Sotto l’influenza del diritto
comunitario si è assistito ad importanti interventi, che
connotano la sussistenza della nullità non più come
patologia omogenea ed unitaria, ma come fattispecie
eterogenea. Si è assistito a quello che in dottrina
viene comunemente definito il fenomeno “dalle nullità
alle nullità”.
Nel nostro ordinamento ciò è stato possibile grazie al
terzo comma dell’art 1418 c.c. che conferisce al
Legislatore e alla sua valutazione discrezionale il
potere di ricorrere allo strumento della nullità quando
lo ritiene opportuno.
Tendenzialmente, le fattispecie che sono state fatte
rientrare nella fattispecie della nullità di protezione,
secondo la tradizionale teorica, sarebbero state
incasellate nell’annullabilità, patologia posta a tutela
della parte contraente più debole.
Più in particolare, le norme che prevedono la nullità di
protezione sono comunque norme poste a tutela di
interessi pubblici; in particolare, in considerazione
del gruppo di appartenenza dei soggetti verso i quali
sono rivolte, sono dirette a tutelare con maggiore
incidenza parti di fronte a manovre abusive.
Fino ai copiosi interventi comunitari nel settore,
soprattutto consumeristico, tali ipotesi erano
considerate eccezionali in quanto venivano fatte
rientrare nell’alveo dell’annullabilità ovvero della
responsabilità precontrattuale, perché si riteneva che
la nullità di protezione, proprio per la sua
specificità, dovesse essere solo testuale.
Tale orientamento è cambiato;
attualmente si ritiene configurabile anche una nullità
di protezione virtuale, muovendo dall’assunto che,
tenendo conto della materia consumeristica, tale
patologia ha assunto sostanzialmente rilievo generale.
È da precisare che la nullità
virtuale non trova applicazione laddove la norma violata
ha natura meramente comportamentale; in questo caso, la
responsabilità che ne conseguirebbe sarebbe quella
precontrattuale. Quindi, secondo questa impostazione, la
nullità di protezione virtuale può essere riferita solo
alle norme sugli atti, ovvero norme che contengono
prescrizioni sul contenuto, forma e struttura del
contratto, nonché sulla legittimazione a contrarre.
Acquisito il fatto che le nullità
di protezione, pur essendo nullità e in quanto tali
agiscono in termini generali, sono volte alla tutela
dell’interesse particolare della parte debole, il
legislatore riconosce in molti casi alla sola parte
debole ( consumatore), la legittimazione a far valere
tale nullità.
Sul punto, però, vi è chi ritiene
che l’art 36 codice consumo potrebbe essere interpretato
anche nel senso di conferire legittimazione generale,
ciò sulla base dell’assunto che è finalizzato alla
tutela non tanto del consumatore, quanto del mercato.
Tale posizione è stata criticata,
in quanto si è ritenuto, che tra l’aspetto processuale e
quello sostanziale vi deve essere necessaria
concatenazione, affinchè l’interesse della parte più
debole non subisce condotte di approfittamento della
parte più forte. In secondo luogo, non pare dubbio che
l’interesse di cui al 36, si riferisca all’interesse del
consumatore.
Vi è poi l’ulteriore problema,
ovvero se legittimato a far valere la nullità è anche un
terzo, il cui interesse è tutelato nel contratto
stipulato dalle parti; l’ipotesi è quella della polizza
antiinfortunistica stipulata dal datore a favore del
lavoratore; è evidente che in questo caso il lavoratore
lungi dall’essere terzo ha la legittimazione ad agire.
L’art 36 codice consumo ammette che
la nullità di protezione possa essere rilevata d’ufficio
anche dal giudice.
È stato opportunamente osservato,
che non si tratta di una rilevabilità d’ufficio
incondizionata; al contrario è strettamente connessa
all’interesse del consumatore.
Con maggior impegno esplicativo, la
nullità di protezione, può e deve essere rilevata
d’ufficio dal giudice quando da ciò derivi un beneficio
per il consumatore; al contrario, non può e non deve
esser rilevata d’ufficio quando dalla rilevazione derivi
un esito sfavorevole per il consumatore.
Il problema che si è posto in
merito alla rilevazione d’ufficio della nullità, è dato
dal fatto che il consumatore manifesti la propensione
per la conservazione del contratto.
In altri termini, il quesito è, se
nei casi in cui opera il meccanismo della nullità
parziale con automatica sostituzione della clausola
caducata, rilevi o meno la volontà espressa del
consumatore.
