domanda e accertamento dei
requisiti - di tutti i canoni pagati alla Telecom a far
data dalla sottoscrizione del contratto. É evidente che
il Tribunale di Torino con tale decisione non si è
limitato a tutelare il diritto ad una contrattazione
corretta, equa e trasparente, poiché attraverso il
riconoscimento del diritto alla restituzione delle somme
pagate entra nell'ambito dell'esecuzione dei singoli
rapporti contrattuali e dell'eventuale responsabilità
contrattuale, sconfinando nel piano della tutela dei
diritti individuali esclusivi scaturenti
dall'inadempimento contrattuale. La comunicazione agli
utenti contenente il riconoscimento del diritto alle
restituzioni non è espressione della tutela degli
interessi collettivi, ma di una tutela risarcitoria in
forma specifica[82] in favore di terzi estranei al
processo, che snatura l'ambito del giudizio inibitorio
ex art. 140 cod. cons. Si tratta di un rimedio diretto a
ricostituire nel patrimonio degli utenti danneggiati una
situazione equivalente a quella preesistente e non
diretto a ripristinare il diritto ad una contrattazione
corretta, equa e trasparente, leso dalla condotta
illecita della società. Come poteva configurarsi nel
caso del provvedimento di inibizione delle clausole
abusive accompagnato dall'obbligo di una comunicazione
informativa agli utenti che avevano sottoscritto il
contratto, circa la reale possibilità di accesso diretto
al servizio di telefonia.
Analogamente, il tribunale di
Roma[83] con riguardo al servizio di trasmissioni
televisive a pagamento ha inibito l'uso della clausola
contenuta nei moduli predisposti da Mediaset Premium che
escludeva la rimborsabilità del credito residuo
contenuto nelle smart card - funzionanti con il sistema
prepagato - alla data del recesso dal contratto o della
scadenza della tessera e ha imposto alla società
soccombente di avvisare tutti gli utenti con i quali era
intercorso il rapporto contrattuale dell'esistenza in
loro favore di un diritto alla restituzione degli
importi indebitamente trattenuti. Sempre il Tribunale di
Roma[84], ha ordinato a Sky Italia di riaccreditare
nella fatturazione successiva agli abbonati, cui era
stato addebitato un costo aggiuntivo, non previsto
contrattualmente, per la spedizione della rivista
SkyMagazine, l'intera somma percepita oltre gli
interessi legali dalle date di ogni addebito, ma non ha
emesso alcuna inibitoria, né l'ordine di pubblicazione
del provvedimento, in quanto la pratica scorretta non
era più adottata. Travalicando la tutela degli interessi
collettivi, con tale provvedimento è stato riconosciuto
in favore di ciascun abbonato danneggiato, in sede
cautelare, un diritto restitutorio nei confronti della
società resistente.
In altri casi, invece, i Giudici di
merito hanno rigettato la richiesta di provvedimenti
qualificati erroneamente come inibitori[85], e che in
realtà sarebbero consistiti in condanne alla
restituzione di somme.
Nei provvedimenti sopra menzionati
le misure correttive degli effetti dannosi della
condotta illecita sono indubbiamente andate oltre il
ripristino degli interessi collettivi lesi, assumendo le
vesti di provvedimenti con una diretta portata sulle
posizioni individuali dei consumatori lesi dalla
condotta del professionista e l'associazione
rappresentativa dei consumatori ha in realtà agito come
rappresentante processuale dei diritti esclusivi dei
consumatori, pur in assenza di una specifica previsione
normativa che riconosca la legittimazione autonoma anche
per la tutela dei diritti derivanti dalla pratica
illecita. E per questa via lo strumento concepito
nell'art. 140 cod. cons. è stato piegato fino a giungere
a risultati non perseguibili tramite un'azione
inibitoria.
Epperò anche vero che mercè
l'orientamento giurisprudenziale estensivo delle misure
di cui alla lett. b) dell'art. 140 è stato possibile
perseguire, in assenza di un meccanismo processuale di
tutela collettiva dei diritti omogenei dei consumatori
sorti dal comportamento illecito, l'obiettivo di una
maggiore effettività della tutela giurisdizionale del
consumatore, che verosimilmente data l'entità modesta
del danno non avrebbe agito giudizialmente.
5. La tutela inibitoria cautelare:
funzione e presupposti.
Come già detto, i provvedimenti
inibitori di cui agli artt. 37 e 140 cod. cons. sono
prevalentemente invocati dalle associazioni dei
consumatori in funzione anticipatoria degli effetti del
provvedimento finale.
Dato facilmente comprensibile,
attesa la preminente esigenza di bloccare
tempestivamente le condotte illecite in itinere, atte a
diffondersi con estrema rapidità, nonché la portata
satisfattiva del provvedimento, il cui adempimento viene
assicurato, secondo prassi giurisprudenziale, mercé
l'adozione di misure coercitive a sanzione
dell'inottemperanza[86]. In più, trattandosi di un
provvedimento d'urgenza integralmente anticipatorio
degli effetti del provvedimento di merito[87], ai sensi
dell'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., come novellato
con la L. 14 maggio 2005, n. 80, gli effetti si
stabilizzano anche nel caso in cui non venga incardinato
il giudizio ordinario a cognizione piena[88].
In realtà, l'esigenza di urgenza
della tutela scaturisce dalla natura stessa delle
situazioni tutelate mediante gli strumenti processuali
ex artt. 37 e 140 cod. cons., bisognose di un
provvedimento repressivo del comportamento
imprenditoriale abusivo nel più breve tempo possibile,
altrimenti destinate a rimanere insoddisfatte. In
quest'ambito, data la perdurante situazione di
antigiuridicità, il raggio di tempo intercorrente tra la
richiesta del provvedimento e il suo conseguimento
assume un'importanza primaria, poichè solo il
provvedimento emesso entro un breve lasso di tempo
garantisce la funzione della tutela apprestata dal
legislatore e, quindi, l'effettività della stessa tutela
giurisdizionale.
La necessità che la tutela
inibitoria sia tempestiva è enunciata a chiare lettere
nell'articolo 2, rubricato «azioni inibitorie», della
direttiva comunitaria 98/27/CE (ora 2009/22) a tutela
degli interessi collettivi dei consumatori, ivi è
infatti disposto che gli Stati membri designano gli
organi giurisdizionali o le autorità amministrative
competenti a deliberare su ricorsi o azioni proposte,
onde «ordinare con la debita sollecitudine e, se del
caso, con procedimento d'urgenza, la cessazione o
l'interdizione di qualsiasi violazione»[89].
E in attuazione di tale
direttiva[90], l'art. 37, comma 2, e l'art. 140, comma
8, cod. cons. prevedono che, ove sussistano giusti
motivi di urgenza, l'azione inibitoria si svolge,
mediante un processo governato dagli articoli 669 bis e
seguenti del codice di procedura civile. In tal modo il
provvedimento inibitorio, emesso in esito al
procedimento cautelare[91], rende immediatamente
operativo l'effetto inibitorio, non vanificando la
portata della stessa tutela inibitoria.
L'esperimento dell'inibitoria
collettiva cautelare è condizionato dall'esistenza dei
«giusti motivi d'urgenza»: endiadi nella quale sono
ricompresi sia il fumus boni iuris che il periculum in
mora[92].
In relazione al requisito del
fumus, ossia la sussistenza prima facie del diritto, per
l'inibitoria cautelare rileva la verosimiglianza della
vessatorietà delle clausole contrattuali utilizzate dal
professionista, per l'inibitoria generale la
verosimiglianza dell'illiceità dei comportamenti
pregiudizievoli degli interessi collettivi dei
consumatori. Sicché il giudice, sulla base di una
sommaria istruzione, deve compiere una valutazione in
ordine alla abusività delle condizioni generali di
contratto utilizzate o in ordine all'attuale violazione
da parte del professionista dei doveri comportamentali
prescritti nelle disposizioni del codice del consumo.
In relazione al periculum in
mora, ossia il pericolo al quale il tempo occorrente per
il giudizio di merito può esporre il diritto, non rileva
il pregiudizio di “irreparabilità”, forma caratterizzata
di periculum che, ai sensi dell'art. 700 c.p.c.,
legittima l'adozione di provvedimenti cautelari
atipici[93]. L'ampia formula «giusti motivi d'urgenza» -
e non gravi motivi d'urgenza - non accompagnata,
peraltro, da un rinvio alla disciplina dei provvedimenti
d'urgenza, e soprattutto le peculiarità delle situazioni
tutelate portano ad escludere l'applicazione del
concetto di irreparabilità per l'individuazione del
periculum. Cosicchè, in dottrina si ritiene che il
legislatore con il riferimento ai «giusti motivi
d'urgenza» abbia modellato un concetto di periculum da
interpretare in maniera autonoma rispetto al pregiudizio
di cui all'art. 700 c.p.c., prefigurando una misura
cautelare tipica “extravagante”[94].
Anche la giurisprudenza sulla base
del rilievo della natura non patrimoniale degli
interessi collettivi, esclude in relazione a queste
fattispecie che il periculum sia assimilabile al
pregiudizio di irreparabilità, e ritiene che occorra far
riferimento a un concetto di periculum disancorato dalla
normale percezione in termini di tutela individuale,
poiché l'obiettivo del legislatore nel prevedere
l'inibitoria collettiva è quello di circoscrivere
l'incidenza collettiva del comportamento illecito[95].
In particolare, dopo
l'oscillazione iniziale nella vigenza dei precedenti ed
analoghi artt. 1469 sexies c.c. e 5 L. n. 281 del 30
luglio 1998[96], le decisioni sono accomunate
dall'assunto che il parametro al quale bisogna riferirsi
per la valutazione del periculum vada ravvisato nella
potenziale diffusività della violazione accertata che si
vuole eliminare[97], in quanto l'inibitoria collettiva
cautelare integra una «tutela non necessariamente
correlata a un danno già conclamato, ma che si attua
nell'ottica di evitare le possibili ricadute negative
del comportamento da inibire per la sua potenzialità di
propagazione degli effetti dannosi»[98]. Talvolta, poi è
stato individuato sulla base del pregiudizio che
deriverebbe dalla durata del processo ai diritti
individuali dei singoli consumatori[99].
