Il possesso è tutelato
dall'ordinamento giuridico con le azioni di
reintegrazione e di manutenzione, previste dagli art.
1168 e 1170 del codice civile, per garantire,
nell'interesse collettivo, il diritto soggettivo alla
sua conservazione contro gli atti di spoglio violento o
clandestino e di molestia (cfr., amplius, "IL POSSESSO -
Usucapione, azione di reintegrazione e di manutenzione,
denuncia di nuova opera e di danno temuto -" - CEDAM
2011), nonché per evitare turbamento della pace sociale,
a prescindere dalla esistenza di un titolo
giustificativo, essendo considerato di per sé un valore
meritevole di tutela:
“il primo motivo di ricorso è
fondato. Il possesso, definito dall'art. 1140 del codice
civile come "Il potere sulla cosa che si manifesta in
un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà
o di altro diritto reale", è tutelato dall'ordinamento
giuridico con le azioni di reintegrazione e di
manutenzione, previste dagli. artt. 1168 e 1170 del
codice civile, per garantire, nell'interesse collettivo,
il diritto soggettivo alla sua conservazione contro gli
atti di spoglio violento o clandestino e di molestia e
per evitare turbamento alla pace sociale (ne cives ad
arma veniant), a prescindere dalla esistenza di un
titolo giustificativo, essendo considerato di per sè un
valore meritevole di difesa”.
Cassazione civile, sez. II, 22
maggio 2003, n. 8075 Censi e altro c. Marzetti Giust.
civ. Mass. 2003, 5
Poiché, ai sensi dell'art. 1146
c.c., il possesso continua, con effetto dall'apertura
della successione, nell'erede, quest'ultimo, alla morte
del possessore, è legittimato a promuovere dette azioni;
a tal fine, è sufficiente che l'erede provi la propria
qualità di successore universale, non richiedendosi la
dimostrazione dell'esistenza di un titolo che autorizzi
ad esercitare il potere di fatto sulla cosa:
“e, poiché, ai sensi dell'art. 1146
dello stesso codice, il possesso continua, con effetto
dall'apertura della successione, nell'erede,
quest'ultimo, alla morte del possessore, è legittimato a
promuovere dette azioni. Pertanto, per agire come erede
a tutela del possesso, di cui anteriormente era titolare
il de cuius, è sufficiente provare la propria qualità di
successore universale, non richiedendosi la
dimostrazione dell'esistenza di un titolo che autorizzi
ad esercitare il potere di fatto sulla cosa. È evidente,
poi, che costituendo il possesso, per la norma di cui
all'art. 1140 del codice civile, un potere di fatto, che
si manifesta in una attività corrispondente
all'esercizio non solo della proprietà, ma di ogni altro
diritto reale, l'erede, di chi possedeva la cosa come
usufruttuario, è legittimato ed esperire i rimedi
apprestati dall'ordinamento contro chiunque compia atti
di spoglio o di turbativa e anche nei confronti della
persona divenuta piena proprietaria del bene per effetto
dell'estinzione del diritto di usufrutto di cui era
titolare il defunto”.
Cassazione civile, sez. II, 22
maggio 2003, n. 8075 Censi e altro c. Marzetti Giust.
civ. Mass. 2003, 5
Ciò detto, costituendo il possesso,
ai sensi dell'art. 1140 c.c., un potere di fatto che si
manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio
non solo della proprietà, ma di ogni altro diritto
reale, l'erede di chi possedeva la cosa come
usufruttuario (cfr., amplius, "Usufrutto, uso e
abitazione", Cedam, Padova 2010), è legittimato ad
esperire i rimedi apprestati dall'ordinamento contro
chiunque compia atti di spoglio o di turbativa e anche
nei confronti della persona divenuta piena proprietaria
del bene per effetto dell'estinzione del diritto di
usufrutto di cui era titolare il defunto:
“nella specie il Tribunale, avendo
ritenuto che le Censi, come eredi della posseditrice
dell'immobile a titolo di usufrutto, non erano
legittimate a promuovere l'azione di reintegrazione
(art. 1168 cod. civ.) contro il Marzetti, perché
quest'ultimo era divenuto pieno ed esclusivo
proprietario del bene con l'estinzione dell'usufrutto,
non si è adeguato all'enunciato il principio di diritto.
Degli altri motivi, il secondo, il terzo ed il quarto
restano assorbiti, mentre infondato e da rigettare è il
quinto per l'assoluta genericità di esso sia quanto alla
indicazione delle cose che sarebbero state oggetto dello
spoglio sia quanto al riferimento agli atti processuali
riguardanti siffatti beni, che questa Corte dovrebbe,
esulando dai suoi poteri, controllare. La censura è, in
ogni caso, confusa e mal posta, sotto il profilo della
violazione dell'art. 112 cpc e del difetto di
motivazione, essendo contraddittoria rispetto al
contenuto effettivo del motivo nel quale si denunzia
sostanzialmente - sia pure, ancora una volta, in maniera
generica ed approssimativa quanto alla indicazione degli
atti processuali - la violazione del giudicato interno
formatosi, in relazione ai beni diversi dall'immobile,
sulla sentenza di primo grado che si assume non
censurata sul punto. Il giudice di rinvio, che si
individua nella Corte di Appello de L'Aquila, si atterrà
ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà
anche sulle spese del presente giudizio di legittimità”.
