In 5 anni da 500 euro a
8.000/12.000 il costo fiscale per chiedere giustizia in
materia di appalti pubblici!
Si è parlato molto in
questi ultimi giorni dei gravosi aumenti del contributo
unificato introdotti dall’ultima manovra correttiva, e
di come tali aumenti finiscano per indebolire fortemente
lo stesso diritto di difesa, ormai solo in linea teorica
garantito dalla nostra Carta costituzionale ad ogni
cittadino italiano
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ha adesso lanciato la
campagna di raccolta delle firme per fermare
l’aumento del contributo unificato E’ tuttavia utile
spiegare, in questa sede, perché l’aumento del
contributo unificato danneggia particolarmente la
materia degli appalti pubblici.
Dal 6 luglio 2011,
nei giudizi aventi ad oggetto provvedimenti concernenti
le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi
e forniture – nonché i provvedimenti adottati dalle
Autorità amministrative indipendenti, ma questa è
un’altra storia, di cui parleremo a parte anche su
questa rivista – il contributo dovuto è di 4.000 euro.
Si aggrava ulteriormente
il già pesantissimo carico economico da sostenere nel
processo amministrativo in materia di appalti pubblici,
a poche settimane dall’introduzione, da parte del
Decreto Sviluppo, della
nuova sanzione per “lite temeraria”, con l’art.
246-bis Codice dei Contratti (norma mantenuta inalterata
dalla legge di conversione n. 106 del 12 luglio 2011).
Desta preoccupazione
l’escalation che il contributo unificato per il processo
sugli appalti ha vissuto negli ultimi anni, escalation,
peraltro assolutamente scollegata dalle altre materie:
nel 2006 ammontava a 500 euro, al pari di tutti gli
altri ricorsi al giudice amministrativo; poi, però,
dal 1 gennaio 2007 è stato quadruplicato in un sol
colpo, arrivando a 2.000 euro.
Successivamente, il
decreto di recepimento della direttiva ricorsi, lo
scorso aprile 2010, ha “chiuso le porte” del ricorso
straordinario al Capo dello Stato, sancendo
l’obbligo di adire esclusivamente il TAR per la materia
degli appalti pubblici, impedendo di fatto di attivare
un contenzioso senza pagare i suddetti 2000 euro. Per la
cronaca, allora il ricorso straordinario era esente,
oggi è soggetto ad un contributo unificato di 600 euro:
sia allora che adesso, quindi, si tratta di un importo
che avrebbe potuto far preferire il ricorso
amministrativo a quello giurisdizionale. Ma tant’è.
Da ultimo, infine,
l’ulteriore “rilancio” del legislatore, ed il
raggiungimento della quota record di 4000 euro.
Purtroppo, questa noiosa
digressione sulle tasse di giustizia non può finire qui.
Non si può certo dire, infatti, che un giudizio in
materia di appalti pubblici dinanzi al Giudice
Amministrativo abbia un costo fiscale di soli 4000 euro.
Si tenga presente
infatti che, già dal recepimento della direttiva
ricorsi, il contributo unificato è ormai dovuto non
solo per il ricorso introduttivo, ma anche per ogni
successivo atto che contenga “domande nuove”, quindi
per quasi tutti i ricorsi per motivi aggiunti ed
i ricorsi incidentali.
Ora, questa norma –
successivamente estesa dal Codice del processo
amministrativo a tutti i ricorsi proposti davanti ai
Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di
Stato – ha una fortissima incidenza in materia di
appalti pubblici; è più che frequente, infatti, la
presentazione di uno o più motivi aggiunti di ricorso.
Tanto per cominciare,
sono domande nuove la domanda di risarcimento del
danno e la domanda di subentro in caso di
inefficacia del contratto, che pertanto un avvocato
avveduto dovrebbe sempre inserire nell’atto introduttivo
del giudizio.
A parte queste, tuttavia
è pressoché impossibile concentrare tutte le domande da
proporre al giudice nel ricorso introduttivo.
Si pensi, ad esempio,
all’impresa che abbia impugnato il bando immediatamente
lesivo, oppure la propria esclusione, e che sia poi
costretta ad impugnare pure la sopraggiunta
aggiudicazione definitiva, pena l’inammissibilità
del suo ricorso.
Si pensi, inoltre, alla
necessità di chiedere prontamente la sospensione
cautelare dell’aggiudicazione provvisoria quando vi
è il rischio che la stazione appaltante proceda
all’esecuzione in via d’urgenza ancor prima
dell’aggiudicazione definitiva e della stipula del
contratto.
Si pensi ancora
all’ipotesi in cui, nel corso del giudizio, in
seguito ad un accesso agli atti oppure ad un
deposito documentale di controparte, il ricorrente venga
a conoscenza di nuovi vizi degli atti di gara già in
precedenza impugnati.
Si legga inoltre l’art.
120, comma 7, CPA, secondo cui “i nuovi atti attinenti
la medesima procedura di gara devono essere impugnati
con ricorso per motivi aggiunti”.
Non sono bravissimo con
i numeri, ma il conto in questo caso è facile: se
consideriamo che i giudizi in materia di appalti
pubblici che costano 4000 euro sono più unici che rari,
e che invece la maggior parte registra almeno due o tre
atti contenenti domande nuove, in media un giudizio
ha un costo fiscale che va da 8.000 a 12.000 euro.
E ciò, a prescindere dal
valore della gara: si pensi ad una gara con importo a
base d’asta di 100.000 euro, in cui l’utile d’impresa si
attesti al 10%, laddove è chiaro che l’imprenditore
escluso desisterà dal far valere le proprie ragioni in
giudizio.
E senza contare,
ovviamente, le difficoltà dell’avvocato – ultima ruota
di questo sgangherato carro che è oggi la giustizia in
Italia – il quale, dopo aver chiesto quelle somme, manco
a dirlo destinate fino all’ultimo centesimo allo Stato,
dovrà determinare e chiedere il proprio compenso.
Pubblicato da
Elio Guarnaccia
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