Se la chiamata in causa è
palesemente arbitraria, le spese sostenute dal terzo
chiamato sono a carico della parte non soccombente anche
in caso di rigetto della domanda attorea.
In una causa per risarcimento
danni, parte convenuta chiama in causa un terzo per
essere manlevata, in caso di condanna, dal pagamento
delle spese di lite che la stessa sarebbe stata
condannata a pagare con riferimento alla soccombenza
relativa ad uno specifico capo della domanda formulata
dall’attrice nei confronti della convenuta.
Il Giudice rigetta la domanda
attorea e, per il principio della soccombenza, condanna
la stessa a rifondere le spese processuali a favore
della società convenuta, ma nello stesso tempo, condanna
quest’ultima al pagamento delle spese sopportate dal
terzo chiamato.
Infatti, il principio sotteso a
tale decisione si fonda sull’assunto che, se di una
fondata chiamata in garanzia difettano i presupposti per
ragioni concernenti il rapporto tra convenuta e
chiamato, la responsabilità della chiamata in causa non
può farsi risalire all’attore che abbia proposto una
domanda infondata nei confronti del chiamante. Il
chiamato è, in questo caso, illegittimamente coinvolto
nel processo per responsabilità del convenuto, da
considerarsi soccombente nei suoi confronti ai fini
della ripartizione dell’onere delle spese processuali
per gli effetti di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c..
Dispone, infatti, il primo periodo dell’art. 91, 1° co,
c.p.c. : “Il giudice, con la sentenza che chiude il
processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al
rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne
liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”.
Nel caso specifico, rileva il
Giudicante che la chiamata in causa del terzo da parte
della convenuta è da considerarsi palesemente
arbitraria. Ciò lo si rileva dalla contraddittorietà
della posizione assertiva della convenuta che, da un
lato dà come circostanza sicura la riconducibilità al
terzo di un titolo giuridico da cui scaturirebbe la
responsabilità ai fini della richiesta del risarcimento
del danno avanzata dall’attore, ma dall’altra, quella
stessa circostanza revoca in dubbio per introdurre nei
riguardi del terzo stesso una ragione di garanzia
impropria, che, oltre ad essere descritta in termini
oltre modo generici, è finalizzata al recupero delle
sole “spese di lite che la società convenuta sia
eventualmente condannata a pagare”.
Il Tribunale in questo caso si è
allineato al principio ormai consolidato della
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione in base
al quale una volta rigettata la domanda principale, le
spese sostenute dal terzo chiamato a titolo di garanzia
impropria vanno poste a carico del soccombente che ha
provocato e giustificato la chiamata in garanzia tranne
nel caso in cui l’iniziativa del chiamante si riveli
palesemente arbitraria ove l’obbligo rimane a carico
della parte che ha chiamato o abbia fatto chiamare in
causa il terzo (si veda in tal senso Cass., sez. III, 08
aprile 2010, n. 8363; Cass., 10 giugno 2005, n. 12301;
Cass., sez. III, 02 aprile 2004, n. 6514)
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