Si dice che la sfiducia espressa dai mercati nei
riguardi dell'Italia la scorsa settimana sia dovuta al
dissesto delle finanze pubbliche e alla debolezza del
governo. Che però sono un tratto costante del nostro
paese. Quello che è cambiato, invece, è il saldo delle
partite correnti della bilancia dei pagamenti.
Peggiorato di circa un punto di Pil dal 2006, proprio
come era avvenuto negli anni precedenti la crisi del
1992. Se la causa del nervosismo dei mercati è almeno in
parte il debito estero, l'approvazione della manovra
difficilmente chiuderà la partita.
La sfiducia espressa dai mercati nei riguardi
dell’Italia la scorsa settimana viene attribuita dai
commentatori al dissesto delle finanze pubbliche e alla
debolezza del governo. Tuttavia, se queste fossero le
uniche cause, verrebbe da chiedersi: perché ora?
BUSINESS AS USUAL
Certo, il livello del debito pubblico italiano
ora è preoccupante, ma è mai stato rassicurante? Il suo
rapporto al Pil ha raggiunto quota 119 per cento alla
fine del 2010: la crisi ha vanificato 13 anni di sforzi,
riportandolo ai valori del 1997. Tuttavia, il debito
pubblico è allarmante da almeno venti anni a questa
parte (dal 1992 non è mai sceso sotto al 100 per cento
del Pil). Inoltre, in caso di recessione un suo aumento
in rapporto al Pil è fisiologico, da un lato per
l’operare degli “stabilizzatori automatici” (il calo del
gettito fiscale, eccetera), dall’altro per la
diminuzione del Pil. La performance dell’Italia in
questo senso è più che discreta: il Fmi prevede che alla
fine del 2011 il rapporto debito pubblico/Pil in Italia
sarà cresciuto rispetto al 2008 solo di 14 punti,
esattamente come in Germania, a fronte di incrementi ben
maggiori in Francia (20 punti), Usa (28 punti), Regno
Unito (31 punti), Giappone (34 punti). (1) Anche
la debolezza del governo è un dato costante del nostro
quadro politico: in termini di instabilità (vi
prego di registrare questa precisazione) abbiamo visto
di peggio negli ultimi venti anni. E allora perché tanto
nervosismo proprio adesso?
LA SPIRALE DEL DEBITO ESTERO
Una chiave di lettura la offre chi evoca la crisi del
1992. In effetti, se da
un lato le condizioni del nostro paese sono ovviamente
diverse da quelle di venti anni fa (non c’è più la lira,
stiamo uscendo dalla recessione più grave del
dopoguerra), dall’altro ci sono interessanti e meno
ovvie similarità. La figura 1 mostra
l’andamento dei redditi netti da capitale della bilancia
dei pagamenti (Bdp). (2) Il saldo esprime la
differenza fra quanto gli italiani ricavano in termini
di interessi e profitti dai loro investimenti
all’estero, e quanto pagano all’estero per i capitali
importati in Italia. In altri termini, è l’onere del
debito estero (netto). Sia la crisi del 1992 che la
situazione di sofferenza odierna sono state precedute da
un rapido aggravamento di questo onere, più o meno
dell’ordine di un punto di Pil in tre o quattro anni.
La figura 2 mostra il saldo delle partite
correnti della Bdp, che esprime l’accreditamento o
indebitamento estero, e la componente dovuta agli
interessi. La dinamica precedente alla crisi del 1992 è
significativa. Dal 1988 al 1992 partite correnti e onere
del debito si sono mossi pari passu: il
peggioramento delle partite correnti (pari a -1.7 punti
di Pil) è spiegato per circa il 60 per cento
dall’aggravio dell’onere del debito estero (-0.9 punti).
La storia si ripete dal 2006 al 2010: il saldo peggiora
di -2.3 punti, di cui metà per l’onere del debito. Più
che l’endemica fragilità dei nostri governi, o il
cronico livello di guardia del debito pubblico, quello
che sembra destare il nervosismo dei mercati è l’aumento
dell’esposizione estera dell’Italia, soprattutto quando
si profila la spirale del debito estero (indebitarsi con
l’estero per pagare gli interessi all’estero).
CHI HA DATO. E CHI HA AVUTO
I debiti si classificano in base a chi prende i soldi e
a chi li dà: se parliamo di debito pubblico, ci
riferiamo al fatto che i soldi vanno allo Stato, se
parliamo di debito estero segnaliamo che i soldi vengono
dai mercati finanziari internazionali. Dopo anni in cui
il debito per antonomasia era quello pubblico, le crisi
di Stati Uniti, Islanda, Irlanda (fra le altre) hanno
riportato all’attenzione la distinzione fra debito
interno ed estero e l’esistenza del debito privato.
Il Fmi segnala che dal 1988 al 2007 (l’anno precedente
alla crisi) il debito pubblico italiano è aumentato di
13 punti di Pil, mentre quello estero (privato e
pubblico) di ben 21 punti di Pil.
L’aumento del debito estero non può essere dovuto solo
al settore pubblico, il cui debito è cresciuto meno di
quello estero. In effetti, gli studi sui “deficit
gemelli” segnalano che la relazione fra
indebitamento pubblico ed estero è tenue: un punto di
deficit pubblico si scarica, nella media Ocse, per solo
un terzo sull’estero. (3) Di converso, un aumento
del debito estero è per due terzi dovuto ad aumenti di
passività (o diminuzioni di attività) del settore
privato, cioè di famiglie e imprese. Ai fini della
capacità di un paese di onorare i propri impegni, è ben
diverso se i capitali esteri sono avviati a impieghi
produttivi dalle imprese, o se invece alimentano i
consumi delle famiglie (vedi ancora gli Usa o
l’Islanda). Sotto questo profilo l’Italia suscita
qualche timore. L’incremento di 10 punti di Pil del
debito estero dal 2002 al 2008 ha coinciso con un calo
di 18 punti di Pil della ricchezza finanziaria netta
delle famiglie, determinato per 14 punti di Pil
da un aumento di debiti, con un raddoppio (da 3 a 7
punti di Pil) del credito al consumo. (4)
L’aumento del debito estero è quindi almeno in parte
riconducibile al tentativo delle famiglie di mantenere i
propri livelli di consumo, intaccando la propria
ricchezza netta, in presenza di redditi stagnanti o in
calo.
L’Italia ha dunque (anche) un problema di debito estero,
che non è tutto di origine pubblica. La manovra dei
saldi pubblici può agire su di esso al più
indirettamente, forse anche in modo perverso, laddove
non riesca a rilanciare i redditi delle famiglie. Se il
nervosismo dei mercati, come la sequenza dei dati
suggerisce, è causato almeno in parte dal debito estero,
cioè dai soldi che i mercati legittimamente si attendono
di riavere indietro, l’approvazione della manovra
difficilmente chiuderà la partita.
(1)
http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2011/01/weodata/download.aspx.
(2)
http://www.istat.it/dati/dataset/20110415_00/tavole.zip.
(3) Bartolini, L., Lahiri, A. (2006) “Twin
deficits, twenty years later”, Current Issues in
Economics and Finance, 12, 1-7.
(4)
http://www.bancaditalia.it/statistiche/stat_mon_cred_fin/banc_fin/ricfamit/2010/suppl_67_10.pd.
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