Abstract
Il presente lavoro muove
dall'esigenza di far luce sulla natura degli interessi
collettivi dei consumatori, premessa logicamente
necessaria per la costruzione di un impianto processuale
che assicuri l'effettività della tutela. L'autrice
partendo dall'analisi strutturale degli interessi
collettivi in generale, per poi soffermarsi sulla
specifica ipotesi degli interessi collettivi dei
consumatori, giunge alla conclusione che quest’ultimi
non appartengono all'astratta collettività dei
consumatori, ma configurano diritti spettanti al singolo
consumatore, seppur qualificati in maniera diversa
rispetto ai diritti soggettivi classici: diritti che si
connotano per la loro generalità, che vanno al di là di
uno specifico rapporto contrattuale con il produttore di
beni o servizi, e che si caratterizzano per il loro
essere conformi e concorrenti, talché il soddisfacimento
di un soggetto è al tempo stesso soddisfacimento anche
per tutti gli altri componenti della categoria.
SOMMARIO: 1. Rilievi critici sul
concetto di interesse collettivo come quid diverso dagli
interessi individuali; 2. Gli interessi collettivi come
posizioni giuridiche individuali; 3. Gli interessi
collettivi dei consumatori nel codice del consumo; 4.
Segue. Gli interessi collettivi dei consumatori come
diritti individuali-collettivi.
1. Rilievi critici sul concetto di
interesse collettivo come quid diverso dagli interessi
individuali.
A distanza di più di un secolo da
quando cominciò a prospettarsi all'attenzione della
dottrina il problema delle situazioni sostanziali a
carattere superindividuale[1], che ha poi suscitato una
grande attrattiva a partire dagli anni Settanta[2],
persiste tuttora una certa nebulosità, che fa sì che non
se ne riesca a cogliere appieno la portata.
La percezione del fenomeno degli
interessi collettivi risulta per lo più viziata dal
pregiudizio ideologico che la riferibilità di una
situazione di vantaggio a favore di soggetti di
difficile individuazione comporti un'astrazione dai
soggetti di riferimento per divenire interesse della
collettività, concepita quale soggetto d'interesse
avulso dai membri della stessa[3].
Ora, per poter costruire un
impianto processuale che sappia rispondere alle esigenze
di tutela appartenenti a questa tipologia di interessi,
bisogna anzitutto sgombrare il campo da possibili forme
devianti dalla corretta percezione del fenomeno, quale
il pensare al collettivo come a un quid del tutto
diverso e sovraordinato all'individuale, distogliendo
così l'attenzione dal protagonista effettivo del
fenomeno collettivo, cioè dalla persona, a cui gli
interessi, anche se a rilevanza superindividuale non
cessano mai di appartenere[4].
Tale valutazione si ricava già su
un piano pregiuridico del collettivo (che evoca
naturalmente l'idea del gruppo), poiché la condivisione
di un medesimo interesse, quale ad esempio un interesse
di natura economica, religiosa, ambientale o di
qualunque altra natura, che determina il sorgere di un
gruppo con una specifica fisionomia - ancorché
sprovvisto di un preciso riconoscimento giuridico -
comporta la necessità di strumenti di raccordo delle
attività dei singoli e delle iniziative dirette al
perseguimento dell'interesse comune, ma non comporta il
venir meno della titolarità in capo ai singoli
componenti degli interessi coincidenti a favore del
gruppo, inteso come qualcosa di differenziato rispetto
ad essi.
Ugualmente l'indivisibilità del
bene, fulcro di diverse ricostruzioni, non può assurgere
ad elemento connotante il concetto di interesse
collettivo[5]. Sebbene, infatti, vi siano aspirazioni
verso lo stesso bene e il suo conseguimento le soddisfa
parimenti, ciò non vuol dire che non si abbiano
interessi collettivi anche verso beni divisibili,
collettivamente perseguibili.
Invero, alla base del fenomeno vi
sono posizioni giuridiche sostanziali individuali che
nascono indipendentemente l'una dall'altra, accomunate
da un nesso relazionale, ovverosia la circostanza che
una medesima condotta contra ius è idonea a
comprometterle tutte e che un unico comportamento
doveroso o un unico provvedimento giudiziale è atto a
soddisfarle tutte.
La circostanza che la lesione di
una situazione giuridica non esclusiva comporti,
inevitabilmente, la lesione di tutti i soggetti
appartenenti alla categoria - titolari delle medesime
posizioni di vantaggio - e che i rimedi giurisdizionali
apprestati a tutela di interessi collettivi
(provvedimenti di tipo inibitorio[6]) si manifestino
idonei a soddisfare congiuntamente, in un'unica
soluzione, tutti gli interessati[7], non determina una
metamorfosi della struttura formale dei sottostanti
interessi individuali.
L'interesse collettivo rappresenta
la dimensione sovraindividuale che assumono ex necesse
talune nuove posizioni giuridicamente rilevanti,
caratterizzate dall'essere conformi e compatibili[8].
È quindi di rilievo preminente non
considerare l'interesse collettivo un tertium genus
rispetto alle tradizionali situazioni giuridiche o una
figura autonoma rispetto alle sottostanti situazioni
individuali, ma una categoria dogmatica strumentale alla
tutela di esse[9], che rende effettiva la tutela
giurisdizionale di situazioni non strettamente
individuali di cui il singolo è comunque titolare[10],
mediante l'estensione della legittimazione ad agire agli
enti esponenziali.
La polverizzazione del referente
non può portare alla conclusione che l'interesse
collettivo non sia anche un interesse individuale.
Esso va pur sempre ricondotto
nell'ambito di una posizione di vantaggio riconosciuta
dall'ordinamento[11], la cui valenza collettiva viene
contemplata dal legislatore, incidendo su profili di
peculiare interesse per il processualcivilista come
l'estensione della legittimazione ad agire,
l'individuazione dei limiti soggettivi del giudicato, il
coordinamento tra l'azione proposta dall'ente e le
eventuali azioni individuali, il tipo di provvedimento
adottabile nonché l'eseguibilità forzata dello stesso.
Pertanto, l'idoneità di un medesimo fatto lesivo a
pregiudicare l'interesse giuridicamente rilevante dei
diversi titolari ha principalmente un rilievo sul piano
rimediale e meno sul piano dell'inquadramento nelle
categorie giuridico-processuali.
2. Gli interessi collettivi come
posizioni giuridiche individuali.
La diffusa tendenza a negare il
carattere di diritto soggettivo agli interessi
collettivi è determinata dal fatto che nello stabilire
quali posizioni di vantaggio, attribuibili al soggetto,
possono essere qualificate diritto soggettivo è usuale
il ricorso a quelle caratteristiche del diritto
soggettivo che se possono andar bene per situazioni di
tipo più tradizionale, difficilmente saranno
riscontrabili nelle nuove situazioni.
