Dopo averci portato sull'orlo del
precipizio, ovvero del contagio distruttivo esteso alla
Spagna e all’Italia, i leader dell'eurogruppo hanno
finalmente deciso quel che serve non solo per salvare
l'euro, ma per rendere il debito sovrano sostenibile
attraverso un piano di crescita. E dalla vicenda si
possono trarre lezioni sui meccanismi di gestione delle
crisi. La più importante è che la ricostruzione della
credibilità del governo dell'eurozona richiede
comportamenti coerenti e deve proseguire senza
ripensamenti sulla strada prescelta.
Dopo averci portato sull’orlo del
precipizio, del contagio distruttivo esteso alla Spagna
e all’Italia, i leader dell’eurogruppo hanno finalmente
deciso quel che serve non solo per salvare l’euro, ma
per rendere il debito sovrano sostenibile attraverso un
piano di crescita.
IL PACCHETTO GRECO
Riassumendo, per il debito greco è
stato deciso:
(i) Di concedere un nuovo prestito
alla Grecia per 109 miliardi di euro, per una durata tra
15 e 30 anni e a tassi d’interesse intorno al 3,5 per
cento, con un periodo di grazia di 10 anni, nonché di
estendere “significativamente” le scadenze del prestito
esistente;
(ii) Di utilizzare per i
finanziamenti e la gestione della crisi l'European
Financial Stability Facility (Efsf), che si finanzierà
emettendo euro (Union?) bond sui mercati internazionali;
(iii) Che la Efsf potrà intervenire
sul mercato secondario dei titoli sovrani dei paesi
membri dell’euro per operazioni di acquisto e scambio di
titoli (debt swap) a prezzi di mercato, nonché
finanziare operazioni di riacquisto (buy back, nel
limite di 12,6 miliardi di euro) del proprio debito
pubblico da parte dei paesi in difficoltà;
(iv) Che il settore privato dovrà
contribuire al rifinanziamento della Grecia per 37
miliardi, in forme ancora da definire che, secondo
indicazioni non ancora ufficiali, comprenderanno
reinvestimenti alla scadenza dei debiti (debt rollover)
con lunghe scadenze e altre forme di scambio di titoli
con haircut (riduzione del capitale); è dunque ammesso
che si verificherà un selective default, cioè una
ristrutturazione del debito greco, che si cercherà di
limitare al massimo temporalmente; trenta grandi
istituzioni finanziarie, sotto gli auspici
dell’Institute of International Finance, avrebbero già
sottoscritto l’impegno a partecipare;
(v) Che la Efsf possa estendere i
suoi finanziamenti alle esigenze di ricapitalizzazione
delle banche (anche di altri paesi dell’eurozona)
investite da perdite, nonché a operazioni di credit
enhancement, presumibilmente nella forma di garanzie o
offerta di collaterale (fino a 35 miliardi di euro),
delle quali una parte significativa a copertura dei
rischi della Bce nelle sue operazioni di sostegno alla
Grecia.
Le stesse condizioni di
finanziamento e sostegno verranno estese all’Irlanda e
al Portogallo, ma senza opzione di ristrutturazione del
debito. Infatti, contemporaneamente viene annunciata
“l’inflessibile determinazione” di tutti gli altri paesi
dell’euro di onorare in pieno i propri debiti pubblici
(paragrafo 7 del comunicato del Consiglio).
Viene annunciato anche un forte
programma di sostegno alla crescita in Grecia attraverso
la mobilizzazione di fondi e una speciale task force di
assistenza tecnica per le riforme strutturali:
finalmente, la crescita viene riconosciuta come parte
integrante di ogni programma di ritorno alla
solvibilità.
LE QUATTRO LEZIONI DELLA CRISI
Quali lezioni si possono trarre?
La prima lezione è che avevano ragione quelli che
ritenevano che il debito greco fosse insostenibile e
dunque una ristrutturazione del debito fosse necessaria.
La ristrutturazione soddisfa anche la richiesta tedesca
di una partecipazione del settore privato. Essa però
richiedeva una rete di sicurezza, capace di liberare la
Bce da compiti di sostegno non monetario ai paesi
dell’euro e di assorbire lo shock della
ristrutturazione, che ora è stata offerta attraverso la
Efsf e le sue emissioni di Union bond. È la mancanza di
una rete di sicurezza che aveva trasformato la crisi di
un piccolissimo paese dell’eurozona nella crisi
dell’eurozona. La Germania non lo voleva capire, alla
fine lo ha accettato proprio sull’orlo del precipizio;
subito i mercati sono balzati all’insù, il vento del
contagio sembra dissolto. Anche i sostenitori acritici
delle avventurose tesi tedesche, apparsi anche sulla
prima pagina di autorevoli quotidiani italiani, dovranno
ricredersi.
Ciò introduce la seconda lezione,
che riguarda il disegno istituzionale dei meccanismi di
gestione delle crisi della zona euro. Il rifiuto tedesco
di utilizzare la Efsf e gli Union bond aveva il curioso
effetto di trasformare potenzialmente ogni operazione di
sostegno finanziario nell’eurozona in debito pubblico
pro-quota dei paesi creditori: con il duplice effetto
che l’opinione pubblica nei paesi creditori credeva di
doversi accollare direttamente i debiti dei debitori
insolventi, mentre l’estendersi delle difficoltà
riduceva progressivamente la platea dei creditori.
L’incubo di una transfer Union toglieva il sonno ai
contribuenti tedeschi e finlandesi e distruggeva la
credibilità dei programmi di sostegno, poiché era
evidente che alla fine inevitabilmente i creditori
avrebbero staccato la spina.
Ma, ora che le operazioni di
sostegno finanziario sono ridiventate tali, e non sono
più trasferimenti fiscali, occorre trarne le conseguenze
anche per i meccanismi decisionali dell’Efsf e del
futuro European Stability Mechanism (Esm): se è
opportuno lasciare ai ministri delle Finanze
dell’eurozona l’accertamento unanime delle condizioni di
minaccia all’euro che giustificano l’istituzione di un
programma di sostegno, le successive decisioni operative
sulle forme del sostegno e gli interventi sul mercato
dovrebbero essere affidate all’organo esecutivo, il
Consiglio di amministrazione, lasciandolo decidere a
maggioranza. Solo in tale modo, le singole decisioni
operative potranno essere sottratte alla discussione
sulla pubblica piazza dei paesi creditori: una cosa che
può di nuovo distruggere le credibilità degli
interventi.
Infine, la positiva reazione dei
mercati finanziari conferma che siamo sulla strada
buona. Ma, e questa è l’ultima lezione, e la più
importante, l’attuazione delle importanti decisioni di
ieri al Consiglio supremo della zona euro non deve
riportarci al clima di divisione e confusione che ha
fatto temere, nei giorni scorsi, la fine del’euro. La
ricostruzione della credibilità del governo
dell’eurozona richiede comportamenti coerenti sulla
strada prescelta, deve proseguire senza ripensamenti. La
misura del successo o dell’insuccesso sarà evidente
nella capacità di riportare gli spread sui titoli
pubblici a dimensioni fisiologiche. |