A dire il vero, il periculum –
così come inteso nell'applicazione giurisprudenziale –
appare insito a tutte le fattispecie tutelate mediante
lo strumento processuale disciplinato negli artt. 37 e
140 cod. cons.[100]. Infatti, è proprio in
corrispondenza della potenziale diffusività
dell'illecito imprenditoriale, in grado come tale di
raggiungere, nei suoi effettivi pregiudizievoli, un
numero indiscriminato di consumatori, che si configura
la lesione degli interessi collettivi degli stessi.
Difficilmente una condotta illecita non potenzialmente
diffusiva può determinare la lesione di quelle posizioni
giuridiche conformi spettanti ad una moltitudine di
consumatori. Il requisito del periculum vi è sempre in
queste fattispecie.
Ne discende che il presupposto del
provvedimento inibitorio cautelare è da ravvisare
esclusivamente in riferimento al fumus e che il giudice
non dovrà compiere una diretta valutazione del
periculum, ma sarà sufficiente l'accertamento del
fumus[101], al determinarsi del quale il provvedimento
in via cautelare è naturalmente dovuto. D'altronde, un
provvedimento inibitorio della condotta imprenditoriale
illecita non emesso in via d'urgenza svuota nella
sostanza la stessa ratio di tutela.
Si impone, piuttosto, che il
giudice valuti con il dovuto rigore gli elementi di
prova, anche in considerazione delle conseguenze per il
professionista in termini economici e di immagine,
connesse al provvedimento; rigettando la domanda laddove
il materiale probatorio acquisito non sia idoneo a
giustificare il giudizio di verosimiglianza in ordine
alla condotta illecita dedotta in ricorso.
Questa impostazione, tesa
all'applicazione estensiva dell'inibitoria cautelare,
trova peraltro riscontro sul piano applicativo del
rimedio. Dalla lettura dei provvedimenti emerge infatti
che, eccetto i primi provvedimenti ex art. 1469-sexies
c.c.[102], le domande inibitorie non vengono mai
respinte per carenza del presupposto del periculum, ma
solo per carenza di fumus sulla sussistenza
dell'illecito. Ora, sebbene tale affermazione tiene
conto soltanto dei provvedimenti editi, ciò nondimeno
merita attenzione.
Le istanze cautelari, di fatto,
sono state accolte o rigettate sulla base del solo
requisito del fumus, poiché le argomentazioni addotte
dai giudici circa la sussistenza del periculum
consistono in considerazioni di ordine generale sul
pregiudizio che giustifica il ricorso alla tutela
cautelare inibitoria e sulla funzione dell'inibitoria
consumeristica, che prescindono da una verifica
specifica circa il periculum rispetto al caso concreto.
Ovviamente, questa lettura si
presta all'obiezione di una inutile sovrapposizione tra
tutela inibitoria ordinaria e tutela cautelare
all'interno delle stesse disposizioni.
L'obiezione però, a mio avviso, può
essere agevolmente superata sulla base della
considerazione che i due rimedi tendono a risultati in
parte differenti. Poiché, se con la tutela urgente si
persegue l'obiettivo della immediata cessazione del
comportamento imprenditoriale illecito, è vero anche
che in seguito all'accoglimento giudiziale dell'istanza
inibitoria promossa dall'ente esponenziale,
l'accertamento della vessatorietà della clausola o
dell'illegittimità di un determinato comportamento non
sarà poi spendibile dal singolo consumatore o utente
all'interno del giudizio individuale per il risarcimento
del danno o per la restituzione delle somme
indebitamente pagate a causa di quel medesimo
comportamento. E il singolo consumatore dovrà nuovamente
dimostrare la vessatorietà della clausola o la lesività
del comportamento. Con la tutela inibitoria ordinaria,
invece, è conseguibile anche l'accertamento definitivo
dell'illegittimità della condotta imprenditoriale.
Sicchè, l'ente esponenziale
realmente attento alla difesa dei consumatori, anche nel
caso di accoglimento dell'istanza cautelare inibitoria,
promuoverà poi la domanda di inibitoria definitiva,
assicurando in tal modo un accertamento spendibile dai
consumatori per le azioni a tutela delle proprie
pretese.
[1] Sul fenomeno di trasformazione
della nozione del consumatore, da mero fruitore di beni
e servizi a cittadino europeo, cui sono attribuiti come
persona dei nuovi diritti, si veda CAPOBIANCO E., La
protezione del consumatore tra obiettivi di
razionalizzazione normativa e costruzione del sistema
nell'esperienza del codice del consumo, in Vita
notarile, n. 3, 2008.
[2] Sul tema mi permetto di
rinviare a DI SALVO C., Annotazioni sul concetto di
interesse collettivo dei consumatore, di prossima
pubblicazione in Diritto & Diritti – www.diritto.it.
[3] IUDICA G., Tutela del
consumatore e mercato, in Commentario al capo XIV bis, a
cura di Bianca e Busnelli, Padova, 1999, 931 ss. osserva
che la tutela inibitoria, nella prospettiva
superindividuale, è funzionale anche alla tutela della
concorrenza e del mercato nella sua globalità, dove gli
interessi degli operatori professionali e dei
destinatari dei beni si compenetrano e si realizzano
reciprocamente attraverso regole che assicurino la
trasparenza e la correttezza negli scambi.
[4] Ai sensi dell'art. 5 cod. cons.
per consumatore o utente si intende anche la persona
fisica alla quale sono dirette le informazioni
commerciali.
[5] Gli artt. 33-36 cod. cons.
dettano una dettagliata disciplina sulle clausole
vessatorie e sul loro accertamento.
[6] In tal senso, BELLELLI A., La
tutela inibitoria collettiva, in Nuove leggi civ. comm.,
2006, 475 ss., secondo cui nell'ipotesi di difetto di
conformità dei beni di consumo, il giudice può imporre
all'imprenditore di non far circolare i beni di consumo
difformi; tuttavia se il bene possiede il livello di
qualità abitualmente presente in beni dello stesso tipo
e sia idoneo all'uso, il giudice può anche, mediante una
condanna inibitoria, imporre di correggere le
caratteristiche specifiche del bene, risultanti dalla
etichettatura che ingenerino nella categoria dei
consumatori ragionevoli aspettative con riguardo al
livello di qualità contrattualmente dovuto, non
rispondenti alla realtà effettiva.
[7] L'art. 1 sancisce che «La
presente direttiva ha per oggetto il ravvicinamento
delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative degli Stati membri relative ai
provvedimenti inibitori di cui all'articolo 2, volti a
tutelare gli interessi collettivi dei consumatori
contemplati nelle direttive elencate nell'allegato I,
onde garantire il corretto funzionamento del mercato
interno».
[8] In tale allegato sono
successivamente state inserite: la direttiva sul
commercio elettronico 2000/31/CE, la direttiva
2001/83/CE relativa ai medicinali per uso umano, la
direttiva 2002/65/CE concernente la commercializzazione
a distanza di servizi finanziari ai consumatori, la
direttiva 2005/29/CE relativa a pratiche commerciali
sleali tra imprese e consumatori, la direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, la
direttiva 2008/122/CE sulla tutela dei consumatori per
quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di
multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per
le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita
e di cambio.
[9] La direttiva 98/27/CE è stata
poi attuata in Italia con il D.Lgs 23 aprile 2001, n.
224, che specifica l'ambito di applicazione dell'azione
inibitoria anche per tutte le ipotesi di violazione
degli interessi collettivi contemplati nelle direttive
europee di cui all'allegato I.
[10] In armonia con la lett. a)
dell'art. 2 della direttiva 98/27 (ora 2009/22/CE)
relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli
interessi dei consumatori che prevede che gli organi
giurisdizionale o le autorità amministrative designati
dagli Stati membri ordinano «con la debita sollecitudine
e, se del caso, con procedimento d'urgenza, la
cessazione o l'interdizione di qualsiasi violazione»
[11] Istituita con la legge 10
ottobre 1990 n. 287, nasce come autorità di garanzia con
il compito di esercitare un'attività di inibizione e
repressione di condotte antigiuridiche, funzionale alla
salvaguardia della struttura concorrenziale dei mercati.
Con il D.Lgs. n. 146/2007 ne sono state notevolmente
ampliate le competenze, e ha adesso un'ampia gamma di
poteri assai penetranti volti a sanzionare le pratiche
commerciali scorrette idonee a falsare le scelte dei
consumatori, pregiudicandone il comportamento economico.
Cfr. MINERVINI V., L'Autorità Garante della concorrenza
e del mercato quale Autorità di tutela del consumatore:
verso una nuova forma di regolazione dei mercati, in
Riv. dir. comm., 4/2010.
[12] L'art. 27 cod. cons. (Tutela
amministrativa e giurisdizionale) dispone che
l'Autorità, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o
organizzazione che ne abbia interesse, può inibire la
continuazione delle pratiche commerciali scorrette ed
eliminarne gli effetti. Sul punto, BASTIANON S., La
tutela del consumatore alla luce delle nuove norme
legislative e regolamentari in materia di pratiche
commerciali sleali, in Resp. civ. e prev., 2008, 1460.