Così, l'esclusività del diritto
soggettivo, che in una prima accezione comporta la
negazione del potere di tutti i consociati di concorrere
al godimento del bene oggetto del diritto, e in una più
specifica accezione comporta l'appartenenza solo ad una
determinata persona del contenuto del diritto
soggettivo, è un elemento che non contraddistingue
necessariamente la relazione che si crea tra soggetto e
bene. Il bene, che è un bene immateriale, appartiene al
soggetto in quanto rivesta un particolare status, ma
allo stesso tempo appartiene a tutti i componenti del
gruppo.
Parimenti difficile risulta il
riscontro della disponibilità, che si traduce nella
codificazione nel concetto di esercizio del diritto,
alludendo con questo concetto contestualmente alla
attività (materiale) di fruizione del bene che
costituisce l'oggetto del diritto e alla pretesa,
concretamente formulata anche giudiziariamente, nei
confronti del soggetto passivo del rapporto.
Stessa considerazione va fatta, ad
esempio, per l'elemento della patrimonialità,
considerato carattere essenziale del diritto di
proprietà, sul modello del quale è stato costruito il
diritto soggettivo, ma anche del diritto di credito,
come previsto dall'art. 1174 c.c. (la prestazione che
forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile
di valutazione economica), patrimonialità che è poi
anche intesa come disponibilità o trasferibilità[12].
A dire il vero limitarsi alla
ricerca dei tradizionali indici rivelatori del diritto
soggettivo rispetto alle situazioni giuridiche
qualificate interessi collettivi può risultare un lavoro
vano. E d'altronde, come autorevolmente evidenziato da
Enrico Allorio, il diritto soggettivo è «una nozione di
comodo, cui si dà contenuto e si attribuiscono confini,
che (....) rispondono a un utile intento sistematico».
Alla stregua dell'ordinamento
giuridico moderno il diritto soggettivo di certo cambia
volto, e a ciò contribuiscono i precetti costituzionali
che hanno ampliato il concetto di dignità e hanno posto
clausole generali, come i diritti inviolabili dell'uomo,
il cui contenuto viene progressivamente adattato dalla
giurisprudenza alla evoluzione della società, ai valori
emergenti della stessa.
Si tratta per lo più di interessi
rispondenti a nuove istanze sociali, per lungo tempo
privi di riconoscimento sostanziale e processuale o solo
marginalmente tutelati, e divenuti nel corso dell'ultimo
ventennio oggetto di riconoscimenti da parte del
legislatore italiano, sospinto principalmente da una
feconda azione delle istituzioni comunitarie. Si pensi
alla tutela dei consumatori, alla tutela dell'ambiente,
alla tutela antidiscriminatoria, che attualmente
costituiscono gli ambiti, unitamente alla tutela in
materia di repressione antisindacale, in cui si
rinvengono delle norme a rilievo processuale per la
tutela degli interessi collettivi, essendo il nostro
sistema privo di una disciplina unitaria delle
situazioni sostanziali a rilevanza collettiva. In questi
ambiti il legislatore ha riconosciuto e tutelato nuove
situazioni soggettive individuali a rilevanza
collettiva, realizzando al tempo stesso un ampliamento
della tutela sul versante individuale e sul versante
collettivo.
La questione di notevole rilievo
processuale posta dalle figure di interesse collettivo,
disciplinate dal nostro ordinamento, è se essi
concretano un diritto soggettivo o un interesse
legittimo ascrivibile al singolo individuo - sia pure
considerato quale membro di una classe - o se si è
soltanto voluto riconoscere sul piano sostanziale
l'interesse degli enti esponenziali, con la conseguenza
della loro esclusiva legittimazione ad agire.
La nozione tradizionale di diritto
soggettivo come potere della volontà[13], garantito da
pretese o interesse giuridicamente protetto, appartiene
ad un contesto ormai mutato, risulta pertanto difficile
avvalersi della stessa nozione in funzione ordinante
rispetto a quelle nuove posizioni di vantaggio, frutto
delle rinnovate esigenze della società attuali. Ciò non
vuol dire tralasciare la nozione di diritto soggettivo,
ma diviene necessaria una estensione dello schema
concettuale del diritto soggettivo, non più racchiuso
tra i ristretti argini del volontarismo e
dell'utilitarismo. Sicché, se per diritto soggettivo
intendiamo genericamente l'interesse del soggetto in
funzione del quale è stabilito un obbligo
comportamentale, sarà possibile riconoscerne l'esistenza
anche a fronte di quelle situazioni dotate del carattere
di serialità, ma comunque ascrivibili al singolo
individuo, sia pure quale membro di una categoria di
soggetti.
È emblematico in tal senso l'art. 1
della L. 281/98, ora trasfuso nell'art. 2 del codice del
consumo, rubricato Diritti dei consumatori, ivi il
legislatore nel promuovere gli interessi individuali e
collettivi dei consumatori e degli utenti, riconosce
quali loro diritti fondamentali oltre a diritti
tradizionalmente riconosciuti dall'ordinamento, quale il
diritto alla salute, diritti nuovi come il diritto
all'informazione adeguata e alla corretta pubblicità, il
diritto alla sicurezza, il diritto alla qualità dei
prodotti e dei servizi, oltre ad ulteriori diritti[14].
Qui, sebbene la figura del singolo consumatore o utente
sia determinata rispetto alla classe delle persone
fisiche che acquistino o utilizzino beni o servizi per
scopi non riferibili all'attività imprenditoriale o
professionale eventualmente svolta, la legge tutela
l'interesse che vanta ogni componente della classe: è la
salute, la sicurezza, il diritto ad una corretta
pubblicità, etc., di ogni singolo consumatore ad essere
tutelata.
In assenza di corrispondenti
disposizione negli altri settori normativi coinvolgenti
interessi collettivi, risulta, invece, di impatto meno
immediato il riconoscimento di situazioni giuridiche di
vantaggio quale esito di una nuova sensibilità
culturale. A ciò contribuisce anche il modo in cui è
strutturata la disciplina processuale, infatti
l'attribuzione espressa della legittimazione ad agire ai
soli enti esponenziali appare conseguenza
dell'irrilevanza della situazione oggetto di tutela sul
piano individuale.
Tuttavia, trincerarsi dietro
l'attribuzione della legittimazione ai soli enti
esponenziali per negare apoditticamente l'emersione di
nuovi diritti, frutto della naturale evoluzione della
società, ed affermare l'esistenza di un diritto
appartente alla collettività, inteso come soggetto che
si astrae dai singoli soggetti di riferimento, è
conseguenza di un approccio di stampo tradizionalista
che può essere fuorviante ai fini di una riflessione
sull'esistenza o meno di veri e propri diritti
appartenenti al singolo individuo.
