Sommario: 1. I referendum del 12 e
13 giugno 2011 - 2. L’effetto abrogativo e la normativa
“di risulta” - 3. Inquadramento normativo generale del
servizio di gestione integrata dei rifiuti - 4. Il
rapporto tra normativa generale e normativa speciale
sugli affidamenti dei servizi pubblici locali a
rilevanza economica - 5. Gli effetti del referendum
sulla gestione integrata dei rifiuti – 6. Considerazioni
finali – 7. Il caso siciliano.
“Né con Marx né contro di Marx”
(Norberto Bobbio)
1. I referendum del 12 e 13 giugno
2011
Il 12 e 13 giugno i cittadini
italiani sono stati chiamati alle urne per votare sui
quattro quesiti referendari promossi dai comitati
referendari di cui due sull’acqua, uno sul nucleare e
l’ultimo sul legittimo impedimento. Il risultato è stato
raggiunto avendo tutti e quattro i quesiti superato
abbondantemente il quorum necessario per rendere
efficace l’effetto abrogativo sotteso ad ogni quesito.
Senza entrare nel merito delle
valutazioni politiche e sociologiche sottese all’onda
emozionale che ha trascinato come uno tsunami giapponese
(scusate il lapsus freudiano) il corpo elettorale
italiano, il quesito che agli occhi dei più attenti ha
rasentato il bluff è certamente quello col quale si è
abrogata la normativa che disciplinava la gestione dei
servizi pubblici a rilevanza economica, tra i quali
rientra il servizio idrico integrato.
In particolare il quesito n. 1,
referendum n. 149, erroneamente classificato come
“referendum contro la privatizzazione dell’acqua”,
mirava ad abrogare l’art. 23-bis (Servizi pubblici
locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica
e finanza la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come
modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio
2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e
l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in
materia di energia), e dall’art. 15 del decreto-legge 25
settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per
l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione
di sentenze della corte di giustizia della Comunità
europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 20
novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a séguito
della sentenza n. 325 del 2010 della Corte
costituzionale.
L’art. 23-bis, meglio conosciuto
come “Decreto Ronchi”, stabiliva che le modalità
ordinarie di gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica, ivi incluso il servizio idrico
integrato, fossero l'affidamento a soggetti privati
attraverso gara e l'affidamento a società a capitale
misto pubblico-privato, con socio privato operativo
scelto attraverso gara a doppio oggetto e detentore di
almeno il 40% del capitale. La possibilità di ricorrere
all'affidamento in house era relegata a deroga
eccezionale sulla base di determinate caratteristiche
morfologiche, previa analisi di mercato e parere
obbligatorio e non vincolante dell'Antitrust (per valori
superiori ai 200.000 euro annui, come previsto dal
D.P.R. n. 168/2010). Un aspetto importante è che la
norma in questione stabiliva e regolamentava, previsione
non contemplata dall'ordinamento comunitario, un periodo
transitorio per la scadenza obbligatoria degli
affidamenti diretti non conformi alla norma stessa,
disciplinandone termini e modalità.
L’abrogazione di detta normativa
non ha però sortito gli effetti sperati né dai comitati
referendari né, soprattutto, dal corpo elettorale non
adeguatamente informato degli effetti collaterali
all’esito positivo del referendum. In pratica è cambiato
molto poco con il referendum abrogativo della normativa
vigente in materia di gestione del servizio pubblico
locale. Prima la norma abrogata obbligava l'Ente locale
ad affidarsi al mercato per la gestione del servizio,
adesso viene meno tale obbligo, ma rimane comunque la
necessità di optare per un modello di gestione che il
medesimo Ente locale ritiene più idoneo (gestione
diretta, gestione in house, affidamento esterno mediante
gara, affidamento a società mista) sulla base di
valutazioni che risentono della normativa e dei principi
immanenti nell’ordinamento comunitario.
Peraltro, la Corte Costituzionale
con sentenza n. 24/2011, nel contesto dell'esame
preventivo in ordine all'ammissibilità del citato
referendum, si era infatti così espressa: "Nel caso in
esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non
conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate
da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente
esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di
questa Corte - sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997
–, sia da quella della Corte di Cassazione e del
Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe
l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della
normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva
rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle
regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza
pubblica per l’affidamento della gestione di servizi
pubblici di rilevanza economica (…)”.
2. L’effetto abrogativo e la
normativa “di risulta”
Appare evidente, allora, come,
nella vigenza dei principi comunitari, l’abrogazione
dell’articolo 23-bis non centri l’obiettivo che i
referendari si erano proposti. La vacatio iuris che si è
venuta a creare per effetto dell’abrogazione della
disciplina dei servizi pubblici di rilevanza economica
trova la sua naturale rete di contenimento legislativa
proprio nelle disposizioni contenute nel Trattato della
Comunità Europea e più precisamente nell’articolo 86,
paragrafo 2, trasfuso nell’articolo 106 del TFUE. La
norma in parola stabilisce che “Le imprese incaricate
della gestione di servizi di interesse economico
generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono
sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare
alle regole di concorrenza, nei limiti in cui
l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento,
in linea di diritto e di fatto, della specifica missione
loro affidata”.
La Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 325 del 2010, aveva già espressamente
escluso che l’art. 23-bis costituisse applicazione
necessitata del diritto dell’Unione Europea ed aveva
affermato che esso integra solo “una delle diverse
discipline possibili della materia che il legislatore
avrebbe potuto legittimamente adottare senza violare” il
comma I° dell’art. 117 Cost. In detta sentenza viene
precisato che l’introduzione, attraverso il suddetto
art. 23-bis, di regole concorrenziali (come sono quelle
in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento
della gestione di servizi pubblici) più rigorose di
quelle minime richieste dal diritto dell’Unione europea
non è imposta dall’ordinamento comunitario “e, dunque,
non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo
comma dell’art. 117 Cost. […], ma neppure si pone in
contrasto […] con la […] normativa comunitaria, che, in
quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del
mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli
Stati membri”.
Secondo il Giudice delle leggi, il
diritto comunitario preferisce non prendere posizione a
favore di uno strumento “pro-concorrenza” nella gestione
dei servizi pubblici a rilevanza economica. Tale
affermazione è fondata se si considera il caso della
città di Parigi in cui il servizio idrico è stato
ripubblicizzato nel 2009 dopo oltre 20 anni di gestione
affidata a privati.
In tale contesto, per la dottrina
post referendaria: “la normativa comunitaria tiene una
posizione imparziale rispetto alle decisioni
dell’autorità locale, come pure rispetto alla natura
pubblica o privata del soggetto gestore del servizio,
non dettando alcuna prescrizione in merito alla scelta
dell’ente locale di ricorrere o meno all’autoproduzione
o al mercato e non imponendo all’operatore economico
(nozione comunitaria di impresa) alcuna forma per
diventare titolare della gestione di servizi”[1].
Infatti, “Nella prospettiva europea, la pubblica
amministrazione può decidere di erogare direttamente
prestazioni di servizi a favore degli utenti mediante
proprie strutture organizzative senza dovere ricorrere,
per lo svolgimento di tali prestazioni, ad operatori
economici attraverso il mercato”[2]. Non mancano
pronunciamenti della giurisprudenza comunitaria coerenti
con quanto affermato dalla Corte Costituzionale. La
Corte di Giustizia CE ha infatti stabilito, in generale,
che un’autorità pubblica può adempiere ai compiti ad
essa incombenti mediante propri strumenti, senza essere
obbligata a fare ricorso ad entità esterne non
appartenenti ai propri servizi, e che può farlo altresì
in collaborazione con altre autorità pubbliche[3].
Invero, “L’ordinamento comunitario consente la gestione
dei servizi pubblici locali e nazionali sia da parte di
soggetti pubblici che da parte di soggetti privati ma
esige che non si creino impropri favori per tali
soggetti 8sia pubblici che privati) che possano alterare
la concorrenza e, in caso di coinvolgimento dei privati,
impedisce che ciò avvenga in modo discriminatorio e non
trasparente”[4].
In pratica, il diritto comunitario
sembra sposare la massima “Né con lo Stato né contro lo
Stato” ovvero, per usare le parole di Norberto Bobbio
“Né con Marx né contro Marx”[5].
Quindi, “Spetta all’ente valutare
le modalità ottimali di espletamento del servizio con
riguardo ai costi, ai margini di copertura degli stessi,
alle migliori modalità di organizzazione del servizio in
termini di efficienza, efficacia ed economicità, nel
rispetto dei principi di tutela della concorrenza da un
lato e della universalità e dei livelli essenziali delle
prestazioni dall’altro”[6]. Gli Enti locali recuperano
quindi l’autonomia di scelta, che per la verità
trova(va) anche una copertura di livello costituzionale,
fra le varie forme di gestione, con il solo onere di
motivare adeguatamente la decisione finale, da sempre
richiesta dalla giurisprudenza amministrativa[7] ed oggi
resa più necessaria dai principi elaborati dalla Corte
dei Conti in materia. Tali principi, più che
sull’estensione analogica di disposizioni normative
quali l’art. 380 del T.U. n. 3/1957 e l’art. 152 del
D.P.R. n. 1077/1970, “poggiano sul dettato
costituzionale di cui all’art. 97 Cost. e sulla
considerazione che – atteso che ogni ente pubblico ha
una sua organizzazione ed un suo personale – è con essi
che deve ottemperare alle sue funzioni”[8].
Pertanto, “L’ente, deve
attentamente valutare l’an e il quomodo
dell’espletamento del servizio pubblico, procedendo ad
esternalizzare lo stesso o a svolgerlo in maniera
associata solo quando ciò risulti effettivamente la
soluzione migliore, in termini di efficacia, efficienza
ed economicità, in alternativa alla gestione diretta da
parte dell’ente stesso”[9]. In una nota diffusa
dall’ANCI[10] all’indomani dell’esito referendario, “I
Comuni sono investiti di una nuova <<libertà
responsabile>>, che responsabilmente utilizzeranno e del
cui utilizzo saranno chiamati a rispondere”. In
conclusione, “nessuna controrivoluzione, dunque, ma
semplicemente un ritorno alle ordinarie regole del
diritto comunitario”[11].
Orbene, senza nulla obiettare in
ordine alle illustrate argomentazioni, non possiamo non
evidenziare in questa sede, a meno di rischiare
l’alienazione rispetto agli approfondimenti giuridici
sul tema degli ultimi dieci anni, che nell’attuale fase
storica si registra anche un indirizzo volto a favorire
in prima istanza l’iniziativa privata nell’erogazione
dei servizi pubblici a rilevanza economica e, solo in
caso di inefficacia dell’iniziativa privata, ad esaltare
il ruolo delle istanze più vicine ai cittadini, cioè gli
Enti locali, che peraltro procedono ordinariamente allo
svolgimento dei servizi loro spettanti tramite
affidamento a terzi. Basti evidenziare che la manovra
finanziaria, approvata in questi giorni in tempi record
dal Parlamento Italiano nel tentativo disperato di
correggere i conti pubblici e di respingere le
speculazioni del mercato finanziario, prevede tra le
altre azioni, la privatizzazione di società a
partecipazione statale, ma anche di quelle aziende
municipali non ancora trasformate in società per azioni,
con la sola, ed ovvia, avvertenza per le municipalizzate
destinate alla gestione dei servizi idrici.