[13] DENTI V., «Flashes» su
accertamento e condanna, in Riv. dir. proc., 1985, 261
ss, rileva che «in un sistema ove è scomparsa la
tipicità delle azioni e tutto il quadro delle tutele si
regge sul presupposto della sussistenza dell'interesse
ad agire, e quindi consente che si chieda al giudice la
dichiarazione di qualsiasi effetto giuridico idoneo a
soddisfare l'interesse dell'attore», l'esigenza di
configurare la tutela inibitoria necessariamente come
condanna, accertamento o costituiva sia frutto di un
pregiudizio concettuale
[14] Seppure attraverso
argomentazioni differenti, FRIGNANI A., L'injunction
nella common law e l'inibitoria nel diritto italiano,
Milano, 1974, 456 ss.; PROTO PISANI A., Appunti sulla
giustizia civile, Bari, 1983, 389 ss.; ID., Note sulla
tutela civile dei diritti, in Foro it. 2002, V, 165,
sostiene il carattere generale ed atipico
dell'inibitoria attraverso il provvedimento d'urgenza ex
art. 700 c.p.c. ed il requisito dell'imminenza;
RAPISARDA C., Profili della tutela civile inibitoria,
Padova, 1987, 108 ss.; RAPISARDA-TARUFFO, Inibitoria
(azione), in Enc. giur., 1991, XVII, p. 8 ss.; DI MAJO
A., La tutela civile dei diritti, Milano, 2001, p. 145
ss.; PAGNI I., Tutela specifica e per equivalente,
Milano, 2004, 39 ss.; D'ADDA A., Orientamenti
giurisprudenziali in tema di tutela civile inibitoria,
in Nuova giur. civ. comm.,1999, 73; PULEO A., Quale
giustizia per i diritti di libertà?, Milano, 2005, 129
ss.; LIBERTINI M., La tutela civile inibitoria, in
Processo e tecniche di attuazione dei diritti, (a cura
di Mazzamuto) Napoli, 1989, 336 ss.; ID., Nuove
riflessioni in tema di tutela civile inibitoria e
risarcimento del danno, 385 ss., afferma l'esperibilità
generalizzata della tutela inibitoria, ma ritiene che il
presupposto debba essere individuato nello strumento del
risarcimento in forma specifica (art. 2058 c.c.), in
quanto l'azione costituisce una forma di riparazione dei
danni in corso, con una tecnica non risarcitoria; tale
ricostruzione non è condivisa da BELLELLI A.,
L'inibitoria come strumento generale di tutela contro
l'illecito, in Riv. dir. civ., 2004, 607 ss., secondo la
quale anche se gli effetti pratici, che si realizzano
con il risarcimento in forma specifica, possono
coincidere con quelli derivanti dall'azione inibitoria:
la rimozione delle conseguenze dannose già prodotte,
attraverso la ricostituzione della situazione anteriore
al verificarsi del danno, può comportare la cessazione
del fatto lesivo per il futuro. Tuttavia, i due rimedi
sono strutturalmente e funzionalmente distinti, in
quanto la reintegrazione in forma specifica ha natura
risarcitoria e si rivolge al passato per riparare un
danno già prodotto, mentre l'azione inibitoria è diretta
al futuro ed esplica una funzione preventiva contro
l'illecito. Il rimedio inibitorio realizza una tutela
specifica che colpisce direttamente la lesione
giuridica, invece attraverso il risarcimento del danno
in forma specifica, ricostituendosi nel patrimonio del
danneggiato una situazione equivalente a quella
preesistente, sarà ripristinato il diritto leso, ma ciò
sarà un effetto derivante dalla riparazione del danno.
Di avviso contrario è la
giurisprudenza, che esclude l'esperibilità dell'azione
inibitoria al di fuori delle specifiche ipotesi di
inibitoria previste nel codice civile (artt. 7, 9, 10,
844, 949, 1170, 2599) e in leggi speciali (L. 22 aprile
1941, n. 633 a tutela del diritto d'autore, r.d. 29
giugno 1939, n. 1127, a tutela dei diritti di brevetto
per invenzione industriale, r.d. 21 giugno 1942, n. 929
in materia di marchi registrati, art. 28 Stat. dei Lav.,
L. 9 dicembre 1977, n. 903 sulla parità di trattamento
tra uomini e donne in materia di lavoro; D.Lgs 9 luglio
2003, n. 215, 9 luglio 2003, n. 216 e L. 1 marzo 2006,
n. 67 in materia di discriminazioni per ragioni di
razza, religione, orientamento sessuale e handica; art.
37 e 140 cod.cons.). Al tempo stesso, però, nell'ambito
dei diritti della personalità, allo scopo di evitare le
conseguenze del perdurare della lesione, ha notevolmente
ampliato lo spazio applicativo del rimedio inibitorio
per via dell'interpretazione analogica.
[15] Cfr. CARNEVALE V., Appunti
sulla natura giuridica della tutela inibitoria, in Riv.
dir. proc., 2007, 63-69. MONTESANO L., La tutela
giurisdizionale dei diritti, Torino, 1997, 187, sul
presupposto del contenuto costitutivo-determinativo di
obblighi della pronuncia inibitoria, ritiene la tutela
inibitoria esperibile solo nelle ipotesi previste dalla
legge.
[16] CHIOVENDA G., L'azione nel
sistema dei diritti, in Saggi di diritto processuale
civile, Roma, 1930, 82; BORRÈ G., Esecuzione forzata
degli obblighi di fare e non fare, Napoli, 1966, 147;
MICHELI G.A., L'azione preventiva, in Riv. dir. proc.,
1959, 214; FRIGNANI A., Azioni in cessazione, in Noviss.
Dig. it., Appendice, I, Torino, 1980, 639 ss.; ID,
Inibitoria (azione), in Enc. Dir., XXI, Milano, 1971,
559 ss.; SFORZA F., Ordine di cessazione dall'illecito e
risarcimento in forma specifica, in Foro it., 1978, I,
618; CARPI F., La provvisoria esecutorietà della
sentenza, Milano, 1979, 84 ss.; PROTO PISANI A., Appunti
sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir. proc.,
1978, 1104 ss.; ID., L'effettività dei mezzi di tutela
giurisdizionale con particolare riferimento
all'attuazione della sentenza di condanna, in Riv. dir.
proc., 1978, 1104 ss.; LIBERTINI M., La tutela civile
inibitoria, cit., 318 ss.
[17] La teoria della correlazione
necessaria tra condanna ed esecuzione forzata è
tradizionalmente considerata maggioritaria, ritenendo
sostenitori della stessa LIEBMAN E. T., Le opposizioni
di merito nel processo di esecuzione, Roma, 1931, 118
ss.; CARNELUTTI F., Diritto e processo, Napoli, 1958,
50; ATTARDI, A., L'interesse ad agire, Padova, 1958, 99
ss.; MONTESANO L., Condanna civile e tutela esecutiva,
Napoli, 1965, 27; CALAMANDREI P., La condanna, in Opere
Giuridiche, V, Napoli, 1972, 483 ss., GARBAGNATI, Azione
e interesse, Jus, 1955, 333 ss. Recentemente CARNEVALE
V., nel suo studio Appunti sulla natura giuridica della
tutela inibitoria, cit., 68 ss., rileva che in realtà la
teoria della correlazione necessaria è stata
infondatamente accreditata come tesi maggioritaria al
fine di veicolare l'idea che fossero nuovi i tentativi
da parte di alcuni autori di spezzare il vincolo tra la
condanna e l'esecuzione forzata. L'A. attraverso una
dettagliata analisi evidenzia che possono essere
considerati sostenitori della teoria della correlazione
necessaria tra le sentenze di condanna e l'esecuzione
forzata soltanto Liebman, Calamandrei, Attardi,
Montesano; non possono invece esser considerati
sostenitori della tesi Chiovenda, Carnelutti, Garbagnati
e Borrè. Al riguardo evidenzia che nell'opera di
Chiovenda non vi è alcun accenno alla necessarietà della
correlazione tra sentenza di condanna ed esecuzione
forzata, intesa come possibilità per il giudice di
emettere una sentenza di condanna se e solo se essa può
essere titolo esecutivo, l'unica correlazione è nel
senso che «dal semplice accertamento giammai può
derivare esecuzione forzata», ma ciò non vuol dire che
se non si può procedere ad esecuzione forzata allora la
sentenza non può dirsi di condanna e deve dirsi di mero
accertamento. Altrettanto infondato ritiene il
riferimento a Carnelutti, quale autore cui fare risalire
la teoria della correlazione necessaria con l'esecuzione
forzata, il quale invero affermava che il proprium della
sentenza di condanna non è il «comando in più» che
consente l'esecuzione forzata, ma è dato dall'oggetto
dell'accertamento, relativo all'atto illecito, invero
«si può condannare anche a far qualcosa, che poi non si
possa ottenere con l'impiego della forza materiale degli
organi esecutivi». Con riferimento a Garbagnati,
evidenzia che egli escludeva che l'individuazione della
sentenza di condanna dipendesse dal «comando in più»
rispetto all'accertamento del diritto, avendo ad oggetto
la sentenza di condanna un diritto soggettivo
insoddisfatto, mentre quello di mero accertamento ha ad
oggetto una posizione giuridica soggettiva incerta; la
condanna, accertando un diritto ad una prestazione «non
contiene qualcosa di più e di diverso da un accertamento
giurisdizionale».
[18] MANDRIOLI C., L'esecuzione
specifica dell'ordine di reintegrazione nel posto di
lavoro, in Riv. dir. proc., 1975, 9 ss.; MONTELEONE G.,
Recenti sviluppi della dottrina dell'esecuzione
forzata,in Riv. dir. proc., 1982, 283; RAPISARDA C.,
Profili della tutela civile inibitoria, cit., 209 ss.,
riconduce la tutela inibitoria alla tutela di mero
accertamento, ma muovendo dalla premessa secondo cui non
è dato distinguere da un punto di vista interno al
processo tra tutela di mero accertamento e tutela di
condanna, in quanto in entrambe la tutela
giurisdizionale «si risolve nella dichiarazione
dell'effetto giuridico che la legge riconduce al
verificarsi degli elementi produttivi di una determinata
fattispecie»; SPOLIDORO M. S., Le misure di prevenzione
nel diritto industriale, Milano 1982, 80 ss.
[19] FRIGNANI, L'injunction nella
common law e l'inibitoria nel diritto italiano, Milano,
1974, 640.
[20] In tal senso, CHIARLONI S.,
Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei
consumatori, in Consumatori e processo, cit., 6 ss.,
secondo cui l'inibitoria a tutela dei consumatori prima
della legge n. 39 del 2002, che ha stabilito il
pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di
ritardo nel caso di inadempimento degli obblighi
stabiliti dall'inibitoria ovvero previsti dal verbale di
conciliazione, e tutte le inibitorie in materia di
rapporti obbligatori prive di una sanzione per il caso
di loro violazione vadano qualificate come sentenze di
accertamento in futuro. Il giudice accerta
l'illegittimità di un comportamento e ne inibisce la
reiterazione, tale accertamento costituirà il
presupposto di una eventuale condanna in futuro nel caso
il soggetto soccombente reiteri il comportamento
inibito.
