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La colpa
antinfortunistica: generica e specifica
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Le regole per
l'accertamento della colpa
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Colpa per assunzione e
principio dell'affidamento
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Contenuto delle regole di
diligenza e colpa antinfortunistica
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L'accertamento della colpa
specifica: in particolare, le regole elastiche
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Il nesso tra colpa ed
evento: la causalità nella colpa
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Considerazioni conclusive
L'elemento
psicologico richiesto nei reati in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro è, di regola,
costituito dalla semplice "colpa" del reo. Ciò, in altri
termini, significa che ai fini della addebitabilità
soggettiva del fatto (inteso come azione od omissione) è
sufficiente accertare che lo stesso sia stato commesso
con "colpa", ovvero in una situazione caratterizzata da
imprudenza, negligenza od imperizia ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline
La colpa antinfortunistica: generica e specifica
Quando si parla di colpa nel diritto penale, il
parametro normativo di riferimento è costituito
dall'art. 43 c.p., a termini del quale: «Il delitto: ...
è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche
se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a
causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline».
La colpa consta, dunque, di un requisito negativo e di
un requisito positivo.
Il primo requisito è dato dall'involontaria
realizzazione del fatto («il delitto è colposo ...
quando l'evento ... non è voluto dall'agente»; questo
requisito distingue la colpa dal dolo, che si configura
quando l'evento è stato preveduto e voluto dall'agente.
L'eventuale presenza della sola previsione dell'evento
(«anche se preveduto») compare dalla nozione legislativa
di colpa per individuare l'ipotesi aggravata della colpa
cosciente che dà vita, ai sensi dell'art. 61 n. 3 c.p.,
ad una circostanza aggravante dei reati colposi (1).
Il requisito positivo della colpa, che la individua e la
caratterizza come peculiare forma di responsabilità, è
dato dall'imprudenza, dalla negligenza, dall'imperizia
(c.d. colpa generica), ovvero dall'inosservanza di
leggi, regolamenti, ordini o discipline (c.d. colpa
specifica); questo requisito, nelle sue varie forme,
deve abbracciare e deve riferirsi a tutti gli elementi
costitutivi del fatto antigiuridico («il delitto è
colposo quando l'evento ... si verifica a causa di
negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline»).
La presenza delle varie forme di colpa si fonda su un
giudizio interamente normativo (2), cioè sul contrasto
tra la condotta concreta dell'agente e il modello di
condotta imposto dalla regola di diligenza, prudenza e
perizia, il cui rispetto era necessario per evitare la
realizzazione prevedibile di un fatto preveduto dalla
legge come reato colposo (3).
La dottrina (4) chiarisce che:
a) il concetto di imprudenza denota il contrasto fra la
condotta concreta e la norma che vietava in assoluto di
agire o vietava di agire con determinate modalità;
b) il concetto di negligenza sta a denotare l'omesso
compimento di un'azione doverosa;
c) infine, l'imperizia consiste in un'imprudenza e/o in
una negligenza nello svolgimento di attività che esigono
il possesso e l'impiego di particolari abilità e/o
cognizioni.
Va in ogni caso sottolineata la finalità cautelare che
accomuna le regole di diligenza, prudenza e perizia: la
loro osservanza serve cioè ad evitare la realizzazione
di eventi dannosi o pericolosi prevedibili.
Quanto alle forme della colpa specifica (inosservanza di
leggi, regolamenti, ordini e discipline), va
sottolineato che ciò che differenzia queste forme di
colpa dalla colpa generica è solo la fonte delle regole
la cui inosservanza determina la colpa: si tratta di
norme giuridiche pubbliche o private (leggi,
regolamenti, ordini, discipline). Ciò che, d'altra
parte, accomuna tutte le regole di diligenza, prudenza e
perizia, qualunque ne sia la fonte, è il loro scopo che,
invariabilmente, è la prevenzione di eventi prevedibili.
È, peraltro, necessario accertare la colpa anche in
relazione ad attività penalmente illecite (5). Le
precauzioni doverose, finalizzate ad evitare eventi
prevedibili del tipo di quello verificatosi in concreto,
possono senz'altro essere contenute anche in leggi
penali (ad es., proprio le norme sulla prevenzione degli
infortuni sul lavoro). Si deve però distinguere tra la
sanzione inflitta per la violazione della legge penale e
il rilievo attribuibile a tale violazione ai fini del
giudizio di colpa (6).