Invero, “A livello comunitario il
coinvolgimento nella gestione dei servizi di soggetti
privati viene visto con favore, potendo essi apportare
alla pubblica amministrazione know how e una gestione
più manageriale”[12]. Sia la Commissione che il
Parlamento Europeo concordano nel ritenere il
partenariato pubblico/privato (PPP) in tutte le sue
manifestazioni (partenariato contrattuale, partenariato
istituzionalizzato ecc..), come un possibile strumento
di organizzazione e gestione delle funzioni pubbliche,
riconoscendo alle amministrazioni la più ampia facoltà
di stabilire se avvalersi o meno di soggetti privati
esterni, oppure di imprese interamente controllate o,
ancora, di esercitare direttamente i propri compiti
istituzionali.
Secondo un orientamento della
giurisprudenza amministrativa interna, appare scontato
che la pubblica amministrazione che intenda acquisire
lavori, servizi e forniture debba – e non semplicemente
possa – rivolgersi al mercato nel rispetto degli
istituti di derivazione comunitaria[13]. Per altro
verso, “ i casi in cui è consentito evitare il ricorso
alla gara sono da interpretarsi in senso restrittivo
anche in ragione della situazione di conflitto
d’interesse che tale modalità di affidamento determina
in capo agli enti pubblici locali, i quali risultano
essere al contempo affidatari del servizio, azionisti, e
amministratori della società di gestione di servizi,
nonché componenti degli organismi chiamati a vigilare e
disciplinare la medesima”[14].
Più recentemente il Consiglio di
Stato è ritornato sull’argomento affermando che “nessuna
norma obbliga i comuni ad affidare all’esterno
determinati servizi (illuminazione pubblica, centri
assistenziali, case di accoglienza, case di riposo, case
famiglia, assistenza domiciliare per anziani ed
handicappati, asili nido, mense scolastiche, scuola-bus,
biblioteche, impianti sportivi: tutti servizi che
notoriamente, gran parte dei comuni italiani gestiscono
direttamente, senza appaltarli a privati)”[15]. Tuttavia
tale decisione, destinata “evidentemente ad aprire un
nuovo dibattito”[16], concerne solamente i servizi
pubblici a rilevanza non economica, come opportunamente
precisato dal Tar Lazio[17] e non anche quelli a
rilevanza economica ai quali appartengono certamente i
servizi per la gestione integrata delle risorse idriche
e dei rifiuti.
Corollario di questo ragionamento è
che, contrariamente a quanto auspicato dai promotori del
referendum abrogativo, anche a seguito dell’abrogazione
dell’art. 23-bis e del connesso Regolamento attuativo
D.P.R. n. 168/2010, l’affidamento in house rimane
comunque una modalità del tutto eccezionale per
l’affidamento del servizio. Infatti, “Il ricorso
all’autoproduzione continua a risultare pesantemente
condizionato da tutti i paletti posti dalla
giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di
<<controllo analogo>> e di <<prevalenza
dell’attività>>”[18]. Di contro, “le modalità ordinarie
di affidamento del servizio saranno la gara ovvero
l’affidamento a società mista a partecipazione pubblica
e privata”[19].
3. Inquadramento normativo generale
del servizio di gestione integrata dei rifiuti
Il sistema di gestione dei rifiuti
trovava una sua peculiare normativa nel Codice
dell’Ambiente. L’affidamento del servizio di raccolta
dei rifiuti, risultava disciplinato dall’art. 202, comma
1, del D.lgs n. 152/2006, come modificato dal D.lgs. n.
4/2008, che così recitava: “L'Autorità d'ambito
aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle
disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di
cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267, nonchè con riferimento
all'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta,
tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle
precedenti esperienze specifiche dei concorrenti,
secondo modalità e termini definiti con decreto dal
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel
rispetto delle competenze regionali in materia. I
soggetti partecipanti alla gara devono formulare, con
apposita relazione tecnico-illustrativa allegata
all'offerta, proposte di miglioramento della gestione,
di riduzione delle quantità di rifiuti da smaltire e di
miglioramento dei fattori ambientali, proponendo un
proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la
gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente
definiti”.
Appare utile in questa sede
ricordare che il Decreto Ministeriale 2 maggio 2006
pubblicato sulla G.U. n. 108 dell’11 maggio 2006, anche
se non produttivo di effetti giuridici in forza della
nota dello stesso Ministero del 26/06/2006 pubblicata
nella G.U. n. 146 del 26/06/2006[20], all’art. 2, comma
2°, così recitava: “La gestione del servizio di cui al
precedente comma 1 è aggiudicata mediante gara ad
evidenza pubblica disciplinata dai principi e dalle
disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di
cui all’art. 113, comma 7, del decreto legislativo n.
152/2006, nel rispetto del piano d’ambito e del
principio di unicità della gestione per ciascun ATO”. Il
successivo art. 2, comma I°, così recitava: “Le AATO
sono soggetti aggiudicatari e procedono all’affidamento
della gestione del servizio mediante gara pubblica, da
espletarsi con il sistema della procedura aperta,
adottando per l’aggiudicazione il sistema dell’offerta
economicamente più vantaggiosa individuata secondo le
modalità di cui al presente decreto”.
