di Roberto Tamborini
In questi giorni le principali
agenzie di rating (AR) sono chiamate a rendere conto
alla Consob di alcuni comportamenti anomali riguardanti
le valutazioni del debito italiano. Molti osservatori
indipendenti hanno già sottolineato come i mercati dei
debiti sovrani siano gestiti dalle stesse entità
finanziarie che tanto hanno fatto per distruggere sé
stesse e il sistema finanziario privato del mondo
occidentale, e che sono state salvate coi denari
pubblici degli stessi stati che ora vengono messi sotto
la sferza della cosiddetta "disciplina di mercato".
Nel far ciò esse sono, per così
dire, assistite dalle AR. Le quali a loro volta hanno
giocato una parte di primo piano nella demolizione dei
sistemi finanziari privati dei paesi occidentali. In
parte a causa di stupefacenti errori tecnici, in parte a
causa di comportamenti illeciti di varia natura.
Anche tralasciando il film
dell'orrore a cui siamo stati costretti a partecipare
negli ultimi anni, il ruolo delle AR è sempre stato
controverso. Alcuni studi hanno provato che i comunicati
delle AR hanno un impatto sui prezzi finanziari, altri
invece sostengono che esse non fanno che ratificare le
valutazioni dei mercati già in essere. Da un punto di
vista teorico, è banale ricordare che se i mercati
finanziari fossero efficienti il dogma prima della
crisi le AR sarebbero inutili, ovvero, le loro grasse
prebende sarebbero uno spreco di denaro a danno
dell'efficienza dei mercati. Infatti, in mercati
efficienti, tutti sanno a costo zero tutto ciò che è
necessario sapere per valutare i titoli correttamente e
allocare i fondi in maniera ottimale. Quindi suscita un
certo stupore il fatto che negli ultimi trent'anni i
profeti della Efficient Market Hypothesis abbiano anche
supportato o sopportato il ruolo sempre più invasivo
delle AR. La certificazione da parte delle AR è
diventata addirittura obbligatoria per titoli
negoziabili o utilizzabili a garanzia in una sempre più
ampia varietà di transazioni private e per l'accesso a
mercati altamente qualificati come l'interbancario e le
operazioni con banche centrali. Quindi, un giudizio
positivo o negativo ha un enorme potere di
condizionamento del mercato, non solo attraverso la
formazione delle decisioni degli operatori, ma anche per
i vincoli imposti a volumi e tipologie di transazioni.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che stiamo parlando di
tre (dicasi tre) agenzie americane che quasi
monopolizzano l'intero settore. Fino ad oggi non
sembra che il colossale flop delle AR che ha concausato
la crisi mondiale abbia provocato un loro
ridimensionamento.
Si può sostenere che le AR hanno
qualcosa di buono da fare se i mercati non sono
efficienti dal punto di vista informativo. Come
dimostrarono molti anni fa Sanford Grossman e Joe
Stiglitz, in un importante articolo rapidamente
scomparso dalle citation list dei profeti
dell'efficienza, chiunque investe in informazione, e
vuole trarne un giusto profitto, per esempio operando in
proprio o vendendola a terzi, deve far leva su un certo
grado di disinformazione del resto del mercato.
Possiamo dire anche che, grazie a questi agenti meglio
informati, il mercato funziona meglio? Difficile
rispondere. Quando ci muoviamo nelle sabbie mobili delle
inefficienze del mercato dobbiamo prima di tutto capire
precisamente qual è il problema, e poi quali sono le
misure correttive migliori. Non è detto che le AR siano
tra queste.
Negli anni dell'alta teoria dei
mercati (che terminò una trentina di anni fa con
l'avvento dei profeti e dei talebani), l'idea guida era
che i mercati sono un'importante istituzione sociale in
quanto raccolgono e trasmettono informazione costosa,
dispersa nella società a livello privato e locale. Il
campione di questa visione era, come noto, Friedrich von
Hayek, ma anche, per ricordare un solo nome, Kenneth
Arrow. In questa visione, i mercati aiutano
l'allocazione efficiente delle risorse non perché tutti
sappiamo tutto, ma esattamente per la ragione opposta.