(1) Che così recita: «3) l'avere, nei
delitti colposi, agito nonostante la previsione
dell'evento».
(2) V., per tutti: Marinucci, La colpa
per inosservanza di leggi, Milano, 1965; Id., Non
c'e dolo senza colpa. Morte dell"»imputazione oggettiva
dell'evento» e trasfigurazione nella colpevolezza?,
in RDDPP, 1991, p.3 ss..
(3) In giurisprudenza, ad es., si afferma
che nel delitto colposo, o contro l'intenzione,
l'elemento psicologico non è condizionato dalla
soggettiva opinione della persona cui è contestato
l'evento dannoso, né ha decisiva rilevanza la
prevedibilità dell'evento, elemento costitutivo della
colpa penale essendo soltanto la condotta contraria alla
normale prudenza, diligenza o perizia ovvero alle leggi
regolamenti ordini o discipline (Cass. pen., sez. 5, n.
1743 del 28 febbraio 1983, T., in Ced Cass.
157650).
(4) V., tra le più autorevoli voci
dottrinali: M. Gallo, Colpa penale (diritto vigente),
EdD, VII, 1960, p. 624; Altavilla, Colpa penale,
NsD, III, 1959, p. 544; Giunta, Illiceità e
colpevolezza nella responsabilità colposa, 1993;
Id., I tormentati rapporti fra colpa e regola
cautelare, in DPP, 1999, p. 1295; Id., La
normatività della colpa penale - Lineamenti di una
teorica, in RDDPP, 1999, 86.
(5) V. ad es., in tema di disciplina
delle circostanze aggravanti, laddove si prescrive che
le circostanze aggravanti sono valutate a carico
dell'agente «soltanto se da lui conosciute ovvero
ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore
determinato da colpa» (art. 59, co. 2, c.p.).
(6) Si profilerà, ad esempio, un concorso
tra il reato contravvenzionale in materia di infortuni
sul lavoro e il delitto di omicidio colposo, qualora la
morte sia riconducibile alla misura preventiva violata.
Le regole per l'accertamento della colpa
Perché si
via condotta colposa è necessario che vi sia un
oggettivo contrasto tra la condotta concretamente tenuta
dall'agente e quella prescritta dall'ordinamento.
L'individuazione della condotta prescritta
dall'ordinamento è differente a seconda che il
rimprovero abbia ad oggetto la colpa generica o quella
specifica. Ed infatti, nel caso della colpa generica, il
giudice deve individuare la regola di diligenza che
andava rispettata nel caso concreto; nel caso della
colpa specifica, il giudice è chiamato a constatare il
mancato rispetto di una regola cautelare descritta da
una norma giuridica.
In
entrambe le ipotesi di colpa, la valutazione della
violazione della diligenza prescritta non esaurisce il
processo di accertamento della colpa, dovendo il giudice
accertare anche:
a)
l'effettiva realizzazione dello specifico rischio che la
regola di diligenza violata tendeva a neutralizzare;
b) la
prevenibilità dell'evento dannoso attraverso il rispetto
della diligenza prescritta;
c)
l'esigibilità della condotta prescritta.
Quanto
all'accertamento della colpa generica, lo stesso
consiste nel confronto della condotta tenuta dall'agente
concreto con quella che, nella stessa circostanza
concreta, avrebbe tenuto l'homo eiusdem condicionis
et professionis. Il processo di individualizzazione
dell'agente modello della medesima condizione e
professione consente di precisare l'esatto ambito della
responsabilità personale. Tale processo deve essere
contraddistinto da un elevato grado di
individualizzazione del ruolo che il singolo soggetto
ricopre e dei correlativi doveri che pertanto assume. In
relazione ad uno stesso evento è quindi compito del
giudice valutare con attenzione i diversi doveri,
contenuto delle diverse figure campione.
Anche in
giurisprudenza si afferma dover essere metro della colpa
«il modello dell'homo eiusdem condicionis et
professionis», ossia il modello dell'uomo che svolge
paradigmaticamente una determinata attività, che
comporta l'assunzione di certe responsabilità, nella
comunità, la quale esige che l'operatore concreto si
ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo
ci si aspetta» (7).