Così in tema di ambiente non è
peregrina l'idea di un diritto del singolo come diritto
della personalità, desumibile da diverse norme
costituzionali (artt. 2, 3, 9, 41 e 42 Cost.), e sebbene
a tale idea si oppongano difficoltà derivanti dal fatto
che i tradizionali diritti della personalità hanno ad
oggetto beni direttamente inerenti alla persona è anche
vero che l'ambiente è un bene strettamente inerente
all'uomo, in quanto indispensabile al suo benessere[15].
Peraltro, possono annoverarsi alcune sentenze della
Cassazione penale ove è stato affermato che in tema di
reati contro l'ambiente la legittimazione processuale
appartiene ai soggetti pubblici, in nome dell'ambiente
come interesse pubblico, ma anche alla persona singola o
associata, in nome dell'ambiente come diritto soggettivo
fondamentale di ogni uomo[16].
Parimenti, in tema di tutela
antidiscriminatoria deve ritenersi che gli individui
abbiano un diritto soggettivo - anch'esso di matrice
costituzionale - a non subire comportamenti
discriminatori posti in atto per motivi di sesso, razza,
origine etnica, religione, handicap, orientamento
sessuale, e che tale diritto non possa non riconoscersi
per il sol fatto che spesso nei casi di discriminazione
collettiva le persone lese dalla discriminazione non
siano individuabili in modo diretto ed immediato,
facendo discendere da ciò che gli interessi collettivi
alla repressione dei comportamenti discriminatori
abbiano un ambito non coincidente pienamente con
l'interesse individuale del singolo. Invero, anche in
quest'ambito deve ritenersi che il legislatore si è
preoccupato di tutelare i loro interessi in forma
individuale ed anche in forma collettiva, e per via
dell'allargamento della legittimazione ad agire ha fatto
sì di rendere più efficace la tutela di situazioni che
altrimenti rischierebbero di rimanere prive di tutela
giurisdizionale.
3. Gli interessi collettivi dei
consumatori nel codice del consumo.
Fatte queste considerazioni di
ordine generale sul concetto di interesse collettivo,
l'attenzione sarà rivolta alla specifica ipotesi degli
interessi collettivi dei consumatori e degli utenti.
Ben si comprende che
l'individuazione circa la natura degli interessi
collettivi dei consumatori occupa un ruolo di primaria
importanza, poiché si riflette sulla ricostruzione della
disciplina processualcivilistica in tema di tutela dei
consumatori, e segnatamente dell'art. 140 del codice del
consumo che delinea una tutela di tipo inibitorio[17]. A
tal fine si rende anzitutto necessario l'inquadramento
delle situazioni contemplate dall'art. 2 del codice del
consumo (Diritti dei consumatori), il cui contenuto era
prima oggetto dell'art. 1 della L. 281/98 (Disciplina
dei diritti dei consumatori e degli utenti), che a sua
volta riprendeva, in qualche misura, l'elenco dei
diritti della Risoluzione CEE del 1975, costituente in
ambito comunitario uno dei primi testi rivolti alla
protezione dei consumatori.
L'art. 2, comma 2, cod. cons.
stabilisce espressamente che ai consumatori e agli
utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti:
alla tutela della salute; alla sicurezza e alla qualità
dei prodotti e dei servizi; ad una adeguata informazione
e ad una corretta pubblicità; all'esercizio delle
pratiche commerciali secondo principi di buona fede,
correttezza e lealtà; alla correttezza, trasparenza ed
equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e
servizi; all'erogazione di servizi pubblici secondo
standard di qualità e di efficienza. Sono poi
contemplate altre situazioni in termini promozionali:
diritto all'educazione del consumo, alla promozione e
allo sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e
democratico tra i consumatori e gli utenti.
Il legislatore ha così preso in
considerazione, oltre a diritti tradizionalmente
riconosciuti dall'ordinamento e che non pongono alcun
dubbio sul loro inquadramento come diritti soggettivi,
degli interessi ascrivibili all'individuo nella sua
qualità di consumatore o utente, indubbiamente nuovi
rispetto al prototipo tradizionale dei diritti
soggettivi[18]. Sicché, se non vi è alcuna difficoltà ad
affermare che la tutela alla salute costituisca un
diritto individuale di carattere assoluto, protetto già
a livello costituzionale, o che vi sia un diritto
individuale alla correttezza e alla trasparenza nei
rapporti contrattuali, tale immediatezza viene però meno
nel volgere l'attenzione alle altre situazioni
contemplate dall'art. 2 del codice del consumo.
In effetti, la diffusa tendenza a
negare il carattere di diritto soggettivo alle predette
situazioni è determinata dal fatto che nello stabilire
quali posizioni di vantaggio, attribuibili al soggetto,
possono essere qualificate diritto soggettivo è usuale
il ricorso a quelle caratteristiche del diritto
soggettivo che se possono andar bene per situazioni di
tipo più tradizionale, difficilmente saranno
riscontrabili in queste nuove situazioni.
Per comprendere se le suddette
situazioni giuridiche configurino dei diritti
ascrivibili ad ogni singolo consumatore potrebbe forse
esser proficuo, quale metodo di lavoro, verificare se
nel caso del loro mancato riconoscimento da parte del
legislatore come interessi collettivi, tutelabili per
via delle associazioni qualificate rappresentative ai
sensi dell'art. 137 cod. cons., si abbia un vuoto di
tutela o se si abbiano comunque delle forme di tutela,
sebbene diverse da quelle offerte dal processo civile,
ad esempio offerte da altri settori del diritto che
dettino delle regole al riguardo, o dalle Autorità
indipendenti, o se invece possa ricavarsi un ampliamento
delle possibilità di tutela in precedenza assicurate
dall'ordinamento al singolo consumatore.
È anzitutto da rilevare che i
diritti presi in considerazione dall'art. 2 cod. cons.
erano per lo più già riconosciuti da una precedente
normativa[19], dunque l'espressa previsione può essere
interpretata come attribuzione di rilevanza giuridica
generale a situazioni di particolare rilievo per i
consumatori, a prescindere dagli specifici settori del
rapporto di consumo.
In primo luogo viene riconosciuto
come fondamentale il diritto alla tutela della salute.
Rispetto a tale diritto, protetto già dall'art. 32 della
Costituzione come interesse della collettività e diritto
individuale di carattere assoluto, possiamo ad esempio
chiederci se: nell'ipotesi in cui non fosse riconosciuta
la legittimazione alle associazioni dei consumatori di
agire in giudizio per chiedere il ritiro dal mercato di
un prodotto nocivo, i consumatori potrebbero avere
tutela in altro modo? Il singolo individuo, abituale
consumatore di quel determinato prodotto, solo a fronte
di un suo apprezzabile pregiudizio potrà rivolgersi al
giudice ordinario?
