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Il nuovo concetto di famiglia cd
privatizzata, ovvero ancorata ai principi di solidarietà
e parità, ha valorizzato la volontà dei coniugi che
trova il suo naturale sbocco in un accordo, sia nella
fase fisiologica del rapporto, sia nella fase patologica
dello stesso.
In particolare, nell’ambito degli
accordi di separazione assume grande rilievo la
separazione consensuale, riformata dalla legge 151/75,
perché rappresenta il massimo dell’espressione del
concetto di negoziabilità – autonomia dei rapporto
coniugali in ossequio al principio di cui sopra.
Principio che, però, non può
travalicare limiti imposti dalla legge ex art 160 c.c.;
tali sono quelli riguardanti l’indisponibilità degli
status familiari e l’inderogabilità dei diritti a questi
connessi, segnatamente, solo il giudice in sede di
omologazione è legittimato, da un lato a riconoscere lo
status di separato e, dall’altro a pronunciare la
sentenza di divorzio costitutiva dello scioglimento del
vincolo negoziale. In secondo luogo viene in rilievo la
salvaguardia dell’interesse ella prole ( art 177
c.p.c.).
Il contenuto specifico degli
accordi di separazione è composto da un aspetto
essenziale, che sono le cd convenzioni di diritto di
famiglia, relativa prevalentemente alla cessazione del
dovere di convivenza e alla regolamentazione degli altri
obblighi previsti dall’art 143 c.c. ( mantenimento del
coniuge, laddove ne sussistono i presupposti;
affidamento, educazione, mantenimento della prole e –
sempre se ne sussistono i presupposti – l’assegnazione
della casa famigliare). Il contenuto di tali accordi è
comunque sempre limitato dal superiore interesse della
prole.
Un secondo eventuale contenuto
attiene ad intese che esulano dagli elementi essenziali
della separazione consensuale, in quanto sono
occasionate dalla crisi coniugale e, quando hanno un
contenuto patrimoniale, rientrano nei contratti atipici
( cd contratti di separazione) ai quali si applica il
1322 c.c.
Tali accordi, occasionati dalla
separazione, possono essere anteriori, coevi o
successivi all’omologazione, e possono essere omologati
dal Tribunale o rimanere a latere
L’omologazione degli accordi di
separazione è dovuta quando si tratta di intese
finalizzate a regolare aspetti integrativi e accessori
della separazione consensuale, poiché il principio è
quello dell’autonomia negoziale, entro i limiti dell’art
160 c.c.
In tale prospettiva la legge 8
febbraio 2006 n. 54, introducendo l’istituto
dell’affidamento condiviso, ha valorizzato ulteriormente
i principi cardine e la nuova accezione privatistica
della famiglia. Il comma secondo dell’art 155 c.c.
prevede che il giudice, deve prendere atto, se non
contrari all’interesse dei figli, degli accordi
intervenuto tra i genitori; il quarto comma, dispone che
i genitori provvedano al mantenimento dei figli in
misura proporzionale al proprio reddito, salvo accordi
diversi liberamente sottoscritti dalle parti.
Diversa è l’ipotesi degli accordi a
latere, non cristallizzati nel verbale di omologazione;
tali accordi hanno dato luogo a problemi esegetici circa
la loro validità o meno, anche in relazione al contenuto
degli stessi
Gli accordi non omologati possono
tendere a modificare le intese omologate relative alla
separazione consensuale, ovvero i provvedimenti emessi
dal giudice; possono essere anche finalizzati ad
integrare le condizioni di una separazione consensuale.
Ulteriore discrimine è dato dalla
loro redazione rispetto al provvedimento giudiziale;
segnatamente, si può trattare di intese precedenti in
cui le parti hanno stabilito le linee di principio su
cui verterà la futura separazione, risolvendo
anticipatamente alcune questioni che si ritiene possano
emergere in sede di separazione; possono essere intese
coeve e tali sono quelle volte a risolvere questioni di
natura fiscale che i coniugi ritengono opportuno non
pubblicizzare; infine, possono essere anche successive,
ovvero incentrate su accordi di dettagli non contenuti
nel verbale di omologazione, ovvero relative a problemi
emersi solo in fase di esecuzione degli accordi di
separazione.
Per quanto concerne la loro
validità, l’iter giurisprudenziale è in linea con
l’evoluzione del concetto di famiglia e, di conseguenza,
del rapporto coniugale.
Nella prima fase ( anni Ottanta),
prevaleva una tesi restrittiva, successivamente,
l’abbandono della concezione pubblicistica viene
sostituita con quella privatistica e in particolare, i
patti successivi all’omologazione, trovano fondamento
nell’art 1322 c.c. se ritenuti meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico indipendentemente dal
procedimento di omologazione disciplinato dall’art 710 e
711 c.p.c., salvo i limiti dell’art 160c.c.; le
pattuizioni antecedenti o coeve alla separazione
consensuale omologata e non trasfusa nel verbale, al
contrario, sono validi solo se non interferiscono con
quanto stabilito nell’accordo omologato, sempre previa
verifica della rispondenza all’interesse tutelato, nel
rispetto dei principi di cui all’art 158 c.c.