Presupposto logico perché il comportamento del soggetto
possa qualificarsi imprudente o negligente è la
rappresentabilità del fatto (o, come più comunemente si
afferma in giurisprudenza, la prevedibilità
dell'evento); in altri termini, la possibilità di
riconoscere il pericolo che a una data condotta possa
conseguire la realizzazione di un fatto. Tale
«rappresentabilità» va appurata sulla base delle
conoscenze e delle regole di esperienza il cui rispetto
era esigibile al momento della condotta (8).
La
giurisprudenza tende, però, ad ampliare il requisito
della prevedibilità. In tal senso, in materia
antinfortunistica, si registrano pronunce che affermano,
ad esempio, che il mutamento di conoscenze, capaci di
descrivere meglio il nesso causale tra la condotta e
l'evento (nonché «eventualmente» ipotizzare più efficaci
cautele), non vale però ad escludere la
rappresentabilità del fatto qualora non siano poste in
essere nemmeno le prescrizioni minime all'epoca
sicuramente possibili (9). Orbene, in consimili ipotesi
si dovrà, all'evidenza, valutare con estrema attenzione
il nesso tra colpa ed evento. In altri termini, compito
del giudice sarà quello di verificare che la norma
cautelare rilevante nel momento in cui è avvenuta la
condotta - pur nella sommaria conoscenza della
pericolosità della medesima condotta - fosse
effettivamente volta a prevenire fatti della stessa
classe di quello verificatosi, altrimenti l'ascrizione
di responsabilità segue la logica del versari in re
illicita (10).
In
applicazione di tale principio, ad esempio, è stata
riconosciuta la prevedibilità della morte per
mesotelioma pleurico (all'epoca dei fatti non ancora
ricondotta in letteratura all'esposizione alle polveri
di amianto) sulla base dell'acclarata prevedibilità di
un evento analogo (morte per asbestosi) (11).
Successivamente, lo stesso principio è stato affermato
in una fattispecie analoga in tema di responsabilità del
datore di lavoro per la mancata predisposizione di
misure preventive, ulteriori rispetto a quelle imposte
dalle norme preventive vigenti all'epoca, idonee ad
evitare la pur prevedibile contrazione da parte dei
lavoratori di gravi malattie connesse all'esposizione
nell'ambiente di lavoro con polveri di amianto (12).
(7) Cass. pen., Sez. 4, n. 1345 del 15 febbraio 1993, B.
e altro, in Ced Cass. 193035; conf., Sez.
4, n. 2147 del 6 marzo 1997, P.M. in proc. M., in Ced
Cass. 207573.
(8) V., in giurisprudenza, tra le tante: Cass. pen.,
Sez. 4, n. 14188 del 25 ottobre 1990, P., in Ced Cass.
185559; conf., Sez. 4, n. 37606 del 12 ottobre
2007, R., in Ced Cass. 237050.
(9) Cass. pen., Sez. 4, n. 5037 del 6 febbraio 2001, C.,
in Ced Cass. 219425.
(10) Ad es., nella sentenza citata nella nota che
precede, si è affermata la necessità per il giudice di
decidere se le norme poste ad evitare la diffusione e
l'esposizione alle polveri di amianto rilevanti
all'epoca della condotta fossero destinate anche alla
tutela di soggetti esterni ai luoghi di lavoro: tale
circostanza sembrava desumibile solo dall'effettiva
conoscenza della micidiale nocività delle polveri.
(11) Si tratta del noto caso delle «Officine meccaniche
della Stanga», in cui l'imputazione di omicidio colposo
riguardava esclusivamente i lavoratori impiegati negli
impianti (Cass. pen., Sez. 4, n. 988 del 14 gennaio
2003, M. e altro, in Ced Cass. 226999). Soluzione
identica in relazione agli stessi fatti, in precedenza,
si rinviene anche in altro precedente giurisprudenziale
(Cass. pen., 11 maggio 1998, C., in FI, 1999, II,
236, con nota di Guariniello.