[21] Nel nostro ordinamento
l'applicazione di specifiche misure coercitive è già
presente nell'ambito del diritto dei brevetti
industriali (art. 124 e 131 D.Lgs. 10 febbraio 2005 n.
30), della protezione del diritto d'autore (art. 156
legge sul diritto d'autore, riformato dall'art. 2 del
D.Lgs. 16 marzo 2006 n. 140), della tutela del
lavoratore (art. 18, comma 2, art. 28, comma 4 e 5, L.
n. 300/1970), nell'ambito della tutela
antidiscriminatoria (art. 37, D.Lgs. n. 198/2006).
[22] Cfr. PETRILLO C., La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi,
Roma, 2005, 327.
[23] Cfr. CARNEVALE V., Appunti
sulla natura giuridica della tutela inibitoria, cit.,
77.
[24] Rubricato «Attuazione degli
obblighi di fare infungibile o di non fare», statuisce:
«Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che
ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di
parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni
violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni
ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il
provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo
per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione
o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma
non si applicano alle controversie di lavoro subordinato
pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa. Il giudice determina
l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto
conto del valore della controversia, della natura della
prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di
ogni altra circostanza utile».
[25] Da tempo sollecitata in
dottrina, si veda TARZIA G., Presente e futuro delle
misure coercitive civili, in Riv. trim. dir. proc.,
1981, 800 ss.; PROTO PISANI A., L'attuazione dei
provvedimenti di condanna, in Foro it., 1988, V, c. 177
ss.; DENTI V., «Flashes» su accertamento e condanna,
cit., 255 ss.; CARPI F., Note in tema di tecniche di
attuazione dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
1988, 110 ss.; SILVESTRI-TARUFFO, Esecuzione forzata
(esecuzione forzata e misure coercitive), in Enc. giur.,
vol. XII, Roma 1989, 12; CAPPONI B., Astreintes nel
processo civile italiano?, in Giust. Civ., 1999, II, 158
ss.; CARNEVALE V., Appunti sulla natura giuridica della
tutela inibitoria, cit., 86 ss.
[26] MONTESANO L., Attuazione delle
sanzioni e delle cautele contro gli obbligati a fare e a
non fare (diritto vigente e riforme opportune), in
Tecniche di attuazione dei provvedimenti del giudice,
Milano, 2001, 25; ID., Tutela giurisdizionale dei
diritti dei consumatori e dei concessionari di servizi
di pubblica utilità nelle normative sulle clausole
abusive e sulle autorità di regolazione, in Riv. dir.
proc., 1997, 1 ss; ID., La tutela giurisdizionale dei
diritti, Torino, 1997, 222 ss.; ID., Problemi attuali su
limiti e contenuti (anche non patrimoniali) delle
inibitorie, normali e urgenti, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1995, 775 ss.; MARINUCCI, E., Gli effetti della
sentenza inibitoria prevista dell'art. 1469 sexies c.c.,
in Riv. dir. proc., 2002, 216 ss.,; ID., Azioni
collettive e azioni inibitorie da parte delle
associazioni dei consumatori, in Riv. dir. proc., 2005,
125 ss; CARBONARA F., Gli interessi collettivi e diffusi
e l'azione inibitoria dell'art. 1469 sexies c.c., cit.,
480 ss; FERRI, C., L'azione inibitoria prevista
dall'art. 1469-sexies c.c., 938.; NICOTINA, Questioni
processuali controverse in materia di clausole abusive
nei contratti con i consumatori, in Giur. it., 1999, c.
2223.
[27] MARINUCCI E., op. ult. cit.,
216 ss., qualifica la sentenza inibitoria come sentenza
costitutivo-normativa, in quanto creerebbe una nuova
regola tra il professionista e il suo mercato; ID.,
Azioni collettive e azioni inibitorie da parte delle
associazioni dei consumatori, in Riv. dir. proc., 2005,
125 ss.
[28] In tal senso, PAGNI I, Tutela
specifica e per equivalente, cit., 53.
[29] Cfr. CARNEVALE V., op. ult.
cit., 87 ss.; COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul
processo civile, 3° ed., Bologna 2005, 577, ivi si
afferma che «è da ritenere che non vi sia necessaria
correlazione tra condanna ed esecuzione forzata,
intendendo per condanna l'accertamento dell'effetto
giuridico che consiste nell'obbligo di prestazione da
parte del debitore».
[30] Cass. 25 luglio 1995, n. 8080,
in Dir. ind ,1996, 774 ss. in materia di inibitoria
degli atti di concorrenza sleale; Cass. civ., Sez. lav.,
26 novembre 2008, n. 28274, in Mass. giur. lavoro, 2009,
556, in materia di controversie relative ai rapporti di
lavoro nei confronti delle pubbliche amministrazioni;
Cass. 17 luglio 1992, n. 8721, in Mass. Foro it., 1992.
[31] In tal senso, CAPONI R.,
L'efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano,
1991, 87, secondo cui l'obbligo di astenersi per il
futuro dal comportamento illecito deriva dal
provvedimento inibitorio che reitera per il futuro il
dovere di astensione.
[32] In relazione all'inibitoria di
clausole vessatorie e all'inibitoria generale a tutela
dei consumatori, BELLELLI A., L'inibitoria come
strumento di controllo delle condizioni generali di
contratto, in Le condizioni generali di contratto, II (a
cura di Bianca), Milano 1981, 319; PETRILLO C., La
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e
diffusi, cit. p. 308 ss.; CONSOLO C. - DE CRISTOFARO M.,
Clausole abusive e processo, in Corr. giur., 1997, 478;
TOMMASEO F., Commento all'art. 1469 sexies c.c., cit.,
759; GIUSSANI A., Considerazioni sull'art. 1469 sexies
c.c., in Riv. dir. priv., 1997, 345; ID., La tutela di
interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti
dei consumatori, cit, 1064; GRAZIUSO E., La tutela del
consumatore contro le clausole abusive, Milano, 2002,
226; AMADEI D., Funzionalità dell'azione collettiva e
ruolo della tutela esecutiva, in Le azioni seriali, a
cura di Menchini S., in Quaderni del Il Giusto processo
civile, Napoli, 2008, 167 ss.
[33] Cass. Sez. Un. 13 ottobre
1997, n. 9957, in Nuova giur. civ. comm. 1998, I, 871
ss., con nota di Campagnolo.
[34] Sul carattere preventivo
dell'azione inibitoria, FRIGNANI A., voce Inibitoria
(azione), in Enc. Dir., Milano, 1971, XXI, 560 ss.;
RAPISARDA-TARUFFO, voce Inibitoria (azione) -I) Diritto
processuale civile, in Enc. Giur., Roma, 1988, XVII, 1;
RAPISARDA C., Profili della tutela civile inibitoria,
cit., 75 ss.; ZUCCOLINI M., L'azione inibitoria come
strumento di tutela degli interessi diffusi, in Giur. di
merito, 1983, IV, 1055 ss.; LIBERTINI M., La tutela
civile inibitoria, cit., 336 ss.; IMPAGNATIELLO G., La
provvisoria esecuzione e l'inibitoria nel processo
civile, Milano, 2010, 379 ss.
[35] Parte della dottrina ritiene
che l'azione inibitoria possa essere proposta anche
prima della effettiva violazione della situazione
tutelata, purché si dimostri che essa è imminente. Si
veda FRIGNANI A., op. ult. cit.; RAPISARDA C., Profili
della tutela civile inibitoria, cit.; contra DI MAJO A.,
La tutela civile dei diritti, cit., 142 ss.
[36] Così Trib. Roma 12 marzo 2003,
in Giur. it., 2003, 1407.
[37] Alcuni autori ritengono che la
lesione del diritto determini la trasformazione del
diritto leso nel diritto alla percezione di una somma di
denaro. Si veda in tal senso, CASTRONOVO C., Il
risarcimento in forma specifica come risarcimento del
danno, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti,
cit., I, 490, il quale rileva che il risarcimento
intervenga in tutti quei casi in cui la lesione
determini l'estinzione della situazione giuridica
soggettiva oggetto dell’illecito, ed il sorgere, in sua
sostituzione, di un obbligo risarcitorio, mentre la
tutela specifica interviene nella realtà fattuale
coinvolta dall'illecito.
[38] Così MINERVINI E., Contratti
dei consumatori e tutela collettiva nel codice del
consumo, in Contratto e impresa, 2006, 635 ss., secondo
il quale il legislatore italiano, a differenza del
legislatore comunitario che ha concepito una disciplina
unica e disattendendo il suggerimento del Consiglio di
Stato sullo schema del Codice del consumo, ha delineato
un sistema “bipolare”: da una parte gli artt. 139 e 140
cod. cons. (trasposizione dell'art. 3 della L. n.
281/98) che recano la disciplina dell'azione inibitoria
nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi
dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate
dal codice del consumo e dall'altro lato, l'art. 37 cod.
cons. (trasposizione del precedente art. 1469 sexies
c.c.) che reca la disciplina dell'azione inibitoria per
l'ipotesi di inserimento o raccomandazione di clausole
vessatorie nelle condizioni generali di contratto da
parte del professionista. Il legislatore ha dovuto così
prevedere un coordinamento tra le due discipline,
disponendo al comma 4 dell'art. 37 un rinvio all'art.
140 cod. cons. «per quanto non previsto dal presente
articolo» e al comma 10 dell'art. 140 «Per le
associazioni di cui all'articolo 139 l'azione inibitoria
prevista dall'art. 37 in materia di clausole vessatorie
nei contratti stipulati con i consumatori, si esercita
ai sensi del presente articolo».