Questo principio si applica bene
nei mercati finanziari dove l'informazione chiave sono
gli incassi futuri (cedole, interessi, dividendi, ecc.)
generati dal possesso di un titolo. Se gli operatori
credono che il tasso di rendimento corretto di questo
titolo sia r%, allora il suo prezzo corrente equivale al
valore degli incassi futuri scontati al tasso r. Quindi,
il prezzo del titolo dipende 1) dalla previsione del
mercato degli incassi futuri, e 2) dal tasso di
rendimento che il mercato utilizza come fattore di
sconto. Nella visione hayekiana (e molti modello teorici
lo hanno provato), "il mercato" significa una media
delle opinioni, previsioni, ecc., individuali. I
predicatori dell'efficienza hanno diffuso l'idea che 1)
esiste un unico "vero" valore degli incassi futuri di un
titolo, e un unico "vero" tasso di sconto di mercato, e
che 2) questi valori sono noti e utilizzati in maniera
corretta da parte di tutti gli operatori (la cosiddetta
"ipotesi delle aspettative razionali").
Il problema è che la visione di
Hayek e quella dell'efficienza, non solo provengono da
due diverse filosofie della conoscenza e dei mercati, ma
portano a diverse conseguenze pratiche. Secondo i
seguaci di Hayek, l'eterogeneità dell'informazione è un
prerequisito per la stabilità del mercato e la
convergenza all'equilibrio (il modo in cui mercato
"scopre" il prezzo che uguaglia domanda e offerta). Per
contro, l'ipotesi delle aspettative razionali (uniformi)
ci dice qual è il prezzo di un titolo, ma non ci dice se
e come il mercato ci arriva.
Pensiamo ad una qualunque sessione
giornaliera in borsa. La pratica e il buon senso degli
operatori dicono che i movimenti dei prezzi sono più
dolci, e l'incontro tra domanda e offerta dei titoli
avviene più facilmente, nella misura in cui il mercato è
"spesso" (thick). In un mercato "sottile" (thin) i
prezzi sono troppo volatili. Per avere un mercato
spesso, occorrono molti scambisti con informazioni
diverse, così che alcuni vogliono vendere perchè hanno
informazioni ribassiste, ed altri comprare perché hanno
informazioni rialziste. Naturalmente, solo gli uni, o
gli altri, alla resa dei conti avranno ragione, ma
questo è precisamente il modo in cui il mercato premia
chi è meglio informato. L'argomento secondo cui, di
conseguenza, solo i meglio informati (quelli che
conoscono la verità) sopravvivono non va così lontano
come sembra. Il mondo economico è sufficientemente
complesso (nel senso scientifico del termine) da
impedire che qualcuno arrivi a possedere il monopolio
della verità (se esiste). Quindi vincitori e perdenti
non sono sempre gli stessi (fatto che, tra l'altro, dà
sostegno all'idea "democratica", alla Galbraith, del
mercato come strumento per ridistribuire la ricchezza
nella società).
Può un mercato "hayekiano", essere
reso più efficiente iniettandovi più informazione? Io
sospetto che Hayek sarebbe poco propenso a rispondere di
sì nel caso di venditori professionisti d'informazione,
i quali non operano attivamente in proprio. Primo, i
prezzi di mercato devono essere guidati da "notizie"
(news) che aggiornano le informazioni disponibili agli
operatori. L'approvazione del piano di riforma del
governo greco è una notizia vera, mentre le periodiche
esternazioni di Moody's, di Trichet, o di Schauble, sono
opinioni, più o meno autorevoli. Secondo, come possiamo
accertare che questi venditori vendano informazioni, o
opinioni, genuine? Genuine significa che non si tratta
né di una replica di quello che gli operatori già sanno,
né di puro "rumore" (noise secondo la fortunata
terminologia introdotta da Shleifer e Summers). Terzo,
entra in gioco un aspetto critico dovuto a Keynes, alla
sua acuta comprensione dei meccanismi dei mercati
finanziari. Ci sono circostanze in cui gli operatori
perdono fiducia nelle loro informazioni, previsioni o
opinioni private (questa è l'incertezza nella teoria dei
mercati di Keynes). In queste circostanze le opinioni
degli altri assumono un peso crescente, dando vita al
fenomeno che gli psicologi del mercato chiamano
"comportamento gregario" (herd behaviour). Un tipico
sintomo è che improvvisamente le opinioni individuali si
coagulano su un punto focale, il mercato diventa
sottile, tutti vogliono comprare o vendere, il prezzo è
spinto in alto o in basso senza limite.
