In relazione ai diritti spettanti
al lavoratore per la sua attività lavorativa, non è
decisivo il negozio costitutivo del rapporto, ma il
rapporto nella sua concreta attuazione. La
giurisprudenza di legittimità ammette, infatti, che in
base a una continua prestazione dell’orario di lavoro,
pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, un
rapporto di lavoro nato quale rapporto a tempo parziale
possa trasformarsi in un rapporto di lavoro a tempo
pieno, nonostante la difforme, iniziale manifestazione
di volontà delle parti, non occorrendo alcun residuo
formale per la trasformazione di un rapporto a tempo
parziale in un rapporto di lavoro a tempo pieno.
Così la Cassazione con la Sentenza
n. 15774/2011. Il caso. Una lavoratrice, con contratto
di lavoro part time, espone di aver lavorato alle
dipendenze di una società con lo stesso orario dei suoi
colleghi impiegati a tempo pieno. La lavoratrice ha
precisato quali erano le concrete modalità di
svolgimento della prestazione lavorativa, rappresentando
che tutti i dipendenti, lei compresa, erano impiegati in
turni giornalieri di otto ore e lavoravano con una
turnazione di quattro giorni lavorativi e due di riposo,
per un totale di 160 ore mensili. In sostanza, la
lavoratrice ha rappresentato di aver lavorato per un
numero costante di ore e di giorni per ciascun mese,
inserita nei normali turni di lavoro al pari di tutti i
dipendenti a tempo pieno e con un orario di lavoro che
coincideva in tutto e per tutto con quello osservato da
questi ultimi. Per tale motivo, la lavoratrice, con
ricorso promosso innanzi al locale Tribunale ha chiesto
che fosse riconosciuta l’esistenza di un rapporto di
lavoro a tempo pieno. Bocciata in primo grado, la
richiesta viene accolta dalla Corte di Appello di Milano
che dichiara l’esistenza tra le parti di un rapporto di
lavoro a tempo pieno. Avverso la sentenza di appello la
società datrice di lavoro promuove ricorso per
Cassazione. Rigettato il ricorso. La ricorrente deduce
che il ricorso introduttivo sarebbe stato carente sotto
il profilo della precisa indicazione del numero delle
ore lavorate mensilmente che costituiva un dato decisivo
per stabilire se la prestazione lavorativa potesse
ritenersi a tempo pieno, inoltre, l’esistenza di un
vizio di motivazione in ordine alla ritenuta esistenza
di un accordo novativo, ovvero modificativo della durata
della prestazione lavorativa, con sostituzione
dell’orario a tempo pieno a quello a tempo parziale,
desunto dalla circostanza, tutt’altro che decisiva, del
superamento dell’orario di lavoro contrattualmente
stabilito. Censure infondate. La Corte rileva che il
giudice di appello ha ritenuto che il ricorso contenesse
una sufficiente indicazione degli elementi di fatto sui
quali si fondava la domanda e, in particolare, una
precisa indicazione e quantificazione delle ore lavorate
mensilmente. Le deduzioni della lavoratrice hanno
trovato piena conferma, oltre che nella mancanza di una
specifica contestazione da parte della società
convenuta, in fonti documentali, ovvero i prospetti paga
nei quali erano indicati il numero delle giornate
lavorative e delle ore di lavoro mensili. Inammissibili
le doglianze relative alla pretesa impossibilità che la
richiesta di lavoro supplementare possa configurare una
ipotesi di “novazione oggettiva” del rapporto, stante
che il giudice di appello ha chiaramente esplicitato che
le ragioni del decisum andavano individuate in relazione
alla concreta esecuzione del contratto di lavoro
stipulato tra le parti, facendo quindi corretta
applicazione del principio secondo cui, in relazione ai
diritti spettanti al lavoratore per la sua attività
lavorativa, non è decisivo il negozio costitutivo del
rapporto, ma il rapporto nella sua concreta attuazione.
Anna Teresa Paciotti |