I primi commentatori non hanno
esitato a rilevare che “E’ emersa fin da subito la
scomparsa della possibilità di scelta tra diversi
modelli di gestione come consentito dal comma 5
dell’art. 113 del TUEL sostituita dalla previsione della
procedura ad evidenza pubblica per la scelta del
gestore. Il Codice, dunque, ammette una sola modalità di
affidamento del servizio, ritenendo che in questo
settore esista un mercato dove operano soggetti
economici ed è quindi intervenuto a tutela di quel
mercato, e, in definitiva della concorrenza, creando per
i rifiuti una disciplina di settore diversa rispetto a
quella ordinaria. Lo stesso comma 1 dell’art. 202
contiene dei criteri di selezione del gestore
(l’ammontare del corrispettivo offerto) che non sono
pertinenti ad un rapporto in house, ma lo sono se si
tratta di selezionare un soggetto terzo, pubblico o
privato”[21].
Coerente con la citata
argomentazione è il contenuto del parere espresso dal
Consiglio di Stato n. 3838 del 5/11/2007 sullo schema di
decreto legislativo concernente “Disposizioni correttive
ed integrative al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, recante norme in materia ambientale” che al punto
29 così recitava: “La modifica, mediante rinvio
generalizzato all’art. 113, consente anche, in luogo
della gara, l’utilizzo del sistema in house che invece
il decreto legislativo aveva inteso, in questo settore,
eliminare. Essa, pertanto, è di carattere sostanziale ed
esula, come tale, dai limiti del potere correttivo. Va
aggiunto che il ripristino del sistema in house non è in
linea con il diritto comunitario, secondo cui laddove vi
è un mercato contendibile in cui gli operatori privati
sono in grado di assicurare il servizio pubblico, la
riserva del servizio pubblico all’amministrazione
(mediante gestione diretta, o società in house) non è
giustificabile. Il sistema in house deve essere pertanto
considerato eccezionale, consentito laddove vi sono
oggettive esigenze di svolgimento di un servizio
pubblico in regime di privativa………. Non sono ammissibili
deroghe alla concorrenza che non siano necessarie al
perseguimento della missione di carattere generale
affidata al gestore del servizio. La relazione, invece,
nulla dice sulle ragioni oggettive ed eccezionali che
rendono ancora attuale l’in house”[22].
Lo stesso Consiglio di Stato[23],
questa volta in sede giurisdizionale, stabiliva che “..a
mente del combinato disposto degli artt. 199, 200 e 201,
D.lgs. n. 152 del 2006 l’organizzazione territoriale dei
servizi di gestione integrata dei rifiuti è affidata
agli enti gestori degli ambiti territoriali ottimali;
questi ultimi, giusta il puntuale disposto dell’art.
202, D.lgs. n. 152 cit., sono obbligati ad
esternalizzare il servizio mediante gara nel rispetto
dei principi comunitari e nazionali; non è prevista la
formula organizzativa della società pubblica. Consegue
alle superiore considerazioni l’inconferenza di tutte le
doglianze sviluppate dall’appellante nel presupposto che
si controverta di un affidamento del servizio a società
in house”.
Il fatto che nelle citate
"Disposizioni correttive e integrative del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in
materia ambientale”, veicolate attraverso il D.lgs 8
novembre 2006, n. 284, scompariva la citata proposta di
reintrodurre l’ipotesi dell’in house, confermava la
bontà del ragionamento fin qui illustrato.
Ma, se l’ipotesi dell’in house non
era riuscita ad entrare direttamente dalla porta
principale nel Codice dell’Ambiente, l’occasione per un
ingresso indiretto veniva data dal legislatore con il
nuovo sistema normativo introdotto nell’ordinamento
attraverso la decretazione d’urgenza. L’articolo 23 bis
del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in
legge 6 agosto 2008, n. 133 definiva infatti una nuova
disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza
economica, finalizzata ad un nuovo assetto del mercato,
che doveva essere regolato da principi omogenei, così da
essere trasversale rispetto a quelle settoriali,
soprattutto con riferimento al profilo dell’affidamento
e della gestione dei rispettivi servizi.
L’operazione legislativa, mal
digerita anche dalla dottrina[24], non trovava
entusiasmi neanche tra i componenti dell’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture[25] che, nel contesto di un procedimento di
accertamento della legittimità degli affidamenti in
house ai soggetti gestori pubblici del Servizio di
Gestione Integrata dei rifiuti urbani, così si
esprimevano: “E’ scomparsa quindi la possibilità di
scelta tra diversi modelli di gestione come consentito
dal comma 5 dell’art. 113 del TUEL, sostituita dalla
previsione della procedura ad evidenza pubblica per la
scelta del gestore. Il Codice Ambientale, dunque,
ammette una sola modalità di affidamento del servizio,
ritenendo che in questo settore esista un mercato, e in
definitiva della concorrenza, creando per i rifiuti una
disciplina di settore diversa rispetto a quella
ordinaria”. La stessa Autorità evidenziava altresì che
“Secondo le previsioni di cui all’art. 23-bis della
legge n. 133/2008, successivamente modificato dall’art.
15 del decreto-legge 25 settembre 2009 n. 135,
convertito in legge n. 166 del 20/11/2009, le gestioni
in house, esistenti alla data del 22 agosto 2009,
cessano al 31 dicembre 2011 se conformi ai principi
comunitari ed al 31 dicembre 2010 se difformi rispetto a
detti principi, salvo che entro il 31 dicembre 2011 le
amministrazioni cedano almeno il 40% del capitale
attraverso modalità competitive e di evidenza pubblica”.