[39] Sia l'art. 37 che l'art. 140
cod. cons., come l'art. 28 Stat. Lav.,, ed ai fini della
pronuncia è del tutto irrilevante l'elemento soggettivo
del dolo o della colpa, poiché non sono elementi
costitutivi dell'illecito ma della responsabilità civile
di cui all'art. 2043 c.c. Si ha illecito tutte le volte
che un soggetto tenga un comportamento contrario agli
obblighi imposti, a prescindere dall'elemento soggettivo
della colpa o del dolo e dagli effetti del
comportamento. Si veda SCOGNAMIGLIO R., VOCE Illecito
(diritto vigente), 163 ss.
[40] Ad esempio nel caso di
un'attività preliminare, inequivocabilmente diretta alla
ripetizione dell'illecito, si giustifica il timore della
sua imminente reiterazione e rappresenta un valido
fondamento dell'inibitoria.
[41] Sulla tutela dei consumatori e
degli utenti nell'ordinamento spagnolo, GUTIÈRREZ SANZ,
M. R. Y SAMANES ARA, Comentario al articulo 7 de la LOPJ
en relación con la protección de los derechos de los
consumidores, in La Ley, 1988; MARÍN LÓPEZ, J.,
Comentario al articulo 20, in Comentarios a la Ley
General para la Defensa de los Consumidores y Usuarios,
Madrid, 1992; ACOSTA ESTÉVEZ, Tutela procesal de los
consumidores, Barcelona, 1995, Bosh editor; GONZÀLEZ
CANO, La tutela colectiva de consumidores y usuarios en
el proceso civil, Valencia, 2002, Tirant Lo Blanch;
REYES LÓPEZ, M. J., Derecho de consumo, Valencia, 2002,
Tirant Lo Blanch; BACHMAIER WINTER, La tutela de los
derechos e intereses colectivos de consumidores y
usuarios en el proceso civil Español, in Las acciones
para la tutela de los intereses colectivos y de grupo,
(coordinador OVALLE FAVELA) Universidad Nacional
autónoma de México, 2004,VÀZQUEZ SOTELO J. L., La tutela
de los intereses colectivos y difusos en la nueva Ley de
enjuciamiento civil Española, in Las acciones para la
tutela de los intereses colectivos y de grupo, cit.;
NIEVA FENOLL J., El procedimiento especial para la
protección de consumidores y usuarios: lagunas, remedios
e ideas de futuro, in Rev. de derecho mercantil, 2007,
626 ss; GASCÓN INCHAUSTI F., Tutela judicial de los
consumidores y transacciones colectivas, Cuaderno
Civitas, 2010.
[42] Art. 53 Ley 26/1984, 19
luglio, (modificata dal Real Decreto legislativo 1/2007
del 16 novembre): «La acción de cesación se dirige a
obtener una sentencia que condene al demandado a cesar
en la conducta y a prohibir su reiteración futura.
Asimismo, la acción podrá ejercerse para prohibir la
realización de una conducta cuando esta haya finalizado
al tiempo de ejercitar la acción, si existen indicios
suficientes que hagan temer su reiteración de modo
inmediato».
[43] DI MAJO A., in La tutela dei
diritti tra diritto sostanziale e processuale, in Riv.
crit. dir. priv., 1989, 371 ss., evidenzia il frequente
ricorso delle normative di settore a tecniche e rimedi
di natura e struttura diversa del risarcimento del
danno: la disciplina della concorrenza sleale, art. 2598
ss.; la legge sul diritto d'autore, n. 633/1941 e sui
brevetti per invenzioni, n. 1127/1939, per modelli
industriali, n. 1411/1940 e per marchi, n. 929/1942; lo
Statuto dei lavoratori (l. n. 300/70) con riguardo al
regime di stabilità reale nel posto di lavoro.
[44] Sull'inadeguatezza dello
strumento risarcitorio in materia di interessi
collettivi si veda RAPISARDA C., Profili della tutela
civile inibitoria, Padova 1987, 77 ss.; PROTO PISANI A.,
Appunti preliminari per lo studio sulla tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, in Le azioni
a tutela di interessi collettivi, cit., 282.
[45] In questo senso,
COSTANTINO G., Brevi note sulla tutela giurisdizionale
degli interessi collettivi davanti al giudice civile, in
Le azioni a tutela di interessi collettivi, (Atti
Convegno Pavia 11-12 giugno 1974), Padova, 1976,
236-237, secondo cui i diritti risarcitori o restitutori
dei consumatori, seppur originati dallo stesso fatto
lesivo, si configurano come diritti differenti,
assumendo valore elementi personali, quali l'entità del
danno o la somma da restituire, le condizioni soggettive
del consumatore leso e i profili oggettivi della vicenda
concreta.
[46] DI MAJO A., Forme e tecniche
di tutela, in Foro it., 189, V, c. 141, rileva che
«l'immediato referente della tutela inibitoria è il
torto subito, a prescindere del danno che esso abbia
provocato. L'esigenza è di prevenire la continuazione
e/o la reiterazione».
[47] PAGNI I., Tutela individuale e
tutela collettiva: un'indagine sul possibile raccordo
tra i rimedi, in Le azioni seriali (a cura di Menchini
S.), in Quaderni del «Il Giusto processo civile»,
Napoli, 2008, 159, osserva che il risultato della
domanda inibitoria ben si presta ad avvantaggiare i
terzi, ma invita a porre attenzione «alla differenza che
corre tra efficacia del provvedimento ed efficacia che
deriva dall'attuazione dello stesso, sulla falsariga del
fenomeno conosciuto, nel diritto del lavoro, nell'art.
28 St. lav., ed echeggiato poi nella materia
antidiscriminatoria, ove la quasi istituzionale
vocazione della tutela superindividuale a tradursi in
vantaggio per i singoli si ritrova ben scolpita nella
misura del piano di rimozione delle discriminazioni
accertate».
[48] Il consumatore che lamenti di
aver subito dei danni per effetto di una pubblicità
ingannevole ed agisca ex art. 2043 c.c. deve però
adeguatamente provare l'esistenza del danno, dovendo
escludere ogni automatismo tra fatto dannoso e danno
risarcibile. Così, Cass. Sez. Unite, 15 gennaio 2009 n.
794, ha cassato una sentenza del Giudice di pace di
Napoli, con cui la British American Tobacco veniva
condannata al risarcimento del danno a un fumatore di
sigarette Light, che aveva denunciato la generica
lesione del diritto all'autodeterminazione
consumeristica, nonché il disagio conseguente alla
scoperta di essere stato indotto a tenere una condotta
pericolosa, a causa del messaggio ingannevole “Light”
riportato sulle confezioni.
[49] Mi sia consentito rinviare sul
punto a DI SALVO C., Sulla legittimazione all'azione
collettiva inibitoria: associazioni rappresentative dei
consumatori, singolo consumatore e altri organismi, di
prossima pubblicazione in Diritto & Diritti –
www.diritto.it.
[50] Tale lettura è in linea con
l'affermazione della Cassazione, secondo cui la legge
antitrust è legge dei soggetti del mercato, compreso il
consumatore, nonché con il nuovo art. 140 bis del codice
del consumo, ove vengono correlati alla violazione della
normativa antitrust gli effetti pregiudizievoli per i
consumatori. Cfr. Cass., Sez. Un. n. 2207, 4 febbraio
2005, in Danno e resp., 2005, 498, con nota di INZITARI,
Abuso da intesa anticoncorrenziale e legittimazione
aquiliana del consumatore per lesione della libertà
negoziale. Sul tema PAGNI I, La tutela civile antitrust
dopo la sentenza n. 2207/08: la Cassazione alla ricerca
di una difficile armonia nell'assetto dei rimedi del
diritto della concorrenza, in Corr. giur., 2005, 337;
TAVORMINA L, L'inibitoria collettiva a tutela dei
consumatori. Mercato, concorrenza e deterrence, in
Contr. e impresa, 2009, 1015 ss.
[51] Cfr. SCODITTI E., Il
consumatore e l'antitrust, in Foro it., 2003, 1127 ss.
[52] L'art. 140, comma 1, lett. b)
permette di «adottare misure idonee a correggere od
eliminare gli effetti dannosi delle violazioni
accertate»; lett. c) di «ordinare la pubblicazione del
provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione
nazionale oppure locale, nei casi in cui la
pubblicazione del provvedimento può contribuire a
correggere o eliminare gli effetti delle violazioni
accertate».
[53] TAVORMINA L., Le misure idonee
ad eliminare gli effetti dannosi delle violazioni degli
interessi dei consumatori: tra tutela ripristinatoria e
tutela risarcitoria, in Europa e dir. priv., 2008, 201
ss., ritiene che nell'ambito delle condizioni generali
di contratto, a fianco dell'inibitoria non siano
necessari strumenti ulteriori volti a integrare
l'efficacia del provvedimento di cessazione, poiché
rimedio in sé sufficientemente completo ed efficace a
tutela dell'interesse collettivo ad una contrattazione
giuridicamente corretta: «soltanto la permanenza della
clausola abusiva o iniqua nel tessuto contrattuale
integra il rischio della reiterazione della lesione». Ed
è proprio la specificità della tutela inibitoria, che si
appunta alle condizioni generali di contratto, che per
l'A. giustifica il sistema bipolare di tutela
collettiva inibitoria del Codice del consumo.
[54] Sia in dottrina che in
giurisprudenza è stato ripetutamente negato che le
misure di cui alla lett. b) art. 140 cod. cons. possano
concretizzarsi in rimedi risarcitori o restitutori a
vantaggio dei singoli consumatori. Cfr. Trib. Torino, 19
febbraio 2003, Giur. it., 2004, 953, pronuncia in cui si
osserva che la tutela di tipo risarcitorio non è
riconducibile alle misure idonee; Trib. Palermo, 29
maggio 2006; Trib. Genova 2 agosto 2005, in Danno e
resp. 2005, 1225, con nota di DELLA CASA; Trib. Milano
15 settembre 2004, in Foro it., 2004, I, 3481, con nota
di PALMIERI A.; Trib. Roma 5 febbraio 2001, in Giur.
romana 2002, 813 ss; Trib. Torino, 3 ottobre 2000, in
Giust. Civ., 2001, 817 ss., con nota di PLAIA,
Organizzazioni «piramidali» e interessi del consumatore:
il giudice ordinario e la l. n. 281 del 1998; in Corr.
giur., 2001, 389 ss., con nota di CONTI R. In senso
contrario, Trib. Roma, 30 aprile 2008, cit., che ha
condannato Sky a restituire mediante riaccredito nella
prima fattura utile gli importi illecitamente addebitati
agli utenti.