Secondo parte della dottrina,
spetta solo al soggetto protetto la scelta di caducare o
mantenere in vita il contratto; altri, invece, ritengono
che il giudice, nonostante il consumatore abbia espresso
una volontà contraria, possa rilevare d’ufficio la
nullità se ritiene che la conservazione del contratto
possa risultare lesiva per il consumatore stesso.
La questione, sostanzialmente,
verte attorno alla problematica della nullità relativa,
della sua configurabilità, nozione e qualificazione.
Tale figura ha da sempre destato
forti perplessità in dottrina circa la sua
ammissibilità; pur esistendo tutt’oggi forti resistenze
in merito, la figura della nullità azionabile da uno
solo dei contraenti, similare al regime
dell’annullabilità, è oggi ammessa alla luce dei copiosi
interventi comunitari in materia consumeristica.
Ferma, quindi, la sua
ammissibilità, dubbi sussistono sulla sua nozione e
collocazione sistematica.
Per quanto concerne la nozione,
negli anni si è assistito all’elaborazione di diverse
definizioni.
La tesi oggi prevalente individua
tale figura facendo riferimento al fatto che la
legittimazione è limitata dalla legge solo a determinati
soggetti.
Per quanto riguarda, invece, la sua
collocazione all’interno del più ampio genus
dell’invalidità, ci sono voci discordanti che affermano
che la qualificazione negativa in termini di nullità,
non necessariamente esclude la produzione di effetti
quando vi è un interesse acchè ciò avvenga.
Tale interpretazione ha suscitato
forti polemiche sulla base del’assunto, che il rapporto
manifesterebbe così una sua piena vincolatività,
condizionata dal potere invalidante e discrezionale
posto in essere da una delle parti.
Dottrina tradizionale, invece,
parla di inefficacia originaria del negozio
relativamente nullo, con possibilità del soggetto
legittimato di sanare il vizio; a questo proposito, è
stata richiamata la figura della nullità cd sospesa o
pendente.
Ferma, comunque, la qualificazione
della nullità relativa di protezione come particolare
ipotesi della nullità tradizionale, la dottrina si è
impegnata nel verificare se il carattere
dell’assolutezza comporta il venir meno di altri aspetti
propri della disciplina tradizionale, quali, ad esempio,
la rilevabilità d’ufficio.
Il dubbio nasce dal fatto, che
mentre la nullità classica è coerente con il suo
tradizionale perseguimento di interessi generali, le
nullità di protezione relative sono, essenzialmente,
volte alla tutela di interessi particolari. Da ciò
consegue , che nel caso di nullità relativa verrebbe
meno il rischio di turbativa dell’ordinato svolgimento
del traffico giuridico, considerato fondamento della
regola della rilevazione d’ufficio.
Altro argomento di ostacolo alla
rilevabilità d’ufficio, sarebbe rappresentato dall’art
112 c.pc.. che nel prevedere che il giudice non può
pronunciare d’ufficio eccezioni che possono essere
proposte solo dalle parti, sembra includere anche
ipotesi di invalidità azionabili solo ad iniziativa di
un contrante.
Tale tesi è stata criticata sulla
base dell’assunto, che la norma va interpretata nel
senso che il giudice è chiamato a rilevare tutti quei
fatti che, avendo prodotto automaticamente i propri
effetti, hanno, al momento della pronuncia, influito
sull’esistenza del diritto su cui il giudice è chiamato
a pronunciarsi.
La questione della rilevabilità
d’ufficio della nullità di protezione, è stata oggetto
di recenti indagini anche da parte della giurisprudenza
europea.
Sul punto, come già enunciato, si
registrano due arresti della Corte di Giustizia europea.
Il primo è del giugno 2009, e fa
seguito alle questioni pregiudiziali avanzate da un
giudice ungherese in merito all’interpretazione di
clausole abusive nei contratti con il consumatore.
La questione sottoposta al vaglio
della Corte attiene alla non vincolatività della
clausola abusiva, che consegue ad una necessaria
impugnativa da parte del consumatore, ovvero se la
stessa possa essere rilevata d’ufficio dall’autorità
giudicante.
La seconda questione, laddove si
opti per la rilevabilità d’ufficio, riguarda se tali
poteri devono essere considerati come obbligo o facoltà.
Il secondo arresto
giurisprudenziale attiene, invece, alla materia dei
contratti conclusi fuori dai locali commerciali; la
normativa europea prevede in questi casi, l’obbligo per
il commerciante di comunicare, per iscritto,al
consumatore il diritto di sciogliersi dal contratto,
entro un termine di almeno sette giorni dal ricevimento
dell’informativa, imponendo, inoltre, agli stati membri
di approntare misure di tutela appropriate del la parte
debole.