(12) Si tratta del noto caso «Fincantieri» (Cass. pen.,
Sez. 4, n. 5117 del 1 febbraio 2008, B. e altri, in
Ced Cass. 238777; conf., Sez. 4, n. 40785 del
31 ottobre 2008, C. e altri, in Ced Cass.
241470).
29/06/2011
Colpa per assunzione e principio dell'affidamento
Di regola,
in tema di colpa, si afferma il principio secondo cui se
le capacità dell'autore concreto sono inferiori a quelle
dell'agente modello, la regola di diligenza impone di
astenersi dall'operare. Il mancato rispetto di tale
regola di diligenza può essere rimproverato e determina
la c.d. colpa per assunzione (13).
Il
principio è recepito anche dalla giurisprudenza in
materia di infortuni sul lavoro.
Ad
esempio, in una fattispecie di lesioni colpose commesse
con violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro, si è sostenuto che la
«prevedibilità» altro non significa che porsi il
problema delle conseguenze di una certa condotta
commissiva od omissiva avendo presente il c.d. «modello
d'agente», il modello «dell'homo eiusdem condicionis
et professionis», ossia il modello dell'uomo che
svolge paradigmaticamente una determinata attività, che
importa l'assunzione di certe responsabilità, nella
comunità, la quale esige che l'operatore concreto si
ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo
ci si aspetta (14). Ancora, si è sostenuto che ai fini
dell'indagine penalistica sulle colpe di singoli
partecipi ad un'attività organizzata, occorre tener
conto non solo delle attribuzioni ad essi conferite
contrattualmente, ma anche di quelle volontariamente
assunte, poiché anche da queste possono sorgere
aspettative da parte degli altri operatori o di terzi e
le inosservanze degli obblighi relativi possono essere
fonte di responsabilità per aver condizionato il
comportamento di altri che facevano affidamento
sull'adempienza degli impegni assunti (15).
Altro
problema è quello inerente ai rapporti tra principio
dell'affidamento e colpa antinfortunistica. Di regola,
infatti, tutti i membri di un gruppo possono fare
affidamento sul fatto che gli altri membri agiscano nel
rispetto dello standard di diligenza (c.d. principio di
affidamento). La giurisprudenza riconosce l'affidamento
come limite della colpa (16).
Il
principio è recepito anche dalla giurisprudenza in
materia di infortuni sul lavoro.
Ad
esempio, si è sostenuto che il responsabile della
sicurezza sul lavoro, che ha negligentemente omesso di
attivarsi per impedire l'evento, non può invocare, quale
causa di esenzione dalla colpa, l'errore sulla legittima
aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti
da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della
normativa antinfortunistica mira a salvaguardare
l'incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti
dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o
disubbidienze, purché connesse allo svolgimento
dell'attività lavorativa (17).
Nel solco
di tale orientamento si pone, poi, quella decisione che
ha affermato che il principio d'affidamento va
contemperato con il principio di salvaguardia degli
interessi del lavoratore «garantito» dal rispetto della
normativa antinfortunistica; ne consegue che il datore
di lavoro, garante dell'incolumità personale dei suoi
dipendenti, è tenuto a valutare i rischi ed a
prevenirli, e non può invocare a sua discolpa, in
difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia,
eventuali responsabilità altrui (18).
Ancora, si
è sostenuto che il principio dell'affidamento non opera
allorché il mancato rispetto da parte di terzi delle
norme precauzionali di prudenza abbia la sua prima causa
nell'inosservanza di tali norme di prudenza da parte di
colui che invoca il suddetto principio (19).
Infine, si
è affermato che il datore di lavoro non può invocare a
propria scusa il principio di affidamento assumendo che
l'attività del lavoratore era imprevedibile, essendo ciò
doppiamente erroneo, da un lato in quanto l'operatività
del detto principio riguarda i fatti prevedibili e
dall'altro atteso che esso comunque non opera nelle
situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia,
come certamente è quella del datore di lavoro (20).
(13) Si è affermato, ad esempio, che «l'agire come
membro di un determinato gruppo, o come portatore di un
determinato ruolo sociale, comporta, infatti,
l'assunzione di responsabilità di saper riconoscere ed
affrontare le situazioni ed i problemi inerenti a quel
ruolo, secondo lo «standard» di diligenza, di capacità,
di conoscenze richieste per il corretto svolgimento di
quel ruolo stesso» (Cass. pen., Sez. 4, n. 4793 del 29
aprile 1991, B. e altri, in Ced Cass. 191800).
