La particolare disciplina
dell’attività edilizia libera, contemplata dall’articolo
6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. Testo Unico
dell’edilizia), come modificato dall’articolo 5, comma
2, della L. n. 73/2010, non è applicabile agli
interventi che, pur rientrando nelle categorie
menzionate da tale disposizione, siano in contrasto con
le prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Prima sentenza successiva
all’entrata in vigore delle modifiche normative
introdotte lo scorso anno in materia edilizia,
segnatamente in tema di attività edilizia libera. La
Suprema Corte, intervenendo in una fattispecie nella
quale in un’area agricola erano stati realizzati due
piazzali, a servizio di un’attività commerciale,
concernente il deposito di mezzi meccanici e la
riparazione di veicoli industriali, ha disatteso la
doglianza difensiva secondo cui si sarebbe trattato di
interventi soggetti a mera denuncia di inizio attività,
attesa la loro natura pertinenziale e, comunque, tenuto
conto delle modifiche normative introdotte dalla L. 22
maggio 2010, n. 73, le opere realizzate sarebbero
rientrate nell’attività edilizia libera (art. 6, comma
1, lett. c), la cui violazione è oggi soggetta a mera
sanzione amministrativa pecuniaria.
I giudici di legittimità, con
dovizia di argomentazioni e con la consueta lucidità
esegetica, hanno invece escluso la fondatezza delle
argomentazioni difensive, affermando il principio di
diritto secondo cui la disciplina di favore prevista per
l’attività edilizia libera non è applicabile agli
interventi che, pur rientrando nelle categorie
menzionate da tale disposizione, siano in contrasto con
le prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Il fatto
La vicenda processuale esaminata
dalla Cassazione, per quanto desumibile dalla
motivazione della decisione, vedeva imputato il
proprietario di un’area al quale era stato addebitato di
aver realizzato, in area classificata come agricola ed
in assenza di permesso di costruire, due piazzali
rispettivamente di mq. 1700 e mq. 740, a servizio di
un’attività commerciale dallo stesso gestita e
concernente il deposito di mezzi meccanici.
In sede di merito, egli veniva
riconosciuto colpevole del reato previsto dall’art. 44,
comma 1, lett. b), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. In
particolare, i giudici di merito escludevano la natura
pertinenziale delle opere realizzate qualificando
l’intervento come di “nuova costruzione” ed escludevano
la sospendibilità del processo penale ai sensi dell’art.
45 del d.P.R. citato.
Il ricorso
Il condannato resisteva alla doppia
condanne inflittagli nel merito, affidando le proprie
doglianze ad alcuni motivi di ricorso. Per quanto qui di
interesse, senza analizzare il motivo processuale
eccepito dall’interessato, erano sostanzialmente due le
ragioni “sostanziali” poste a base dell’impugnazione:
a) la già eccepita
“pertinenzialità” delle opere;
b) la sopravvenuta irrilevanza
penale dell’intervento edilizio abusivamente eseguito,
attesa l’applicabilità, nel caso di specie, del
novellato regime dell’attività edilizia libera,
introdotto a seguito delle modifiche operate con la
legge n. 73/2010.
La decisione
La Corte ha disatteso del tutto le
doglianze difensive, pervenendo ad affermare il predetto
principio di diritto.
Quanto alla questione della natura
pertinenziale, nulla quaestio. Sul punto, infatti, gli
Ermellini hanno facile gioco ad escluderla in
considerazione della consistenza e della natura delle
opere eseguite, sicuramente non riconducibili alla
tradizionale nozione di “pertinenza”, come ormai
consolidatasi nella giurisprudenza della Suprema Corte.
La nozione di pertinenza in sede
penale, infatti, ha caratteristiche sue proprie diverse
da quella contemplata dal codice civile e si sostanzia
in un'opera che pur essendo preordinata ad una oggettiva
esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed
oggettivamente inserita al servizio dello stesso, abbia
comunque una propria individualità fisica ed una propria
conformazione strutturale e quindi non sia parte
integrante o costitutiva di altro fabbricato. Inoltre,
la pertinenza deve essere sfornita di autonomo valore di
mercato, deve essere dotata di un volume minimo tale da
non consentire una sua destinazione autonoma e diversa
da quella a servizio dell'immobile a cui accede (v., tra
le tante, da ultimo: Cass. pen., Sez. 3, n. 20349 del
28/05/2010, imp. C., in Ced Cass. 247108).
In ogni caso, la tipologia
dell’abuso edilizio realizzato era comunque esclusa
dalla nozione di pertinenza che, secondo la tradizionale
giurisprudenza, è applicabile soltanto con riferimento
all'edilizia residenziale, in quanto le opere devono
essere destinate al servizio di edifici già esistenti
(Cass. pen., Sez. 3, n. 46291 del 30/11/2004, imp. S.,
in Ced Cass. 230476).