4. Il rapporto tra normativa
generale e normativa speciale sugli affidamenti dei
servizi pubblici locali a rilevanza economica
L’art. 23-bis del D.L. n. 112/2008,
relativo alla disciplina dell’affidamento e della
gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica,
prevedeva che “(…) Le disposizioni contenute nel
presente articolo si applicano a tutti i servizi
pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline
di settore con esse incompatibili. Sono fatte salve (…)
le disposizioni della legge 2 aprile 1968, n. 475,
relativamente alla gestione delle farmacie comunali,
(…)”. Tale disciplina era destinata ad essere
completata, ai sensi del comma 10, da uno o più
regolamenti con natura delegificante che dovranno
disciplinare una serie di questioni molto importanti per
lo sviluppo industriale delle società che, a vario
titolo, già forniscono servizi pubblici locali di natura
economica e di quelle che vorrebbero entrare su tali
mercati. Essa conteneva un complesso di disposizioni
(commi da 1 a 9) che si potevano considerare
immediatamente precettive, ancorché limitate dal fatto
che l’art. 23-bis, comma 10, lett. m) rimetteva al
Regolamento il compito di individuare espressamente le
norme abrogate ai sensi del presente articolo, dando
così espressa esecuzione al disposto del comma 11 ove si
affermava genericamente che l’art. 113 del D.lgs. n.
267/2000 doveva ritenersi abrogato nelle parti
incompatibili con le disposizioni del presente articolo.
A partire dall’entrata in vigore di
detto articolo, la tradizionale tesi secondo cui nella
materia de qua (gestione integrata dei rifiuti) sarebbe
prevalente la disciplina posta dalla legge di settore
all’art. 201 del D.lgs. n. 152/2006, non poteva più
essere sostenuta, soprattutto perché la disciplina di
cui all’art. 23-bis concerneva espressamente la tutela
della concorrenza, applicandosi a tutti i servizi
pubblici locali (“Le disposizioni del presente articolo
disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione
della disciplina comunitaria e al fine di favorire la
più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di
libertà, di stabilimento e di libera prestazione dei
servizi di tutti gli operatori economici interessati
alla gestione di servizi di interesse generale in ambito
locale”).
Puntuale, in questa direzione,
arrivava il Tar Veneto che, attraverso un’articolata
sentenza[26], ripescava l’ipotesi dell’in house anche
per la gestione dei servizi pubblici connessi alla
raccolta dei rifiuti, affermando che “L’art. 23-bis del
D.L. 25 giugno 2008 convertito con modificazioni in L.
6 agosto 2008 n. 133 dispone, con disciplina che
espressamente si applica a tutti i servizi pubblici
locali e prevale sulle norme degli ordinamenti di
settore con esse incompatibili (quindi, anche
sull’ordinamento relativo ai rifiuti di cui allo stesso
D.L.vo 152 del 2006), che <<in deroga alle modalità di
affidamento ordinario … a favore di imprenditori o di
società in qualunque forma costituite individuati
mediante procedure competitive ad evidenza pubblica>>, i
servizi pubblici locali possono anche essere
diversamente affidati, <<per situazioni che, a causa di
peculiari caratteristiche economiche, sociali,
ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale
di riferimento, non permettono un efficace e utile
ricorso al mercato>>, previa <<adeguata pubblicità>> a
tale scelta, motivandola in base ad un'analisi del
mercato con contestuale trasmissione “di una relazione
contenente gli esiti della predetta verifica
all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e
alle autorità di regolazione del settore, ove
costituite, per l’espressione di un parere sui profili
di competenza da rendere entro sessanta giorni dalla
ricezione della predetta relazione”. Peraltro il
legislatore, se avesse voluto fare salvi alcuni servizi
pubblici dotati di propria disciplina lo avrebbe fatto
espressamente alla stregua di quanto statuito, ad
esempio, per la gestione delle farmacie comunali[27].
Restava da chiedersi se nella fase
transitoria, il citato art. 202 del Codice dell’Ambiente
risultava di fatto da considerare abrogato
esclusivamente in base al meccanismo delle
incompatibilità. Più in dettaglio, le discipline di
settore erano dichiarate “incompatibili” con le attuali
disposizioni generali che “prevalgono” a tutti gli
effetti sulle prime. A questo punto la questione
prioritaria riguardava il significato della nozione di
prevalenza e cioè, se, in termini giuridici, si trattava
di una vera e propria abrogazione. Una cosa è infatti
stabilire che una norma prevale su un'altra, altra cosa
è prevederne espressamente l’abrogazione. In tale
contesto, “la domanda non appare inutile se la frase del
c. 1 viene letta in connessione con quanto affermato al
c. 10, lett. d) dove si prevede che al regolamento sia
affidato, tra l’altro, il compito di <<armonizzare>> la
<<nuova disciplina>> e quelle settoriali <<individuando
le norme applicabili in via generale per l’affidamento
di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza
economica in materia di rifiuti, trasporti, energia
elettrica e gas, nonché in materia di acqua>>, cioè in
tutti gli ambiti regolati da normative di settore”[28].
A spazzare ogni residuo dubbio in
ordine al rapporto tra normativa speciale (art. 202,
comma 1, D.lgs. n. 152/2006) e normativa generale (art.
23-bis della L. n. 133/2008) ci ha pensato il tanto
atteso Regolamento attuativo, veicolato attraverso il
D.P.R. n. 168 del 07/09/2010 e pubblicato nella G.U. n.