Per questo aspetto, un mercato
finanziario "keynesiano" assomiglia ad un mercato
efficiente eccetto che il prezzo, se trova un
equilibrio, riflette l'informazione su cui si è
focalizzato il gregge degli operatori, la quale può non
avere alcun legame con la valutazione corretta del
titolo. Come mostrato dai cosiddetti "modelli di seconda
generazione" degli attacchi speculativi, questo tipo di
previsioni tende ad autoavverarsi. Facciamo il caso che
il pastore informativo guidi il gregge a convincersi che
la probabilità di fallimento di un certo debito sovrano
è molto cresciuta: scattano vendite massicce, il prezzo
dei bond cade (quello dei credit default swaps sale,
rendendo il tutto più credibile), il servizio del debito
diventa più costoso, la probabilità di default
effettivamente aumenta.
Se collochiamo le AR in questo
contesto (e altre autorità ciarliere, o altre sedicenti
autorità), vengono subito in mente due questioni. La
prima, già avanzata sopra, è se esse aggiungono
informazioni genuine o solo rumore. La seconda è che il
confine tra informazione del mercato e manipolazione del
mercato diventa molto sottile. Ancor di più se teniamo
presente che obbedire alle opinioni delle AR è stato
reso obbligatorio per diverse classi di transazioni.
Quindi, che cosa è socialmente preferibile? Un mercato
in cui i prezzi si muovono limitatamente in risposta a
informazioni private eterogenee e disperse, o un mercato
in cui i prezzi variano violentemente in risposta a
informazioni pubbliche che possono essere fuorvianti?
Guardano indietro a questo anno di
follia nella gestione dei debiti sovrani in Europa, è
difficile liberarsi dell'idea che sia stata riversata
nel mercato una notevole quantità di rumore, e che
talvolta sia stato oltrepassato il limite della
manipolazione (con certi "tempestivi" brutti voti delle
AR o certe dichiarazioni politiche). Nel caso della
Grecia, ricordiamo che ogni punto base in più di spread
sul Bund tedesco significa aumentare l'instabilità
politica, i sacrifici imposti ai cittadini, e il costo
dei pacchetti di salvataggio. Inoltre, altri effetti
collaterali indebiti vengono continuamente creati dalle
voci allarmistiche su altri debiti sovrani, spesso senza
chiari riferimenti a valutazioni dei fondamentali. Ecco
quindi la mia modesta proposta: spegnere la luce.
I falchi del "governo piccolo"
devono convincersi che il ritorno delle finanze
pubbliche alla normalità nei paesi occidentali sarà un
cammino lungo e faticoso. Qualsiasi frettolosa
accelerazione potrà provocare un disastro sistemico,
senza più nessun salvatore del mondo questa volta. Le AR
dovrebbero essere disattivate, almeno per la parte di
debito pubblico. Le autorità istituzionali dovrebbero
parlare di meno e fare di più allo scopo di mettere a
punto una credibile strategia d'intervento a lungo
termine per ricostituire e garantire condizioni ordinate
di rifinanziamento dei bilanci pubblici. Gli operatori
di mercato dovrebbero tornare al loro vero lavoro
quotidiano: anziché scommettere sulla prossima pagella
di Moody's, spendere più tempo, energie intellettuali e
risorse nella ricerca d'informazioni genuine, cercare di
elaborare previsioni valide attraverso la nebbia
dell'incertezza. I cattivi previsori verranno puniti,
quelli bravi verranno premiati, e forniranno valide
informazioni per i decisori politici. |