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di Ivan Libero Nocera

Dalla giurisprudenza degli anni '90 al Libro Verde del 22 giugno 2011 emerge come l'Europa proceda sulla strada della liberalizzazione dei mercati, con un approccio economico ai problemi, tutelando al contempo l'esigenza di regole a difesa dell'interesse generale

 

La nozione di impresa rilevante per il diritto antitrust comunitario è interpretata come designante una unità economica con riferimento all’oggetto in considerazione; a sua volta tale unità economica deve essere intesa come un’organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali finalizzata al raggiungimento di un determinato obbiettivo. Infatti nella sentenza Höfner si definisce impresa “qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità” (CGE, 23 aprile 1991, C-41/90). È chiaro quindi che una nozione di tale ampiezza contempli anche le professioni intellettuali.

 

Nelle decisioni della Corte di Giustizia e della Commissione degli anni novanta, si assiste a numerosi casi di applicazione della concezione di impresa al settore delle libere professioni: dagli Spedizionieri doganali italiani (CGE ,18 giugno 1998, C-35/96), al caso Poucet et Pistre sul settore dei servizi di assicurazione sociale (CGE, 17 febbraio 1993, cause riunite 159 e 160/91), ai regimi facoltativi di assicurazione per la vecchiaia (CGE, 16 novembre 1995, C-244/94), come agli agenti di proprietà intellettuale (Decisione n. 95/188 del 30 gennaio 1995), ovvero alla professione forense (Ordinanza della Pretura di Pinerolo del 13-15 gennaio 1999).

 

È opportuno ricordare che l’assoggettamento delle libere professioni alla disciplina a tutela della concorrenza si era già affermata negli Stati Uniti, laddove negli anni settanta, la predeterminazione di tariffe da parte di organizzazioni professionali era stata equiparata ad una pratica di fissazione del prezzo, in violazione dunque dello Sherman Act.

 

In merito all’applicazione della normativa della tutela della concorrenza alla professione forense, è opportuno richiamare la pronuncia della Corte di Giustizia Arduino (CGE, 19 febbraio 2002, C-35/99) al rinvio pregiudiziale presentato dal Pretore di Pinerolo, il quale aveva disapplicato il tariffario forense, assegnando, in sede di liquidazione delle spese processuali alla parte civile, una somma inferiore a quella pretesa dal difensore.

 

Il Pretore piemontese osservava come la questione se la tariffa forense, predeterminata per mezzo di decreto ministeriale, rappresentasse o meno un accordo restrittivo della concorrenza ai sensi dell’art. 81 del Trattato CE avesse visto soluzioni discordanti nella giurisprudenza italiana. Continuava ritenendo che queste divergenze fossero il frutto di differenti valutazioni, in merito al ruolo svolto dall’autorità pubblica nell’elaborazione e approvazione delle tariffe, e quindi riguardo alla possibilità di configurare una delega di poteri di diritto pubblico ad operatori privati, in modo tale da permettere loro di fissare le tariffe, violando palesemente l’art. 81 del Trattato CE.

 

Interrogata in merito la Corte si è espressa considerando l’attività forense come attività di impresa, da cui deriva la qualificazione del Consiglio Nazionale Forense come associazione di imprese, attesa la natura corporativa di quest’organo e il processo di definizione delle tariffe professionali.

 

Tale posizione era già stata seguita dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato nella delibera di avvio dell’indagine conoscitiva sulle libere professioni, la quale, ponendosi nel solco dell’orientamento europeo, aveva postulato una piena coincidenza tra impresa e professione intellettuale. Nella stessa indagine, conclusa alla fine del 1997, l’Autorità Garante aveva registrato la presenza di significativi limiti alla concorrenza, non effettivamente giustificate da concrete esigenze di corretto svolgimento della professione, ed aveva inoltre riscontrato rilevanti asimmetrie informative in ogni settore analizzato.

 

Il regime di esclusiva delle attività professionali, ammesso unicamente in favore di ipotesi tassative, dovrebbe dunque assumere carattere eccezionale rispetto all’ordinaria forma di associazioni private riconosciute, rivestite dalle altre professioni. Si dovrebbero inoltre impedire i casi di numero chiuso, stabilendo requisiti all’accesso in proporzione alle reali esigenze di ogni professione. Infine sarebbe necessario riequilibrare il rapporto asimmetrico in merito all’informazione, ad esempio abolendo ogni indicazione tariffaria da parte degli Ordini professionali.

 

Successivamente la stessa Autorità ha confermato tali posizioni con l’Istruttoria nei confronti degli Ordini dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri e Periti contabili, che ha inibito gli stessi Ordini dal seguitare a prestabilire le tariffe professionale. Sia le delibera di avvio dell’istruttoria che quella di chiusura del procedimento sono state impugnate davanti al T.A.R. del Lazio, il quale ha riaffermato la sovrapponibilità della nozione di impresa ai professionisti intellettuali (T.A.R. Lazio, 28 gennaio 2000, n. 466). In particolar modo il giudice amministrativo ha chiarito come, considerando la nozione comunitaria di impresa, sia “del tutto logico che gli esercenti delle professioni intellettuali siano considerati imprese ai fini specifici della tutela della libera concorrenza, in quanto la loro attività consiste nell’offerta sul mercato di prestazioni suscettibili di valutazione economica e di acquisto delle stesse dietro corrispettivo”.

