Massima
La clausola di esclusione del reato
è operante in tutte le ipotesi in cui manchi una
correlazione tra la situazione in cui l'attore agisce ed
il servizio militare, considerando come cause estranee
al servizio, quelle in cui non è rilevante l'attività
militare svolta dal soggetto attivo del reato oppure
che, in ogni caso, possano essere collegate ad essa in
maniera occasionale.
MOLESTIE IN CAMPO MILITARE: REATO
MILITARE O VIOLENZA SESSUALE?
1. Premessa
Con la sentenza che qui si commenta
i giudici della Suprema Corte, nella sezione terza
penale, hanno precisato, come da precedente
giurisprudenza in materia (1) che i fatti di violenza,
minaccia e ingiuria commessi tra militari non possono
integrare i reati ex artt. 195 e 196 c.p.m.p. nel
momento in cui siano collegati in modo del tutto
estrinseco all'area degli interessi connessi alla tutela
del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in
rapporto di semplice occasionalità.
2. La normativa di riferimento
Il citato articolo 195 (violenza
contro un inferiore) del codice penale militare prevede
che "Il militare, che usa violenza contro un inferiore,
è punito con la reclusione militare da uno a tre anni.
Se la violenza consiste nell'omicidio volontario,
consumato o tentato, nell'omicidio preterintenzionale,
ovvero in una lesione personale grave o gravissima, si
applicano le corrispondenti pene stabilite dal codice
penale.
La pena detentiva temporanea può
essere aumentata".
Il successivo articolo 196
(minaccia o ingiuria a un inferiore) "Il militare, che
minaccia un ingiusto danno ad un inferiore in sua
presenza, è punito con la reclusione militare da sei
mesi a tre anni. Il militare, che offende il prestigio,
l'onore o la dignità di un inferiore in sua presenza, è
punito con la reclusione militare fino a due anni.
Le stesse pene si applicano al
militare che commette i fatti indicati nei commi
precedenti mediante comunicazione telegrafica,
telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o
disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione,
diretti all'inferiore.
La pena è aumentata se la minaccia
è grave o se ricorre alcuna delle circostanze indicate
nel primo comma dell'articolo 339 del codice penale. Se
ricorre alcuna delle circostanze indicate nel secondo
comma dello stesso articolo 339, si applica la
reclusione militare da tre a quindici anni!".
3. Conclusioni
Nella decisione in oggetto i
giudici della Corte hanno annullato la condanna nei
confronti di un sergente, condannato dalle autorità
militari per il reato di cui all'articolo 195 c.p.m.p.,
ossia la violenza contro un inferiore.
Secondo quanto precisato dalla
Cassazione nella fattispecie oggetto di controversia
trova applicazione l'articolo 199 c.p.m.p., che,
disciplinando le cause estranee al servizio o disciplina
militare, dispone che il reato militare in oggetto non
può trovare applicazione nel momento in cui venga
commesso, appunto, per cause estranee al servizio e alla
disciplina militare, fuori dalla presenza di militari
riuniti per servizio e da militare che non si trovi in
servizio oppure a bordo di una nave o, ancora di
aeromobile militare.
La presunta molestia sessuale
commessa dal sergente, secondo il ragionamento seguito
dalla Corte, sarebbe totalmente estranea sia rispetto al
grado ricoperto, che alle funzioni ed al servizio svolti
dalle parti in causa (vittima e autore del fatto).
Ovviamente l'insussistenza del
reato militare non porta alcuna conseguenza per quanto
concerne la procedibilità per il reato di violenza
sessuale (2) dinanzi alla competente autorità
giudiziaria.
I giudici della Corte, infatti,
andando oltre, precisano l'inquadramento della vicenda
de qua nella fattispecie di cui all'articolo 609 bis del
codice penale.
Manuela Rinaldi
Avvocato foro Avezzano (Aq)
Direttore Amministrativo Fondazione
Studi Giuridici "Cassinelli - Buccini" c/o COA Avezzano
Docente in corsi di formazione
professionale; già docente a contratto a.a. 2009/2010
Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo,
facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo
unico, c/o sede distaccata di Avezzano (Aq)
________
(1) Cfr. Cass. pen., sez. I, 8
ottobre 2002, n. 41703.