(14) Cass. pen., Sez. 4, n. 1345 del 15 febbraio 1993,
B. e altro, in Ced Cass. 193035.
(15) Cass. pen., Sez. 4, n. 3433 del 13 marzo 1970, G.,
in Ced Cass. 114221.
(16) Cass. pen., Sez. 3, n. 2329 del 3 marzo 1992, S. e
altri, in Ced Cass. 189173).
(17) In applicazione del principio, si è ritenuto che il
direttore e delegato alla sicurezza di uno stabilimento,
cui era stato contestato di non avere predisposto o
fatto predisporre idonee protezioni al fine di evitare
cadute dall'alto degli operai che si recassero sui
lucernai dello stabilimento per lavori di manutenzione
dei canali di gronda, non potesse invocare a sua
discolpa la condotta imprudente del lavoratore (Cass.
pen., Sez. 4, n. 18998 del 6 maggio 2009, T. e altro, in
Guida al lavoro, 2009, 22, p. 47, con nota di M.
Gallo, Sicurezza: responsabilità penali per impiego
di irregolari e tutele del lavoro autonomo, ed in
D&L: Riv. crit. dir. lav., 2009, 2, p. 603, con nota
di A. Garlatti, Il lavoratore autonomo e
l'obbligazione di sicurezza).
(18) In applicazione del principio, si è ritenuto che il
datore di lavoro, al quale era stato contestato di non
avere adeguatamente valutato i rischi correlati alla
stabilità di pali messi a sua disposizione dall'ENEL,
non potesse invocare a sua discolpa l'affidamento nella
stabilità dei predetti pali (Cass. pen., Sez. 4, n.
22622 del 5 giugno 2008, B. e altro, in Resp. civ.
prev., 2009, 2, II, p. 338 ss., con nota di C.
Lavra, La responsabilità del datore di lavoro e
obblighi del committente.
(19) In applicazione di tale principio, nel caso
esaminato dalla Cassazione, si è affermato che
l'imprenditore-costruttore, che costruisca una macchina
industriale priva dei dispositivi di sicurezza, nella
specie priva del dispositivo di arresto, non può
invocare il principio dell'affidamento qualora
l'acquirente utilizzi la macchina ponendo in essere una
condotta imprudente, in quanto tale condotta sarebbe
stata innocua o, comunque, avrebbe avuto conseguenze di
ben diverso spessore qualora la macchina fosse stata
dotata dei presidi antinfortunistici (Cass. pen., Sez.
4, n. 41985 del 5 novembre 2003, P.G. in proc. M. e
altro, in Ced Cass. 227288).
(20) Fattispecie in cui un lavoratore per sbloccare una
macchina a 5/6 metri da terra anziché servirsi della
apposita scala aveva fatto un uso improprio di un
carrello elevatore (Cass. pen., Sez. 4, n. 12115 del 22
ottobre 1999, G., in Ced Cass. 214997).
29/06/2011
Contenuto delle regole di diligenza e colpa
antinfortunistica
Lo scopo che, di regola, presiede alla formulazione
delle regole di diligenza è impedire l'evento lesivo. Le
regole di diligenza possono consistere in obblighi
diversi.
Numerose esemplificazioni si hanno in materia
antinfortunistica:
a) proteggere o segregare gli organi lavoratori delle
macchine (21);
b) scegliere collaboratori idonei (c.d. culpa in
eligendo) (22);
c) controllare persone o cose (c.d. culpa in
vigilando) (23).
V'è, in ogni caso, una costante nelle affermazioni
giurisprudenziali: è irrilevante, ai fini del giudizio
della colpa per inosservanza, l'onerosità economica
delle misure di sicurezza che la tecnica offre
(eventualmente migliorando i presidi sussistenti alla
luce del progresso della tecnica), non essendo né
«logicamente né giuridicamente concepibile che il bene
della salute e della vita resti sacrificato dagli
interessi economici, talché l'imprenditore è tenuto ad
adottare tutte le misure (ancorché onerose) atte a
garantire la sicurezza e, in caso di impossibilità, deve
astenersi da quelle attività, e dall'uso di quelle
attrezzature, che creino una situazione di pericolo»
(24): il ragionamento della Corte è estensibile ad ogni
attività che ponga in pericolo la salute o la vita.