Il nodo centrale di entrambe le
pronunce è la compatibilità del regime di nullità,
generalmente rilevabile d’ufficio, con la caratteristica
delle legittimazioni ad agire, limitate solo alle parti
interessate, che connotano la materia consumeristica.
La nullità classica, infatti, è
concepita come reazione ad un contratto privo dei
requisiti codificati dallo stesso legislatore, e ciò,
nell’intento di perseguire un interesse generale, che
prescinde dalle considerazioni delle posizioni
soggettive e dagli interessi in gioco, con una
conseguenza demolitoria, salvo i casi eccezionali
previsti dal 1419 c.c. Da qui il corollario della
rilevabilità d’ufficio.
La nullità di derivazione europea,
invece, pone l’accento non tanto sulla fattispecie
astratta, sul tipo contrattuale, sulla sua struttura e
l’esistenza di elementi costitutivi, ma piuttosto sugli
interessi che le parti intendono regolare con il
programma contrattuale, rispetto ai quali, il diritto
europeo, si pone in una posizione di neutralità.
Si delinea, così, un modello di
nullità che è condizionato al tipo di operazione posta
in essere, che tiene conto degli assetti coinvolti dalle
parti.
Con maggiore impegno esplicativo,
la fattispecie pone al centro il regolamento, che
diviene il fulcro dei rapporti contrattuali, potendo
essere rimodellato, modificato e adattato alle esigenze
concrete, purchè volto all’attuazione dell’equilibrio e
giustizia sostanziale tra le parti.
La nuova figura di nullità diviene,
pertanto, lo strumento ideale per perseguire
l’innovativa funzione di protezione della parte più
debole, strumento ben lontano dal determinare l’effetto
demolitorio proprio della nullità classica.
È evidente che, se nella
tradizionale concezione classica della nullità, la
nullità parziale assume connotati eccezionali, alla luce
delle risultanze della giurisprudenza europea, la
parzialità si pone piuttosto come regole e non
eccezione, visto che l’attività ermeneutica delle parti
ed, eventualmente, del giudice è diretta alla
conservazione e non alla demolizione del programma
contrattuale.
Tali principi sono stati enunciati
anche in altre sentenze; ad esempio, con la sentenza
Mostanza Claro, la Corte europea ha introdotto dati
significativi in tema di rilevabilità d’ufficio della
clausola abusiva.
Partendo, infatti, dall’ assodata
facoltà dei giudici nazionali di rilevare d’ufficio le
clausole abusive, senza bisogno di attendere l’eccezione
della parte debole, per la prima volta la Corte sancì
testualmente che tale potere doveva considerarsi un
obbligo, perché solo in questo modo è possibile
garantire l’effetto utile della tutela, cui mirava
un’apposita direttiva.
Con la sentenza Pannon, del giugno
2009, la Corte ha modo di precisare ulteriormente che il
giudice non dovrà disapplicare la clausola se il
consumatore, dopo essere stato avvisato, afferma che non
intende invocare la sua natura abusiva e non vincolante.
Con maggiore impegno esplicativo,
il rilievo d’ufficio da parte del giudice della clausola
abusiva trova il limite nel potere di autodeterminazione
del consumatore di mantenere in vita la clausola
abusiva.
Con la successiva sentenza Martin,
dicembre 2009, la Corte ritorna sul tema operando
un’ulteriore precisazione. La questione verteva, come
sinteticamente prima indicato, sulla conclusione di
contratti fuori dai locali commerciali; si trattava di
verificare la rilevabilità d’ufficio o meno della
nullità di un contratto stipulato senza la prescritta
normativa in tema di informativa, e successivo diritto
di recesso spettante al consumatore.
La Corte di Giustizia afferma che
il giudice nazionale, in base alla direttiva, deve
dichiarare d’ufficio la nullità del contratto, anche
qualora detta nullità non sia mai stata fatta valere dal
consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti.
La giustificazione è data dal fatto
della sussistenza di un pubblico interesse che esige un
impulso da parte della stessa autorità giudicante.
L’art 4 della direttiva, evidenzia
come l’obbligo di informativa è volto a rimediare il
possibile squilibrio informativo che potrebbe nascere
tra il professionista e il consumatore.
L’informativa, assume un ruolo
centrale nella direttiva, che rappresenta una di quelle
ipotesi eccezionali che giustificano l’intervento del
giudice nazionale d’ufficio, al fine di ristabilire
l’equilibrio.
Ad ogni modo, l’intervento del
giudice, ancorchè volto a riequilibrare la situazione
sinallagmatica, non potrà prescindere dalla eventuale
volontà del contraente debole di non avvalersi della
nullità del contratto e di concludere il contratto,
prescindendo dall’abusività della clausola stessa. |