Revoca del consenso e simulazione
dell’accordo di separazione omologato.
La questione relativa
all’ammissibilità della revoca unilaterale del consenso
manifestato alla separazione e alle relative condizioni
prima che intervenga l’omologazione del Tribunale, è
influenzata dai principi che influenzano la natura
negoziale dell’accordo.
Su tali basi, dunque, non deve
ritenersi ammissibile una revoca del consenso da parte
di un solo coniuge nel caso in cui tale revoca abbia ad
oggetto i soli rapporti patrimoniali e non la domanda
giudiziale di separazione, ciò anche alla luce del
principio di irretrattabilità degli accordi patrimoniali
secondo cui è necessario il consenso congiunto delle
parti ex 1372 c.c.
Nel caso, invece, in cui la revoca
riguarda la domanda di separazione in senso stretto,
l’ammissibilità è condizionata dalla sua proposizione
prima dell’udienza presidenziale, nel rispetto dei
requisiti di forma della rinuncia alla domanda
giudiziale
Le stesse considerazioni valgono
per l’accordo posto alla base della richiesta congiunta
di divorzio, sempre nell’ottica della valorizzazione
della natura negoziale dello stesso, tanto che il
Tribunale non può emettere una sentenza difforme dalla
volontà delle parti, purchè siano rispettati i
presupposti di legge.
Si può quindi affermare che, in
base alla natura negoziale degli accordi di contenuto
patrimoniale, gli stessi possono essere qualificati,
secondo la dottrina maggioritaria, come veri e propri
contratti di divorzi con conseguente applicazione della
disciplina del contratto, entro i limiti di
compatibilità.
Il Tribunale, in questo caso, ha di
fatto il ruolo di accertare il diritto soggettivo
potestativo di divorzio in capo ai coniugi, purchè
sussistano le condizioni di legge.
Inoltre, gli effetti di carattere
patrimoniale derivano direttamente dal contratto di
divorzio concluso dalle parti, rispetto al quale, la
pronuncia del Tribunale assume carattere di omologa.
L’impostazione privatistica della
procedura prodromica all’omologa dell’accordo di
separazione,fa emerge il problema della simulazione e
l’esperibilità della relativa azione ex 1414 c.c.
Due gli orientamenti; secondo un
primo e prevalente orientamento dottrinario, l’azione è
ammissibile sulla base della logica connessa alla natura
negoziale dell’accordo e alla funzione di condizione di
efficacia dell’omologa, evidenziando come l’art 123 c.c.
nell’ammettere espressi verbis l’azione di simulazione
relativa all’atto del rapporto ( matrimonio) non può non
riconoscere al medesimo diritto rispetto all’atto
modificativo del rapporto originario. Inoltre, gli
effetti dell’omologa giudiziale, e quindi la stessa
separazione ex 157 c.c., possono cessare sul presupposto
di un’espressa dichiarazione in tal senso dei coniugi
ovvero di una riconciliazione per facta concludentia
La giurisprudenza prevalente,
invece, va in senso contrario.
La Corte di Cassazione, infatti,
seppur mantenendo fermo il convincimento in tema di
natura negoziale dell’accordo che funge da presupposto
fondante della separazione consensuale e al contempo
riconoscendo all’omologa una conditio iuris di
efficacia, esclude, l’impugnabilità per simulazione
dell’accordo per simulazione dell’accordo di separazione
una volta omologato, non tanto in ragione della natura
giuridica dello stesso o del decreto di omologazione,
quanto piuttosto avendo riguardo agli effetti che
l’ordinamento attribuisce al provvedimento giudiziale.
In altri termini, non si può
parlare di vizio di volontà, perché i coniugi,
presentandosi davanti al giudice, hanno voluto
perseguire e conseguire un determinato status giuridico
dal quale derivano effetti irretrattabili, salva la
riconciliazione o il divorzio. Pertanto, non rileva un
eventuale precedente accordo simulatorio che viene
superato dal decreto di omologa, posto che le parti non
possono contestualmente richiedere il provvedimento e
non accettare le condizioni di separati che naturalmente
discende dall’omologa.
Accordi preventivi, in vista della
futura separazione o divorzio.
Gli accordi preventivi si
differenziano dagli accordi patrimoniali tra i coniugi
stilati in sede di separazione o successivamente alla
stessa o al divorzio, tendenti a regolare profili
patrimoniali discendenti dal già acquisito status di
separato o divorziato.
Diversi gli orientamenti circa la
qualificazione giuridica degli stessi.