(21) Cass. pen., Sez. 4, n. 1501 del 2
febbraio 1990, I., in Ced Cass. 183204.
(22) In tema di scelta dell'appaltatore,
v., ad es., Cass. pen., Sez. 3, n. 2329 del 3 marzo
1992, S. ed altri, in Ced Cass. 189173.
(23) I vertici di un'organizzazione
complessa rispondono per culpa in vigilando, della
mancata attuazione delle direttive da essi emanate:
Cass. pen., Sez. 4, n. 5037 del 6 febbraio 2001, C. e
altri, in Ced Cass. 219424; conf., Sez. 1,
n. 30811 del 13 settembre 2002, V., in Ced Cass.
222588).
(24) Cass. pen., Sez. 4, n. 5037 del 6
febbraio 2001, C. e altri, in Ced Cass. 219423;
Sez. 4, n. 6750 del 17 giugno 1991, M., non massimata
sul punto, in materia di presidi antinfortunistici.
L'accertamento della colpa specifica: in particolare, le
regole elastiche
L'inosservanza di regole cautelari scritte non è di per
sé sufficiente a fondare la responsabilità per colpa nei
reati colposi di evento: bisogna accertare se l'evento
concreto rappresenta o meno la realizzazione del rischio
che la norma cautelare mirava ad evitare. Le norme
giuridiche contenenti regole di condotta possono essere
di due tipi:
a) rigide
(in questo caso obbligano il destinatario ad una
condotta determinata in modo tassativo;
b)
elastiche (in questo caso devono essere interpretate in
relazione alla situazione concreta ed il loro
accertamento non differisce da quello della colpa
generica).
Esempi di
norme «elastiche» sono riscontrabili nel D.Lgs. n.
81/2008. Ad esempio, se ne riscontrano molteplici
nell'art. 18 del T.U.S. (25).
Ora, è
pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che
l'accertamento della violazione di una norma positiva
«rigida» costituisce un semplice indizio di colpa. Il
rispetto di tale tipo di norma è doveroso solo fino a
quando la condotta imposta non determini in concreto un
aumento del rischio della realizzazione del fatto. In
tali ipotesi ad essere prescritta è infatti la condotta
inosservante la norma positiva, ma in grado di evitare
il pericolo (26).
Ulteriore
problema è dato, poi, dal fatto che l'art. 43 richiama
disgiuntivamente la colpa generica e quella specifica.
Ciò significa che l'osservanza delle regole positive non
esclude pertanto la violazione di doveri di diligenza.
Ciò è quanto sostiene la giurisprudenza quando non
ritiene sufficiente il rispetto dei valori limite di
esposizione alle polveri di amianto.
Il
rischio, in questi casi, è quello di un massiccio
ricorso alla colpa generica (art. 2087 c.c.) in caso di
esclusione della violazione della specifica disposizione
prudenziale, ciò che si verifica frequentemente nella
giurisprudenza in materia antinfortunistica, che
sostiene il principio della massima sicurezza
tecnologicamente fattibile (27). Ciò porta la
giurisprudenza a ritenere che non occorre, per
configurare la responsabilità del datore di lavoro, che
sia integrata la violazione di specifiche norme dettate
per la prevenzione degli infortuni essendo sufficiente
che l'evento dannoso si sia verificato a causa
dell'omessa adozione di quelle misure e accorgimenti
imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ai fini
della più efficace tutela dell'integrità fisica del
lavoratore (28).
(25) V., a mero titolo esemplificativo: e) «prendere le
misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che
hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico
addestramento accedano alle zone che li espongono ad un
rischio grave e specifico»; g-bis) «nei casi di
sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41,
comunicare tempestivamente al medico competente la
cessazione del rapporto di lavoro»; i) «informare il più
presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un
pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le
disposizioni prese o da prendere in materia di
protezione»; q) «prendere appropriati provvedimenti per
evitare che le misure tecniche adottate possano causare
rischi per la salute della popolazione o deteriorare
l'ambiente esterno verificando periodicamente la
perdurante assenza di rischio».