239 del 12/10/2010. L’art. 12 di detto Regolamento, alla
lettera “c” del comma 1, ha provveduto infatti ad
abrogare espressamente l’art. 202, comma 1, del D.lgs.
n. 152/2006, e successive modificazioni, ad eccezione
della parte in cui individua la competenza dell'Autorità
d'ambito per l'affidamento e l'aggiudicazione.
Si può quindi tirare una prima
conclusione, secondo la quale, fino alla pubblicazione,
a cura del Presidente della Repubblica, del decreto che
proclama l’esito referendario[29], le modalità di
affidamento del servizio di gestione integrata dei
rifiuti risultano ancora disciplinate dal nuovo art.
23-bis e dal successivo Regolamento attuativo n.
168/2010, attesa non tanto la prevista “prevalenza”,
quanto l’espressa abrogazione dell’art. 202 del Codice
dell’Ambiente contenuto nel medesimo Regolamento. Se,
pertanto, questo quadro normativo pre-referendum
consente agli Enti locali di accedere anche alla forma
eccezionale (rectius, non ordinaria) dell’in house per
la gestione del servizio integrato dei rifiuti[30],
l’istituto della “gara” costituisce comunque la modalità
ordinaria per l’affidamento di siffatti servizi pubblici
locali a rilevanza economica.
5. Gli effetti del referendum sulla
gestione integrata dei rifiuti
Non essendo il settore dei rifiuti,
alla stregua di quello idrico, preservato dal
legislatore, alla demolizione del sistema normativo
disciplinato dall’art. 23-bis della legge n. 133/2008 ad
opera del referendum consegue, come statuito dalla Corte
Costituzionale con la sentenza citata in premessa
“l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano
della normativa comunitaria (come si è visto, meno
restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum)
relativa alle regole concorrenziali minime in tema di
gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della
gestione di servizi pubblici di rilevanza economica”,
dovendosi escludere la reviviscenza dell’art. 201 del
Codice dell’Ambiente[31].
Ciò significa che l’Autorità
d’ambito (Ente locale, Consorzio d’ambito, Società
d’ambito) titolare della gestione del servizio integrato
dei rifiuti per ambito territoriale ottimale, non sarà
più obbligata ad affidarsi al mercato concorrenziale per
la scelta del soggetto gestore, ma potrà valutare anche
l’ipotesi della gestione diretta ovvero quella
dell’affidamento diretto secondo il più noto istituto
dell’in house. Ovviamente, coma già detto, dopo
un’attenta valutazione tecnica, economica ed
amministrativa, attesi i limiti tratteggiati dalla
giurisprudenza comunitaria in ordine all’accertamento
dei requisiti in capo alla società partecipata
(partecipazione pubblica totalitaria, controllo analogo
ed attività prevalente), ma anche quelli interni
indicati dalla giurisprudenza della Corte dei Conti in
materia di partecipazione degli enti locali in società
di diritto privato.
L’art.3, c. 27 e seguenti, della
legge finanziaria 2008 n. 244/2007 prevede infatti che
“al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le
amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono
costituire società aventi per oggetto attività di
produzione di beni e di servizi non strettamente
necessarie per il perseguimento delle proprie finalità
istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o
indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in
tali società. E’ sempre ammessa la costituzione di
società che producono servizi di interesse generale e
l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte
delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel lambito
dei rispettivi livelli di competenza. L’assunzione di
nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali
devono essere autorizzati dall’organo competente che è
il Consiglio Comunale con delibera motivata in ordine
alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27”.
Secondo quanto affermato dalla
Corte dei Conti[32], l’art. 3, commi 27-32, nel porre
limitazioni alla costituzione e alla partecipazione in
società da parte delle pubbliche amministrazioni,
ribadisce e rafforza il principio generale secondo cui
la costituzione di società o il mantenimento di
partecipazioni azionarie da parte degli enti locali
richiede come presupposto la “funzionalizzazione”
dell’attività di carattere imprenditoriale alla cura di
interessi generali giuridicamente organizzati in
funzioni o servizi pubblici, attribuiti ad una pubblica
amministrazione. Il comma 27, sopra citato, va quindi
oltre la disposizione di cui all’art. 13 del D.L. n.
223/2006 (decreto Bersani, conv. in L. n. 248/2006)
richiedendo da un punto di vista oggettivo non tanto una
pura e semplice “strumentalità”, bensì un rapporto di
“stretta necessità” per il perseguimento delle attività
istituzionali dell’ente, con ciò evidenziando che, oltre
al rapporto di stretta necessità e/o alla sussistenza di
servizi di interesse generale, dovranno emergere
esigenze di ordine tecnico (ad esempio, con riferimento
a beni e servizi non altrimenti reperibili nel libero
mercato, o strutturalmente non erogabili direttamente
dall’ente) o economico (per es. legate alla maggiore
convenienza economica dell’autoproduzione del bene o
servizio rispetto all’acquisizione di esso sul mercato)
che depongano in favore dell’opzione societaria. L’ente
dovrà quindi, attentamente valutare i costi e i benefici
dell’affidamento del servizio con lo strumento dell’in
house in termini di efficienza, efficacia ed economicità
di gestione in un’ottica di lungo periodo, nonché le
ricadute sui cittadini e sulla responsabilità
dell’amministrazione stessa.