Posto che l'immissione sul mercato
di prodotti nocivi configura un illecito penale, il
codice penale delinea infatti dagli articoli 439 e
seguenti i delitti contro la salute pubblica,
segnatamente l'art. 444 c.p. disciplina l'ipotesi
criminosa del commercio di sostanze alimentari nocive,
l'art. 442 c.p. il commercio di sostanze alimentari
contraffatte o adulterate, l'art. 443 il commercio o
somministrazione di medicinali guasti e l'art. 452 c.p.
i delitti colposi contro la salute pubblica - ipotesi
criminose per la cui sussistenza non è necessario che le
sostanze alimentari abbiano idoneità ad esporre
effettivamente a pericolo la salute pubblica, ma non
occorre che il nocumento abbia realmente a verificarsi -
il singolo consumatore potrà informare un ufficiale di
polizia giudiziaria o il pubblico ministero.
Un altro campo che, ad esempio, si
presta particolarmente ad eventuali danni alla salute è
rappresentato dai prodotti cosmetici. Al riguardo l'art.
7 della legge 11 ottobre 1986 n. 713 (Norme per
l'attuazione delle direttive della Comunità economica
europea sulla produzione e la vendita dei prodotti
cosmetici) prevede una responsabilità penale di chi
detiene o pone in commercio dei prodotti cosmetici che
nelle normali condizioni di impiego possono essere
dannosi alla salute.
Quanto al diritto alla sicurezza e
alla qualità dei prodotti e dei servizi, di certo
l'immissione sul mercato di un prodotto difettoso è un
danno potenziale per ciascun consumatore, e già nel
pericolo di un danno concreto vi è la lesione del
diritto alla sicurezza del consumatore. L'art 109 cod.
cons. (Sorveglianza del mercato) prevede infatti la
possibilità per i consumatori di presentare reclami alle
amministrazioni pubbliche competenti a controllare che i
prodotti immessi sul mercato siano sicuri e l'art. 112
cod. cons. (Sanzioni) prevede una responsabilità penale
del produttore o del distributore che immette sul
mercato prodotti pericolosi in violazione dell'ordine di
ritiro dal mercato o dell'obbligo di informazione dei
consumatori circa i rischi presentati.
Ci si pone, allora, l'interrogativo
circa la possibilità o meno per il singolo consumatore
di un determinato prodotto di promuovere l'azione
inibitoria avverso la diffusione sul mercato del
prodotto difettoso. Con la conseguenza, in caso di
risposta negativa, che se nessuna associazione dei
consumatori agisca per il richiamo del prodotto, il
diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti del
consumatore possa rimanere insoddisfatto. Analoghe
osservazioni possono esser fatte anche sul diritto ad
una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità,
sul diritto all'esercizio di pratiche commerciali
secondo principi di buona fede correttezza e lealtà, sul
diritto alla correttezza, alla trasparenza ed all'equità
nei rapporti contrattuali e sul diritto all'erogazione
di servizi pubblici secondo standard di qualità e di
efficienza.
Vero è che, in caso di inerzia
delle associazioni legittimate all'azione inibitoria del
comportamento lesivo, il singolo consumatore non è
totalmente sprovvisto di tutela, poiché in molti settori
normativi sono già offerte forme di tutele alternative
al processo civile, si pensi in particolare alle
funzioni attribuite in materia di tutela dei consumatori
all'Autorità Garante della concorrenza e del
mercato[20]. E proprio il fatto che l'ordinamento abbia
apprestato anche altre forme di tutela per alcune di
queste nuove situazioni[21] può esser letto nel senso di
un riconoscimento dell'esistenza di nuove situazioni
giuridiche sostanziali. Ne discende allora che esse
devono essere tutelabili anche davanti al giudice nel
rispetto del diritto di azione di cui all'art. 24
Cost[22].
Pertanto, un consumatore di un
determinato prodotto ben potrebbe adire un giudice
civile, in presenza dell'interesse ad agire, per far
accertare la nocività o il difetto del prodotto e
chiedere al giudice il ritiro dal mercato del prodotto.
La scarsa probabilità poi che il singolo consumatore,
mosso da «individualismo altruistico»[23], agisca in via
inibitoria a tutela dei nuovi diritti non implica che
non potrebbe farlo e tampoco che ci sia un vuoto di
tutela nel caso in cui le associazione non agiscano[24].
4. Segue. Gli interessi collettivi
dei consumatori come diritti individuali-collettivi.
Nell'attuale corporate society,
contraddistinta dalla contrattazione e produzione di
massa e dalla conseguente massificazione dei consumi,
irrompono nuovi diritti: esito logico di una rinnovata
coscienza sociale e giuridica. Tali diritti, ora
contemplati in via generale dal legislatore italiano,
vanno al di là di una prospettiva meramente
patrimonialistica della relazione giuridica e si
caratterizzano per il loro essere conformi e
concorrenti, di talché il soddisfacimento di un
consumatore implica naturalmente il soddisfacimento
anche degli altri appartenenti alla categoria.
La diffusione dell'elevata quantità
di prodotti o servizi sul mercato comporta che,
nell'ipotesi di una condotta illecita imprenditoriale,
la lesione dei nuovi diritti non può che essere un danno
plurale[25]. Nondimeno, si tratta di diritti che
appartengono ad ogni consumatore o utente, e non
all'astratta collettività dei consumatori. É vero,
semmai, che configurano una moltitudine di posizioni
soggettive che si caratterizzano per un danno
indifferenziato e che per la loro debolezza possono
essere tutelate più efficacemente da un ente
esponenziale, ma ciò non si traduce nel venir meno del
carattere dell'individualità delle singole
posizioni[26]. Sarebbe, quindi, forse più corretto
parlare di diritti individuali-collettivi piuttosto che
di interessi collettivi dei consumatori, atteso che non
configurano qualcosa di diverso rispetto alle
sottostanti situazioni giuridiche sostanziali dei
consumatori. D'altra parte, nel momento in cui gli
interessi dei consumatori divengono oggetto di
protezione da parte dell'ordinamento giuridico, assumono
lo status di diritti e, specificatamente, di diritti
fondamentali come si preoccupa di definirli il nostro
legislatore.
Le principali argomentazioni della
dottrina circa la non configurabilità degli interessi
collettivi come diritti soggettivi muovono dall'errato
presupposto che la lesione del singolo si abbia solo nel
momento in cui il singolo abbia subito un pregiudizio
apprezzabile a seguito della condotta illecita, non
concretandosi fino a quel momento la lesione di un
diritto[27]. In queste ricostruzioni vi è però un errore
di impostazione che scaturisce dal confondere due piani,
ovvero il piano dei nuovi diritti riconosciuti dal
legislatore con il piano dei diritti tradizionali[28],
che indipendentemente dal riconoscimento operato dal
legislatore trovano già tutela giudiziale, ponendo
semmai altri problemi, come la gestione di controversie
collettive risarcitorie o restitutorie. E, in
particolare, si confonde il profilo della risarcibilità
con il profilo dell'illecito, come se soltanto il
pregiudizio elevasse la situazione in diritto del
singolo consumatore. Una interpretazione di tal specie è
frutto della confusione del profilo della risarcibilità
dell'eventuale pregiudizio arrecato da una condotta
giuridica illecita con la determinazione dell'interesse
per la cui tutela viene imposto l'obbligo sul piano
sostanziale. Si tratta di profili che sono invece
distinti[29].