[55] BENUCCI S., rileva che il
legislatore ha utilizzato l'aggettivo “dannosi” in modo
atecnico, Commento agli artt. 139-141, a cura di
Vettori, Torino 2007, 1097.
[56] Una misura di questo tipo è
però stata negata dal Trib. Palermo, 21 gennaio 2000, in
Foro it., 2000, 2045, in quanto comporterebbe una
«impropria invasione del giudice nell'ambito negoziale
riservato alle parti».
[57] Per pacchetti turistici, ai
sensi dell'art. 84 cod. cons., si intendono «i viaggi,
le vacanze ed i circuiti tutto compreso, risultanti
dalla prefissata combinazione di almeno due degli
elementi di seguito indicati, venduti od offerti in
vendita ad un prezzo forfettario, e di durata superiore
alle ventiquattro ore ovvero comprendente almeno una
notte: a) trasporto; b) alloggio; c) servizi turistici
non accessori al trasporto o all'alloggio di cui
all'articolo 86, lettere i) e o), che costituiscano
parte significativa del pacchetto turistico.
[58] Si vedano artt. 82-100 cod.
cons.
[59] Tale impostazione talvolta
discende dall'inquadramento del provvedimento inibitorio
nell'ambito della tutela costitutiva e del
provvedimento di cui all'art. 140 cod. cons., lett. b)
nell'ambito della tutela di condanna; in tal senso,
MARINUCCI E., Azioni collettive e azioni inibitorie da
parte delle associazioni dei consumatori, in Consumatori
e processo, cit., 54 ss. Secondo l'A. il provvedimento
inibitorio crea una nuova regola di condotta e impone ai
suoi destinatari un comportamento “negativo”, quindi un
provvedimento di carattere costitutivo; al contrario il
provvedimento che dispone le misure idonee ad eliminare
gli effetti dannosi impone un contegno “positivo”,
contenuto tipico dei provvedimenti di condanna. Sicché,
si può chiedere la rimozione degli effetti dannosi senza
chiedere un provvedimento che detti regole di condotta
valide per il futuro, e viceversa si può domandare
un'inibitoria, lasciando ai singoli la possibilità di
chiedere individualmente di rimuovere gli effetti
dannosi già prodottosi; TRISORIO LIUZZI G., I meccanismi
processuali di tutela del consumatore, in Giust. Proc.
Civ., 2007, 329 ss. Contra MINERVINI, E., Contratti dei
consumatori e tutela collettiva nel codice del consumo,
cit., 650 ss.
[60] Ordinanza 30 aprile 2008, Ass.
Movimento Consumatori/Sky Italia s.r.l., in Giur. it,
2008, 2795 ss., con nota di DE SANTIS D.
[61] Trib. Palermo, sez. III, 26
ottobre 2007, Adiconsum/Banca Palermo S.p.A.
[62] Ciò risulta con evidenza già
nella premessa della motivazione della citata sentenza
del Tribunale di Palermo, laddove rileva che lo scopo
dell'art. 140 cod. cons. è di «rafforzare strumenti di
tutela collettiva per aumentare la protezione dei
diritti dei consumatori ed assicurare esigenze di tutela
destinate, altrimenti, a rimanere insoddisfatte oltre
che impedire che una pluralità indefinita di pretese
risarcitorie finisca per paralizzare il sistema
giudiziario, con la eventualità di giudizi
contrastanti».
[63] DE SANTIS A., Questioni in
tema di tutela inibitoria, «misure ripristinatorie» e
reintegrazione patrimoniale in favore dei consumatori,
in Giur. it., 2008, 2804, ritiene che le misure
ripristinatorie, finalizzate a eliminare o a temperare
gli effetti dell'illecito plurioffensivo, costituiscono
misure alternative o conseguenti all'inibitoria, anche
in considerazione del fatto che, al contrario
dell'inibitoria, presuppongono necessariamente la
commissione dell'illecito dannoso. Per l'A. ciò è
confermato dallo stesso art. 140 cod. cons. che
distingue testualmente le due tutele attivabili,
prevedendo quella inibitoria alla lett. a) e quella
ripristinatoria alla lett. b).
[64] Non bisogna confondere le
misure ripristinatorie a tutela degli interessi
collettivi con la reintegra in forma specifica dei
diritti individuali omogenei, misure che in alcuni casi
possono coincidere. Si veda, BELLELLI
[65] Il Tribunale di Milano in sede
di reclamo cautelare, 21 dicembre 2009, Ass. Mov.
cons/Unicredit Vita S.p.a., in Giur.it, 2010, 1671, con
nota di GIUSSANI, ha accolto le domande che avevano ad
oggetto un ordine di informazione a rettifica delle
informazioni ritenute scorrette da inviare a tutti i
sottoscrittori di polizze Performance ed ha rifiutato di
inibire l'esecuzione dei contratti individuali,
osservando che le associazioni sono legittimate ad agire
in via diretta e autonoma quando siano pregiudicati gli
interessi collettivi dei consumatori, dai quali devono
esser distinti quelli di cui i singoli individui lesi
sono titolari e che possono ricevere tutela a livello
individuale. Il Tribunale di Genova, sentenza 2 agosto
2005, Ass. sportello consumatori e altro/Cassa risp.
Genova, cit., ha dichiarato il difetto di legittimazione
della associazione che aveva chiesto la restituzione
delle somme e il risarcimento danni a favore di alcuni
risparmiatori, che avevano acquistato titoli
obbligazionari, adducendo il difetto di adeguata
informazione e di correttezza in cui sarebbe incorsa la
Banca, e ha rilevato che le associazioni dei consumatori
sono legittimate ad agire a tutela di un interesse
diffuso riconducibile ad una determinata categoria di
consumatori e non a tutela di un diritto concreto e
personale proprio di ciascuna consumatore.
[66] Ai sensi dell'art. 128 cod.
cons. per beni di consumo si intende: qualsiasi bene
mobile, anche da assemblare, tranne: i beni oggetto di
vendita forzata o comunque venduti secondo altre
modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante
delega ai notai; l'acqua e il gas, quando non
confezionati per la vendita in un volume delimitato o in
quantità determinata; l'energia elettrica.
[67] Cfr. art.
130 cod. cons.
[68] Cfr. art.
132 cod. cons.
[69] Cfr. art. 120 cod. cons.
[70] Cfr. SANGIOVANNI V., Nozione
del consumatore e legittimazione alla class action, in
Corr. del mer., n. 11/2010, che osserva: “I consumatori
sono soggetti deboli, caratterizzati da debolezza
informativa, contrattuale ed economico-organizzativa.
Debolezza “informativa” significa che essi di norma non
comprendono tutte le caratteristiche tecniche delle
operazioni che pongono in essere e dei prodotti che
acquistano e ciò potrebbe portarli a fare acquisti
sbagliati. Debolezza “contrattuale” significa che anche
quando capiscono i termini essenziali dell'operazione
del prodotto, non hanno sufficiente forza per negoziare
le condizioni, essendo così esposti alle regole del
gioco stabilite dalla controparte. Debolezza
“economico-organizzativa” sta a indicare che le risorse
in termini di denaro e anche in termini di struttura
dell'impresa che è controparte del consumatore sono
superiori a quelle dell'utente, così da indurre – in
ipotesi – quest'ultimo a non far valere i propri
diritti.
[71] Cfr. art. 140 bis comma 2:
«L'azione tutela:
a) i diritti contrattuali di una
pluralità di consumatori e utenti che versano nei
confronti di una stessa impresa in situazione identica,
inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai
sensi degli articoli 131 e 1342 del codice civile;
b) i diritti identici spettanti
ai consumatori finali di un determinato prodotto nei
confronti del relativo produttore, anche a prescindere
da un diritto rapporto contrattuale;
c) i diritti identici al ristoro
del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e
utenti da pratiche commerciali scorrette o da
comportamenti anticoncorrenziali.
[72] Il legislatore italiano, con
significativa evoluzione verso l'istituto della class
action statunitense, ha abbandonato l'impostazione
adottata nella prima versione della legge, che
attribuiva la legittimazione alle associazioni di
consumatori e alle altre associazioni e comitati
adeguatamente rappresentativi, ed ha attribuito la
legittimazione ad agire a tutela dei diritti individuali
omogenei dei consumatori a «ciascun componente della
classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o
comitati cui partecipa». Si veda, SANTANGELI-PARISI, Il
nuovo strumento di tutela collettiva risarcitoria:
l'azione di classe dopo le recenti modifiche all'art.
140 bis cod. cons., in Futuro-Giustizia Azione
collettiva – Mediazione, Torino, 2010.
[73] Cfr. art.
107 cod. cons.
[74] L'art.
112 cod. cons., comma 1, sanziona il reato del
produttore o distributore che immette sul mercato
prodotti pericolosi in violazione del divieto di cui
all'art. 107, comma 2, lettera e) punendolo con
l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da
10.000 euro a 50.000 euro.
[75] Sui rapporti tra gli artt. 140
e 140 bis, da ultimo SANTANGELI F., Le lacune della
nuova azione di classe e i problemi di coordinamento con
gli altri strumenti di tutela collettiva, 2011,
www.judicium.it..
[76] L'art. 140 bis, comma 12,
stabilisce che: «Se accoglie la domanda, il tribunale
pronuncia sentenza di condanna con cui liquida, ai sensi
dell'art. 1226 del codice civile, le somme definitive
dovute a coloro che hanno aderito all'azione o
stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la
liquidazione di dette somme...».
[77] L'art. 140 bis, introdotto
dalla l. 24 dicembre 2007 n. 244, art. 2, comma 446,
recitava: «Le associazioni di cui al comma 1 dell'art.
