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I LEADER EUROPEI SALVANO LA GRECIA. E ANCHE L'EURO di Stefano Micossi  -La voce.info

 

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Dopo averci portato sull'orlo del precipizio, ovvero del contagio distruttivo esteso alla Spagna e all’Italia, i leader dell'eurogruppo hanno finalmente deciso quel che serve non solo per salvare l'euro, ma per rendere il debito sovrano sostenibile attraverso un piano di crescita. E dalla vicenda si  possono trarre lezioni sui meccanismi di gestione delle crisi. La più importante è che la ricostruzione della credibilità del governo dell'eurozona richiede comportamenti coerenti e deve proseguire senza ripensamenti sulla strada prescelta.

 

Dopo averci portato sull’orlo del precipizio, del contagio distruttivo esteso alla Spagna e all’Italia, i leader dell’eurogruppo hanno finalmente deciso quel che serve non solo per salvare l’euro, ma per rendere il debito sovrano sostenibile attraverso un piano di crescita.

 

 IL PACCHETTO GRECO

 

Riassumendo, per il debito greco è stato deciso:

 

(i) Di concedere un nuovo prestito alla Grecia per 109 miliardi di euro, per una durata tra 15 e 30 anni e a tassi d’interesse intorno al 3,5 per cento, con un periodo di grazia di 10 anni, nonché di estendere “significativamente” le scadenze del prestito esistente;

(ii) Di utilizzare per i finanziamenti e la gestione della crisi l'European Financial Stability Facility (Efsf), che si finanzierà emettendo euro (Union?) bond sui mercati internazionali;

(iii) Che la Efsf potrà intervenire sul mercato secondario dei titoli sovrani dei paesi membri dell’euro per operazioni di acquisto e scambio di titoli (debt swap) a prezzi di mercato, nonché finanziare operazioni di riacquisto (buy back, nel limite di 12,6 miliardi di euro) del proprio debito pubblico da parte dei paesi in difficoltà;

(iv) Che il settore privato dovrà contribuire al rifinanziamento della Grecia per 37 miliardi, in forme ancora da definire che, secondo indicazioni non ancora ufficiali, comprenderanno reinvestimenti alla scadenza dei debiti (debt rollover) con lunghe scadenze e altre forme di scambio di titoli con haircut (riduzione del capitale); è dunque ammesso che si verificherà un selective default, cioè una ristrutturazione del debito greco, che si cercherà di limitare al massimo temporalmente; trenta grandi istituzioni finanziarie, sotto gli auspici dell’Institute of International Finance, avrebbero già sottoscritto l’impegno a partecipare;

(v) Che la Efsf possa estendere i suoi finanziamenti alle esigenze di ricapitalizzazione delle banche (anche di altri paesi dell’eurozona) investite da perdite, nonché a operazioni di credit enhancement, presumibilmente nella forma di garanzie o offerta di collaterale (fino a 35 miliardi di euro), delle quali una parte significativa a copertura dei rischi della Bce nelle sue operazioni di sostegno alla Grecia.

 

Le stesse condizioni di finanziamento e sostegno verranno estese all’Irlanda e al Portogallo, ma senza opzione di ristrutturazione del debito. Infatti, contemporaneamente viene annunciata “l’inflessibile determinazione” di tutti gli altri paesi dell’euro di onorare in pieno i propri debiti pubblici (paragrafo 7 del comunicato del Consiglio).

Viene annunciato anche un forte programma di sostegno alla crescita in Grecia attraverso la mobilizzazione di fondi e una speciale task force di assistenza tecnica per le riforme strutturali: finalmente, la crescita viene riconosciuta come parte integrante di ogni programma di ritorno alla solvibilità.

 

LE QUATTRO LEZIONI DELLA CRISI

 

 Quali lezioni si possono trarre? La prima lezione è che avevano ragione quelli che ritenevano che il debito greco fosse insostenibile e dunque una ristrutturazione del debito fosse necessaria. La ristrutturazione soddisfa anche la richiesta tedesca di una partecipazione del settore privato. Essa però richiedeva una rete di sicurezza, capace di liberare la Bce da compiti di sostegno non monetario ai paesi dell’euro e di assorbire lo shock della ristrutturazione, che ora è stata offerta attraverso la Efsf e le sue emissioni di Union bond. È la mancanza di una rete di sicurezza che aveva trasformato la crisi di un piccolissimo paese dell’eurozona nella crisi dell’eurozona. La Germania non lo voleva capire, alla fine lo ha accettato proprio sull’orlo del precipizio; subito i mercati sono balzati all’insù, il vento del contagio sembra dissolto. Anche i sostenitori acritici delle avventurose tesi tedesche, apparsi anche sulla prima pagina di autorevoli quotidiani italiani, dovranno ricredersi.

Ciò introduce la seconda lezione, che riguarda il disegno istituzionale dei meccanismi di gestione delle crisi della zona euro. Il rifiuto tedesco di utilizzare la Efsf e gli Union bond aveva il curioso effetto di trasformare potenzialmente ogni operazione di sostegno finanziario nell’eurozona in debito pubblico pro-quota dei paesi creditori: con il duplice effetto che l’opinione pubblica nei paesi creditori credeva di doversi accollare direttamente i debiti dei debitori insolventi, mentre l’estendersi delle difficoltà riduceva progressivamente la platea dei creditori. L’incubo di una transfer Union toglieva il sonno ai contribuenti tedeschi e finlandesi e distruggeva la credibilità dei programmi di sostegno, poiché era evidente che alla fine inevitabilmente i creditori avrebbero staccato la spina.

Ma, ora che le operazioni di sostegno finanziario sono ridiventate tali, e non sono più trasferimenti fiscali, occorre trarne le conseguenze anche per i meccanismi decisionali dell’Efsf e del futuro European Stability Mechanism (Esm): se è opportuno lasciare ai ministri delle Finanze dell’eurozona l’accertamento unanime delle condizioni di minaccia all’euro che giustificano l’istituzione di un programma di sostegno, le successive decisioni operative sulle forme del sostegno e gli interventi sul mercato dovrebbero essere affidate all’organo esecutivo, il Consiglio di amministrazione, lasciandolo decidere a maggioranza. Solo in tale modo, le singole decisioni operative potranno essere sottratte alla discussione sulla pubblica piazza dei paesi creditori: una cosa che può di nuovo distruggere le credibilità degli interventi.

Infine, la positiva reazione dei mercati finanziari conferma che siamo sulla strada buona. Ma, e questa è l’ultima lezione, e la più importante, l’attuazione delle importanti decisioni di ieri al Consiglio supremo della zona euro non deve riportarci al clima di divisione e confusione che ha fatto temere, nei giorni scorsi, la fine del’euro. La ricostruzione della credibilità del governo dell’eurozona richiede comportamenti coerenti sulla strada prescelta, deve proseguire senza ripensamenti. La misura del successo o dell’insuccesso sarà evidente nella capacità di riportare gli spread sui titoli pubblici a dimensioni fisiologiche.

 

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