Il diritto alla sicurezza e alla
qualità dei prodotti e dei servizi, o ad una adeguata
informazione e ad una corretta pubblicità, o
all'esercizio delle pratiche commerciali secondo
principi di buona fede, correttezza e lealtà etc., non
viene ad esistenza a seguito di un danno apprezzabile
che si radica nella condotta illecita del
professionista, il diritto del consumatore c'è già, e la
sua lesione avviene al di là del fatto che il
consumatore abbia subito un pregiudizio economicamente
apprezzabile a causa della violazione di un obbligo
comportamentale. Per essere più chiari: il diritto non
viene ad esistenza quando, ad esempio, a seguito di una
pratica commerciale scorretta, il singolo abbia
stipulato un contratto o abbia acquistato un prodotto
che altrimenti non avrebbe acquistato, ma nel momento in
cui il professionista abbia operato contra ius si
concreta la lesione di uno dei nuovi diritti del
consumatore. Il singolo è già “danneggiato” nel momento
in cui il professionista non metta in atto il
comportamento previsto da una norma del codice del
consumo come doveroso, essendo destinatario degli
obblighi sostanziali stabiliti dalle norme.
Lo strumento processuale
predisposto dal legislatore per il “danno” così inteso è
la tutela inibitoria[30], volta a contrastare – mediante
l'ordine di cessazione della condotta e di ripristino
della situazione in modo conforme al diritto[31] –
l'illecito che colpisca i diritti contemplati dall'art.
2 cod. cons. e le altre situazioni soggettive
contemplate nelle materie disciplinate dal codice[32].
In realtà, il rimedio inibitorio/ripristinatorio è
connaturato alla tutela giurisdizionale dei diritti
individuali-collettivi dei consumatori[33].
In considerazione poi della
difficoltà di tutela di tali diritti e della loro
dimensione sovraindividuale, al fine di rafforzarne la
tutela il legislatore ha attribuito la legittimazione
all'esercizio dell'azione inibitoria anche agli enti
esponenziali dei consumatori[34], in quanto soggetti più
forti rispetto al singolo consumatore, che è in una
situazione di debolezza rispetto all'impresa, per la
quale tra l'altro la posta in gioco nella controversia è
di valore indubbiamente superiore rispetto al singolo, e
quindi pronta ad investire nella controversia tutte le
risorse necessarie[35]. Pertanto, l'attribuzione
espressa della legittimazione alle associazioni
rappresentative dei consumatori non va letta come
entificazione dei diritti dei consumatori, ma come
meccanismo atto a innalzare la tutela effettiva di
posizioni di vantaggio appartenenti al singolo
consumatore, seppure non esclusivamente ascrivibili allo
stesso.
[1] Nella seconda metà
dell'Ottocento, a seguito del mutamento del sistema
economico in senso capitalistico, del rapido sviluppo
dell'industria, in alcuni settori dell'ordinamento -
diritto processuale del lavoro e giustizia
amministrativa - si è mostrata una particolare
sensibilità ad avviare i primi tentativi di affermazione
degli interessi collettivi come nuovi interessi di
natura sostanziale, necessitanti di tutela. Tra le prime
riflessioni dottrinali in materia di interessi
collettivi riveste particolare rilievo uno studio di
BONAUDI E., La tutela degli interessi collettivi,
Milano, 1911.
[2] Sul tema generale degli
interessi collettivi e diffusi con riferimento agli anni
Settanta, tra i tanti contributi cfr. PROTO PISANI A.,
Appunti preliminari per lo studio sulla tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, in Le azioni
a tutela di interessi collettivi- Atti del Convegno di
studio (Pavia, 11-12 giugno 1974), Padova, 1976, 267
ss.; CAPPELLETTI M., Formazioni sociali e interessi di
gruppo, in Riv. dir. proc., 1975, 390; DENTI V., Le
azioni a tutela degli interessi collettivi,in Riv. dir.
proc., 1975, 361 ss.; COSTANTINO G., Brevi note sulla
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi
davanti al giudice civile, in Le azioni a tutela di
interessi collettivi, cit., 223 ss.; VIGORITI V.,
Interessi collettivi e processo, Milano, 1979, 58;
CORASANITI A., La tutela degli interessi diffusi davanti
al giudice ordinario, in Riv. dir. proc.,1978; GIANNINI
M.S., La tutela degli interessi collettivi nei
procedimenti amministrativi, in Le azioni a tutela di
interessi collettivi, cit., 23 ss.; GRASSO E., Gli
interessi della collettività e l'azione collettiva, in
Riv. dir. proc., 1983, 24 ss.
[3] Tale pregiudizio ideologico è
probabilmente un riflesso dottrinario della concezione
elaborata da Cesarini Sforza e Carnelutti sull'interesse
collettivo come sintesi degli interessi individuale:
l'interesse collettivo ha struttura unitaria, è sintesi
e combinazione indivisibile di tutti gli interessi
singoli che lo compongono; cfr. CESARINI SFORZA W.,
Preliminari sul diritto collettivo (1936), in Il diritto
dei privati, Milano 1963, 107; CARNELUTTI F., Teoria del
regolamento collettivo del lavoro, Padova, 1936,
139-140; BARASSI L., Diritto sindacale e corporativo,
Milano, 1934, 108 ss., il quale sebbene ritenga che i
titolari degli interessi collettivi siano i componenti
della categoria, rileva che «questi interessi sono
raggruppati in una sintesi astratta e tipica; la quale
finisce con riferirsi alla professione, alla categoria
non concepita nell'analisi di ciascun interesse
individuale».
[4] Cfr., VIGORITI V., Interessi
collettivi e processo, Milano, 1979, 58.