139 e gli altri soggetti di cui al comma 2 sono
legittimati ad agire a tutela degli interessi collettivi
dei consumatori e degli utenti richiedendo al tribunale
del luogo in cui ha sede l'impresa l'accertamento del
diritto al risarcimento del danno e alla restituzione
delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti
etc.».
[78] CAPONI R., La class action in
materia di tutela del consumatore in Italia, in Foro
it., 2008, V, p. 281, secondo cui il sistema processuale
italiano ha sperimentato, mediante le misure idonee a
correggere o eliminare gli effetti dannosi delle
violazioni accertate, una azione collettiva strutturata
e concretamente adoperata come azione risarcitoria con
sistema di partecipazione agli esiti della tutela
mediante meccanismo di opt-out.
[79] La prescrizione decorre dalla
data della notifica della domanda, se l'adesione avviene
contestualmente alla notifica dell'atto di citazione, o
dal suo deposito in cancelleria se successivo
[80] La distinzione tra queste due
categorie di diritti dei consumatori è data dal fatto
che nel caso di interessi collettivi il soddisfacimento
del diritto di un consumatore realizza allo stesso tempo
il soddisfacimento anche degli altri, invece nel caso di
diritti individuali omogenei il soddisfacimento del
singolo consumatore avviene su base individuale.
[81] Sentenza n. 7375, Trib. Torino
20 novembre 2006, Ass. Movimento consumatori/Soc. Wind
telecomunicazioni, Giur. merito, 2007, 1139 ss., con
nota di CONTI-RIZZO, Inibitoria collettiva in danno del
gestore di telefonia: all'orizzonte le class actions,
confermata da App. Torino 24 febbraio 2009. Analogamente
in materia di interessi anatocistici: Trib. Palermo, 26
ottobre 2007, Trib. Milano 15 settembre 2004, Foro it.,
2004, I, 3481, Trib. Torino 17 dicembre 2002, Contratti,
2003, 999 ss. con nota di DI FAZZIO G.; contra Trib.
Palermo 29 maggio 2006.
[82] Si veda TAVORMINA L., Le
misure idonee ad eliminare gli effetti dannosi delle
violazioni degli interessi dei consumatori: tra tutela
ripristinatoria e tutela risarcitoria, cit., 201 ss., la
quale rileva che non si tratta di tutela restitutoria ma
di tutela risarcitoria del «danno emergente» subito dal
singolo, in quanto i canoni da restituire non erano
stati versati all'imprenditore convenuto ma all'altro
gestore telefonico che, pertanto, si identificano in una
perdita patrimoniale dell'utente.
[83] Ordinanza 23 maggio 2008,
Adiconsum/R.T.I.-Reti televisive S.p.A., in Giur. it,
2008, 2794 ss., con nota di DE SANTIS D.
[84] Ordinanza 30 aprile 2008, cit.
[85] Così il Tribunale di Torino,
19 febbraio 2003, in Giur. it., 2004, 953, a fronte
della domanda di inibizione della prosecuzione del
comportamento illecito di una banca, consistente nel
rifiuto di rimborsare somme da essa indebitamente
percepite in base alla clausola contrattuale della
capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori
dall'inizio del rapporto alla data del 22 aprile 2000,
che prevedevano interessi anatocistici; App. Torino 1
marzo 2005, Corr. giur., 2005, ha negato la
legittimazione a proporre domande di mero accertamento.
Allo stesso modo il Tribunale di Torino, 3 ottobre 2000,
in Giust. Civ., 2001, 817 ss., con nota PLAIA,
Organizzazioni «piramidali» e interessi del consumatore:
il giudice ordinario e la l. n. 281 del 1998, il
Tribunale ritiene nullo il contratto di associazione,
che prevedeva per l'adesione il pagamento di una quota e
al contempo la sottoscrizione di contratti di
associazione con vendita servizi e contratti di
procacciamento affari che garantivano una percentuale di
guadagno sui contratti, per illiceità della causa e per
contrarietà all'ordine pubblico, inibisce per il futuro
l'attività dell'associazione e ordina la pubblicazione
provvedimento, ma respinge la richiesta di sequestro
conservativo dei conti correnti bancari e ogni altra
somma, in quanto finalizzato alla restituzione di somme
pagate da coloro che hanno esercitato diritto di
recesso, pronunciabili previo accertamento delle
rispettive ragioni di credito, pronuncia che esula
dall'ambito del procedimento di tutela collettiva.
[86] In senso contrario, Trib.
Roma, 21 gennaio, confermata in sede di reclamo con
ordinanza 17 aprile 2009, Ass. Mov. Cons./Soc. Sky
Italia, in Foro it., 12, 2009, 3513 ss. Ivi non sono
disposte le misure coercitive indirette sulla base del
rilievo che si tratti di un provvedimento cautelare e
non di una inibitoria ordinaria (il ricorso cautelare
era stato promosso nell'ambito del giudizio di merito).
[87] Nell'ottica del principio di
effettività della tutela è possibile conseguire in via
d'urgenza anche l'adozione di misure idonee ad evitare
il protrarsi od il verificarsi in futuro degli effetti
dannosi. Al riguardo si rinvia alle considerazioni
svolte ai par. 4 e 5.
[88] L'eventuale giudizio di
merito potrebbe essere instaurato anche dal
professionista, il quale conserva la medesima posizione
del ricorso cautelare. Si veda SCALAMOGNA M.,
L'efficacia dell'accertamento collettivo nelle liti
individuali secondo il codice del consumo, in Riv. dir.
proc., 2008, 688 ss. Sulle modifiche introdotte dalla
legge n. 80 del 2005 al procedimento cautelare e alle
azioni possessorie, tra i tanti CAPONI R., La nuova
disciplina dei procedimenti cautelari in generale (l. n.
80 del 2005), in Foro it., 2006, V, 69 ss.; BALENA G.,
La disciplina del procedimento cautelare uniforme, in G.
Balena - M. Bove, Le riforme più recenti del processo
civile, Bari 2006, 337 ss.
[89] La direttiva all'art. 1, comma
2, definisce violazione «qualsiasi atto contrario alle
disposizioni delle direttive elencate nell'allegato I,
quali recepite negli ordinamenti nazionali degli Stati
membri, che leda gli interessi collettivi di cui al
paragrafo».
[90] Sull'attuazione della
direttiva 98/27/CE, MAZZAMUTO-PLAIA, Provvedimenti
inibitori a tutela del consumatore: la legge italiana 30
luglio 1998, n. 281 e la direttiva 98/27/CE, in Eur. e
dir. priv., in Eur. e dir. priv., 1999, 669.
[91] Diverso il pensiero di
SANTANGELI F., Lettura iconoclasta del procedimento ex
art. 140 codice del consumo, di prossima pubblicazione,
secondo il quale: «A ben vedere dal tenore letterale
della norma - talora reso manifesto da un approccio
profano alla stessa - si evince che il procedimento a
mente degli articoli 669-bis c.p.c. e seguenti viene
richiamato in quanto procedimento sic et simpliciter, e
non in quanto condizione di cautelarità. Nondimeno,
forse in un riflesso condizionato, il richiamo degli
articoli 669-bis ss. ha alimentato l'idea, ormai
sedimentata in dottrina e in giurisprudenza, che il
ricorso al procedimento dipenda da una condizione di
cautela, la quale invece non c'è: la norma richiama il
procedimento a mente degli articoli 669-bis ss. in
quanto tale. Da ciò ne discende che è questo il
procedimento che si seguirà per l'azione inibitoria
collettiva quando ci sono giusti motivi d'urgenza, in
esito al quale non si avrà un'inibitoria cautelare, ma
un provvedimento definitivo di chiusura della
controversia. Tutto al più ricorribile in Cassazione, in
quanto si verte in tema di diritti soggettivi».
[92] Così TARZIA G., La tutela
inibitoria contro le clausole vessatorie, in Riv. dir.
proc., 1997, 645.
[93] Il pregiudizio imminente ed
irreparabile è una forma «caratterizzata» di periculum
che si invera quando il pregiudizio deve ancora
verificarsi, o continua a espletare i suoi effetti, o
provoca pregiudizi ulteriori. Cfr. SANTANGELI F., Il
provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. e la
manutenzione del contratto, in Riv. dir. proc. 2006, 62.
[94] In tal senso, PETRILLO C., La
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e
diffusi, cit., 340 ss.; con riferimento all'inibitoria
cautelare di clausole vessatorie di cui all'art.
1469-sexies, 2 comma, c.c. (ora confluito nell'art. 37
cod. cons.); BELLELLI A., La tutela inibitoria, in Le
nuove leggi civ. comm., 1997, n. 4-5, 1270 ss.; DE MARZO
G., La disciplina sui diritti dei consumatori e la
tutela inibitoria cautelare, in Corr. giur., 1998, 1349
ss; DANOVI F., L'azione inibitoria in materia di
clausole vessatorie, in Riv. dir. proc., 1996, 1075 ss.;
TOMMASEO F., Art. 1469-sexies, in Aa. Vv., Le clausole
vessatorie nei contratti con i consumatori, a cura di
Alpa e Patti, Milano 1997, 790 ss.; CONSOLO - DE
CRISTOFARO, Clausole abusive e processo, in Corr. giur.
1997, 480 ss.; FERRI C., L'azione inibitoria prevista
dall'art. 1469-sexies c.c., 942 ss.; MONTESANO L.,
Tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e dei
concessionari di servizi, in Riv. dir. proc., 1997, 1
ss.; TARZIA G., La tutela inibitoria contro le clausole
vessatorie, in Riv. dir. proc., 1997, 644; CARRATTA A,
Brevi osservazioni a tutela di consumatori e utenti, in
Aa. Vv., Giusto procedimento civile e procedimenti
decisori sommari, a cura di Lanfranchi, Torino 2001, 119
ss.
[95] Trib. Roma, ord. 30 aprile
2008, cit.; Trib. Roma, ord. 14 gennaio 2009, in Foro
it., 2009, 3514 ss.; Trib. Roma 28 giugno 2003, in Danno
e resp., 2004, 311.