Cassazione civile, sez. II, 22
maggio 2003, n. 8075 Censi e altro c. Marzetti Giust.
civ. Mass. 2003, 5
In applicazione di tale principio,
la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata
“con ricorso del 1.12.1989 Censi
Albertina e Agnesina, quali eredi di Censi Alfonsina,
deceduta in Roma il 18.8.89, chiedevano al Pretore di
Civitella Roveto di essere reintegrate nel possesso di
una casa di abitazione sita in Civita d'Antino e degli
arredi in essa contenuti, assumendone di esserne state
spogliate da Marzetti Giovanni, il quale non aveva
restituito la chiave che sua moglie si era fatta
consegnare da una vicina che la deteneva durante il
periodo di assenza della defunta. Il Pretore emetteva
decreto di reintegra e, a chiusura della fase sommaria,
accoglieva con sentenza la domanda delle ricorrenti.
L'appello proposto dal Marzetti era accolto dal
Tribunale di Avezzano con sentenza del 16.11.1989 nella
quale quel giudice osservava: a) che la de cuius, avendo
ceduto la casa al Marzetti con riserva di usufrutto, ne
aveva mantenuto in vita il possesso in qualità di
usufruttuaria; b) che non poteva farsi riferimento
all'automatismo di cui all'art. 1146 c.c., nel caso
(come quello di specie) in cui il possesso è destinato
automaticamente a cessare nello stesso istante della
morte del titolare; c) che non poteva neppure farsi
riferimento all'esercizio di un potere di fatto in
quanto esso non era ravvisabile in favore delle
ricorrenti, d) che proprio la defunta Censi aveva
autorizzato la consegna delle chiavi al Marzetti,
consentendogli di rientrare nella disponibilità
dell'immobile; e) che, in ogni caso, lo spoglio non era
stato nè violento nè clandestino. Avverso detta sentenza
ricorrono per cassazione Censi Albertina e Albertelli
Ferdinando, erede di Censi Agnesina con unico atto che
espone cinque motivi. Marzetti Giovanni resiste con
controricorso”
Cassazione civile, sez. II, 22
maggio 2003, n. 8075 Censi e altro c. Marzetti Giust.
civ. Mass. 2003, 5
che aveva escluso la legittimazione
(degli eredi del soggetto che possedeva un immobile a
titolo di usufrutto) a promuovere l'azione di
reintegrazione nei confronti di chi era divenuto pieno
ed esclusivo proprietario del bene con l'estinzione
dell'usufrutto:
“nel primo motivo si deduce
violazione degli artt. 1140 e 1146 c.c. sotto il profilo
che, altro essendo il possesso ed altro il diritto a
possedere connesso all'esistenza di un diritto reale,
ben poteva estinguersi quest'ultimo diritto senza
intaccare la situazione possessoria trasmissibile
all'erede, secondo il disposto dell'art. 1146, tanto che
da questi, ed anche dal semplice chiamato, sono
esercitabili le azioni possessorie rispetto ai beni
ereditari a norma dell'art. 460 c.c.. Nel secondo motivo
si censura la sentenza per violazione dell'art. 460 in
relazione all'art. 1146 c.c.. Lo stesso giudice di
merito, cosciente della confusione fatta tra possesso e
diritto a possedere, si era preoccupato di negare alle
ricorrenti la tutela sotto il profilo della situazione
di fatto e così, cadendo in errore sull'applicazione
dell'art. 460 c.c., che tutela il chiamato anche a
prescindere da un suo possesso dei beni, per cui l'art.
1146 finirebbe par tutelare l'erede meno di quanto
l'art. 460 tuteli il chiamato. Le ricorrenti, quindi,
potevano agire in possessoria anche senza avere il
possesso dei beni. Il terzo motivo denunzia violazione e
falsa applicazione degli artt. 1140 e 1146 c.c. e
carenza di motivazione. Si lamenta in esso che la
sentenza non avrebbe adeguatamente motivato il
ribaltamento della convinzione del giudice di primo
grado, circa la precarietà del possesso della moglie del
Marzetti cui erano state consegnate le chiavi da ultimo
non restituite. In ogni caso si doveva ritenere che il
Marzetti, a seguito della consegna delle chiavi - che
avveniva per mera tolleranza - era, al più, divenuto un
compossessore. Col quarto motivo si lamenta violazione
degli artt. 1168 e 1170 c.c. poiché anche nel caso in
cui la consegna delle chiavi avesse portato ad escludere
la violenza e la clandestinità dello spoglio, l'azione
di tutela era nel caso concreto possibile ricorrendo le
condizioni di cui al secondo comma dell'art. 11780 c.c..
Nel quinto motivo si lamenta violazione dell'art. 112
c.p.c. e carenza di motivazione per essere stata
respinta la domanda delle ricorrenti, senza adeguata
motivazione, anche in relazione ai beni mobili ed
effetti personali contenuti nella casa quando il
Marzetti aveva impugnato la sentenza di primo grado con
motivi afferenti al solo immobile”.
Cassazione civile, sez. II, 22
maggio 2003, n. 8075 Censi e altro c. Marzetti Giust.
civ. Mass. 2003, 5 |