Ben più interessante, invece, la
questione affrontata dalla Corte con riferimento alla
sussumibilità dell’intervento nella novellata categoria
dell’attività edilizia libera, oggetto di modifica
normativa attuata nel 2010. Com’è noto, infatti, il
legislatore del 2010 è intervenuto sull’art. 6 del T.U.
edilizia (Attività edilizia libera), come sostituito
dall'art. 5 della L. 22 maggio 2010, n. 73 (recante
“Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, recante disposizioni
urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto
alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate,
tra l'altro, nella forma dei cosiddetti «caroselli» e
«cartiere», di potenziamento e razionalizzazione della
riscossione tributaria anche in adeguamento alla
normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti
recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e
sostegno della domanda in particolari settori”).
La norma, in particolare “Fatte
salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici
comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative
di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio,
igienicosanitarie, di quelle relative all’efficienza
energetica nonché delle disposizioni contenute nel
codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, autorizza
l’esecuzione, senza alcun titolo abilitativo, di tutta
una serie di interventi, distinguendo tra interventi per
i quali è necessaria una preventiva comunicazione ed
interventi eseguibili in assenza di qualsivoglia
comunicazione.
In questi ultimi vi rientrano:
a) gli interventi di manutenzione
ordinaria;
b) gli interventi volti
all’eliminazione di barriere architettoniche che non
comportino la realizzazione di rampe o di ascensori
esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma
dell’edificio;
c) le opere temporanee per attività
di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere
geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di
idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al
centro edificato;
d) i movimenti di terra
strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività
agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali, compresi
gli interventi su impianti idraulici agrari;
e) le serre mobili stagionali,
sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo
svolgimento dell’attività agricola.
Quelli che, invece, pur liberi,
necessitano di “previa comunicazione, anche per via
telematica, dell’inizio dei lavori da parte
dell’interessato all’amministrazione comunale” sono i
seguenti:
a) gli interventi di manutenzione
straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lettera
b), ivi compresa l’apertura di porte interne o lo
spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino
le parti strutturali dell’edificio, non comportino
aumento del numero delle unità immobiliari e non
implichino incremento dei parametri urbanistici;
b) le opere dirette a soddisfare
obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere
immediatamente rimosse al cessare della necessità e,
comunque, entro un termine non superiore a novanta
giorni;
c) le opere di pavimentazione e di
finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, che
siano contenute entro l’indice di permeabilità, ove
stabilito dallo strumento urbanistico comunale, ivi
compresa la realizzazione di intercapedini interamente
interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle
acque, locali tombati;
d) i pannelli solari, fotovoltaici,
a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori
della zona A) di cui al decreto del Ministro per i
lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444;
e) le aree ludiche senza fini di
lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici.
Ove l’interessato non rispetti le
prescrizioni procedurali dettate dalla norma (commi 3, 4
e 5: in particolare, comunicare l’inizio dei lavori e/o
trasmettere la dichiarazione di un suo tecnico che
asseveri la conformità dei lavori agli strumenti
urbanistici, attestando la non necessità di un titolo
abilitativo ai sensi della legge nazionale), andrà
soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria
(prevista dal comma 7), eventualmente ridotta di due
terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente
quando l’intervento è in corso di esecuzione.
Trattasi di una disciplina vista
con particolare favore dal legislatore nazionale che,
nell’ottica del rispetto del rapporto Stato/Regioni
(segnatamente dell’art. 117 Cost. che prevede una
potestà legislativa concorrente delle Regioni quanto al
governo del territorio), prevede che le regioni a
statuto ordinario:
a) possono estendere la disciplina
di cui al presente articolo a interventi edilizi
ulteriori rispetto a quelli sopra indicati;
b) possono individuare ulteriori
interventi edilizi, tra quelli appartenenti alla seconda
categoria, per i quali è fatto obbligo all’interessato
di trasmettere la relazione tecnica di cui sopra;
c) possono stabilire ulteriori
contenuti per la relazione tecnica di cui sopra, nel
rispetto di quelli minimi fissati dalla stessa norma.
L’art. 5 è chiaramente volto ad
ampliare - mediante sostituzione dell’art. 6 del T.U.
dell’edilizia - le tipologie di interventi rientranti
nell’attività edilizia libera (in precedenza, tale
tipologia includeva la manutenzione ordinaria,
l’eliminazione di barriere architettoniche e le opere
temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo, dalle
quali la legge n. 73/2010 ha escluso le attività di
ricerca di idrocarburi).
Orbene, la nuova elencazione delle
attività “libere”, anzitutto, secondo la Corte deve
intendersi non come tassativa ma esemplificativa “con la
conseguenza che deve ritenersi richiesto il rispetto di
tutta la normativa di settore, ancorchè non menzionata,
che abbia comunque rilevanza nell’ambito dell’attività
edilizia”. Per tale ragione, dunque, devono essere
esclusi dall’applicazione del regime di favore
introdotto dall’art. 6 novellato tutti gli interventi
eseguiti in contrasto con le disposizioni precettive
degli strumenti urbanistici comunali ed in violazione
delle altre disposizioni menzionate.
Così interpretata la norma, quindi,
non poteva esservi spazio per la tesi difensiva. Ed
infatti, la realizzazione delle opere abusive era
avvenuta in area classificata dallo strumento
urbanistico come zona agricola E, ossia in evidente
contrasto con la destinazione urbanistica dell’area.
(Sentenza Cassazione penale
17/05/2011, n. 19316) |