[5] La dottrina brasiliana,
influenzata dalla dottrina italiana degli anni Settanta
sul concetto di interesse collettivo, considera,
unitamente all'aspetto soggettivo (titolarità del
diritto di una collettività composta da soggetti non
individuati ma individuabili), l'aspetto oggettivo
dell'indivisibilità del diritto sostanziale, cioè
l'impossibilità della sua divisione in frazioni
attribuibili individualmente a ciascuno degli
interessati, la nota caratterizzante dei diritti
collettivi. BARBOSA MOREIRA J., A tutela jurisdicional
dos interesses coletivos ou difusos, in Temas de Direito
Processual Civil, 1984, tercera série, 174, osserva che
«tra gli interessati si instaura una unione così salda,
che la soddisfazione di uno implica necessariamente la
soddisfazione di tutti, e reciprocamente, la lesione a
un membro del gruppo è ipso facto, lesione all'intera
collettività»; nello stesso senso PELLEGRINI GRINOVER
A., Azioni collettive per la difesa dell'ambiente e dei
consumatori, in Riv. dir. proc., 1988, 708; GIDI A.,
Derechos difusos, colectivos e individuales homogéneos,
in La tutela de los derechos difusos, colectivos e
individuales homogéneos. Hacia un código modelo para
iberoamerica, GIDI A. - FERRER MAC-GREGOR E.,
(Coordinadores), Città del Messico, 2003, 25 ss.
[6] Cfr. art. 28, comma 1, Stat.
Lav.; art. 37 e art. 140 Codice del consumo; art. 38
D.Lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità). Ai
provvedimenti inibitori, con i quali è ordinata la
cessazione della condotta illecita ed è vietata per il
futuro la reiterazione della condotta, possono poi
accompagnarsi altri provvedimenti diretti alla
soddisfazione congiunta di tutti gli appartenenti alla
categoria, come le condanne all'adozione di misure
idonee a rimuovere gli effetti dannosi delle violazioni
e l'ordine di pubblicazione del provvedimento in uno o
più quotidiani.
[7] Anche i provvedimenti
collettivi di tipo risarcitorio, volti alla riparazione
del danno sofferto dai singoli componenti della classe,
laddove siano accompagnati dal risarcimento del danno
punitivo, potrebbero considerarsi provvedimenti a tutela
di interessi collettivi, poiché in tal modo apportano un
diretto vantaggio alla classe dei soggetti danneggiati.
[8] DONZELLI R, La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli,
2008, 270 ss., individua l'interesse collettivo come
insieme di interessi individuali legati da una tipica
relazione di concorrenza: interessi compatibili (il
realizzarsi di un interesse non esclude il realizzarsi
di un altro interesse) e concorrenti (il soddisfacimento
dell'uno comporta necessariamente il soddisfacimento
dell'altro). Secondo l'A. la contrapposizione tra
interessi individuali e interessi collettivi è
fuorviante, poiché in entrambi i fenomeni si ha a che
fare, con interessi che – in quanto tali – non possono
che essere individuali, ossia appartenenti
all'individuo; e ritiene più corretto per differenziare,
distinguere tra interessi (individuali) esclusivi e
interessi (individuali) collettivi.
[9] MENCHINI S., La tutela
giurisdizionale dei diritti individuali omogenei:
aspetti critici e prospettive ricostruttive, Le azioni
seriali, in Quaderni de «Il giusto processo» civile,
2008, 55 ss., osserva che «l'interesse collettivo non
costituisce l'oggetto del processo; esso ha un ruolo
meramente strumentale, in quanto consente l'accesso alla
tutela; dunque, essendo fatto costitutivo della
legittimazione ad agire, è semplicemente situazione
legittimante l'esercizio dell'azione».
[10] Diverso il pensiero di
CAPPELLETTI M., Formazioni sociali e interessi di gruppo
davanti alla giustizia civile, in Riv. dir. proc., 1975,
367 e 372, secondo il quale «gli interessi collettivi,
seppure costituiscono una realtà innegabile e
grandeggiante delle società odierne, sfuggono tuttavia a
precise definizioni e si sottraggono agli schemi
tradizionali ai quali noi giuristi, e in particolare noi
processualisti, siamo stati abituati»; «la nostra
epoca...porta prepotentemente alla ribalta nuovi
interessi “diffusi”, nuovi diritti e doveri che, senza
essere pubblici nel senso tradizionale della parola,
sono però “collettivi”: di essi nessuno è “titolare”,
allo stesso tempo che tutti, o tutti i membri di un dato
gruppo, classe, o categoria, ne sono titolari».
[11] VIGORITI V., Interessi
collettivi e processo, cit., 59 ss., ritiene che sia
configurabile in capo a ciascun membro della
collettività un diritto soggettivo ed esclude che sia
possibile qualificare il rapporto tra i componenti della
collettività e il soggetto obbligato come una situazione
di vantaggio unica con più titolari, avente per oggetto
un unico bene giuridico. Secondo l'Autore «si può
parlare di un solo interesse in senso traslato, a
significare la rilevanza, anche sul piano positivo,
della dimensione collettiva, sempre avendo presente che
si tratta in realtà di un'aggregazione fra situazioni
soggettive riconosciute dalla legge ai singoli individui
e coordinate al raggiungimento di uno scopo
comune...situazioni che presentano sul piano sostanziale
una pluralità di posizioni di vantaggio di contenuto
uguale e ugualmente orientate, ma fra loro autonome e
facenti capo a soggetti diversi».
[12] DONZELLI, R., La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., 317
nota 25, 322, rileva che se per rientrare nel novero dei
diritti soggettivi tutte le situazioni sostanziali
debbano presentare i caratteri della esclusività,
disponibilità, patrimonialità e assolutezza,
bisognerebbe allora escludere tanto i diritti
indisponibili, quanto le situazioni che si configurano
in contitolarità di più soggetti o che si presentano
secondo uno schema di reciproca concorrenza, nelle quali
la volontà di un soggetto non appare decisiva, né sul
fronte della disponibilità del diritto, né sul fronte
della sua tutela giurisdizionale, tuttavia le formule
lessicali impiegate dal diritto positivo si riferiscono
espressamente al «diritto soggettivo».
[13] Secondo la nota formula
definitoria di WINDSCHEID B., Diritto delle pandette,
Torino, 1902, I, 1, 169 ss., il diritto soggettivo è
«una potestà o signoria della volontà impartita
dall'ordine giuridico».
[14] Per una panoramica generale
sull'evoluzione del diritto dei consumatori, tra i tanti
ALPA G., Diritto privato dei consumi, Bologna, 1986;
ID., Il diritto dei consumatori, Roma, 2003; ID., Art.
2, Diritti dei consumatori, in Codice del consumo,
Commentario, a cura di Alpa G. e Rossi Carleo L., Napoli
2005, 31 ss.
[15] Cfr. DI COLA L., La tutela
dell'ambiente, in La tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi e diffusi, a cura di L. Lanfranchi,
Torino, 2003, 294 ss.