(2) Sulla procedibilità d'ufficio
per il reato di violenza sessuale quando il fatto è
commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di
pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni;
tale articolo prevede, tra l'altro pene più severe
rispetto alla violenza contro un inferiore come previsto
dal codice penale militare
Cass. pen. 19748/2011)
Svolgimento del processo
Con sentenza 23 ottobre 2009 il GUP del Tribunale di
Brescia applicava a M. N. la pena concordata con il
Pubblico Ministero per i reati di cui agli articoli 81,
609 bis c.p. e 199 codice_penale_militare_di_pace
indicati in rubrica in ordine ad una vicenda in
occasione della quale il M. N. sergente dell'Esercito,
durante un servizio di ispezione aveva fatto oggetto il
caporale G. M. di lusinghe e dopo aver tentato
inutilmente di baciarla, la cingeva con le braccia
immobilizzandola e traendola verso di sé, baciandola sul
collo.
Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per
cassazione.
Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione
degli articoli 195 e 199 C.P.M.P. e vizio di motivazione
lamentando che il fatto contestato non aveva alcuna
correlazione con il servizio prestato, tanto che in
rubrica era stato indicato l'articolo 199 C.P.M.P. il
quale andava interpretato in senso costituzionalmente
orientato, come già aveva fatto questa Corte.
Conseguentemente, non poteva configurarsi il concorso
formale dei reati ritenuto, invece, dal giudice di prime
cure.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva violazione di
legge e mancanza di motivazione, osservando che il
giudice aveva motivato in ordine alla carenza dei
presupposti per l'applicazione dell'articolo 129 C.P.P.
utilizzando una mera clausola di stile e che, in ogni
caso, mancando per la violenza sessuale la querela e,
comunque, qualsivoglia espressa istanza di punizione,
l'esclusione del reato militare connesso non consentiva
la procedibilità di ufficio.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
li ricorso è in parte fondato.
Occorre preliminarmente osservare che, come rilevato in
ricorso e nella requisitoria scritta del Procuratore
Generale, le argomentazioni poste a sostegno del primo
motivo di ricorso possono essere condivise.
Invero, l'articolo 199 C.P.M.P. cosi recita: "le
disposizioni dei capi terzo e quarto non si applicano
quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per
cause estranee al servizio e alla disciplina militare
fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e
da militare che non si trovi in servizio o a bordo di
una nave militare o di un aeromobile militare".
Il contestato articolo 195 C.P.M.P., che sanziona la
violenza contro inferiore, è contenuto nel capo quarto
del codice militare.
Il menzionato articolo 199 è stato interpretato dalla
giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio
condivide, superando un diverso precedente indirizzo
(Sez. I n. 13214, 6 ottobre 1989) alla luce
dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 367 del
2001.
Si è così precisato che la clausola di esclusione del
reato opera in tutti i casi in cui difetti una
correlazione tra la situazione in cui si trovi ad agire
l'autore del fatto ed il servizio militare, giungendo
alla conclusione che rientrano tra le "cause estranee al
servizio" quelle che esulano dall'attività svolta dal
soggetto attivo del reato o che, comunque, alla stessa
siano collegate in modo del tutto occasionale, anche se
non estranee al servizio svolto dalla persona offesa
dall'illecito (Sez. I n. 19425, 15 maggio 2008; Sez. I
n. 16416, 2 maggio 2005; Sez. I n. 41703, 12 dicembre
2002).
Nella fattispecie, a prescindere dalla circostanza che
l'applicabilità della clausola di esclusione era stata
ritenuta già all'atto della contestazione del reato,
posto che la rubrica reca l'espressa indicazione
dell'articolo 199 C.P.M.P., la stessa descrizione dei
fatti evidenzia la assoluta estraneità della condotta
posta in essere dal ricorrente rispetto al grado
ricoperto, alle funzioni ed al servizio svolti da
entrambi i soggetti coinvolti nella vicenda.
La circostanza che il reato militare, per le ragioni in
precedenza indicate, debba ritenersi insussistente, non
comporta alcuna conseguenza in ordine alla procedibilità
per il reato di violenza sessuale.
Invero opera, nella fattispecie, il disposto di cui
all'articolo 609 septies. comma quarto, n. 3 C.P. in
quanto, in ogni caso, il ricorrente al momento del fatto
era nell'esercizio delle proprie funzioni di
sottufficiale dell'Esercito.
Ciò posto, deve anche rilevarsi che l'annullamento della
sentenza in accoglimento del primo motivo di ricorso
determina il venir meno dell'accordo concluso tra le
parti e ratificato dal giudice e che contemplava anche
il reato militare, relativamente al quale è stato
disposto l'aumento di pena.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone
trasmettersi gli atti al Tribunale di Brescia.
In caso di diffusione del presente provvedimento
omettere le generalità e gli altri dati identificativi a
norma dell'articolo 52 D.Lv. vo 196/2003 in quanto
disposto d'ufficio.
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