6. Considerazioni finali:
Le considerazioni finali che
possono farsi in ordine alle modalità di gestione del
servizio integrato dei rifiuti sono le seguenti:
a) in quanto rientrante nell’ambito
dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, il
settore dei rifiuti è direttamente investito dagli
effetti dell’esito abrogativo operato dal referendum;
b) la normativa di risulta
immediatamente applicabile circa le modalità di gestione
integrata dei rifiuti è quella comunitaria a cui fa
espresso riferimento la Corte Costituzionale nella
sentenza n. 24/2011;
c) la sopravvivenza della
disciplina abrogata con riguardo ai rapporti in essere
sorti in forza della medesima non è in discussione,
attesa la nota efficacia ex nunc dell’abrogazione
referendaria;
d) la “gara pubblica” per la scelta
del soggetto gestore, mentre non rappresenta più il
modello ordinario imposto alle Autorità d’ambito per
espressa volontà legislativa, non può certamente essere
esclusa nell’ambito di un settore, qual’è quello dei
rifiuti, in cui risulta ampiamente dimostrata
l’esistenza di un mercato concorrenziale di operatori
economici altamente specializzati;
e) gli altri modelli di affidamento
del servizio in regime di gestione diretta ovvero di
semi-amministrazione (affidamento in house) mentre non
sono più da considerare derogatori, richiedono pur
sempre un’adeguata e convincente motivazione, attesi gli
illustrati limiti imposti per giustificare tale scelta.
7. Il caso siciliano
Il legislatore siciliano, in
materia di servizi pubblici locali a rilevanza
economica[33] ha preferito fare uso dello strumento del
rinvio alla legislazione statale. La scelta,
probabilmente, è risultata saggia se si considera che
più recentemente alcuni servizi pubblici locali a
rilevanza economica hanno formato oggetto di importanti
pronunce della Corte Costituzionale, che, dopo aver
escluso che detti servizi possano essere ricondotti
nell’ambito delle funzioni fondamentali degli enti
pubblici, ha ricondotto la forma di gestione dei servizi
e le procedure di affidamento degli stessi alla materia
della tutela della concorrenza, di competenza
legislativa statale[34].
Nel caso specifico della gestione
integrata dei rifiuti, pur in presenza di un
riconoscimento alle Regioni della possibilità di
adottare misure che garantiscono una concorrenza nelle
procedure di affidamento maggiore rispetto a quella
assicurata dal legislatore statale[35], il legislatore
siciliano ha preferito, attraverso l’art. 15 della L.r.
08/04/2010 n. 9, rinviare all’art. 202 del D.lgs. n.
152/2006 ed all’art. 23-bis della legge n. 133/2008 e
s.m.i. per quanto concerne le modalità di affidamento
del relativo servizio.
Dopo l’abrogazione dell’art. 202
del D.lgs. n. 152/2006 ad opera del DPR n 168/2010 e
dell’art. 23-bis della legge n. 133/2008 e s.m.i. ad
opera del referendum, si pone la questione se il rinvio
contenuto nel citato art. 15 della L.r. n. 9/2010 abbia
natura recettizia ovvero formale e dinamico, anche alla
luce di quanto sostenuto dal Consiglio di Giustizia
Amministrativa, secondo cui trattasi di rinvio materiale
o recettizio quando il legislatore regionale fa propria
la norma statale (con eventuali modifiche ed
integrazioni) rendendola quindi estranea alla normativa
statale. Diversamente il rinvio si configura formale e
dinamico, ma anche in tale ipotesi il legislatore
regionale pone invero limiti di compatibilità, di
competenze dei soggetti, di assetto procedimentale,
contingenti o di successiva legislazione. Con il rinvio
recettizio e materiale (o statico) l’ordinamento
regionale non subisce automatiche modifiche per
l’intervento (o, specularmente, per l’eliminazione) di
norme statali[36].
Tale questione appare, tuttavia,
irrilevante nel caso di specie, posto che il citato
rinvio alla norma statale opera nella misura in cui il
legislatore regionale, pur avendo una competenza
esclusiva sulla materia, decide di uniformarsi alla
disciplina statale. Nel caso in specie, cioè quello
delle modalità di affidamento di servizi pubblici a
rilevanza economica, la Regione Siciliana non esercita
alcuna competenza esclusiva e pertanto il rinvio
operato, più che statico, ovvero dinamico, è da
considerarsi virtuale. Diverso sarebbe stato il caso in
cui ad essere abrogata fosse stata, ad esempio, una
disciplina statale di una materia su cui la Regione
Siciliana esercita per Statuto la propria competenza in
via esclusiva (enti locali, urbanistica, beni culturali,
pubblico impiego regionale ecc…).
Per una corretta ricostruzione del
quadro dei rapporti tra fonti statali e regionali
all’indomani dell’esito referendario, si può quindi
sostenere che l’abrogazione a livello statale dell’art.
202 del D.lgs. n. 152/2006 prima e dell’art. 23-bis
dopo, incide anche sulla sopravvivenza delle relative
norme nello spazio giuridico siciliano, trattandosi, nel
caso in specie, di rinvio virtuale. Pertanto, a tale
tipologia di rinvio al medesimo sistema normativo
adottato dallo Stato, travolto dall’esito del
referendum, consegue anche per l’ordinamento siciliano
l’ingresso automatico delle illustrate norme
comunitarie, trattandosi di norme che, trovando
applicazione immediata nell’ordinamento interno, a
fortiori risultano cogenti anche nel sistema
ordinamentale regionale.
In tale contesto, le considerazioni
finali su elencate sono da estendere, senza alcun
ritocco, anche al caso siciliano.