[96] La giurisprudenza nelle prime
decisioni con riferimento all'inibitoria di clausole
abusive non ha avuto un orientamento univoco circa lo
specifico criterio per individuare i giusti motivi
d'urgenza. Il periculum è stato individuato in ragione
della «natura» degli interessi coinvolti, quali
interessi di primaria importanza della persona, e non
per qualsiasi interesse o diritto soggettivo coinvolto
dall'uso di clausole vessatorie (c.d. criterio
qualitativo), Trib. Torino 14 agosto, 1996, in Foro it.,
1997, I, 287 ss., con nota di ARMONE, Inibitoria
collettiva e clausole vessatorie, in Riv. dir. comm.,
1997, II, 170; Trib. Roma 22 agosto 1996; Trib. Roma, 28
maggio 1998, in Giust. Civ., 1999, I, 265; Trib.
Palermo, 10 gennaio 2000, in Corr. giur. 2000, 772 ss.,
con nota di CONTI R., Inibitoria cautelare e controllo
di vessatorietà nei pubblici servizi; Trib. Palermo,
sez. Monreale, 4 luglio 2000 (Adiconsum/Acquedotto
consortile del Biviere), in Danno e resp., 2001, 181. In
altre pronunce il periculum è stato invece individuato
nella rapida diffusione dei contratti viziati (c.d.
criterio quantitativo), Trib. Palermo, 5 marzo 1997, in
Giur. it., 1997, 422; Trib. Palermo 23 febbraio 1997, in
Foro it., Rep. 1997, Contratto in genere, nn. 365-367;
Trib. Roma, 2 agosto 1998, in La Nuova Giur. Civ. Comm.,
1999, p. 247 ss., con nota di CONTE G., L'accesso alla
tutela cautelare tra le ragioni dei consumatori e le
esigenze di coerenza del “sistema”; Trib. Roma 18 giugno
1998, in Contratti, 1999, 15 ss., con nota di MANIACI,
Tutela inibitoria e clausole abusive.
[97] In relazione all'applicazione
del disposto dell'art. 3 l. 281/98 (ora trasfuso
nell'art. 140 cod. cons.), Trib. Roma 28 giugno 2003
(Federconsumatori, Adusbef/Unione Park Soc. Coop e Soc.
Cons. Parcheggi Pubblici), Foro it., Rep. 2003, voce
Consumatori e utenti, nn. 24, 31 in Il Mer., 2004, 32
ss.; Trib. Torino, 3 ottobre 2000 (Adiconsum/Alpha Club
S.r.l), Foro it., 2000, I, 3622; Trib. Roma, 14 marzo
2003; Trib. Roma, 30 gennaio 2004 (Federconsumatori,
Adusbef/H3G S.p.a). In relazione all'art. 140 cod. cons.
Trib. Roma, 14 gennaio e 17 aprile 2009, cit.; Trib.
Roma, 23 maggio 2008, cit.; Trib. Roma, ord. 30 aprile
2008, cit.
[98] Trib. Roma, ord. 30 aprile
2008, cit.; Trib. Roma, ord. 14 gennaio 2009, cit.,
3524. Nel caso di specie si afferma poi che l'esigenza
di adozione di una inibitoria cautelare collettiva di
clausole abusive non viene meno per effetto
dell'avvenuta modifica nei nuovi formulari delle
clausole implicanti il pagamento di una penale da parte
dell'abbonato in caso di recesso anticipato, abusive per
contrarietà a norma imperativa (L. 40/07 legge Bersani,
che impone agli operatori televisivi di riconoscere
all'utente la facoltà di recedere senza vincoli
temporali e senza spese non giustificate). Poiché la
resistente ha cessato di utilizzare le clausole nella
originaria formulazione soltanto per i clienti che
recedano a partire dalla data della modifica, ma non ha
applicato le nuove condizioni, inerenti i ridotti oneri
di pagamento anche per gli abbonati che dopo l'entrata
della legge e prima della modifica abbiano deciso di
recedere anticipatamente, essendo gli stessi tenuti
comunque a versare gli importi previsti nelle clausole
contestate.
In relazione all'efficacia
temporale di un'inibitoria collettiva, avente ad oggetto
clausole vessatorie contenute nelle condizioni generali
di contratto predisposte dall'Abi, la Corte di
legittimità ha chiarito (Cass. Civ., sez. I, 21 maggio
2008, n.13051) che la dichiarazione di invalidità di una
disposizione negoziale ha effetto ex tunc, anche sui
rapporti contrattuali di durata, con il solo limite dei
rapporti esauriti in quanto a ritenere il contrario, le
clausole dichiarate abusive avrebbero effetti
ultrattivi, con disparità di trattamento tra rapporti
identici contemporaneamente in vigore, e che
l'inibizione dell'uso non si riferisce al solo atto
istantaneo dell'inserzione della clausola in nuovo
contratto, ma alla costante utilizzazione delle clausole
vessatorie. La nozione di «uso» utilizzata dal
legislatore, è più ampia di quella di inserzione, perché
comprende l'ampia gamma dei diritti e dei poteri che
trovano fondamento nella clausola. «L'inibitoria
dell'uso delle clausole ritenute vessatorie, anche con
riferimento ai contratti esistenti al momento della
pronuncia, non si pone in contrasto con la funzione
preventiva di tale strumento. L'esigenza di prevenzione
non riguarda solo l'inserimento delle clausole nei
moduli utilizzati per la stipula dei contratti
successivamente all'adozione del provvedimento
inibitorio, ma anche il prodursi, sempre in epoca
successiva al provvedimento, degli effetti che le
clausole producono o sono idonee a produrre nel tempo,
mediante l'esercizio dei poteri che dalle clausole
stesse derivano».
[99] Da ultimo Trib. Milano, 21
dicembre 2009, (Ass. mov. cons./Unicredit Vita S.p.a.),
in Giur. it., 2010, 1671 ss., con nota di GIUSSANI A.,
Tutela individuale e tutela collettiva del consumatore
dalle pratiche commerciali scorrette fra diritto
sostanziale e processo. Ivi i giusti motivi d'urgenza
vengono individuati nel fatto che il comportamento della
società lesivo dei diritti dei consumatori alla
correttezza, alla trasparenza ed all'equità nei rapporti
contrattuali potrebbe giustificare azioni risarcitorie
o di annullamento da parte dei singoli consumatori
coinvolti e che «il tempo occorrente all'associazione
per agire in via ordinaria con azione inibitoria
potrebbe portare all'adozione di una pronuncia non più
efficace per la tutela degli interessi perché emessa a
distanza dal compimento dell'illecito e in un momento in
cui potrebbero essere prescritte le azioni individuali
risarcitorie o di invalidazione dell'atto». Nel caso di
specie il Collegio ritiene lesiva la condotta della
società caratterizzata dalle comunicazioni inviate ai
titolari delle polizze di assicurazione collegate alle
obbligazioni di Lehman Brothers, con cui la società
prospettando il rischio che alla scadenza contrattuale,
a seguito del fallimento della Banca Lehman Brothers,
non sarebbe stato loro restituito il premio versato,
informava della possibilità di scegliere tra due
alternative soluzioni che avrebbero potuto loro
permettere o di recuperare il 50% del premio versato o
la trasformazione in altra polizza. Comunicazioni
fondate su un'interpretazione non univoca del contenuto
contrattuale in merito alla garanzia di restituzione del
capitale nominale a scadenza.
[100] DENTI V., Aspetti processuali
della tutela dell'ambiente, in La responsabilità
dell'impresa per i danni all'ambiente e ai consumatori,
Milano 1978, 64 ss., osserva che l'urgenza del
provvedimento inibitorio appare insita alla finalità
della stessa tutela, più che essere strumentale alla
fruttuosità finale del provvedimento, come avviene per
le misure cautelari; CARRATTA A., Brevi osservazioni a
tutela di consumatori e utenti, in Aa. Vv., Giusto
procedimento civile e procedimenti decisori sommari, a
cura di Lanfranchi, Torino 2001, 119 ss., ha escluso la
natura cautelare e li ha invece ricostruiti come
provvedimenti sommari alla stregua dei provvedimenti in
materia di repressione della condotta sindacale ex art.
28 Stat. Lav. Contra SCALAMOGNA M, op. ult. cit., l'A.
non condivide tale impostazione sul presupposto che con
le modifiche della legge n. 80 del 2005 è stato
raggiunto il risultato cui si tendeva mediante la
ricostruzione del procedimento come procedimento
sommario, ovvero il mantenimento dell'efficacia del
provvedimento anche nel caso di mancata instaurazione
del giudizio di merito, inoltre la subordinazione del
provvedimento ai giusti motivi d'urgenza condiziona tale
tutela ad un periculum, non può quindi escludersi la
natura cautelare del provvedimento.
[101] In riferimento all'inibitoria
cautelare in materia di clausole vessatorie, ARMONE G.,
Inibitoria collettiva e clausole vessatorie: prime
disavventure applicative dell'art. 1469 sexies c.c., in
Foro it., I, 1997, p. 296, sostiene che il giudice
dovrebbe prescindere da qualsiasi indagine sulla
sussistenza del periculum in mora, in quanto «è insito
nella stesso stesso fenomeno che la norma è chiamata a
regolare e la cui esistenza è, pertanto, già stata
valutata positivamente dal legislatore attraverso la
tipizzazione di un'autonoma misura cautelare». Nello
stesso senso PROTO PISANI A., Lezioni di diritto
processuale civile, Napoli, 1996, 665; LIBERTINI M.,
Prime riflessioni sull'azione inibitoria dell'uso di
clausole vessatorie (art. 1469 sexies c.c.), in Contr. e
impr./Europa, 1996, 558 ss.
[102] I primi provvedimenti si sono
contraddistinti per un'impostazione particolarmente
restrittiva riguardo alla ricorrenza del requisito del
periculum, Trib. Torino 14 agosto, 1996, Trib. Torino 16
agosto, 1996, Trib. 4 ottobre 1996, in Foro it., 1997,
I, 287 ss.
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