(26) Marinucci, op. cit., v. supra.
(27) V., tra le tante: Cass. pen., Sez. 4, n. 7402 del
24 giugno 2000, M., in Ced Cass. 216476; conf.,
Sez. 4, n. 41944 del 21 dicembre 2006, P.G. in proc. L.
ed altri, in Dir. prat. lav., 2007, 5, p. 376 ss.
con nota di R. Guariniello, Disastro ferroviario e
livello esigibile di aggiornamento tecnologico, ed
in Cass. pen., 2007, 11, IV, p. 4269, con nota di
F. Pavesi, A proposito della «massima sicurezza
tecnologica» esigibile dal datore di lavoro.
(28) Cass. pen., Sez. 3, n. 6360 del 18 febbraio 2005,
L.G., in Ced Cass. 230855; conf., Sez. 4,
n. 8641 del 3 marzo 2010, T. e altro, in Ced Cass.
246423.
29/06/2011
Il nesso tra colpa ed evento: la causalità nella
colpa
L'evento non appartiene allo schema legale soltanto
sotto il profilo oggettivo, come mero elemento del
rapporto di causalità, ma anche come punto di
riferimento della colpa: «la qualifica di imprudente non
riguarda la condotta in sé e per sé, isolatamente
considerata, ma si riferisce alla condotta in quanto
produttiva di un determinato evento. Si doveva agire
diversamente appunto perché, agendo come si è agito, si
poteva cagionare un evento che il legislatore voleva
impedire» (29).
La giurisprudenza tuttavia confonde spesso questa
duplice rilevanza dell'evento.
Quando sussiste dunque il nesso tra colpa ed evento?
Sussiste qualora l'evento verificatosi nella realtà
rappresenta la realizzazione dello specifico pericolo
(costituente la ratio della norma cautelare
violata) - creato (o non impedito) dall'agente - che
faceva apparire oggettivamente contrario a diligenza il
suo fare (o il suo omettere): l'evento verificatosi deve
quindi essere riconducibile al tipo di evento che la
regola cautelare violata intende prevenire (30).
In giurisprudenza è frequente l'affermazione che la
prevedibilità debba riferirsi alle «modalità essenziali»
che consentano di individuare l'evento rappresentabile
come appartenente allo stesso «tipo» di evento che si è
verificato in concreto.
La dottrina sostiene che questa sia una formula
tautologica finché non si stabilisce un criterio che
consenta di distinguere le modalità «essenziali» da
quelle «non essenziali» (31). Si tratta di quella che
viene definita come «causalità della colpa», ciò che
significa che il giudizio di prevedibilità non ha ad
oggetto l'evento come appartenente ad un genus o
un mero evento di danno, ma deve fare riferimento allo
specifico decorso causale sfociato nell'evento terminale
(32).
Non sempre è necessario accertare la completa
concatenazione causale che ha provocato l'evento
verificatosi per giungere ad affermare la responsabilità
dell'imputato: ad esempio, se un lavoratore cade da
un'impalcatura perché il datore di lavoro non gli ha
fornito una cintura di sicurezza oppure perché non ha
controllato che questi la indossasse, è irrilevante
accertare che il lavoratore sia caduto per un malore o
per un errore di valutazione o, ancora, per una spinta
involontaria di un terzo, poiché, quale che sia stata la
causa, l'osservanza della regola precauzionale sarebbe
stata comunque idonea ad impedire l'evento finale. Però,
esistono casi nei quali, invece, non può prescindersi
dall'accertamento fattuale, ossia dal ricostruire come e
perché l'evento si è verificato.
D'accordo su quest'ultimo punto anche la dottrina che,
ad es., ribadisce che la descrizione dell'evento debba
avvenire rispetto all'evento concreto e dal punto di
vista della regola cautelare, rischiandosi altrimenti di
ricadere nella logica del versari in re illicita
(33).
La giurisprudenza, tuttavia, ha sovente approdi diversi,
come dimostrato in numerosi casi, anche recenti (34).
(29) Così Delitala, Dolo eventuale e
colpa cosciente, ora in Diritto penale. Raccolta
degli scritti, I, 1976, p. 431.