La giurisprudenza tende a
prevederne la nullità per illiceità della causa e/ o
illiceità o impossibilità dell’oggetto.
Si tratta, infatti, di accordi
secondo cui la nullità deriverebbe dalla violazione
dell’art 160 c.c. ; la norma, come sopra evidenziato, è
intesa come espressione della totale indisponibilità dei
diritti e dei doveri che scaturiscono dal matrimonio e
in particolare dello status coniugalis.
A questo primo orientamento se ne è
aggiunto un secondo, incentrato sulla primaria e
inviolabile libertà insita nella scelta dello status
matrimoniale unitamente al fondamentale diritto di
difesa nel processo di divorzio ( Cass 18 febb 2000 n.
1810 “ gli accordi preventivi possono condizionare il
comportamento delle parti non solo per i profili
economici preconcordati ma, quando sono accettati in
funzione di prezzo o contropartita per il consenso al
divorzio, anche per quanto attiene alla volontà stessa
di divorziare” )
La dottrina maggioritaria, invece,
si è mostrata favorevole a riconoscere la validità di
tali accordi, contestando le argomentazioni in punto di
nullità e sottolineando come l’oggetto degli accordi non
è determinare lo status ma piuttosto quello di regolare
i rapporti economici che da questo discendono, nel
rispetto della piena autonomia delle parti di optare per
una soluzione transattiva della controversia, sempre che
si tratti di profili patrimoniali e non di status.
Segnatamente, la nullità concerne
solo gli accordi che riguardano lo status coniugali,
dovendosi concludere per la validità delle intese volte
a regolamentare i diritti disponibili di natura
patrimoniale.
A suffragio di tali affermazioni,
numerose sono le applicazioni normative che si possono
rinvenire sia in tema di separazione consensuale che di
divorzio ( artt 157, 158 c.c.; 711 c.p.c; artt 1 comma
13 e 5 comma 8 n. 898/70 e successive modifiche); sia in
materia di riconoscimento degli accordi non omologati,
in sede di separazione consensuale, ovvero contenuti nel
ricorso di divorzi congiunto, nonché, nelle recenti
aperture a favore della validità di accordi patrimoniali
nelle separazioni di fatto, ancorchè inidonei a produrre
effetti di separazione legale ( Cass n. 7470/92)
AFFIDO CONDIVISO" - Mirijam
CONZUTTI
CONZUTTI Mirijam
L'affido condiviso in caso di
separazione dei coniugi è disciplinato dagli artt 155 e
155 bis c.p.c. così come modificati e integrativamente
ristritti dalla legge 54 del 2006 volta alla massima
tutela del minore.
L'impronta della ratio deriva dalla
consacrazione del princio nella Convenzione di NY del 20
novembre 2989, resa esecutiva in Italia con la legge n
176 del 1991.
La bigenitorialità, ovvero il
diritto dei figli di continuare ad avere un rapporto
equilibrato con il padre e la madre anche dopo la
separazione, è un diritto non residuale, ma regola
effettiva di cui l'affido esclusivo costituisce
l'eccezione ( Cass 16593/08).
L'affido, essendo la regola, è
derogato solo in casi eccezionali.
L'affido può essere derogato solo
se la sua applicazione risulti pregiudizievole per il
minore.
Il Legislatore non ha provveduto a
tipizzari i casi ostativi allo stesso, pertanto,
l'individuazione è rimessa alla discrezionalità del
giudice.
Ne deriva,quindi, che affinchè si
possa derogare alla regola dell'affidamento occorre che
risulti nei confronti di uno dei genitori una sua
condizione di manifesta carenza o inidoneita' educativa
o comunque tale, da rendere l'affidamento in concreto
pregiudizievole. Come esempi, la giurisprudenza di
legittimità indica l'obiettiva lontananza del genitore
dal figlio, o un suo sostanziale disinteresse per la
cura, l'istruzione, l'educazione.
Pertanto, l'affidamento esclusivo
dovrà risultare sorretto da una motivazione non solo in
positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma
anche in negativo sulla inidoneità educativa dell'altro
genitore.
Facendo applicazione dei principi
sopra enunciati la Corte di Cassazione, in un recente
arresto ( Cass 17 dicembre 2009 n. 26587), ha rigettato
il ricorso proposto da un genitore avverso la sentenza
che aveva riconosciuto in favore dell'altro
l'affidamento esclusivo.
Nel caso di specie, in particolare,
i giudici di legittimità hanno condiviso le conclusioni
della Corte di merito laddove ha ritenuto
pregiudizievole per l'interesse del minore sia il
protrarsi dell'inadempimento all'obbligo di
corrispondere il dovuto assegno di mantenimento, sia il
discontinuo esercizio del diritto di visita.
Tali comportamenti hanno indotto i
giudici di merito a privilegiare l'affido esclusivo a
favore di un genitore.
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