[16] Cass. Pen. 20 gennaio 1983,
commentata da ALPA G., Pubblico e privato nel danno
ambientale, 1987, 687 ss; Cass. Pen. 19 giugno 1996, in
Danno ambientale, 1997, 681 ss.; 19 novembre 1996, in
Diritto penale e processo, 1997, 590 ss., ivi la Suprema
Corte afferma che «...la Costituzione della Repubblica
Italiana nei suoi principi fondamentali recepisce una
concezione “aperta” dei diritti inviolabili dell'uomo
sia come singolo sia nella formazione sociale ove si
svolge la sua personalità, nel senso che non è stabilito
un “numerus clausus”, ma è riconosciuto quel che la
società produce di sensibilità e cultura...la nostra
Costituzione tutela non solo la salute ed il patrimonio
naturale e culturale della Nazione, ma riconosce e
garantisce l'ambiente come diritto fondamentale della
persona umana e consente a tutti il diritto di agire in
giudizio per la tutela di questo diritto. Alla luce di
questi principi proprio perché nel danno ambientale è
inscindibile la offesa ai valori naturali e culturali e
la contestuale lesione dei valori umani e sociali di
ogni persona, la legittimazione processuale non spetta
solo ai soggetti pubblici...ma anche alla persona
singola o associata (in nome dell'ambiente come diritto
soggettivo fondamentale di ogni uomo). La difficoltà di
differenziazione della componente individuale non
equivale ad inesistenza ed è superabile in termini
giuridici una misura cautelare oppure il ripristino, ove
possibile, della situazione dei luoghi (sanzione che ha
una portata generale).....».
[17] L'art. 140 cod. cons.
(Procedura) dispone che «I soggetti di cui all'articolo
139 sono legittimati nei casi ivi previsti ad agire a
tutela degli interessi collettivi dei consumatori e
degli utenti richiedendo al tribunale: a) di inibire gli
atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei
consumatori e degli utenti; b) di adottare misure idonee
a correggere od eliminare gli effetti dannosi delle
violazioni accertate; c) di ordinare la pubblicazione
del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione
nazionale oppure locale, nei casi in cui la
pubblicazione del provvedimento può contribuire a
correggere o eliminare gli effetti delle violazioni
accertate.».
[18] Cfr. PAGNI I., Tutela
individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina
dei diritti dei consumatori e degli utenti (prime
riflessioni sull'art. 3, L. 30.7.1998, n. 281), in La
disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti
(L. 30 luglio 1998 n. 281), Napoli, 2000, 127 ss.
[19] Così il diritto del
consumatore alla tutela della salute e alla sicurezza e
qualità dei prodotti e dei servizi, previsto dal D.P.R.
24 maggio 1988, n. 224 (attuativo della direttiva CEE n.
85/374), che regola la responsabilità del produttore;
dal d.l. 25 gennaio 1992, n. 73, riguardante i prodotti
che possono nuocere la salute o la sicurezza dei
consumatori (attuativo della direttiva CEE n. 87/357);
dal d.l. 17 marzo 1995, n. 115, sulla sicurezza generale
dei prodotti (attuativo della direttiva CEE 92/59); dal
d.lgs 74/92 sulla pubblicità ingannevole (attuativo
della direttiva CEE n.84/450); dalla l. 6 febbraio 1996,
n. 52 (attuativa della direttiva CEE n. 93/13) che ha
introdotto gli artt. 1469 bis ss. sul diritto del
consumatore alla correttezza, trasparenza ed equità nei
rapporti contrattuali.
[20] Istituita con la legge 10
ottobre 1990 n. 287, nasce come autorità di garanzia con
il compito di esercitare un'attività di inibizione e
repressione di condotte antigiuridiche, funzionale alla
salvaguardia della struttura concorrenziale dei mercati.
Sulle funzioni svolte dall'Autorità in materia di tutela
del consumatore, si veda MINERVINI V., L'Autorità
Garante della concorrenza e del mercato quale Autorità
di tutela del consumatore: verso una nuova forma di
regolazione dei mercati, in Riv. dir. comm., 4/2010;
VERARDI C.M., La tutela dell'interesse collettivo dei
consumatori alla lealtà e veridicità del messaggio
pubblicitario davanti al giudice, alle authorities ed
all'autodisciplina pubblicitaria, in CAPPONI B. -
GASPARINETTI M.- VERARDI C.M., La tutela collettiva dei
consumatori, Profili di diritto sostanziale e
processuale, Napoli 1995, 45 ss.
[21] L'art. 27 cod. cons. dispone
che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato,
d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione
che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle
pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti.
Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale
scorretta, l'Autorità dispone inoltre l'applicazione di
una sanzione amministrativa pecuniaria. A titolo
esemplificativo, ai sensi dell'art. 6 cod. cons., tutti
i prodotti commercializzati sul territorio nazionale,
devono riportare sulle etichette o sulle confezioni
delle precise indicazioni in lingua italiana, come la
denominazione legale del prodotto, nome, sede legale del
produttore, istruzioni, eventuali precauzioni e
destinazione d'uso, ove utile ai fini di fruizione e
sicurezza del prodotto. Nell'ipotesi in cui siano posti
in vendita dei prodotti privi delle adeguate
informazioni o non riportino le informazioni in lingua
italiana (il cui commercio ai sensi dell'art. 11 cod.
cons. è vietato) si configura una ipotesi di pubblicità
ingannevole, e il singolo consumatore potrà rivolgere
domanda all'Autorità Garante affinchè siano inibiti gli
atti di pubblicità ingannevole.
[22] Taluni hanno sostenuto che
autorità amministrative quali le Autorità indipendenti,
sarebbero organi più idonei alla tutela di tali
posizioni giuridiche, tuttavia in virtù dell'art. 24
Cost. se si configurano come diritti soggettivi non
possono essere sottratti all'organo giurisdizionale.
[23] L'efficace ossimoro è di
TARUFFO M., Modelli di tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi, in La tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi e diffusi, a cura di Lanfranchi,
Torino 2003, 65.
[24] Sul punto mi permetto di
rinviare a DI SALVO C., Sulla legittimazione all'azione
collettiva inibitoria: associazioni rappresentative dei
consumatori, singolo consumatore e altri organismi, di
prossima pubblicazione in Diritto & Diritti –
www.diritto.it.
[25] DELLA BIANCA N., Illecito
antitrust e la tutela collettiva dei consumatori, in
Resp. civ. e prev., 2009, nota 6, 24, in riferimento
alla qualifica da parte della dottrina del danno come
danno sociale, osserva che sia il termine «danno» che
«lesione» non devono essere intesi in senso
tecnico-giuridico, avvicinandosi piuttosto al concetto
di «pericolo».
[26] Interpretazione che sembra
confermata dalla definizione degli interessi collettivi
dei consumatori come «interessi di un numero di
consumatori che sono stati o potrebbero essere
danneggiati da un'infrazione» contenuta nell'art. 67 ter
lett. i) c.d.c., relativa alla disciplina sulla
«Commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai
consumatori», introdotta con il d.lgs 23 ottobre 2007,
n. 221 e inserita nella sezione IV-bis del codice del
consumo.