 

Da ciò consegue che i professionisti, nonché gli Ordini e i Collegi professionali, risultano pienamente assoggettabili alle norme comunitarie e nazionali a tutela della concorrenza, e conseguentemente sanzionabili nel caso in cui perfezionano illeciti lesivi del libero mercato.

 

Più di recente la giurisprudenza sia comunitaria che interna ha ritenuto ammissibile il sistema italiano che prevede l’approvazione delle tariffe, su proposta del rispettivo Ordine professionale, da parte della pubblica autorità con il diritto comunitario. Tale giudizio affermativo è stato tuttavia limitato alla procedura di determinazione del regime tariffario, e non si è esteso all’ambito oggettivo di applicazione, lasciando irrisolta la questione in merito alle prestazioni per le quali è possibile legittimamente prevedere una tariffazione.

 

L’accertamento della compatibilità del procedimento di formazione del regime tariffario delle prestazioni professionali con l’ordinamento europeo non è infatti sufficiente ad permettere le prestazioni stesse. Bisognerebbe dunque verificare che la subordinazione di queste attività a tale regime sia intrinsecamente funzionale a quelle esigenze imperative che sole possono giustificare delle restrizioni alla concorrenza, in quanto intimamente connesse con l’interesse generale e da questo derivanti. A tal proposito è opportuno aggiungere che la partecipazione dell’autorità pubblica rappresenta una mera presunzione iuris tantum, che quindi non rassicura circa il rispetto dei parametri di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato.

 

In merito la Commissione europea, nella Relazione Monti sulla concorrenza nei servizi professionali del 2004, seguita dalla Relazione “I servizi professionali - proseguire la riforma” del 5 settembre 2005, ha osservato che, pur sussistendo ragioni per reputare giustificato un determinato grado di regolamentazione del settore, le tradizionali regole restrittive della concorrenza, in quanto eccezionali rispetto al diritto comunitario antitrust, si considereranno legittime esclusivamente se “necessarie per raggiungere un obiettivo di interesse generale” quale la qualità dei servizi o la protezione dei consumatori da comportamenti scorretti; i vincoli alla concorrenza sono dunque ammissibili solo nel caso in cui lo stesso risultato non possa essere perseguito con altri strumenti pro-concorrenziali. Inoltre, queste regole anticoncorrenziali “devono costituire il meccanismo meno restrittivo possibile della concorrenza, atto a raggiungere tale obiettivo” (requisito di proporzionalità). Emerge in maniera palese la ricerca di un punto di equilibrio per il bilanciamento del principio della concorrenza e degli interessi pubblici che possono essere correlati alle attività libero-professionali, considerati come valori non sacrificabili.

 

Con riferimento alle possibili fattispecie di predeterminazione di una tariffa professionale da parte degli iscritti al corrispondente Ordine, in relazione al disposto dell’art. 81 del Trattato, è individuabile dunque un procedimento tetrafasico, il quale dalla qualificazione dell’attività professionale come attività di impresa (da cui discende necessariamente la considerazione dei professionisti come imprese e degli Ordini professionali come associazioni di imprese), procede alla qualificazione della delibera di fissazione delle tariffe, adottata dall’Ordine, come una decisione di un’associazione di imprese, per poi appurare che tale decisione ha per oggetto o per effetto l’alterazione della concorrenza nel mercato rilevante, ed infine accertare l’idoneità di tale intesa a pregiudicare il commercio tra gli Stati membri.

 

In questo contesto si inserisce il recepimento della direttiva servizi 2006/123/CE che fornisce al legislatore nazionale l’opportunità di intervenire in modo organico sulla disciplina delle professioni intellettuali, prendendo posizione su questioni da sempre al centro della discussione. In particolare:

 

- il riconoscimento e l’accesso al mercato per i professionisti provenienti da altri Stati UE;

 

- la definizione dei corrispettivi senza ricorrere alle tariffe obbligatorie;

 

- le comunicazioni commerciali;

 

- l’ammissibilità delle società professionali;

 

- la qualità dei servizi professionali;

 

- la tutela dei clienti.

 

Si conferma in particolare il divieto di vincolare i professionisti al rispetto di “tariffe obbligatorie minime e/o massime” e si introduce l’obbligo di indicare “il metodo di calcolo del prezzo per permettere al destinatario di verificarlo” o “un preventivo sufficientemente dettagliato qualora il prezzo del servizio non sia predefinito per un determinato tipo di servizio oppure non sia possibile indicare un prezzo esatto”.

 

In tale solco si colloca il Libro Verde, pubblicato il 22 giugno 2011 dalla Commissione Europea riguardante la Revisione della Direttiva sulle Qualifiche Professionali (2005/36) al fine di “modernizzare la direttiva sulle qualifiche professionali”. Esso riveste carattere di consultazione aperta fino al 20 settembre 2011, puntando all’adozione di una carta professionale europea che possa consentire maggiore libertà di circolazione nello spazio Ue.

 

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