[1] Valeria Avaltroni, “L’assetto
della disciplina del SII dopo il referendum abrogativo
del 12 e 13 giugno 2011 – note d’approfondimento”, in
Diritto dei servizi pubblici, 06/07/2011.
[2] Corte Cost.
sent. n. 439 del 15/12/2008.
[3] Sent.
Coditel Brabant CE, 09.06.2009 causa C-480/06.
[4] Giampaolo Rossi, “Ricomporre il
quadro normativo delle società di gestione dei servizi
pubblici locali. Alla ricerca del filo di Arianna”,
Giustamm.it, n. 6/2011.
[5] Norberto Bobbio, “Né con Marx
né contro Marx”, Editori Riuniti, maggio 1997, Roma.
[6] Corte dei Conti sez. di contr.
in sede cons., delib. 11/05/2009 n.
195.
[7] Cons. Stato,
Sez. V°, sent. 08/02/2011 n. 854.
[8] Rosa Francaviglia, “L’incidenza
della flessibilità del rapporto di lavoro sul costo del
personale nelle aziende sanitarie”, Diritto.it, giugno
2004.
[9] Corte dei Conti, sez. reg.le di
contr. Regione Lombardia, parere 22/10/2008 n. 79.
[10] Nota interpretativa del
14/06/2011.
[11] Luca Manassero, “Il Servizio
Idrico Integrato – e gli altri Servizi pubblici locali –
ed il referendum 2001: alle soglie di una (contro)
rivoluzione?”, Diritto dei Servizi Pubblici, 06/06/2011.
[12] Cons. Stato, Ad. Plen.,
decisione n. 1/2008.
[13] Cons. Stato, sent. 23/03/2003
n. 1289.
[14] Segnalazione dell’AGCM (AS468)
del 04/08/2008: affidamento di servizi pubblici locali
aventi rilevanza economica secondo modalità c.d. in
house.
[15] Cons.
Stato, Sez. V°, sent. 26/01/2011 n. 552.
[16] Maria Alessandra Sandulli,
intervento al seminario “Affidamento e gestione dei
servizi pubblici locali alla luce del regolamento
attuativo, Milano 09/02/2011.
[17] Tar Lazio, Sez. II ter, sent.
04/02/2011 n. 1077.
[18] Gerardo Guzzo, “L’assetto
della disciplina SPL di rilevanza economica all’indomani
del risultato del referendum abrogativo del 12 e 13
giugno 2011: riflessioni minime”, Diritto dei Servizi
Pubblici, 06/06/2011.
[19] Ugo Patroni Griffi e Ilaria
Rizzo, “L’appalto in house non cede all’esito del
referendum”, Il Sole 24Ore, 03/07/2011.
[20] Si veda a tal proposito Tar
Palermo, sez. I, sent. n. 2511, 05/11/2007.
[21] Carlo Rapicavoli, “La gestione
dei rifiuti urbani nel codice ambientale”, LexItalia.it,
n. 10/2007.
[22] A tal riguardo la Corte
Costituzionale, con la sentenza n. 206 del 2001, ha
affermato che i decreti correttivi ed integrativi devono
avere lo stesso oggetto del decreto originario e seguire
gli stessi criteri direttivi ai quali quest'ultimo si è
ispirato.
[23] Consiglio di Stato, Sez. V,
sent. 13/02/2009 n. 824.
[24] Si vedano i commenti di Laura
Ammannati, “Frammenti di una <<riforma>> dei servizi
pubblici locali”, Amministrazione In Cammino,
26/11/2008.
[25] Deliberazione n. 2, Adunanza
del 13/01/2010.
[26] Tar Veneto Sez. I°, sent. n.
236 del 02/02/2009.
[27] Con sentenza n. 1598 del
28/06/2011, il Tar di Catania ha implicitamente
confermato la prevalenza della disciplina generale
contenuta nell’art. 23-bis sulle normative speciali in
ordine alle modalità di affidamento dei relativi servizi
pubblici, ad eccezione di quelle (come nel caso trattato
della farmacie comunali) espressamente elencate e fatte
salve dalla medesima normativa.
[28] Laura Ammannati, “Frammenti di
una <<riforma>> dei servizi pubblici locali”,
Amministrazione In Cammino, 26/11/2008.
[29] Ai sensi dell’art. 37 della
legge n. 352/70, “l’abrogazione ha effetto a decorrere
dal giorno successivo a quello della pubblicazione del
decreto nella Gazzetta Ufficiale”.
[30] L’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, chiamata ad esprimere il
proprio parere ai sensi dell’art. 26 della legge n.
287/90, ha mantenuto una linea rigorosa in ordine
all’accertamento dei requisiti per l’affidamento in
house del servizio di gestione integrata dei rifiuti. Si
veda tra le tante, parere del 18/11/2009 richiesto dal
Comune di Boscoreale.
[31] Reviviscenza costantemente
esclusa dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale
– sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997.
[32] Sezione giurisdizionale per il
Veneto, parere n. 5/2009.
[33] Solo per i servizi pubblici a
rilevanza non economica, la cui competenza è stata
assegnata dalla Corte Costituzionale alle Regioni con
sentenza 27 luglio 2004, n. 272, la Regione Siciliana ha
recentemente legiferato con l’art. 21 della L.r. n. 5
del 11/04/2011.
[34] Si vedano le sentenze n.
272/2004, 307/2009 e 325/2010.
[35] Corte Costituzionale, sent. n.
307/2009.
[36] C.G.A., parere n. 592 del
16/11/1993 e C.G.A decisione n. 403/2010. |