[27] Recentemente, CAPONI R.,
Modelli europei di tutela collettiva nel processo
civile: esperienze tedesca e italiana a confronto, in Le
azioni seriali, a cura di Menchini S., in Quaderni del
Il Giusto processo civile, Napoli, 2008, 129-130.
Secondo l'Autore il singolo consumatore non ha un
diritto soggettivo individuale alla correttezza, alla
trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali in
generale. Il consumatore è titolare di tali diritti solo
in relazione allo specifico rapporto contrattuale di cui
è parte (analogamente in riferimento agli altri diritti
previsti dall'art. 2, comma 2°); solo in tale veste può
subire una lesione o una minaccia di lesione
suscettibile di essere apprezzata in modo specifico,
diretto e attuale, e può agire in giudizio per la tutela
di un proprio diritto.
[28] Cfr. DONZELLI R, La tutela
giurisdizionale degli interessi collettivi, cit., 400,
il quale osserva: «Come poter parlare, infatti, di
diritto soggettivo riguardo agli strumenti di tutela
degli interessi collettivi muovendo dalla concezione
secondo cui il diritto soggettivo è la situazione del
soggetto la cui volontà è decisiva per l'esistenza
dell'obbligo, o il potere di volere riconosciuto al
soggetto per la tutela dei suoi interessi, o
l'appartenenza del bene della vita, o la possibilità di
agire entro i limiti segnati dal diritto oggettivo, ecc.
Muovendosi lungo questa linea di pensiero in cui il
diritto soggettivo appare come un quid legato al
soggetto che ne è titolare, è naturale avvertire una
certa difficoltà di ricostruzione allorché il soggetto
titolare non sia più ben individuato o propriamente
indeterminato. Se invece si parte dall'obbligo e ci si
avvede che sul piano sostanziale non c'è spazio per la
rilevanza di ulteriori elementi strutturali di natura
attiva attribuiti in titolarità ai soggetti destinatari
della tutela offerta tramite l'imposizione dell'obbligo,
allora la prospettiva si inverte e in posizione di
centralità viene a trovarsi l'effetto giuridico, cioè il
comportamento doveroso, rispetto al quale che vi siano
uno, due, tre o infiniti soggetti interessati
all'osservanza del medesimo non crea alcun problema
ricostruttivo sul piano formale sostanziale».
[29] Al riguardo DONZELLI R., op.
ult. cit., 774 nota 50, rileva che i due profili sono
invece sovrapposti dalla dottrina per argomentare
l'irrilevanza dell'interesse del singolo membro della
collettività alla repressione degli illeciti a lesività
differenziata.
[30] Il rimedio è in linea con la
direttiva comunitaria 98/27/CE che ha fondato la tutela
collettiva dei consumatori sui provvedimenti inibitori.
Tale direttiva, avendo subito diverse e sostanziali
modifiche, è stata recentemente abrogata dalla Direttiva
2009/22/CE. Ai sensi dell'art. 2 della direttiva i
provvedimenti ottenibili con l'azione inibitoria sono:
a) il provvedimento di cessazione o interdizione della
violazione; b) il provvedimento di ordine della
pubblicazione della decisione; c) il provvedimento di
condanna della parte soccombente al versamento di una
somma di denaro al Tesoro pubblico o altro beneficiario
designato, in caso di mancata esecuzione della decisione
entro il termine fissato dagli organi giurisdizionale o
dalle autorità amministrative.
[31] Cfr. DI MAJO A., Forme e
tecniche di tutela, in Foro it., 1989, V, c. 141.
[32] Diversamente, con il nuovo
meccanismo di tutela processuale dell'azione di classe
di cui all'art. 140 bis non sono tutelati i diritti
individuali-collettivi, ma i diritti individuali
esclusivi dei singoli consumatori, e la dimensione
collettiva si limita alla “apparenza” di tutela di un
interesse di classe. L'art. 140 bis, comma 2, recita:
«L'azione tutela: a) i diritti contrattuali di una
pluralità di consumatori e utenti che versano nei
confronti di una stessa impresa in situazione identica,
inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai
sensi degli articoli 131 e 1342 del codice civile; b) i
diritti identici spettanti ai consumatori finali di un
determinato prodotto nei confronti del relativo
produttore, anche a prescindere da un diritto rapporto
contrattuale; c) i diritti identici al ristoro del
pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti
da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti
anticoncorrenziali. Sull'azione di classe, come
ridisegnata dall'art. 49 della L. 23 luglio 2009 n. 99,
tra i tanti si veda SANTANGELI F.-PARISI P., Il nuovo
strumento di tutela collettiva risarcitoria: l'azione di
classe dopo le recenti modifiche all'art. 140-bis cod.
cons, in Futuro-Giustizia Azione collettiva –
Mediazione, Torino, 2010. Per un esame della precedente
versione dell’azione collettiva risarcitoria, tra tutti,
si rinvia a CONSOLO – BONA - BUZZELLI, Obiettivo Class
action: l’azione collettiva risarcitoria, Milano, 2008.
[33] PAGNI I., Tutela individuale e
tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti, cit., rileva che
«l'inibitoria, per la sua natura di rimedio preventivo e
specifico, consente una tutela piena di situazioni
soggettive sganciate dallo schema proprietario
tradizionale e connesse col diffondersi dei rapporti
giuridici e sociali dell'economia di massa, quali sono,
appunto i diritti dei consumatori (ma non è diverso il
discorso per il diritto alla salute, alla protezione
dell'ambiente, ai diritti alla privacy); sicché essa
diviene un rimedio alternativo o tutt'al più
complementare alla tutela risarcitoria, che risulta
particolarmente inadeguata a garantire l'effettiva
attuazione dei nuovi diritti, sia per la natura
tendenzialmente non patrimoniale dei beni che ne
costituiscono l'oggetto, sia per il carattere
continuativo o ripetitivo delle condotte lesive, per far
fronte alle quali occorre un rimedio rivolto piuttosto
al futuro che non al passato»; BELLELLI A, L'inibitoria
come strumento generale di tutela contro l'illecito, in
Riv. dir. civ., 2004.
[34] Tale elemento ha portato la
prevalente dottrina a ritenere che gli enti esponenziali
siano titolari di tali situazioni e a perder di vista
che gli enti possono far valere solo gli interessi che
abbiano già veste di situazione soggettiva
giuridicamente rilevante.
[35] Sul consumatore quale
«soggetto debole» GIUSSANI A., La tutela degli interessi
collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori, in Danno e resp., 1998, 1061, osserva come
la nozione di debolezza non implica esclusivamente una
valutazione socioeconomica del soggetto ma si riferisce,
fra le altre cose, al fatto di essere parte occasionale
di una controversia di tipo seriale di fronte ad un
avversario che è invece una parte abituale provvista per
ciò stesso di consistenti vantaggi strategici.
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