(30) Cass. pen., Sez. 4, n. 1501 del 2
febbraio 1990, I., in Ced Cass. 183204.
(31) In tal senso: Forti, Colpa ed
evento nel diritto penale, 1990. V., però,
un'espressione più felice, con cui la giurisprudenza ha
fatto riferimento ad «errori della stessa classe
dell'evento», a proposito del noto disastro di Stava
(Cass. pen., Sez. 4, n. 4793 del 29 aprile 1991, B. e
altri, in Ced Cass. 191788).
(32) V., di recente, Cass. pen., Sez. IV,
26 gennaio 2011, n. 2597, in Sistema A&S, con
nota di A. Scarcella, Responsabilità del datore di
lavoro, violazione della regola cautelare ed incerto
decorso causale, su
http://www.ambientesicurezza.indicitalia.it/quotidiano.
(33) Così, Dolcini, L'imputazione
dell'evento aggravante. Un contributo di diritto
comparato, in RIDPP, 1979, p. 755; Id.,
Responsabilità oggettiva e principio di colpevolezza,
in RIDPP, 2000, p. 863.
(34) Ci si riferisce, in particolare, a
Cass. pen., Sez. 4, n. 5037 del 6 febbraio 2001, C. e
altri, in Ced Cass. 219425; Sez. 4, n. 988 del 14
gennaio 2003, M. e altro, in Ced Cass. 227000;
Sez. 4, n. 5117 del 1 febbraio 2008, B. e altri, in
Ced Cass. 238777; Sez. 4, n. 38991 del 4 novembre
2010, Q. e altri, Guida al lav., 2010, 45, p. 15
ss., con nota di M. Gallo, Sicurezza del lavoro: la
Cassazione sulla responsabilità del Cda, ed in
Dir. pen. proc., 2010, 2, p. 185 ss., con nota di F.
Palazzo Francesco, Morti da amianto e colpa penale,
ed, infine, in Resp. civ. prev., 2011, 2, II, p.
346 ss., con nota di N. Coggiola, La Cassazione
penale ed il problema della scelta delle teorie
scientifiche secondo cui ricostruire la causalità nelle
fattispecie di mesoteliomi causati dall'esposizione
all'amianto.
Considerazioni conclusive
A conclusione del percorso in
esame, è agevole rendersi conto di come (e quanto)
complesso sia l'accertamento della «colpa» nei reati
antinfortunistici.
Certo, se più semplice appare
l'accertamento della responsabilità colposa negli
infortuni sul lavoro propriamente detti, maggiore è,
invece, il grado di complessità valutativa che
l'accertamento del coefficiente psicologico che sorregge
la condotta si ha nel capo delle malattie professionali,
anche se, sovente, in tali casi si tende maggiormente ad
approfondire il tema della causalità lasciando sullo
sfondo, quasi fosse un fratello minore, il tema della
colpa. Se questo è vero, è però altrettanto vero che
altri problemi si delineano all'orizzonte degli
operatori del diritto nel campo della responsabilità
antinfortunistica. Intendiamo riferirci, in particolare,
al noto caso della Thyssenkrupp, recentemente conclusosi
con il riconoscimento, per la prima volta in questo
campo, della responsabilità dolosa del datore di lavoro,
sub specie di dolo eventuale.
È stato opportunamente osservato
dai primi commentatori della sentenza che la sentenza
della Corte d'Assise di Torino rappresenta un nuovo modo
di intendere la prevenzione infortuni. In attesa di
leggere le motivazioni della sentenza, non possiamo non
registrare un dato. Dal campo della responsabilità
colposa, la sentenza ha aperto le porte verso un nuovo
modo di intendere la prevenzione e, correlativamente, di
accertare i profili di responsabilità del reo.
Dall'accertamento della colpa,
infatti, occorre un mutamento di angolo prospettico,
volgendo l'attenzione verso il dolo. L'insidiosa (e, nel
contempo, coraggiosa) strada percorsa dai giudici della
Corte piemontese costituirà senz'altro materia di
dibattito nei prossimi anni, con la certezza che la
funzione nomofilattica della Corte di Cassazione saprà
fornire - come sempre brillantemente avvenuto in questi
anni - la soluzione al dilemma esegetico. |